Il movimento di massa contro la buona scuola di Renzi va sostenuto sino in fondo
SI al blocco degli scrutini !
I
dati reali di partecipazione dello sciopero del 5 maggio sono dati MAI VISTI
IN NESSUNO SCIOPERO DELLA SCUOLA. Neanche dal famoso movimento dei comitati
di base a metà degli anni ottanta L’adesione il 5 maggio è stata intorno al 90%
tra gli ATA, sopra 80% nell’infanzia e nelle primarie, sopra il 70% nelle
superiori. Ma non solo. E’ stata fortissima la partecipazione alle assemblee,
il coinvolgimento di ampi settori di lavoratori e lavoratrici nella
preparazione dello sciopero: in moltissimi istituti si sono approvati documenti
e prese di posizione (quasi tutte chiedendo il ritiro del DDL); si sono fatte
assemblee e incontri con genitori (elementari in particolare); sono comparsi
nei giorni precedenti striscioni e manifesti all’ingresso degli istituti; sono
stati preparati volantini “di scuola”, autoprodotti, per spiegare le ragioni
dello sciopero. Ed ancora di più. Nei giorni successivi è stata massiccia
l’adesione al boicottaggio Invalsi. Nelle scuole primarie, il 6 e 7 maggio (i
giorni immediatamente successivi allo sciopero generale della scuola),
l’INVALSI è stato svolto nelle seconde e nelle quinte delle elementari: oltre
il 10% delle classi sono state coinvolte dallo sciopero. In molti plessi sono
state organizzate casse di resistenza informali, per restituire parzialmente
quanto perso dai colleghi/e coinvolti nello sciopero in quanto somministratori
INVALSI. In diversi istituti, su sollecitazione della lotta in corso, molti o
tutti i bambini sono stati tenuti a casa (anche in scuole campione). Una
dinamica ripetuta e allargatasi il 12 maggio, nelle scuole superiori, con il
coinvolgimento di associazioni e collettivi studenteschi. Circa un quarto degli
studenti non ha partecipato ad Invalsi (per assenza studenti o per sciopero
docenti). Un numero probabilmente simile lo ha boicottato, consegnando risposte
inutilizzabili.
E’ un dato enorme. Nessuna protesta contro questo sistema di valutazione aveva ottenuto un tale successo: ha trasformato in senso comune la critica alla standardizzazione ed alla valutazione, quando sino a qualche settimana prima la maggior parte delle organizzazioni sindacali la difendeva a spada tratta. La FLC CGIL, ad esempio, non ha voluto sostenere formalmente questa lotta: pur essendo critica su alcuni aspetti dell’Invalsi, la maggioranza dell’organizzazione, ed in particolare la direzione del comparto scuola, è infatti favorevole alla valutazione ed anche alla valorizzazione (cioè ad un monetizzazione della valutazione, differenziando gli stipendi dei docenti). Pochi mesi fa ha infatti presentato e fatto approvare dal Direttivo nazionale FLC un linea generale sulla contrattazione, in cui per la prima volta si proponevano strumenti di valutazione e di premio della didattica, non individuali ma collettivi (“ai team migliori”: una proposta che non limita, ma anzi peggiora la dinamica competitiva di questo strumento, differenziando le classi e non solo i docenti). Temendo appunto che una lotta diretta contro Invalsi incentivasse un senso comune contro valutazione e valorizzazione, la FLC si è sempre rifiutata di partecipare a queste forme di lotta. Eppure il grande coinvolgimento di queste settimane nella lotta contro il DDL, ha costretto larghe parti della FLC e dello stesso apparato a sostenere questa lotta, ed in alcune occasioni anche a organizzarla.
E’ un dato enorme. Nessuna protesta contro questo sistema di valutazione aveva ottenuto un tale successo: ha trasformato in senso comune la critica alla standardizzazione ed alla valutazione, quando sino a qualche settimana prima la maggior parte delle organizzazioni sindacali la difendeva a spada tratta. La FLC CGIL, ad esempio, non ha voluto sostenere formalmente questa lotta: pur essendo critica su alcuni aspetti dell’Invalsi, la maggioranza dell’organizzazione, ed in particolare la direzione del comparto scuola, è infatti favorevole alla valutazione ed anche alla valorizzazione (cioè ad un monetizzazione della valutazione, differenziando gli stipendi dei docenti). Pochi mesi fa ha infatti presentato e fatto approvare dal Direttivo nazionale FLC un linea generale sulla contrattazione, in cui per la prima volta si proponevano strumenti di valutazione e di premio della didattica, non individuali ma collettivi (“ai team migliori”: una proposta che non limita, ma anzi peggiora la dinamica competitiva di questo strumento, differenziando le classi e non solo i docenti). Temendo appunto che una lotta diretta contro Invalsi incentivasse un senso comune contro valutazione e valorizzazione, la FLC si è sempre rifiutata di partecipare a queste forme di lotta. Eppure il grande coinvolgimento di queste settimane nella lotta contro il DDL, ha costretto larghe parti della FLC e dello stesso apparato a sostenere questa lotta, ed in alcune occasioni anche a organizzarla.
Al momento, questo movimento è costituito sostanzialmente di lavoratori e lavoratrici della scuola. La partecipazione studentesca è ancora sostanzialmente limitata e, considerando il periodo dell’anno, probabilmente non avrà la possibilità di crescere prima dell’interruzione estiva. A innescare il movimento sono state diverse componenti. Da una parte il mega-piano di assunzioni dei precari, ventilato dalla scorsa estate, è precipitato concretamente con numeri più contenuti (100mila invece che 150mila) e con una chiara definizione dei suoi confini (GAE e dintorni), rendendo quindi sempre più evidenti l’esistenza di un’ampia fascia di esclusi (2/300mila persone nel complesso, di cui almeno la metà con un orario significativo di lavoro). Dall’altra parte, l’immagine della buona scuola si è focalizzata sull’autonomia competitiva tra istituti (fondi privati, POF, ecc) e soprattutto sul fortissimo accentramento di poteri nei dirigenti (elaborazione del piano scolastico, chiamata diretta dei docenti, gestione della valorizzazione stipendiale). Due elementi che hanno permesso di catalizzare il malcontento in una diffusa rivolta di massa contro l’impianto del DDL. Temendo la reazione di un universo scolastico imprevedibile, Renzi aveva condotto due diverse azioni di esplorazione del terreno. Nel corso dell’estate scorsa, aveva fatto avanzare da sottosegretari e portaborse alcune ipotesi di aumento sostanziale dell’orario di lavoro degli insegnanti a parità di salario. Dopo assemblee, presidi e proteste in piena estate, la proposta è stata velocemente sconfessata. In autunno ha avanzato una dichiarazione di intenti, il piano scuola, riservandosi di concretizzare più avanti le sue specifiche proposte di “riforma”. Nella consultazione farsa organizzata dal MIUR, attraverso questionari on line e assemblee territoriali con platee selezionate, è stato sorprendentemente abbattuto l’elemento su cui si era concentrata la comunicazione del governo e l’attenzione dei media (gli scatti di merito al posto dell’anzianità: cioè la differenziazione strutturale degli stipendi). In primavera, dopo una lunga e accidentata elaborazione nelle segrete stanze del governo, la “punta di lancia” propagandista della” riforma” è stata quindi sostituita con il preside-allenatore-mamager-sceriffo-sindaco. Il capo della scuola. Lì ha innescato la reazione di massa del corpo docenti, che i propri dirigenti li conoscono bene, ma che soprattutto hanno compreso le conseguenze di questa controriforma nella vita concreta delle scuole.
Questa rivolta di massa contro l’impianto del DDL ha costretto le burocrazie sindacali, allo sciopero del 5 maggio. CGIL CISL UIL SNALS e GILDA, pur avendo avuto i sindacati maggioritari della scuola, responsabilità nell’accompagnare per tutto il corso dell’anno il percorso della buona scuola. Nell’autunno infatti hanno tracciato una valutazione articolata del primo “Piano Scuola” presentato dal governo Renzi. Conseguentemente allaloro posizione questi sindacati non hanno indetto nessuno sciopero e nessuna protesta sino a primavera, limitandosi ad assemblee, petizioni e dichiarazioni alla stampa. Il governo Renzi, replicando l’atteggiamento e l’esperienza maturata con il Job Act, davanti a questa titubanza ha radicalizzato arrogantemente l’impianto autoritario della riforma. Ha rinunciato a concentrarsi sulla differenziazione stipendiale, per focalizzarsi sulla gerarchizzazione della scuola (il manager e la diversificazione fra istituti). Nel mese di marzo e di aprile sono rapidamente cresciute le prese di posizione, la partecipazione alle assemblee cittadine, la rabbia e la richiesta di una risposta di lotta. Una crescita che è stata annunciata e ripresa dai comitati, dalle strutture auto-organizzate, dai sindacati di base e dalla sinistra CGIL (come quelli degli autoconvocati a Roma, del comitato 3 ottobre a Milano, del manifesto dei 500 e dell’assemblea contro la buona scuola a Torino, del coordinamento nella riviera toscana, ecc). Queste forze hanno lavorato per l’esplosione della protesta, indicendo per prime lo sciopero del 24 aprile. Le burocrazie sindacali della scuola hanno però colto l’innesco di questo movimento. Invece che soffocarlo, hanno deciso di rilanciarlo, dandogli una forza di massa attraverso la convergenza sulla data del 5 maggio, in una data inizialmente prevista solo dai Cobas scuola.
Uno sciopero ed un movimento che quindi, ad oggi, è diretto dalle burocrazie sindacali, nel quadro di una fortissima partecipazione e quindi di una fortissima pressione dal basso, unitaria e radicale. Tant’è che oramai tutte le organizzazioni, almeno a parole, hanno dovuto assumere nei fatti sia la protesta contro la valorizzazione (Invalsi), sia la parola d’ordine del ritiro del DDL. E quindi, nonostante propensioni e volontà a cercare accordi, hanno dovuto rifiutare il terreno degli emendamenti del governo, chiedere un cambio di impianto ed un decreto sui precari.
Questo movimento è un movimento esplicitamente contro il governo e quindi di valore politico... contro Renzi e contro il PD di Renzi. Queste sono le parole d’ordine, i cartelloni, gli striscioni diffusi nelle scuole. Un movimento di massa che si è posto immediatamente e naturalmente su un terreno di contrapposizione al governo. Perché questo movimento si è costruito contro uno degli elementi cardine del programma del governo. Perché la lotta è contro un progetto di scuola esemplificativo del nuovo profilo del PD renziano (competizione, fondi privati, centralità logica d’impresa). Perché il conflitto si è personificato sulla figura di Renzi, per sua stessa volontà: lui si è voluto identificare con la buona scuola e presentarla sempre in prima persona (tanto che il nome pubblico del disegno di legge non è come al solito “DDL Giannini”, dal suo primo presentatore formale, ma Buona scuola di Renzi). Renzi è il suo governo, è il PD ed è la buonascuola. Non a caso uno degli slogan più diffusi nella rete, nei social, nei passa parola è “Sono un insegnante, non voto più PD”. Questo I tempi dell’approvazione parlamentare sono stretti. Ancor di più, la prossima fine dell’anno scolastico incombe come una chiusura forzata dell’onda mobilitativa. In un contesto in cui la direzione del movimento, nonostante le pressioni dal basso, è ancora saldamente nelle mani delle organizzazioni sindacali maggioritarie e con il rischio della divisione per la capitolazione anche improvvisa delle sue componenti più moderati e burocratiche (CISL scuola, GILDA e SNALS), come successo anche recentemente con la Gelmini. Capitolazioni a cui poi facilmente si accoda anche la FLC, in nome dell’unità sindacale e della difesa del suo programma di maggioranza sulla scuola (non così distante dall’impianto renziano, come appunto indica la piattaforma contrattuale indicativa che abbiamo ricordato prima). Il vero terreno di lotta che rimane, prima della tagliola estiva, è il blocco degli scrutini. ..nel corpo docente rimane diffusa la memoria degli anni ottanta (dei comitati di base e della loro lotta), quando con questo strumento avevano alla fine ottenuto una vera vittoria: l’aumento contrattuale più significativo della storia della categoria, il tetto dei 25 alunni per classe, l’assunzione di 30mila precari. Come terreno concreto di lotta, il blocco degli scrutini, è difficile. Innanzitutto sul piano delle norme. Nel 2010, in occasione di una lotta indetta da Cobas, Unicobas e Gilda, la Commissione di garanzia sul diritto di sciopero ha infatti dichiarato illegittimo il blocco degli scrutini sulla base della Legge 12 giugno 1990, n. 146, che fu imposta proprio sull’onda dell’esperienza dei comitati di base nel corso degli anni ottanta (articolo 1, “l’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione”). La Commissione si è basata anche sul contratto nazionale di lavoro della scuola, siglato il 26 maggio 1999, “gli scioperi proclamati e concomitanti con le giornate nelle quali è prevista l’effettuazione degli scrutini finali non devono differirne la conclusione nei soli casi in cui il compimento dell’attività valutativa sia propedeutico allo svolgimento degli esami conclusivi dei cicli di istruzione. Negli altri casi, i predetti scioperi non devono comunque comportare un differimento delle operazioni di scrutinio superiore a 5 giorni rispetto alla scadenza programmata della conclusione”. Ora, come ha dimostrato la vicenda dei trasporti in diverse realtà e occasioni (Genova, Firenze, Milano, ecc), le norme antisciopero non comportano l’impossibilità di condurre una lotta determinata e prolungata. Il blocco degli scrutini funziona invece in modo diverso: coinvolge i lavoratori e le lavoratrici separatamente ed in tempi diversi (collegio di classe per collegio di classe), su un periodo di diverse settimane, risultando visibile sono nel tempo.
Il blocco degli
scrutini ha una profonda radice nella categoria, raccogliendo consenso e
unità.e porta avanti la lotta contro il DDL continuando lacontrapposizione
radicale con il governo.
Testo stralciato e rivisto da un documento del PCL
– ricevutoa cura dello Slai Cobas per il sindacato di classe
coordinamento nazionale
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