Svolta in Cina, ok all'elezione dei sindacati
Foxconn promette: "Rappresentanti veri"
Il gruppo è il primo prudottore mondiale di elettronica per conto terzi, tra
cui marchi come Apple e Sony. Diventò tristemente celebre per l'ondata di
suicidi tra gli operai. Ora l'apertura a rappresentaze dei lavoratori con
corsi di formazione da metà febbraio
dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI
Lo leggo dopo
Svolta in Cina, ok all'elezione dei sindacati Foxconn promette:
"Rappresentanti veri"
APPROFONDIMENTI
Speciale
I sindacati arrivano alla Foxconn
Tutti i numeri del colosso taiwanese
PECHINO - Per la prima volta una grande azienda con sede in Cina consentirà
agli operai di eleggere i propri rappresentanti sindacali. Per il mondo del
lavoro cinese è una svolta storica. Lo è però anche per il resto del
pianeta, perché il gruppo asiatico che si appresta a dire sì al sindacato è
la Foxconn, la "fabbrica più grande del mondo", con oltre 1,2 milioni di
dipendenti solo in Cina. La "caduta del muro" anti-sindacale
nella seconda
economia globale, in allarme per la diminuzione senza precedenti della
forza-lavoro, oltre che per piccole e medie imprese nazionali, annuncia
enormi cambiamenti anche per le multinazionali, che assieme ai bassi costi
produttivi per trent'anni hanno contato sull'assenza di conflittualità
sindacale. L'annuncio di prossime elezioni dei rappresentanti dei lavoratori
alla Foxconn è stato anticipato informalmente da tre manager del colosso
taiwanese, primo produttore mondiale di elettronica per conto terzi, tra cui
marchi come Apple, Sony, Nokia, Dell e i brand di maggior successo di
telefonia e computer.
Al termine delle ferie previste per il capodanno lunare cinese, verso metà
febbraio, all'interno degli stabilimenti Foxconn cominceranno i corsi per
spiegare agli operai come e perché potranno eleggere liberamente, e a
scrutinio segreto, i propri sindacalisti. Secondo le fonti aziendali, "la
carica del presidente e dei venti membri del comitato della federazione dei
sindacati del lavoro Foxconn, saranno decise
attraverso elezioni ogni cinque anni". Tra la fine del 2013 e il 2014
scadranno circa 18mila comitati aziendali del gruppo e i loro colleghi,
sotto il controllo esterno dell'americana "Fair Labor Association", saranno
chiamati a rinnovarli. Secondo l'azienda del magnate Terry Gou, basato ad
Hong Kong, i nuovi delegati "saranno giovani e non proverranno dal
management". In Cina, fino ad oggi, i rappresentanti dei lavoratori sono
scelti tra gli stessi proprietari aziendali, tra i manager, oppure tra i
funzionari locali del partito comunista. Di fatto, azionisti privati e Stato
esercitano sia il ruolo di datori di lavoro, che quello di difensori dei
diritti dei dipendenti. Il risultato dell'assenza sostanziale di un
sindacato libero, è stato e resta drammatico. Ad essere tutelati, risultano
solo gli interessi della proprietà.
La Foxconn, prima di essere riconosciuta come la fucina pressoché unica di
telefoni cellulari, pc portatili e tablet, è diventata universalmente famosa
tra il 2009 e il 2010. Gli stabilimenti di Shenzhen furono sconvolti da
un'ondata di suicidi, con una ventina di giovani operai che a causa di turni
di lavoro massacranti e trattamenti umilianti, scelsero di uccidersi
gettandosi dai tetti dei capannoni. Altre inchieste hanno portato alla
scoperta di un diffuso sfruttamento del lavoro minorile, di stipendi da fame
e di un generale clima da caserma, con migliaia di operai impossibilitati
per mesi ad uscire dai reparti. Lo scorso autunno, l'ultima rivolta in
fabbrica, con l'azienda costretta a chiudere per giorni.
L'indignazione dell'opinione pubblica mondiale, unita a richieste di
boicottaggio dei prodotti di Foxconn, tra cui iPhone e iPad, ha costretto i
committenti stranieri a rivedere importanti contratti, e cominciare a
spostare fuori dalla Cina alcune produzioni e a minacciare l'interruzione
dei rapporti di business con il colosso di Terry Gou. Di qui, secondo gli
analisti, la mossa disperata Foxconn di aprire al sindacato e di darsi
un'immagine di normalità economica imternazionale. Il problema è che la
maggioranza degli operai cinesi, da sempre dominati da datori di lavoro e
partito, non ha la più pallida idea delle potenzialità sindacali e teme al
contrario di essere penalizzata da un'eventuale disponibilità alla
rappresentanza.
Secondo Foxcoon, già oggi oltre il 70% dei 188 sindacalisti interni di
Shenzhen sarebbe costituito da lavoratori della catena di montaggio. Fonti
indipendenti rivelano invece che gli attuali rappresentanti non sono stati
scelti in modo democratico, né trasparente, e che oltre la metà è
espressione del management. Il presidente del sindacato Foxconn, per fare un
esempio, è la signora Chen Peng, ex braccio destro dello stesso Terry Gou.
Resta ora da vedere, iniziato l'anno del Serpente d'Acqua, se e come
realmente avverranno le prime vere elezioni sindacali della storia cinese. E
quali saranno le conseguenze: economiche, per quanto riguarda il costo del
lavoro, ma soprattutto politiche, con la nuova leadership comunista già in
allarme per un pericoloso precedente elettorale di democrazia applicata.
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