Nel
precedente corso abbiamo analizzato cosa produce le crisi: i limiti e le
contraddizioni del capitale; e il fatto che il capitale è fattore di sviluppo
delle forze produttive e nello stesso tempo della loro distruzione.
Vogliamo sottolineare che, da vari riscontri, risulta che effettivamente questo corso on line viene seguito soprattutto dagli operai. Essi dicono che si stanno un pò "sforzando" ma sono contenti, dopo decenni di analfabetizzazione, unita a false idee, banali luoghi comuni, deviazioni, alimentati dai mass media, dalla corte dei padroni, dai sindacati confederali, ma anche da presunti "intellettuali" borghesi o anche di "movimento".
Questi operai via via stanno comprendendo quanto sia importante pensare con la testa della loro classe. Questo darà loro forza e superiorità.
Vogliamo sottolineare che, da vari riscontri, risulta che effettivamente questo corso on line viene seguito soprattutto dagli operai. Essi dicono che si stanno un pò "sforzando" ma sono contenti, dopo decenni di analfabetizzazione, unita a false idee, banali luoghi comuni, deviazioni, alimentati dai mass media, dalla corte dei padroni, dai sindacati confederali, ma anche da presunti "intellettuali" borghesi o anche di "movimento".
Questi operai via via stanno comprendendo quanto sia importante pensare con la testa della loro classe. Questo darà loro forza e superiorità.
APPUNTI DI STUDIO SU MARX E LA CRISI
stralci da “il capitalismo e la crisi”. Scritti scelti
(di Marx)
a cura di
Vladimiro Giacchè.
(I pezzi in corsivo segnalati da (ndr) sono brevi
note
di Proletari comunisti)
2° parte
Un fattore delle crisi è la capacità di consumo dei lavoratori.
Questa capacità è a suo avviso strutturalmente limitata. Per un motivo ben
preciso: il valore di ogni merce è determinato dal lavoro impiegato in media
per produrla, e i profitti del capitalista derivano dal plusvalore, ossia dal
fatto che al lavoratore è pagato non l'equivalente dell'intero valore prodotto,
ma soltanto una parte di esso (cioè non l'intera giornata lavorativa effettivamente
lavorata, ma soltanto una sua parte)...
(ndr) Questo avviene non certo per cattiveria del capitalista, ma perchè la
forza lavoro da un lato è una merce come tutte le altre, dall'altra è una merce
particolare. Il capitalista, come spiega Marx, va sul mercato e compra la merce
della forza lavoro e la paga (come tutte le altre merci) per il tempo di lavoro
necessario a produrla (tempi di produzione per i beni per mangiare, vestirsi,
riprodursi come classe, ecc.), quindi mette al lavoro l'operaio per il tempo
pattuito, per es. una settimana, e, come spiega Engels nella recensione del 1°
libro de Il Capitale, “Il capitalista mette ora al lavoro il suo operaio. Entro
un determinato tempo l'operaio avrà fornito tanto lavoro quanto ne era
rappresentato nel suo salario settimanale. Posto che il salario settimanale di
un operaio rappresenti tre giornate lavorative, l'operaio che inizia il lunedì,
la sera di mercoledì ha reintegrato al capitalista l'intero valore del salario
pagato. Ma cessa allora di lavorare? Niente affatto. Il capitalista ha comprato
una settimana di lavoro e l'operaio deve lavorare ancora anche gli ultimi tre
giorni della settimana. Questo pluslavoro dell'operaio al di là del tempo
necessario alla reintegrazione del suo salario, è la fonte del plusvalore, del
profitto, del sempre crescente ingrossamento del capitale”.
... E' questa estorsione di valore supplementare che, secondo Marx,
determina i profitti del capitalista ma al tempo stesso anche i limiti della
capacità di consumo dei lavoratori. Questo perchè “i produttori, i lavoratori,
possono consumare un equivalente per il loro prodotto, soltanto finchè
producono più di questo equivalente – il plusvalore o plusprodotto. Essi
devono essere sempre sovrapproduttori, produrre al di là del loro bisogno, per
poter essere consumatori o compratori entro i limiti del loro bisogno”
(Marx).
“La causa ultima di tutte le crisi effettive è pur sempre da un lato la
povertà delle masse, dall'altro l'impulso del modo di produzione capitalistico
a sviluppare le forze produttive come se la capacità di consumo assoluta
della società ne rappresentasse il limite” (Marx).
Ma... nel contesto dei rapporti capitalistici di produzione ogni politica
redistributiva incontra prima o poi dei limiti insormontabili: essa può essere
posta in atto solo fintantochè non intacchi la profittabilità del capitale.
(ndr) Certo il capitale vorrebbe che i lavoratori, le masse acquistassero più
merci, fossero buoni consumatori, ma non è certo disposto ad aumentare il
salario dei lavoratori; anzi tende costantemente e soprattutto nella crisi, in
vari modo, ad abbassarlo, scavandosi in questa maniera la fossa sotto i piedi
(ma non può fare altrimenti!). Chiede se mai ai governi di sostenere i bassi
redditi dei lavoratori, soprattutto di quelli che licenzia e per licenziarli
senza grossi problemi (vedi ammortizzatori sociali).
La caduta tendenziale del saggio di profitto.
... con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la
proporzione del capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in
forza lavoro: si verifica in altri termini, “una diminuzione relativa del
capitale variabile (forza-lavoro) in rapporto al capitale costante (macchinari,
mezzi di lavoro) e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in
movimento” (Marx). Marx definisce questo processo anche come una progressiva
crescita della “composizione organica del capitale”. Si tratta di “un'altra
espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale del
lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del
crescente uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie
vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro”
(Marx). la diminuzione relativa di capitale variabile (operai) in rapporto al
capitale costante (macchine) fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto
- ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo investito nella
produzione (la somma di capitale variabile e capitale costante) – diminuisca.
Questa, in sintesi, la legge della “caduta tendenziale del saggio di profitto”.
Fattori di controtendenza
Ma la caduta del saggio di profitto è in verità una tendenza alla
diminuzione e non un crollo – tanto meno un crollo improvviso. Questo perchè la
diminuzione del saggio di profitto può essere in parte controbilanciata da
altri fattori, a cominciare dalla concentrazione dei capitali. A causa di tale
concentrazione, pur calando la proporzione del capitale variabile rispetto a
quello costante, un numero maggiore di lavoratori lavora per un singolo
capitalista: aumenta quindi la massa del plusvalore e questo fa sì che “la
massa dei profitti aumenti contemporaneamente e nonostante la caduta del saggio
di profitto” (Marx).
(ndr) Ma altri e ben più importanti fattori agiscono da controtendenza
(tenendo conto che anche la concentrazione incontra un suo limite, dato dal
fatto che come aumenta il numero dei lavoratori, aumenta, sia pur meno, anche
il numero dei macchinari, aumenta il capitale costante), Marx li individua in:
1) Aumento del grado di sfruttamento del lavoro, cioè accrescimento
del plusvalore, soprattutto attraverso il prolungamento del tempo di lavoro
(plusvalore assoluto) e l'intensificazione del lavoro (plusvalore relativo)...
(ndr) oggi è evidente l'utilizzo di questi interventi da parte dei capitalisti
per far fronte alla crisi, in generale utilizzati contemporaneamente, unendo
straordinari diventati “normali”, e quindi un allungamento non “straordinario”
dell'orario di lavoro, a riduzione delle pause nella giornata lavorativa o tra
un turno e l'altro - lo stesso spostamento per es. della pausa mensa a fine
turno fatto dalla Fiat, pur se non allunga l'orario di lavoro, concentrando il
tempo di lavoro, aumenta di fatto il tempo in cui nella giornata l'operaio è
utilizzabile dall'azienda.
Il capitale poi, per l'intensificazione del lavoro, mette al lavoro anche
fior di scienziati, di tecnici per “inventare” sistemi sempre più micidiali per
intensificare i ritmi e i carichi di lavoro collettivi e individuali, per
selezionare l'operaio pezzo per pezzo per vedere di trarre il massimo di
pluslavoro da ogni parte del corpo e da ogni movimento dell'operaio. Certo
anche questo ha un limite, il limite che il capitalista non vuole trovarsi di
fronte al fatto che tutti gli operai facciano la fine di quel cavallo che a
forza di provare quanto resisteva senza mangiare poi morì. Il capitalista vuole
che la maggiorparte degli operai che hanno lavorato oggi ritornino domani per
essere sfruttati e produrre altro plusvalore (benchè qualcuno se ne può anche
perdere per strada...); ma se l'intensificazione del lavoro unita
all'allungamento della giornata lavorativa produce una umanità di invalidi,
sofferenti, purchè producano, non è un suo problema!
Tutto questo dimostra come il capitale più sviluppa le forze produttive,
più ammoderna il modo di produzione, più instaura rapporti di produzione da
moderno schiavismo, il sistema più avanzato fa profitti sulla base dei sistemi
di sfruttamento “più arretrati” (es. la fabbrica ipoa in Cina); più si espande,
si globalizza, si estende in ogni parte del mondo il modo di produzione più
all'avanguardia dei paesi imperialisti più si espandono, si globalizzano, si
estendono le condizioni di lavoro in atto nei paesi più arretrati. Si tratta di
un processo inverso, per cui alle leggi più moderne del capitale si pongono
davanti le leggi più schiavistiche per i lavoratori. Con una questione: che non
solo il capitale va a spostare le sue produzioni dove già esistono queste
condizioni di supersfruttamento; non solo importa questi rapporti di produzione
dai “paesi arretrati” nel paese imperialista; ma sviluppa e “inventa” nel
proprio paese i nuovi sistemi di aumento del grado di sfruttamento della forza
lavoro (vedi il TMC2 alla Fiat).
2) Compressione del salario al di sotto del suo valore... per Marx
“il valore della forza lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari
per la conservazione del possessore della forza lavoro”. D'altra parte però
questo valore è storicamente determinato: “il volume dei cosiddetti bisogni
necessari, come pure il modo di soddisfarli, è anch'esso un prodotto della
storia... dunque la determinazione del valore della forza lavoro, al contrario
che per le altre merci, contiene un elemento storico e morale” (Marx)... ed è
indubbio che la riduzione dei salari avvenuta negli ultimi anni, in parallelo
ai processi di precarizzazione della forza lavoro, collochi i salari attuali in
molti casi nettamente al di sotto del loro valore storico medio dei 2-3 decenni
precedenti. Ciò è ancora più evidente se si tiene conto non soltanto del
salario diretto, ma anche... del salario indiretto... e differito... Oggi il
prezzo che il capitalista paga per l'utilizzo della forza lavoro è inferiore
anche al prezzo delle sue condizioni di riproduzione.
(ndr) E' evidente come la crisi venga usata dai capitalisti per ridurre il
salario, senza tanti raggiri: se prima si facevano contratti di lavoro
nazionali “svendita” che non permettevano il recupero salariale, oggi i
contratti semplicemente cominciano a non essere fatti, a partire dal Pubblico
Impiego; vengono tagliate voci del salario falsamente presentate come
accessorie, ma di fatto parte integrante del salario; le politiche che vengono
perseguite sia a livello di industriali che di parlamento per reintrodurre delle
moderne gabbie salariali, attraverso la controriforma del CCNL; ecc.
3) Ribasso del prezzo degli elementi del capitale costante. Al
riguardo Marx osserva: “la stessa evoluzione che accresce la massa del capitale
costante in rapporto a quello variabile, riduce attraverso l'accresciuta forza
produttiva del lavoro il valore degli elementi del capitale costante, e quindi
impedisce che il valore del capitale costante – che pure cresce continuamente –
cresca nella stessa proporzione in cui cresce il volume materiale del capitale
costante, cioè l'entità materiale dei mezzi di produzione che sono messi in
movimento dalla stessa forza lavoro”.
4) La sovrappopolazione relativa... pressione di un gigantesco
esercito industriale di riserva presente nei paesi emergenti: soprattutto in
Asia, ma anche nell'Europa dell'Est. Questo ha comportato una massiccia
delocalizzazione di produzioni industriali verso i paesi di nuova
industrializzazione... l'accentuata concorrenza di produzioni realizzate in
paesi a minor costo della forza lavoro... ha esercitato una fortissima
influenza calmieratrice sui salari dei paesi industrialmente più avanzati.
(ndr) Ma questo uso della sovrappopolazione relativa per abbassare i salari
avviene anche negli stessi paesi industriali e la crisi lo accentua. Oltre la
disoccupazione classica, negli ultimi anni vi sono due forme in cui avviene
questa riduzione dei salari: una, in vari posti di lavoro la minaccia di
licenziamenti porta all'accettazione di una riduzione dei salari, o attraverso
la cassintegrazione, o attraverso i contratti di solidarietà, o attraverso la
rinuncia a richieste di difesa salariale; l'altra, attraverso la espansione,
generalizzazione dei rapporti di lavoro precari, a tempo determinato, in tutti
i settori anche in quelli della grande fabbrica dove erano prima molto rari (la
“femminilizzazione del lavoro” vuol dire che il capitale ha generalizzato tra
tutti i lavoratori condizioni di precarietà che prima erano presenti
soprattutto tra le donne lavoratrici).
5) Il commercio estero... In primo luogo, grazie a esso il volume
della produzione si accresce consentendo un ampliamento di scala della
produzione e quindi una riduzione dei suoi costi unitari: questo “rende più
a buon mercato tanto gli elementi del capitale costante, quanto quelli che
formano direttamente il capitale variabile (mezzi di sussistenza necessari”
(Marx). In tal modo il commercio estero agisce in modo favorevole all'aumento
del saggio di profitto, per un verso accrescendo il saggio di plusvalore (in
quanto il valore della forza lavoro cala....) e per un altro diminuendo il
valore del capitale costante...
In secondo luogo... “i capitali investiti nel commercio estero possono
fruttare un saggio di profitto superiore” – osserva Marx – perchè qui “si
concorre con merci che sono prodotte da altri paesi con condizioni di
produzione meno favorevoli e così il paese più progredito vende le sue merci
al di sopra del loro valore, benchè più a buon mercato dei paesi
concorrenti”.
In terzo luogo “per quanto d'altro lato riguarda i capitali investiti in
colonia “ Marx osserva che “essi possono fruttare saggi di profitto più
elevati, perchè in quei paesi il saggio di profitto è in generale più elevato a
causa del minor sviluppo e in secondo luogo (...) vi è un maggior sfruttamento
del lavoro”.
Tutto questo però vale per il breve periodo. Gli effetti di medio-lungo
periodo del commercio estero, invece, non sono favorevoli al saggio di
profitto... “lo stesso commercio estero sviluppa il modo di produzione capitalistico
e quindi la diminuzione in patria del capitale variabile rispetto a quello
costante e produce d'altro lato sovrapproduzione all'estero, perciò ha di nuovo
alla lunga l'effetto opposto” (Marx).
6) Aumento del capitale produttivo di interesse... (una parte
crescente del capitale viene destinata) a capitale produttivo di interesse,
ossia all'investimento in obbligazioni o azioni (più in generale, in attività
creditizie e finanziarie). L'importanza assunta da questo fattore negli ultimi
decenni è stata notevolissima...
(ndr). Questo sesto punto spiega come l'abnorme sviluppo delle attività
finanziarie, dell'espansione del credito non è altra cosa dal capitale
industriale, dal capitale produttivo, ma è frutto delle leggi stesse del
capitale e dei tentativi del capitale di frenare la caduta del saggio di
profitto – anche se la finanza poi si muove anche di “vita propria” e in alcuni
casi può come una potenza mostruosa rivoltarsi contro singoli esponenti del
sistema che l'ha generata. Quindi tutti coloro che a fronte della crisi che ha
visto al suo origine la crisi finanziaria, hanno gridato contro i finanzieri, i
banchieri in nome del capitale produttivo, sono o miopi o in malafede.
(continua giovedì prossimo)
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