GIUSTIZIA Lupo, presidente della Cassazione
«A Genova fu tortura si introduca il reato»
ARTICOLO - Eleonora Martini ROMA
ROMA
La realtà piomba inaspettata nel cerimoniale ingessato dell'inaugurazione
dell'anno giudiziario, una platea che per usare le parole del segretario dei
Radicali italiani Mario Staderini è formata per «il 90% da uomini e forse
altrettanto da anziani». È l'ultima occasione offerta alla Guardasigilli
Paola Severino per esibire l'apprezzamento dell'«assetto internazionale»
riguardo «le cose che abbiamo fatto». Ma fortunatamente c'è il Primo
presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, che senza girarci attorno ricorda
cosa invece non è mai stato fatto, a cominciare dall'introduzione del reato
di tortura per fatti sanguinosi come quelli del G8 di Genova: «Ce lo chiede
non solo la Corte europea dei diritti umani, ma anche la giurisprudenza
della Corte di Strasburgo, l'Onu, e i principi ricavabili dalla nostra
Costituzione».
Nonostante la ratifica della convenzioni internazionale, il reato ancora non
c'è, ricorda Lupo, «mentre le fattispecie penali applicabili sono lontane
dal corrispondere alle condotte di particolare gravità riconducibili alla
nozione di tortura e non assicurano nel concreto, considerati anche i
termini di prescrizione, effettività della risposta sanzionatoria». Come è
accaduta per Genova dove «pur riconoscendosi l'assoluta gravità» delle
violenze della polizia, «si è ritenuto che alla intervenuta prescrizione dei
reati non potesse porre rimedio neppure la proposizione di una questione di
costituzionalità» ritenuta inapplicabile in modo retroattivo. Ecco, si può
partire da qui per parlare concretamente della «peste giudiziaria» che sta
infettando pure le corti europee. Una strada obbligata, se si vuole
«contribuire alla costruzione di un sistema di giustizia europeo» che,
ricorda Lupo, è ormai un compito ineludibile per chi «ha responsabilità
pubbliche e non può rimanere inerte».
Ovviamente quasi tutti i presenti hanno espresso «profonda amarezza e
sconforto per la perdurante drammaticità della situazione carceraria».
«Drammatico» l'esubero di 18.661 detenuti rispetto ai posti letto, come
ricorda Lupo, che per il terzo anno consecutivo dedica la relazione
introduttiva al problema «strutturale» che è valso all'Italia la condanna
della Corte europea dei diritti umani. «Inaccettabile che - aggiunge
Severino - all'inizio di questo mese 24.124 detenuti su 65.789, pari a circa
il 36% della popolazione carceraria, siano ancora in attesa di giudizio e,
tra essi, ben 12.594 attendano il giudizio di primo grado». Inaccettabile ma
inevitabile, se il codice penale contiene 35 mila fattispecie di reato e a
ogni tornata elettorale se ne aggiungono altre. Se ci sono oltre 5 milioni
di processi civili pendenti (calati del 4,5% dopo l'introduzione della
mediazione obbligatoria), e altrettanti nel penale. Se occorrono mediamente
900 giorni per un processo di appello e vanno in prescrizione 128 mila
procedimenti all'anno. Se nel 2012 sono 81 mila i ricorsi penali pervenuti
davanti alla Corte di Cassazione, che peraltro ha la carenza di magistrati
(il 24% in meno di consiglieri) più alta tra tutti gli uffici giudiziari
italiani.
Ma se l'analisi è corretta, «le proposte sono insufficienti», critica
l'Unione delle camere penali: «La verità è che occorre più coraggio e
assunzione di responsabilità, anche perché in prigione gli imputati non ci
finiscono certo per opera dello spirito santo. È un non senso denunciare
l'indegnità delle carceri senza immaginare, assieme alle future riforme,
iniziative immediate ed efficaci, come amnistia e indulto».
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