ora più che mai a taranto serve una battaglia di classe in fabbrica e incittà
] PERCHE' NO AL DECRETO MONTI/NAPOLITANO SALVA-ILVA – documento.
**Il decreto del Governo Monti salva-Ilva è un aperto schieramento a difesa
di padron Riva. A dimostrazione, se ce n’era ancora bisogno, che questo
come i governi precedenti è dalla parte dei padroni, con in più, per la sua
“natura tecnica”, l’efficienza dittatoriale della sua azione, dei suoi
poteri che puntano a scavalcare anche altri poteri di questo sistema
borghese, le sue leggi, norme costituzionali.
Il decreto è una autorizzazione all’Ilva a produrre come ha fatto finora,
lasciando la gestione della produzione nelle mani dei Riva, vale a dire di
chi è incriminato; è un decreto, quindi, fatto per l'unico scopo di
difendere il profitto - e non la messa a norma della fabbrica, visto che
per questa vi era già l’Aia che stabilisce prescrizione, tempi e di
conseguenza interventi sanzionatori; anzi è CONTRO una messa a norma che
metta in discussione la libertà di produrre.
Ciò che il decreto stabilisce è di fatto un *lavoro forzato *sotto padron
Riva e sotto controllo dello Stato, in una fabbrica resa franca da norme e
diritti, *e non un lavoro sicuro *mettendo a norma l'Ilva, come richiesto
negli ultimi tempi da operai e comitati cittadini.
*IL DECRETO *nella maggior parte dei punti in premessa sembra che debba
avere per oggetto “il risanamento ambientale e la riqualificazione del
territorio di Taranto”, la “più rigorosa protezione della salute e
dell’ambiente”, “la piena attuazione delle prescrizioni dell’Aia, volte
alla immediata rimozione delle condizioni di criticità esistenti che
possono incidere sulla salute, conseguendo il sostanziale abbattimento
delle emissioni inquinanti”.
Ma, dopo, dopo aver fatto anche una presentazione dell’Aia falsata (visto
che essa è sia nel merito e soprattutto nei tempi totalmente insufficiente
rispetto alle necessità di messa a norma), arriva alla vera ragione del
decreto “la continuità del funzionamento produttivo dell’Ilva” che
“costituisce una priorità di interesse nazionale”.
L’AIA viene resa legge. E’ la prima volta che questo avviene. Il suo essere
legge impedisce non solo l’intervento della magistratura ma anche modifiche
migliorative frutto della lotta e dell’iniziativa dei lavoratori. Tant’è
che *l’art. 1* punta proprio a blindare l’Aia, affermando che “le misure
volte ad assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva… in quanto in
grado di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute
secondo le migliori tecnologie disponibili, sono *esclusivamente e ad ogni
effetto *quelle contenute nell’Aia”.
Affermato questo, il decreto mette in secondo piano la stessa Aia, e
scrivere che la prosecuzione dell’attività può essere fatta subito, “salvo
che sia riscontrata l’inosservanza delle prescrizioni dell’Aia”, è un
bluff, dato che il 2° comma stabilisce che *già prima* che si avviino gli
interventi previsti, dalla entrata in vigore del decreto l’Ilva “è immessa
nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei
limiti consentiti dal provvedimento di cui al c. 1, alla prosecuzione
dell’attività produttiva e della conseguente commercializzazione dei
prodotti per tutto il periodo di validità dell’Aia”, vale a dire 3 anni.
E questo - scrive il decreto - deve essere consentito “in ogni caso” al di
là dei “provvedimenti di sequestro e gli altri provvedimenti cautelari
dell’autorità giudiziaria”; così il sequestro può formalmente restare ma
perde ogni efficacia preventiva e deterrente.
D’altra parte come si concilia il via libera all’attività produttiva sempre
e comunque, e nella piena gestione dei vertici aziendali con una seria
messa a norma che necessariamente prevede il fermo temporaneo degli
impianti da mettere in sicurezza e una riduzione della quantità di
produzione di acciaio?
Che tutto questo sia posto spudoratamente a riaffermazione che l’unico
diritto che va tutelato è quello della proprietà dei padroni,
*all’art. 2*il decreto afferma pertanto che, non solo l’Ilva può
produrre liberamente
ma “rimane in capo ai titolari dell’Aia (cioè ai Riva incriminati) la
gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti dello
stabilimento”.
Lo Stato riaffida gli impianti industriali posti sotto sequestro perché
hanno causato e causano tra i lavoratori e la popolazione malattie e morte,
ad una società i cui vertici sono o agli arresti domiciliari o latitanti.
Il decreto diventa così una sorta di condono ai Riva.
Né è in contrasto con questo la nomina di un Garante fatta *all’art. 3*,
“incaricato di vigilare sulla attuazione delle disposizioni del presente
decreto”, per tre anni. Una persona che dovrebbe avere competenze
giuridiche, siderurgiche, chimiche, epidemiologiche (ma questo è un mostro
di scienza non una persona!), che comunque deve solo segnalare al
presidente del consiglio e ai ministri competenti “eventuali criticità” e
al massimo fare proposte, ma non ha alcun potere interdittivo o di
prescrizione. Una persona che verrà ben pagata, 200mila euro lordi l’anno.
E non si spiega perché una persona, quando esistono gli Enti di controllo e
di intervento preposti: Asl, Ispettorato del Lavoro…
Infine il decreto, né l’Aia, nulla dice sui livelli di produzione record
dello stabilimento Ilva di Taranto. Il grado di ipersfruttamento degli
impianti, la maggiorparte già vecchi nel ’95, presi da Riva senza
rinnovarli fino ad esaurimento, il “tirare al massimo” che hanno portato al
record di 10milioni medi di t/a di produzione, con conseguente
supersfruttamento degli operai che hanno dovuto lavorare con ritmi intensi,
in condizioni di insicurezza e di rischio per la salute e la vita, ha un
nesso dimostrato con i livelli di inquinamento – vedi area Parchi in cui
più si fa movimentazione, più si sollevano polveri di minerali nell’aria, o
l’area Acciaieria, dove il fenomeno dello slopping (come è scritto nella
sentenza del Riesame) che “si verifica con frequenza e ordinariamente, vuol
dire che è sicuramente collegato alla intensità delle operazioni
lavorative”. Pertanto la riduzione della produzione è un intervento che
dovrebbe far parte del piano di bonifica e messa in sicurezza, ma di questo
non si parla.
Anzi, no, uno ne parla. Si tratta di Bersani, e per dirlo afferma il falso:
“si tratta – ha dichiarato - di un decreto che a prezzo di una riduzione
dell’attività produttiva (?) consente l’intervento ambientale, il presidio
e il monitoraggio della salute”.
Secondo Clini, Passera e Monti, dovrebbe dare garanzia, la minaccia
contenuta nel decreto, art. 3, di un’eventuale adozione di provvedimenti di
amministrazione straordinaria, anche in considerazione degli art. 41 e 43
della Costituzione”. Ma Passera poi spiega che “le norme di
amministrazione controllata potrebbero togliere enorme valore alla
proprietà, il suo bene si depaupera e si arriva fino al punto di perderne
il controllo”. Certo Riva potrebbe perdere la proprietà dell’Ilva ma lo
stabilimento che lascerebbe sarebbe “depauperato” e quindi con un valore
quasi nullo. Chi se lo prenderebbe a questo punto? Bene che vada sarebbe
svenduta, insieme ai lavoratori.
*Per tutto questo il decreto salva-Ilva è da respingere! Fermo restando che
non finisce qui.* Perchè il ricatto di padron Riva continua, finora ha ben
funzionato con il governo, e non si accontenta neanche di questo decreto.
Ma occorre aggiungere un’altra conseguenza negativa, forse quella più
importante dal punto di vista della classe operaia e della sua lotta. Lo
abbiamo detto all’inizio di questo articolo: il decreto stabilisce di fatto
un *lavoro forzato *sotto padron Riva e sotto controllo dello Stato, in una
fabbrica resa franca da norme e diritti. Ci mancherà poco – diceva un
operaio dell’Ilva – che entri l’esercito in fabbrica per garantire la
libertà di produzione. In nome di questa “libertà” verranno impediti sia
interventi della magistratura, ma anche lotte, scioperi, proteste degli
operai; in fabbrica decide Riva e lo Stato. Gli operai sono fantasmi se
lavorano e non pretendono; sono un “problema di ordine pubblico” (come
scrive in premessa il decreto), se protestano e rivendicano diritti in
contrasto con la legge a difesa della libertà di produzione. Questa
situazione inevitabilmente non farà che peggiorare il clima di insicurezza
tra gli operai, che in uno stabilimento come l’Ilva, si traduce
immediatamente in insicurezza della propria salute e vita. Sarà un caso (ma
non lo è), in meno di un mese due operai giovani sono morti! E gli operai
dicono che oggi, molto più di prima, vanno a lavorare con la paura.
*I Sindacati confederali si sono subito schierati a sostegno del decreto. *
Il segretario della Fim ha dichiara: “il decreto è una giusta soluzione che
affronta l’intera questione… L’azienda è nelle condizioni di affrontare
queste spese e diluirle nell’arco di due-tre anni. E’ un grande gruppo che
ha le giuste garanzie…”.
Il segretario della Uilm: “io lo considero un passo avanti… credo che
occorra dare tempo a questa o a un’altra azienda per ottemperare alle
prescrizioni…”.
Il segretario della Fiom, che sembra fare dello spirito ad un funerale:
“L’Ilva non avrà più scusanti, i lavori per il risanamento ambientale
potranno essere finalmente realizzati e nel più breve tempo possibile. Il
tempo delle chiacchiere è finito…. Il governo è stato messa a dura prova,
perché chiamato a risolvere una situazione certamente delicata”.
E il cerchio padroni, governo, Stato, sindacati confederali si chiude…
Nei fatti il decreto riconsegna la fabbrica in mano ai sindacati
confederali, il cui impegno principale sarà inevitabilmente quello di
vigilare sulla sua “piena attuazione”, contrastando tutto ciò che lo
ostacola, in primis l'opposizione degli operai e dei sindacati e organismi
di base.
*Il No operaio alla chiusura dell’Ilva e il ricatto produttivo di Riva e
del Governo Monti sono due cose opposte, e servono interessi opposti.*
Quando gli operai dicono che l’Ilva non deve chiudere, che gli impianti non
si devono fermare senza prima un piano che garantisca il lavoro e il
salario a tutti gli operai, di fatto impediscono che l’Ilva diventi una
mega Bagnoli senza riconversione lavorativa, senza risanamento
dell’ambiente, e in mano alla speculazione privata e della criminalità; gli
operai dicono NO alla cancellazione di una classe operaia di ben 20mila
lavoratori, unica forza che può imporre con la lotta una reale messa a
norma dell’Ilva. Sono gli operai dell’Ilva che negli anni passati hanno
lottato, quasi sempre da soli, per la difesa della salute, della sicurezza,
dell’ambiente, che oggi, quando lottano, sono la “garanzia” per gli
abitanti di Taranto.
Riva e governo dicono invece che: l'azienda deve continuare a fare
profitti, altri profitti, se volete gli interventi previsti dall’Aia, se
volete che l’azienda metta soldi.
Riva con la serrata di fine novembre è riuscito nel suo intento: dare un
forte segnale/richiamo al governo per imporre il suo diktat a difesa della
libertà di produrre; ottenere la fine di fatto del sequestro degli impianti
(che comunque finora non gli aveva impedito di produrre), e la
vanificazione dell’azione della magistratura; lanciare ora con il decreto
salva-Ilva un messaggio rassicurante verso le imprese committenti; non
mettere soldi già incassati negli anni passati per la messa a norma.
Il decreto, a premessa, parla di presa d’atto della disponibilità dell’Ilva
e del piano operativo presentato in attuazione dell’Aia, ma nulla dice sul
fatto che questo piano dell’Ilva anche in termini di soldi è assolutamente
inadeguato. Dare copertura di legge ad una politica padronale che lega i
soldi della messa a norma alla nuova produzione e a nuovi utili, vuol dire
stare sempre sotto ricatto, senza alcuna certezza di interventi e tempi di
bonifica; ogni problema di mercato, ogni momentanea riduzione dei profitti,
potrà essere usata da Riva per procrastinare gli interventi di messa a
norma.
Il decreto, inoltre, sorvola bellamente sul fatto che vi è un'inchiesta
parallela sulla corruzione che ha accompagnato l'attività di inquinamento
dell'Ilva. Chi ha già violato, chi ha fatto azioni criminose, e ne ha
goduto in termini anche economici in questi anni, deve pagare! Ma con Riva,
il governo invece di perseguirlo lo premia; è come se ad un ladro che deve
restituire ciò che ha rubato, gli si consenta di continuare a rubare per
fare i soldi necessari alla restituzione del malloppo.
*Gli operai il 27 novembre quando hanno occupato lo stabilimento* e invaso
la direzione aziendale, con i dirigenti di Fim, Fiom e Uilm che stavano
dentro e non con gli operai, gli operai del Mof con il lungo sciopero e
presidio, isolati e contrastati dai sindacati confederali, gli operai degli
altri reparti che hanno scioperato al fianco dei loro compagni rischiando
il posto di lavoro, hanno nei fatti posto una parola decisiva a questa
situazione, sia pur ancora tutta da consolidare:
- la lotta per difendere il lavoro, salute, sicurezza, la fanno gli operai
autorganizzati e mobilitati fuori e contro i sindacati confederali -
autorganizzazione che oggi all'Ilva attraversa vari percorsi (slai cobas,
operai del Comitato liberi e pensanti, Usb), ma che, come si batte lo slai
cobas per il sindacato di classe, deve unirsi e costruire il sindacato di
classe;
- la lotta per salute e lavoro a Taranto si può fare solo con gli operai
contro Riva e lo Stato dei padroni;
- questa lotta all’Ilva non può essere “normale” ma può e deve anche ora
assumere i caratteri di rivolta, della ribellione continua al lavoro
forzato e insicuro.
Hanno anche posto in embrione, gridando: “I padroni della fabbrica siamo
noi”, la questione storica e strategica che “il potere deve essere
operaio”. Ma questo nei fatti dice che non ci può essere una vera
compatibilità tra lavoro salariato e salute/ambiente fermo restando il
sistema capitalista e che serve un potere operaio, per il quale, però, non
bastano slogan e speranze illusorie, ma occorre opporre alla guerra dei
padroni e del loro Stato la guerra di classe, la rivoluzione proletaria per
rovesciare il potere dei padroni.
*SLAI COBAS per il sindacato di class*
SEDE LEGALE E NAZIONALE TARANTO VIA LIVIO ANDRONICO, 47 tel 099/4792086 347/5301704 slaicobasta@gmail.com
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