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mercoledì 28 marzo 2012
Articolo 18
Perché ho votato contro al direttivo Cgil
di Giorgio Cremaschi
Il direttivo nazionale della Cgil non si è concluso all'unanimità e questo
non certo sulla scelta di decidere 16 ore di sciopero e di costruire il
massimo della mobilitazione per fermare Monti e il suo disastro, non solo
sull'articolo 18. Su questo, almeno da parte nostra, non ci sono dissensi e
incertezze.
Il punto vero su cui si è a lungo discusso riguarda la posizione concreta
che la Cgil assume sull'articolo 18 e un po' su tutto il resto. Nel corso
della discussione, e ancor più nelle conclusioni del segretario generale è
emersa con chiarezza la seguente posizione. Oramai il danno è terribile,
questo governo va avanti come un treno con i consensi, anche istituzionali
che ha. Il governo Monti è sostanzialmente contro di noi, ma per combatterlo
dobbiamo costruire alleanze e proposte tali da metterlo in difficoltà. Per
questo sull'articolo 18 non si può mantenere la posizione sinora assunta
dagli organismi - quell'articolo non si tocca -, ma bisogna essere
disponibili a delle mediazioni che salvino la sostanza. Per queste ragioni
il direttivo ha respinto a maggioranza, 73 contro 30, un emendamento al
documento finale presentato da Nicola Nicolosi e Maurizio Landini e votato
anche dai segretari generali della conoscenza e della funzione pubblica che,
in maniera semplice e chiara chiedeva di confermare la posizione sull'intangibilità
dell'articolo 18. Il fatto che questo emendamento sia stato respinto a
favore di un testo apparentemente simile, ma in realtà aperto a diverse
interpretazioni, chiarisce che la segreteria della confederazione vuole un
mandato per limitare i danni. Questa posizione non poteva essere condivisa
da chi ritiene che la battaglia sull'articolo 18 sia una battaglia di
principio di fondo e non un elemento contrattualizzabile.
Per queste ragioni nel voto finale ai 95 sì, compresi Nicolosi e Pantaleo,
si sono contrapposte 13 astensioni, tra cui quelle di Landini e Rinaldini, e
con 2 voti contrari, il mio e quello di Fabrizio Burattini.
Quella del direttivo è stata dunque una discussione vera, che riguarda un'organizzazione
che rischia moltissimo in questo momento, come rischiano drammaticamente e
ancor di più i lavoratori. Non credo che il governo sia disponibile a
mediazioni sull'articolo 18. Quello che ha deciso di fare è scritto nella
lettera del 5 agosto della Banca centrale europea, ed è per questo che
appaiono un po' ridicoli scandali e improvvise sorprese. Lo scalpo dell'articolo
18 va portato sull'altare delle banche, delle finanze, dello spread. Poco
importa se questo ha o non ha un senso dal punto di vista economico. Tante
cose fatte in Grecia, in Spagna o in Portogallo non lo hanno nella loro
ferocia, eppure sono state fatte lo stesso, perché il governo finanziario
dell'Europa non capisce e non è in grado di produrre un'altra politica
economica. Per questo la politica della riduzione del danno, ancora una
volta praticata dal gruppo dirigente della Cgil, rischia di essere non solo
sbagliata nei contenuti - alla fine si accettano danni comunque
irreparabili -, ma anche inefficace. Il governo ha scelto una linea di
rottura da destra della concertazione. Non è sperando che essa torni che si
risolvono i problemi e si affrontano gli avversari, ma ricostruendo un vero
conflitto con piattaforme dai contenuti in grado di incidere realmente sugli
interessi in campo. Quindi la lotta deve essere per il diritto al lavoro e
ai diritti del lavoro, per il reddito, contro le banche e le grandi
ricchezze, per un cambiamento profondo del modello economico e sociale. La
lotta deve essere su obiettivi incompatibili con le scelte dell'attuale
governo, obiettivi che a questo punto appaiono sempre di più gli unici
realistici, visto che gli altri, quelli pragmatici e riformisti, sono
umiliati e sbeffeggiati. Questo è l'errore della maggioranza della Cgil.
Aver perseguito una politica di compromesso e accordo con il governo, con le
forze politiche, con Cisl e Uil, non aver ottenuto alcun risultato, eppure
continuare a perseguirla come se nulla fosse avvenuto. Alla fine sull'articolo
18 si sta profilando lo stesso disastro delle pensioni.
Per questo il nostro no è tanto netto quanto siamo convinti che le lotte
siano necessarie e che dovranno servire per affermare una posizione diversa.
Cioè un'alternativa profonda alle politiche economiche e alle scelte
antisociali di questo governo. Per questo la manifestazione del 31 marzo a
Milano, prima vera manifestazione nazionale dichiaratamente contro Monti,
può incidere profondamente nel percorso di tutte le lotte e dei loro
obiettivi.
22 marzo 2012
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