Si è aperto a Montesilvano il primo congresso nazionale dell'Usb, il
sindacato che ha riunito fin qui una parte rilevante del sindacalismo di
base. La relazione di apertura è stata affidata a Fabrizio Tomaselli. Usb
aderisce alla Federazione sindacale mondiale. In sala è presente e sta
portando il suo saluto il presidente, il greco George Mavrikos, del Pame,
protagonista della lunga serie di scioeri generali per contrastare la
strategia di tagli imposti dalla Troika, e applicati prima dal "socialista"
Papandreou e poi dal conservatore Samaras.
Prima di tutto, però, è stato rivolto un saluto alla memoria di Clemènt
Meric, il giovanissimo compagno ucciso due giorni fa a Parigi da assassini
neofascisti. E un messaggio di solidarietà piena e militante è stato
indirizzato alla rivolta della popolazione turca contro il governo
liberista-islamista di Tayyp Erdogan, tuttora in corso.
Foto: Il Congresso Nazionale Confederale USB apre i lavori ricordando la
vile aggressione fascista che ha portato la morte, a Parigi, del giovane
Clement Meric di 19 anni, antifascista e attivista di Solidaires!!!
L'intervento di Francesco Rizzo, delegato Usb dell'Ilva di Taranto
*****
La relazione introduttiva letta da Fabrizio Tommaselli
Iniziamo questo primo congresso di USB dopo tre anni dal congresso di
fondazione del 2010 e la presenza di oltre 400 delegate e delegati
provenienti da tutte le regioni italiane e da tutti i settori produttivi del
paese, dimostra che l'obiettivo della costruzione di un sindacato di massa,
indipendente e di classe è giusto e percorribile.
Non era scontato che ci ritrovassimo qui dopo tre anni con in mano risultati
concreti, con obiettivi condivisi, con una serie di grandi problemi aperti
ma con opzioni e proposte di soluzione che stiamo portando avanti,
soprattutto registrando ampie aspettative di tantissimi lavoratori nei
nostri confronti.
Salutiamo con piacere le delegate ed i delegati, gli ospiti internazionali
provenienti da molte organizzazioni sindacali europee. Il segretario della
Federazione Sindacale Mondiale George Mavrikos, il PAME (Grecia), il PEO
(Cipro), LAB (Paesi Baschi), SOLIDAIRES (Francia), CGTP-IN e FNSTFPS
(Portogallo); come anche salutiamo e ringraziamo i rappresentanti dello
Snater, della Rete 28 Aprile, del Centro Studi Cestes, del Forum
Diritti/Lavoro e tanti altri ospiti ed invitati.
Quando abbiamo terminato di scrivere il documento congressuale che è stato
discusso ed approvato in migliaia di congressi aziendali, di categoria e
territoriali, mentre eravamo certi di non sbagliare quando affermavamo di
essere e di rimanere dentro una crisi di sistema le cui conseguenze per le
popolazioni interessate non potevano che appesantirsi, giustamente avevamo
previsto una certa indeterminatezza negli sviluppi della situazione politica
nazionale, pensando, come molti, che l'esito delle elezioni avrebbe potuto
consegnare varie opzioni. Così è stato.
Quasi 5.000 congressi in aziende private e negli enti pubblici, nelle
province, nelle regioni e al livello nazionale, del privato, del pubblico
impiego, di ASIA, dei pensionati e del confederale, hanno dimostrato la
vitalità e il radicamento di un'organizzazione che cresce e si sviluppa, che
diventa ogni giorno che passa sempre più punto di riferimento nelle
categorie e nei territori.
La crisi strutturale e sistemica nella quale ci troviamo ha ormai sviluppato
le sue radici non soltanto nei paesi europei cosiddetti PIIGS, ma sta
espandendosi anche in Francia, dove è iniziata quella recessione che in
Italia dura ormai da anni e sicuramente interesserà altri paesi europei,
producendo conseguenze negative sull'intero continente, e non solo. Una
crisi i cui effetti non si dispiegano però in modo uniforme in Europa e che
anche nei singoli paesi non è uguale per tutti.
Una crisi sistemica dalla quale il capitalismo e la finanza internazionale
cercano di uscire con politiche e strumenti drammaticamente sempre più
dannosi per la stragrande maggioranza dell'umanità.
Non temiamo di apparire ideologici o massimalisti se ribadiamo con
determinazione che la crisi è determinata da un sistema capitalistico che
non riesce più a governarsi ed a governare processi che hanno prodotto
miseria disastri ambientali e guerre nell'intero pianeta con un sempre più
accentuato spostamento di risorse economiche e di ricchezze dalle tasche di
molti a quelle di pochi.
Non quindi una crisi contingente o ciclica, ma una crisi strutturale che
mette in discussione il sistema capitalistico nel suo complesso e che per
quel che ci riguarda indica il suo superamento quale passaggio fondamentale
per affrancarsi dalla stessa.
Ma una uscita da questo capitalismo oggettivamente non si traduce
automaticamente in uscita dal capitalismo in grado di generare effetti
positivi con l'apertura di nuovi spazi democratici e di un diverso modo di
produrre: al contrario può anche tramutarsi in un sistema ancor più rigido e
antidemocratico. In altre parole da questa crisi si può uscire "a sinistra",
se così possiamo dire, attraverso un cambiamento radicale di sistema o "a
destra" con una nuova forma di capitalismo ancor più autoritario.
Ciò che in questo ambito ci preme di più sottolineare è che gli strumenti
economici, sociali e politici che via via sono stati adottati per
"correggere" e salvare un sistema a nostro avviso "incorreggibile", stanno
peggiorando le condizioni di vita di milioni di donne e uomini.
Evidenti sono le conseguenze dei tentativi di salvataggio dei templi della
finanza, cioè delle banche, con l'assorbimento di ricchezze enormi,
sottratte ai salari, al welfare, ai beni comuni.
Ancor più evidente è l'ossessione della spending review imposta come un
mantra su organi di stampa e televisioni e che sta rapidamente negando il
valore sociale del welfare. La politica di austerità teorizzata da Monti e
dalla BCE ed esportata in tutto il continente, insieme all'aumento dell'età
pensionabile e della produttività, rappresenta la peggiore delle
contraddizioni sociali.
La crisi, aggravata da politiche recessive e di austerità, ha generato una
situazione sociale distruttiva, inimmaginabile soltanto alcuni anni fa, in
Grecia, in Portogallo, in Irlanda e a Cipro e sta mettendo in ginocchio la
Spagna e l'Italia. Ha prodotto una instabilità mondiale aggravata dai
diversi equilibri economici, politici e militari, anche a seguito
dell'enorme sviluppo di Paesi come la Cina, l'India e il Brasile e sta
determinando un pericolosissimo clima di tensione internazionale che sempre
più spesso porta a guerre, molte volte mascherate da operazioni di "polizia
internazionale" o addirittura di "intervento umanitario".
Proprio l'Unione Europea a cui è stato sorprendentemente attribuito il Nobel
per la Pace, ha recentemente deciso l'invio di armi ai ribelli in Siria,
nonostante sia ormai chiaro a tutti che non di rivolta siriana si tratta,
che in un paese da sempre laico si sta giocando una partita anche per l'egemonia
religiosa, che sono entrate in campo milizie vicine ad Al Queida, che la
posta in gioco sono diventati i percorsi degli oleodotti e dei gasdotti.
Anche la Turchia che da tempo cerca di ottenere il via libera all'ingresso
nell'Unione Europea è oggi attraversata da un imponente movimento di lotta
che sta mettendo in crisi il regime di Erdogan che risponde con una feroce
repressione alle richieste di democrazia giustizia e laicità.
Ma la situazione internazionale ci racconta anche della ferocia del capitale
che uccide in ogni angolo della terra in nome del profitto. Dalle donne
costrette dai committenti delle grandi firme italiane a produrre in palazzi
pericolanti che crollano seppellendo oltre duemila operaie in Bangladesh, ai
disastri minerari in Cina, alle rivolte per migliori condizioni di vita e di
lavoro in Sud Africa dove sul piano economico ancora comandano le
multinazionali.
Un segnale importante di ripresa della capacità della classe di rovesciare
il tavolo arriva però dall'America latina non solo attraverso l'ALBA
(Alleanza Bolivariana per le Americhe) sul piano delle relazioni politico
economiche tra gli stati più avanzati ma anche sul piano sindacale con la
costruzione dell'ESNA Spazio Sindacale di Nuestra America, un esperimento di
confronto e di dialogo costante fra organizzazioni sindacali del continente,
siano esse appartenenti o meno alla Federazione Sindacale Mondiale. Un
esperimento da studiare e che si potrebbe proporre anche in Europa alle
organizzazioni conflittuali e di classe dentro e fuori la Federazione
Sindacale Mondiale. Certo è che se vogliamo contribuire alla costruzione di
un più forte sindacato internazionalista anche in Europa dobbiamo decidere
di dedicarvi maggiori forze e maggiori disponibilità.
In Italia Monti ed il suo governo, appoggiato dalla stessa ampia maggioranza
che oggi ritroviamo unita nel sostenere Letta e la sua strana compagine
governativa, ha prodotto una situazione di crisi nella crisi, di ulteriore e
il sostanziale peggioramento delle condizioni economiche e sociali di
milioni di persone che a sua volta ha creato contraddizioni enormi nella
società italiana.
La povertà è aumentata in modo esponenziale e milioni di famiglie non
riescono più neanche a sostenere le spese sanitarie. L'inflazione,
mascherata ma reale, sommandosi alla diminuzione generale dei redditi e in
presenza di un numero sempre maggiore di licenziamenti, di cassa
integrazione e mobilità, di contratti a tempo determinato non rinnovati,
produce una forte contrazione del potere d'acquisto di salari e pensioni e
l'impoverimento assoluto di chi perde il lavoro.
Di certo sono più che sufficienti i numeri, pochi ma significativi numeri, a
rappresentare l'attuale situazione italiana.
In Italia da 7 trimestri, cioè dalla seconda metà del 2011, è in calo il
Pil - cioè il prodotto interno lordo. Nel 1° trimestre del 2013 il calo
rispetto allo stesso periodo del 2012 è del 2,3, record assoluto di sempre.
Con questo dato, rispettando le politica di austerità imposte dalla BCE, è
assolutamente impossibile pensare ad una qualsiasi tenuta dell'economia e
difesa dell'occupazione.
Il numero dei disoccupati è infatti ormai stabilmente a due cifre ed oggi i
3 milioni senza lavoro sono pari all'11,5% della popolazione, mentre la
disoccupazione giovanile ha superato il 40%.
In questo scenario, tenuto conto dell'inflazione, il potere di acquisto
della famiglia media nel solo 2012 è diminuito del 4,8%.
Fra il 2007 e il 2010 il reddito dei 5 milioni di italiani che rappresentano
il 10% più ricco della popolazione si è ridotto complessivamente del 3%,
mentre per i 5 milioni di italiani che costituiscono il 10% dei più poveri,
il calo del reddito è stato di quasi il 20%.
Nel 2007 il 10% di cittadini più ricchi guadagnava 8,7 volte di più del 10%
più povero. Nel 2010 si è passati a 10,2 volte.
Il povero non perde di più solo in termini relativi, ma anche in termini
assoluti. E non abbiamo dubbi che dal 2010 ad oggi la situazione è
pesantemente peggiorata.
Se oggi i ricoveri e le mense della Caritas si riempiono anche di ex
lavoratori, di pensionati e di lavoratori che con il loro salario non
riescono ad arrivare al 15 del mese, se Emergency sta aprendo ambulatori non
soltanto in Africa o in Afganistan, ma anche in Italia, ciò vuol dire che
viviamo un peggioramento diffuso e progressivo delle condizioni economiche e
di vita di milioni di cittadini che fa tornare alla mente il nostro
dopoguerra.
Se il problema dell'abitare assume oggi una rilevanza sempre più ampia, se
la gente si ammazza perché non riesce a pagare l'affitto o il mutuo senza
levare il pane dalla bocca ai propri figli, se le occupazioni di case si
susseguono senza sosta e coinvolgono fasce di popolazione sempre più vaste,
questo significa che non esiste più quel "compromesso" sociale che, se pur
ingiusto e squilibrato, rendeva possibile il mantenimento di quell'illusorio
e diffuso livello di pace sociale che sopiva le contraddizioni e comprimeva
il conflitto.
Le elezioni politiche di febbraio, mentre hanno cambiato radicalmente l'assetto
parlamentare, paradossalmente non hanno prodotto alcun cambiamento rispetto
al quadro governativo: le stesse forze che formavano la maggioranza di Monti
oggi sostengono Letta. Queste elezioni ci hanno però mostrato con molta
chiarezza lo stato di frammentazione sociale che pervade il nostro paese.
Una frammentazione certamente indotta dalle scelte politiche ed economiche
portate aventi dai poteri forti interni e imposte dall'Europa ormai da 20
anni a questa parte che hanno accompagnato la riorganizzazione capitalistica
e i suoi processi di ristrutturazione, scompaginando la vecchia composizione
di classe.
Una classe media impoverita, gli stessi settori popolari, i lavoratori i
giovani le donne i pensionati, quello insomma che una volta era il blocco
storico della sinistra, che ne rappresentava il riferimento politico ed
ideale, oggi non riescono a riconoscersi univocamente in alcuna espressione
politica organizzata. Là dove gli effetti della crisi si sono acutizzati la
sinistra tradizionale o radicale che dir si voglia ha mostrato tutti i suoi
limiti nel rapportarsi con la nuova situazione,più attenta alla propria
sopravvivenza e alle esigenze dell'apparato che a rappresentare una vera
alternativa sociale. Una sinistra che avendo appaltato le politiche del
lavoro alla Cgil, si è disintegrata in una corsa al "governismo" che ha
progressivamente prosciugato quelle potenzialità di cambiamento che
avrebbero dovuto essere alla base delle sue politiche.
Assistiamo così al crescere esponenziale dell'aerea dell'astensione o del
rifugio in movimenti come il 5 Stelle che presentandosi come antisistema e
alternativo alla casta ha raccolto milioni di consensi ma che oltre ad
esprimere forti ambiguità e contraddizioni dal punto di vista sociale e
sindacale, rischia di essere ininfluente.
In generale è fallito anche il progetto politico della Camusso, di Bonanni e
di Angeletti di costruire un'alleanza "amica" intorno al polo MONTI/PD e
quello della FIOM di andare alla costruzione del partito del lavoro.
Nuove esperienze e movimenti, si stanno affacciando nello scenario della
sinistra con l'obiettivo di rappresentare prioritariamente il mondo del
lavoro e del non lavoro che costituisce il fulcro di quel blocco sociale più
sfruttato e meno rappresentato.
Rispetto a questi nuovi e ai vecchi movimenti e partiti USB deve mantenere
la propria indipendenza pratica e di giudizio, senza però evitare il
confronto che, al contrario, deve svilupparsi in modo ampio ed articolato.
La crisi dicevamo ha accentuato il dato dell'ingovernabilità, solo
apparentemente ricomposta con il governo PD/PDL imposto come Monti dagli
stessi sponsor internazionali politici ed economici, uguale ancora il
garante istituzionale, cioè Napolitano.
Ma soprattutto uguale è il programma politico ed economico che rappresenta
il programma delle banche e della finanza internazionale, della BCE, della
Comunità europea e del Fondo Monetario Internazionale.
Mentre diventa sempre più evidente che i poteri reali non si trovano più
nella dimensione nazionale ma travalicano l'Europa diventa tragica illusione
credere di poter salvaguardare gli interessi e i bisogni della stragrande
maggioranza della nostra società senza mettere in discussione il ruolo
brutale dei tecnocrati e delle istituzioni di Bruxelles, le loro scelte
economiche e politiche che disegnano un processo di costituzione di un
nucleo forte dell'Unione Europea a scapito dei paesi più in difficoltà anche
attraverso l'acquisizione di servizi pubblici a rete, di filiere industriali
e di grandi istituiti bancari.
Un processo che necessita di uno stretto controllo sui paesi più deboli dell'Euro,
di una stretta autoritaria nei modelli politici ed istituzionali e su tutti
gli aspetti della vita sociale, a cominciare dai diritti del lavoro e dalla
democrazia sindacale come quello rappresentato dal vergognoso accordo sulla
rappresentanza siglato da CGIL CISL UIL e Confindustria il 31 maggio scorso
che non a caso diventa la premessa anche delle controriforme costituzionali
con la prefigurazione del presidenzialismo.
Avevano il 33% ora si vogliono garantire il 100% di rappresentanza. Non è il
caso qui di entrare in una disamina approfondita di quest'accordo, ma quello
che possiamo dire è che contro di esso va condotta una campagna e una
mobilitazione eccezionale.
All'autoritarismo in campo politico si accompagna quindi l'involuzione
autoritaria in campo sindacale con cui si tenta di espungere il conflitto e
quelle organizzazioni sindacali come la nostra che lo praticano ma
soprattutto che rappresentano agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici,
dei precari/e, dei senza casa, dei migranti, che si può fare, che non tutto
è predeterminato e fissato, che se ci organizziamo, se smettiamo di
affidarci a sindacati che ormai sono espressamente al servizio del
padronato, se connettiamo le lotte, in una parola se ci riprendiamo la
nostra dignità e solleviamo la testa, ce la possiamo fare.
Per questo però è necessaria una forte organizzazione, con una consolidata
identità basata sul rifiuto di ogni logica di compatibilità, delle logiche
del mercato, di ogni patto tra produttori, degli accordi del 28 Giugno 2012
che, badiamo bene, non hanno cancellato il CCNL, ma ne hanno fatto uno
strumento di regolazione della frammentazione e della flessibilità delle
condizioni salariali e normative, pronto a permettere qualunque esigenza
produttiva.
Non è più tempo di limitarsi alla critica o a praticare il più uno rispetto
a CGIL CISL UIL. Il ruolo di queste organizzazioni, complici del disastro
sociale attuale, va smascherato con forza. Bisogna indicare con chiarezza ai
lavoratori che la riaffermazione dei loro diritti parte dalla loro
disgregazione, compresa la CGIL e la FIOM , il cui segretario generale è
arrivato a giudicare positivo l'accordo sulla rappresentanza. Da tempo
abbiamo dato un giudizio definitivo sull'irriformabilità anche della stessa
CGIL .Da tempo abbiamo indicato la strada della costruzione del sindacato di
classe, indipendente dai padroni e dai partiti come unica possibilità di
raccogliere le forze necessarie a rovesciare il tavolo delle compatibilità.
La presenza a questo congresso di oltre 400 militanti del conflitto
sindacale e sociale, in rappresentanza di migliaia di luoghi di lavoro, di
lavoratrici e lavoratori, disoccupati, precari, migranti, di chi lotta per
il diritto alla casa e al reddito è la dimostrazione che questa strada è
percorribile. Noi riteniamo che l'accordo sulla rappresentanza scriva la
parola fine, anche per chi ancora milita nelle organizzazioni concertative,
sulla illusione che sia possibile continuare la battaglia al loro interno.
Il nostro congresso auspica l'apertura di una serrata discussione tra i
compagni e le compagne che oggi ancora militano nelle organizzazioni
concertative affinché maturi la convinzione della necessità della rottura
politica con quell'idea di sindacato, rottura da praticare nelle forme e nei
tempi possibili ma da praticare. Questa rappresenterebbe un vero e proprio
fatto politico nel Paese e potrebbe dare nuovo slancio al rafforzamento del
sindacato di classe in Italia.E' l'assunzione di una grande responsabilità
politica quella che chiediamo ma assicuriamo a questa ipotesi di lavoro
tutto il nostro sostegno e il nostro impegno.
L'ultimo velo è caduto e oramai è chiaro a tutti che non hanno fatto un buon
servizio ai lavoratori e alle lavoratrici coloro i quali in questi anni
hanno spacciato la FIOM come il baluardo contro la Confindustria, la FIAT e
le scelte antipopolari dei vari governi. Oggi la FIOM difende e apprezza un
accordo che fa a pezzi la democrazia e che tenta di rendere immutabile il
monopolio di Cgil, Cisl e Uil, ma che ci apprestiamo a combattere con tutte
le nostre forze.
La realtà sta facendo giustizia di tante mistificazioni ma ciò non ci può
bastare. C'è uno spazio da occupare e noi siamo pronti come abbiamo detto, a
impegnarci per riempirlo insieme a quanti vorranno con noi seguire la strada
dell' indipendenza e dell'alternativa sindacale; c'è un lavoro anche
culturale da intensificare valorizzando al contempo quanto quest'organizzazione,
pur con tutti i suoi limiti, sa produrre sul piano delle analisi e delle
lotte.
Per noi il tempo della faticosa ma entusiasmante costruzione del conflitto
si è aperto da tempo: faticosa perché in un paese come il nostro dove, a
differenza di tanti altri nella stessa area europea/mediterranea, l'effervescenza
sociale non si è manifestata in termini generali, le nostre strutture hanno
dimostrato una capacità critica e pratica di resistenza in molti nodi dell'attacco
padronale: dal San Raffaele all'ILVA, dagli innumerevoli e sempre riusciti
scioperi del TPL, a quelli del trasporto aereo, agli straordinari successi
nelle elezioni delle RSU alle COOP e in molte altre aziende private, alle
lotte dei migranti a Torino, alle occupazioni delle case a Roma ed in altre
città, alle ormai quotidiane iniziative e lotte del P.I., dei Vigili del
Fuoco. Veramente un elenco troppo lungo da richiamare. Si tratta semmai di
attrezzarci per sostenerle sempre meglio, di aiutarle a entrare in
connessione, nella costruzione territorio per territorio di reti di
solidarietà attiva.
Dopo 3 anni USB c'è, si vede e si fa sentire. E' diventato un punto di
riferimento stabile e credibile per un numero sempre maggiore di lavoratrici
e lavoratori e si propone come reale alternativa sindacale a Cgil, Cisl e
Uil. Questa valutazione positiva deve spingerci ad un lavoro sempre più
incisivo e concreto nelle aziende, nei territori, a livello generale e
confederale, ma non deve impedire un bilancio reale, aperto e trasparente
anche sulle cose che non hanno funzionato, su quelle che non siamo riusciti
ancora a realizzare completamente o quelle che, pur se progettate e messe in
pista, non sono ancora decollate del tutto.
Sinteticamente possiamo dire che non sono mancate le idee, le analisi ed i
progetti, ma la scomposizione di classe, la solitudine che ancora circonda
troppe lotte, la loro parzialità ci deve spingere a costruire un intervento
sindacale confederale complessivo che abbia le caratteristiche della
generalità e della continuità, ossia la capacità di coniugare gli aspetti
che emergono dai territori e dalle categorie con percorso sindacale in grado
di delineare un intervento generale sulle politiche nazionali e sui
principali aspetti della vita economica e sociale a livello nazionale ed
internazionale.
Questo Congresso deve rappresentare una svolta decisiva nella direzione
della costruzione di una reale confederalità; un giro di boa nella ricerca
della forma politica ed organizzativa più adeguata che ci permetta di
superare il particolarismo che spesso contraddistingue l'attività delle
nostre strutture e limita l'intervento di carattere generale dell'USB.
Altro elemento critico sul quale riflettere è rappresentato dalla necessità
del rafforzamento dell'organizzazione, cioè di quegli strumenti
indispensabili che, insieme alle risorse economiche, permettono all'attività
sindacale vera e propria di dispiegare tutte le proprie potenzialità. Più
volte abbiamo discusso e dibattuto sulla necessità, soprattutto in una fase
difficile come l'attuale e in presenza di un attacco pesante portato al
sindacalismo conflittuale e indipendente sul tema della democrazia e della
rappresentanza, di rafforzare l'organizzazione sia in termini concreti e
materiali, sia di identità e di consapevolezza collettiva sulle difficoltà e
sugli obiettivi che incontriamo tutti i giorni nel perseguirli.
Anche su questo tema il documento congressuale indica una strada che è
quella del progressivo miglioramento del livello organizzativo, sia in
termini di risorse impiegate a livello confederale, sia nell'individuazione
di specifiche capacità/responsabilità attraverso la costruzione dei
Dipartimenti, a cominciare proprio da quelli che si occuperanno
dell'organizzazione, della gestione delle risorse economiche e soprattutto
della gestione delle relazioni tra livello nazionale confederale, le
Federazioni regionali ed i territori provinciali.
La Confederalità Sociale deve essere vissuta ancora come sperimentazione in
quanto, anche se in alcuni territori è ormai una realtà, non siamo ancora
riusciti a realizzazione compiutamente un modello esportabile e ripetibile.
Nonostante la convinzione comune sia che la Confederalità Sociale
rappresenta la nuova frontiera dove il sindacato dovrà cimentarsi e
contaminarsi con approcci e pratiche più legate al sociale, ai territori, al
precariato e al non lavoro, le difficoltà sono evidenti e in questa fase non
possiamo che confermare la sperimentalità di tale processo. Insieme a ciò
dobbiamo però rendere più efficaci gli strumenti attraverso i quali
affrontiamo questo campo di intervento. La maggiore diffusione e lo sviluppo
di ASIA non soltanto nell'ambito del diritto alla casa e l'ipotesi di
definizione del "delegato territoriale", rappresentano l'espressa volontà
dell'intera Confederazione di sviluppare l'intervento sociale e farlo
convivere con l'attività sindacale classica.
Da sempre il capitale cerca di mettere in contrapposizione ed in
competizione i lavoratori e le lavoratrici di paesi diversi. Come abbiamo
già affermato nel documento congressuale "un sindacato di classe non può che
essere internazionalista" e a tale scopo la nostra attività in ambito
internazionale sta progressivamente assumendo dimensioni e qualità
significative. L'adesione ed il lavoro all'interno dell'FSM si stanno
rivelando per USB impegnative e faticose, ma sicuramente importanti per lo
sviluppo dell'attività sindacale che in Europa ha ormai una valenza ed una
prospettiva principalmente continentale e legata alla legislazione e alla
regolamentazione comunitaria.
Il nostro lavoro internazionale dovrà quindi svilupparsi e conseguentemente
dovrà impegnare un numero maggiore di compagne e compagni non solo in ambito
confederale ma anche nelle categorie.
La formazione e la comunicazione, lungi dall'essere temi tecnici o
esclusivamente organizzativi, stanno assumendo un ruolo fondamentale in USB.
Dobbiamo impegnare maggiori risorse ed utilizzare al meglio quelle di cui
disponiamo, dobbiamo raggiungere e coinvolgere l'intero sindacato, dobbiamo
esprimere e far emergere una identità che all'esterno sia visibile con
chiarezza e continuità.
Dobbiamo imparare tutti ad utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione
della rete e al tempo stesso progredire nell'ambito della formazione
attraverso l'utilizzo sempre più ampio del Centro Studi Cestes.
Questi due temi, comunicazione e formazione, sono essenziali per procedere
all'individuazione e alla costruzione di nuovi quadri sindacali che siano
poi alla base del rinnovamento dei gruppi dirigenti.
L'argomento che però più di tutti è al centro della discussione di questo
Congresso e di tutte le fasi che portano a questa tre giorni di lavoro è
costituito dal cambio di passo che dobbiamo effettuare sul crinale della
democrazia, della rappresentanza e dell'approccio al conflitto sociale quale
strumento di misurazione e di cambiamento dei rapporti sociali, cioè in
sintesi ... come ROVESCIARE IL TAVOLO!
In ambito sindacale ciò si traduce essenzialmente in due principali elementi
di riflessione e di analisi.
Da una parte la pratica del conflitto deve rappresentare l'approccio che USB
deve adottare in tutte le sue attività sindacali. Naturale è l'approccio
conflittuale nelle lotte, nelle manifestazioni e nello sciopero; più
difficile invece quando si è in trattativa, quando c'è e può ancora portare
risultati positivi. E' soprattutto quando si è al tavolo della trattativa
che si deve concretizzare quel Rovesciare il Tavolo che non vuol dire
rinunciare al confronto con le controparti, ma che deve riuscire a far
emergere quella radicalità che ci contraddistingue e che enunciamo sempre ma
molte volte esitiamo a praticare. Non può esserci esito positivo di una
trattativa se questa non scaturisce da un percorso di lotta e di
partecipazione dei lavoratori.
D'altra parte la crisi che blocca i contratti e chiude le aziende, il ruolo
sempre più dannoso dei sindacati "collaborativi", l'involuzione delle
cosiddette "relazioni industriali" che si limitano ormai ad una verifica
notarile di quanto deciso dalle aziende, rende il confronto classico tra le
parti sociali un rituale quasi sempre inutile e spesso dannoso e rivaluta
invece in modo significativo il conflitto quale strumento di riequilibrio
nei rapporti di forza in termini negoziali e generali.
Tante altre sono certamente le criticità ed i lati in penombra che dobbiamo
affrontare e risolvere. Molti sono stati discussi nei congressi di categoria
ed in quelli territoriali confederali, altri saranno oggetto di questo
Congresso, altri ancora si sono conclusi con la decisione di alcune compagne
e compagni di lasciare USB. Tali defezioni, è bene sottolinearlo, sono state
molto più che compensate dall'adesione di tante altre realtà di lavoro che
hanno deciso di percorrere insieme a noi la strada dell'indipendenza e della
costruzione di USB. Soprattutto è comunque necessario rappresentare con
chiarezza che chi ha deciso di lasciare USB lo ha fatto perché il percorso
unitario che abbiamo intrapreso e che è per se stesso garanzia di
indipendenza, di conflittualità e soprattutto di solidarietà interna,
evidentemente confliggeva con la loro visione di un sindacato aziendalista o
chiuso nel proprio territorio o appendice politica di questo o quel
movimento o partito politico.
Infine, l'iniziativa di USB nell'ambito del No Debito e del NO MONTI, a
partire dalle grandi manifestazioni di Milano e di Roma, le uniche che
abbiano avuto parole d'ordine il rifiuto del debito, la lotta contro i
trattati europei, l'opposizione radicale ad un'Europa basata sulla dittatura
dei mercati e delle banche e sull'ossessione monetarista, dimostrano la
vitalità di questa organizzazione sindacale e la richiesta di un nuovo
protagonismo che rafforzi l'attività sindacale e al tempo stesso delinei un
intervento sociale sui territori e a livello nazionale. Iniziative che hanno
prodotto effetti sicuramente positivi, comunicando all'esterno una immagine
di USB positiva, radicale, forte e propositiva.
Si è creato tra l'altro un sistema di relazioni che ha coinvolto anche il
lavoro del Forum Diritti/Lavoro e che ha permesso un positivo rapporto anche
con le compagne ed i compagni della Rete28Aprile con i quali condividiamo
molte iniziative sia a livello nazionale, sia territoriale.
Nel complesso quindi un bilancio positivo di questi primi tre anni di lavoro
di USB. Sicuramente tre anni difficili nei quali mentre si costruiva un
sindacato che vuole essere alternativa reale a Cgil, Cisl e Uil, si è
intervenuti in migliaia di vertenze aziendali, territoriali e nazionali,
contro accordi indicibili e leggi ancor più penalizzanti per i lavoratori.
Tre anni nei quali si è imparato a lavorare positivamente anche tra chi
proveniva da diverse esperienze.
Tanti sono gli ulteriori argomenti che meriterebbero uno spazio adeguato in
questa relazione introduttiva, dalle politiche delle categorie del pubblico
e del privato alle decisioni sullo sviluppo di particolari comparti e
settori al loro interno, dalle vertenze significative ai positivi riscontri
in tantissime elezioni RSU, dall'evoluzione e dalla maturazione
dell'intervento nei territori all'impegnativo lavoro sui migranti, dalle
questioni economiche al ruolo dei servizi che il sindacato fornisce ai
lavoratori, a tante altre attività che quotidianamente svolgiamo come USB.
Non è nostra intenzione ripetere quanto già scritto all'interno del
documento congressuale che, approvato dai nostri iscritti è e rimane lo
strumento principale di lettura e di analisi della fase e che delinea gli
obiettivi che ci vogliamo dare per i prossimi anni.
Ciò che invece intendiamo ribadire con forza è che con questo congresso
dobbiamo dotarci di una linea programmatica unitaria, di una chiave di
lettura comune, di obiettivi condivisi che costituiscano la base per
riuscire a completare ciò che abbiamo iniziato a costruire tre anni fa: il
sindacato che serve! Che serve alle lavoratrici ed ai lavoratori, a coloro
che il lavoro lo hanno perso, ai pensionati che non arrivano a fine mese, ai
precari che non hanno certezze e ai migranti che pagano la crisi più di
altri, ai disoccupati e a tutti quei giovani che non riescono a vedere un
futuro.
Lavorare quindi con entusiasmo e con determinazione per affrontare il
quotidiano perché i bisogni sono tali e tanti da rendere necessario un
intervento ora e subito. Ma lavorare anche con un respiro più ampio,
traguardando il nostro impegno verso l'obiettivo più generale e complessivo
di cambiamento di un sistema economico e sociale che comprime diritti e
democrazia, che è sempre più iniquo e sbagliato e che rende sempre più
poveri e sfruttati milioni di persone.
Dobbiamo mettere in discussione l'architettura del lavoro e del sistema
economico e sociale italiano, attraverso l'adozione di un programma, quello
che riportiamo nel documento congressuale, che per essere realizzato
necessita di convinzione e condivisione. Un programma di lotta e di crescita
di un'opzione avanzata di sindacato di classe che in parte già pratichiamo.
Un programma che dobbiamo condividere, sviluppare, rendere credibile, e
soprattutto praticare insieme a chi, nell'ambito sindacale, del lavoro e
dell'intervento sociale, dimostra di avere i nostri stessi obbiettivi
generali e la stessa pratica del conflitto.
Lotta all'Unione Europea, ai diktat della BCE, al ricatto del debito.
Per la cancellazione dei trattati europei, a partire dal Fiscal compact.
No alle politiche e alle logiche basate sul mercato. Vogliamo un forte
impegno dello stato nelle politiche economiche attraverso il ritorno ad un
concreto ruolo pubblico e attivando processi di nazionalizzazione che
coinvolgano i settori produttivi e i servizi strategici.
Basta con le politiche sindacali difensive e di "riduzione del danno".
Sarebbe necessaria una riscrittura completa della legislazione sul lavoro,
abolendo la precarietà, ripristinando il diritto al lavoro buono, di
qualità, sicuro e adeguatamente retribuito, cancellando l'accordo sulla
produttività. Prevedendo forti penalizzazioni per le aziende che
delocalizzano la produzione. Ripristinando ed estendendo l'art.18.
Sbloccando i contratti. Prevedendo aumenti salariali consistenti e in paga
base, la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, la
reintroduzione di una indicizzazione automatica dei salari, degli stipendi e
delle Pensioni, il riassorbimento al lavoro per precari, lavoratori in
mobilità e licenziati.
Ci vuole democrazia sul lavoro che vuol dire maggiori diritti e più
potere contrattuale dei lavoratori. Dobbiamo battere gli accordi di Cgil,
Cisl, Uil e Confindustria e continuare ad indicare con determinazione la via
di una legge su rappresentanza e rappresentatività sindacale che garantisca
le libertà dei lavoratori sul posto di lavoro, la possibilità di poter
scegliere da chi essere rappresentati, il pluralismo e la democrazia.
Difendiamo e chiediamo un forte impulso della scuola e della ricerca
pubblica. Rilanciamo la battaglia per un sistema di soccorso nazionale
realmente pubblico affidato ai vigili del fuoco.
Il salario non è più soltanto salario diretto. E' necessario il
ripristino del controllo pubblico sulle tariffe dei servizi e dei beni di
prima necessità e l'istituzione del reddito minimo garantito. Ma anche il
diritto all'abitare per tutti, la cancellazione delle tasse sulla casa di
abitazione, il riuso del patrimonio sfitto, il rilancio della funzione
calmieratrice del mercato immobiliare degli enti previdenziali, lo stop agli
sfratti e alle vendite, il riconoscimento del diritto alla casa per tutti
gli occupanti.
Ribadiamo il nostro No deciso alle privatizzazioni e alle
esternalizzazioni che stanno distruggendo le attività produttive e le
condizioni di lavoro. E' indispensabile la reinternalizzazione di tutti i
servizi pubblici, un forte ed esclusivo finanziamento della sanità, del
sistema scolastico, dei trasporti pubblici, la difesa dei beni comuni dai
continui tentativi di privatizzazione.
Vogliamo difendere e rilanciare la previdenza pubblica per ottenere
pensioni eque e sufficienti che rispettino il diritto ad una vecchiaia
dignitosa. No alla controriforma sulle pensioni che costringe al lavoro fino
a 70 anni. Ribadiamo il no ai fondi pensione, prevedendo la possibilità di
rinuncia per chi vi ha aderito.
Rivendichiamo la cancellazione della legge Bossi Fini, diritti uguali
per i migranti e la chiusura dei CIE, il diritto all'asilo per i rifugiati e
profughi insieme a quello della cittadinanza di residenza per i bambini nati
in Italia.
Per un internazionalismo concreto. Basta spese per armamenti e missioni
di guerra.
Ambiente e salute sono punti fondamentali che non possono soltanto
essere evocati, ma vanno affrontati anche a costo di rischiare la
contraddizione tra lavoro e salute come sta avvenendo all'Ilva di Taranto e
in tante altre fabbriche italiane. Lotta senza quartiere, quindi, alla
devastazione dell'ambiente e forte sostegno e partecipazione alle lotte per
impedire grandi opere costose, inutili e a grave impatto ambientale.
Questi in sintesi i punti del programma contenuto nel documento congressuale
approvato. Da questo congresso vogliamo e dobbiamo però uscire non soltanto
con analisi generali corrette e con un programma di lavoro di tendenza.
Al contrario vogliamo far emergere alcuni temi prioritari che proponiamo
alla discussione di questa tre giorni a Montesilvano e che, se approvati,
dovranno caratterizzare la nostra attività sin dal 10 giugno.
Per questo abbiamo individuato e proponiamo schematicamente 5 principali
campagne che dovranno poi essere meglio articolate ed argomentate, sostenute
da mobilitazioni specifiche, da petizioni e iniziative pubbliche.
Occupazione - Lo Stato e le sue articolazioni territoriali devono tornare ad
avere una funzione di rilancio dell'occupazione attraverso lo sviluppo del
welfare, dei beni culturali, della cura e della messa in sicurezza del
territorio, della difesa dell'ambiente, dello sviluppo del turismo, della
valorizzazione dei beni comuni, della lotta all'abusivismo e all'evasione
ecc.- e utilizzando anche lo strumento della nazionalizzazione per garantire
il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali e l'intervento
economico diretto in aziende e settori strategici quasi tutti.
Pensiamo ad una vasta campagna intorno a una piattaforma che potrà prevedere
anche una partecipazione attiva attraverso una proposta di Legge di
iniziativa popolare o una petizione e che preveda la costruzione di comitati
di sostegno di lavoratori, di disoccupati, precari e studenti. Per
intenderci una legge 285/75 in salsa XXI secolo.
Orario di lavoro e contratti - Una campagna che rilanci in primo luogo la
parola d'ordine della riduzione dell'orario di lavoro: 32 ore per tutti
pagate 40 visto lo sviluppo dell'automazione e delle tecnologie che invece
di ridurre il tempo di lavoro hanno prodotto riduzione di addetti; forte
recupero salariale cominciando a rinnovare i contratti scaduti e
predisponendo piattaforme contrattuali di categoria e una piattaforma
generale sul salario.
Casa e reddito - Una campagna sul diritto all'abitare che, grazie
all'attività di ASIA, è già avanti nella sua costruzione. Stop alla
cementificazione, riuso dello sfitto, requisizioni, politica degli affitti.
Sul reddito dobbiamo costruire una proposta che preveda un concreto sostegno
al reddito con integrazione/sostituzione del salario, tariffazione sociale,
ecc..
Pensioni - il primo provvedimento assunto da Hollande appena eletto è stato
quello di riportare a 60 anni per tutti l'età per andare in pensione. Questo
deve essere il principale obbiettivo di questa campagna insieme alla
garanzia per tutti gli esodati presenti e futuri.
Libertà e democrazia per le lavoratrici e i lavoratori nei luoghi di
lavoro - Campagna informativa e di mobilitazione contro gli accordi che
Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, sostenuti dal governo e dalla maggioranza
delle forze politiche hanno predisposto, a cominciare dall'accordo del 31
maggio scorso che è in perfetta sintonia con quello del 28 giugno 2011, per
ridurre le libertà di lavoratrici e lavoratori e permettere alle aziende di
imporre una rappresentanza sindacale precostituita in modo non democratico.
Dobbiamo costruire informazione e mobilitazioni in ogni città e in ogni
azienda sul tema della democrazia e delle libertà sui posti di lavoro.
Dobbiamo costruire un fronte il più ampio possibile e a questo scopo
proponiamo la costituzione di Comitati a difesa della democrazia e della
libertà sui posti di lavoro. Dobbiamo spingere per una legge sulla
rappresentanza e la democrazia sui posti di lavoro, ritornare a raccogliere
le firme sulla nostra proposta di legge e portare avanti un'offensiva nei
confronti del Parlamento e delle forze politiche. Dobbiamo sviluppare e
approfondire, insieme al Forum Diritti/Lavoro, a giuristi e
costituzionalisti, gli aspetti legali, primo fra tutti il tema della
incostituzionalità insita nell'accordo del 31 Maggio.
Il nostro obiettivo è quello della costruzione di un sindacato generale,
indipendente, conflittuale, democratico e di classe, un sindacato
accogliente ed inclusivo ma al tempo stesso organizzato e fedele ai propri
principi. Un sindacato aperto ai soggetti frutto della nuova composizione e
scomposizione di classe che riesca a dare risposte non soltanto sul piano
prettamente sindacale ma anche su quello sociale e generale.
Si tratta di una strada difficile che abbiamo intrapreso e che dobbiamo
continuare a percorrere con umiltà ma con la piena consapevolezza delle
aspettative che esistono ormai nei confronti di USB e del ruolo che questo
sindacato può svolgere, non soltanto in termini sindacali difensivi, ma
anche come motore e modello di soggetto che lotta per un reale cambiamento
sociale.
Nei prossimi mesi ed anni non aspettiamoci una uscita morbida da questa
crisi: la protesta e il dissenso aumenteranno insieme a povertà e
disperazione. Ma non basta dissentire: dobbiamo raccogliere questa protesta
e organizzarla.
Dobbiamo ricostruire fiducia e forza nel movimento dei lavoratori e delle
lavoratrici, dobbiamo contrapporci con forza ai processi di riorganizzazione
e di sfruttamento messi in campo dal capitale: per fare questo è
indispensabile che il dissenso si trasformi in conflitto organizzato.
Per questo siamo disposti a ROVESCIARE IL TAVOLO!
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