Ilva:"I Riva consapevoli dei danni ambientali", e anche dei danni agli operai, con la catena di infortuni e morti nei suoi reparti dove vige la divisione e l'organizzazione del lavoro capitalistico per estrarre il massimo profitto dal sangue degli operai, che devono organizzarsi per vincere uniti con la popolazione contro padroni e stato.
Taranto - Il gruppo Riva, era consapevole del disastro ambientale che l'attività produttiva dello stabilimento Ilva di taranto stava provocando sulla città e sui suoi abitanti. A dichiararlo è la prima sezione penale della Cassazione. Le motivazioni sono contenute nella sentenza con la quale, il 16 gennaio scorso, furono confermati gli arresti domiciliari per il patron Emilio Riva, il figlio Nicola, presidente del cda, e per l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso.
Inoltre, il Tribunale della libertà di Taranto ha dichiarato che "il disastro ambientale subito dal capoluogo ionico "era certamente riconducibile anche alla gestione successiva al 1995, quando è subentrato il gruppo Riva nella proprietà e nella gestione dello stabilimento siderurgico e che gli accertamenti effettuati hanno chiarito che l'inquinamento è attuale".
Per i giudici della Cassazione, i vertici dell'azienda avrebbero agito con spregiudicatezza e pervicacia hanno dato prova di perseverare nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della gravissima offensività per la comunità e per i lavoratori delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali.
"Le concrete modalità di gestione dello stabilimento siderurgico dell'Ilva hanno determinato la contaminazione di terreni ed acque e di animali destinati all'alimentazione umana in un'area vastissima che comprende l'abitato di Taranto e i paesi vicini, nonché un'ampia zona rurale tra i territori di Taranto e Statte". I reati contestati sono disastro doloso, omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, all'avvelenamento di acque e di sostanze alimentari.
Inoltre, il Tribunale della libertà di Taranto ha dichiarato che "il disastro ambientale subito dal capoluogo ionico "era certamente riconducibile anche alla gestione successiva al 1995, quando è subentrato il gruppo Riva nella proprietà e nella gestione dello stabilimento siderurgico e che gli accertamenti effettuati hanno chiarito che l'inquinamento è attuale".
Per i giudici della Cassazione, i vertici dell'azienda avrebbero agito con spregiudicatezza e pervicacia hanno dato prova di perseverare nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della gravissima offensività per la comunità e per i lavoratori delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali.
"Le concrete modalità di gestione dello stabilimento siderurgico dell'Ilva hanno determinato la contaminazione di terreni ed acque e di animali destinati all'alimentazione umana in un'area vastissima che comprende l'abitato di Taranto e i paesi vicini, nonché un'ampia zona rurale tra i territori di Taranto e Statte". I reati contestati sono disastro doloso, omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, all'avvelenamento di acque e di sostanze alimentari.
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