SICUREZZA
SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
NEWSLETTER
N. 213 DEL 08/06/15
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
L’ILLUMINAZIONE
NATURALE E ARTIFICIALE DEGLI AMBIENTI DI LAVORO CON PARTICOLARE RIFERIMENTO
AGLI UFFICI E ALLE POSTAZIONI CON VIDEOTERMINALE – TERZA PARTE
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1
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SICUREZZA
E BENESSERE NELLE SCUOLE
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6
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CASSAZIONE:
IL DATORE DI LAVORO DEVE PREDISPORRE MECCANISMI DI VIGILANZA PER IMPEDIRE CHE
IL LAVORATORE DISATTIVI I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
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8
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LE REGOLE
VITALI PER L’UTILIZZO DEI CARRELLI ELEVATORI
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9
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LE FIGURE
SOGGETTIVE DELLA SICUREZZA
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12
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NORME
TECNICHE: VALORE GIURIDICO E VINCOLATIVITA’
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15
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L’ILLUMINAZIONE NATURALE E ARTIFICIALE DEGLI AMBIENTI
DI LAVORO CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AGLI UFFICI E ALLE POSTAZIONI CON VIDEOTERMINALE
– TERZA PARTE
A
seguito di varie richieste sui requisiti relativi all’illuminazione degli
ambienti di lavoro in generale e delle postazioni con videoterminale in
particolare, ho realizzato la seguente relazione relativa a tutti gli obblighi
di legge finalizzati a tale aspetto.
Come
sempre ho fatto in precedenti occasioni, riporto tale relazione all’interno
della mia Newsletter per rendere edotti tutti coloro che la seguono su quelli
che sono i loro diritti relativamente ai requisiti dell’illuminazione degli
ambienti di lavoro.
Visto
la vastità dell’argomento ho diviso la relazione in tre parti.
La
prima parte (che è stata pubblicata nella Newsletter 211) è relativa a:
-
premessa;
-
normativa
di riferimento.
La
seconda parte (che è stata pubblicata nella Newsletter 212) è relativa a:
-
l’illuminazione: concetti
generali
La
terza parte (che viene pubblicata nella presente Newsletter) è relativa a:
-
requisiti minimi per
l’illuminazione dei luoghi di lavoro;
-
conclusioni.
Marco
Spezia
4. REQUISITI MINIMI PER L’ILLUMINAZIONE DEI
LUOGHI DI LAVORO
Una volta accennato ai concetti fondamentali
legati alla illuminazione dei luoghi di lavoro è necessario indicare quali sono
i requisiti minimi richiesti dalla normativa relativamente alle caratteristiche
dell’illuminazione.
4.1. L’ILLUMINAZIONE NATURALE
I
livelli di prestazione che un edificio deve garantire in termini di
illuminazione naturale nei diversi ambienti vengono principalmente descritti
col fattore medio di luce diurna (FLDM) che rappresenta il rapporto in
percentuale tra l’illuminamento medio dell’ambiente e l’illuminamento che si ha
nelle stesse condizioni di tempo e spazio, su una superficie orizzontale
esterna che riceve luce dall’intera volta celeste, senza irraggiamento solare
diretto.
Circa i
valori ottimali, è da rilevare che il FLDM dipende sia dalla destinazione
generale dell’edificio sia dalla funzione propria dei singoli spazi all’interno
di esso.
Relativamente a tale parametro il Decreto
Ministeriale del 5 luglio 1975 specifica, all’articolo 5 che:
“Tutti i locali degli alloggi, eccettuati
quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani scala e
ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla
destinazione d’uso. Per ciascun locale d’abitazione, l’ampiezza della finestra
deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce
diurna medio non inferiore al 2%”.
Il valore di FLDM può essere calcolato sulla base
dei parametri geometrici dei locali destinati a luoghi di lavoro e delle
condizioni al contorno (dimensioni delle stanze, dimensione e posizione degli
infissi, presenza di ostacoli opachi in prossimità delle finestre, ecc.),
oppure può essere ricavato mediante misure dirette della grandezza
illuminamento all’interno dei luoghi di lavoro e contemporaneamente all’esterno
della stessa, in posizione tale da ricevere luce da tutta la volta celeste, ma
senza irraggiamento diretto.
In
tutti i casi le aperture trasparenti verso l’esterno devono essere tali da
assicurare una adeguata uniformità dell’illuminazione naturale, garantendo
rapporti maggiori di 0,16 tra il fattore di luce diurna puntuale minimo e il
fattore di luce diurna puntuale massimo (punto 7 della norma UNI EN
10840:2007).
4.2 L’ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
L’illuminazione
artificiale è quella prodotta dall’insieme dei corpi illuminanti
intenzionalmente introdotti per lo svolgimento dei compiti visivi richiesti in
un determinato luogo e per compensare la carenza o l’assenza di illuminazione
naturale.
Un
impianto di illuminazione deve perciò essere coerente con le caratteristiche
dell’ambiente (dimensioni, forma, proprietà fotometriche delle superfici
interne, presenza di luce diurna, ecc.), la sua funzione generale (commerciale,
produttiva, sanitaria, ecc.) e i compiti visivi degli utilizzatori.
4.3
ILLUMINAZIONE DI POSTAZIONI DI LAVORO DOTATE DI VIDEOTERMINALI E SIMILI
L’illuminazione per postazioni di
lavoro con videoterminali deve essere idonea a tutti i compiti visivi svolti,
come lettura dallo schermo e di testi stampati, scrivere su carta, lavoro su
tastiera. Per queste aree, i criteri e il sistema di illuminazione devono
essere scelti in funzione delle attività, del tipo di compito e del tipo di
locale.
Lo schermo e, in alcune circostanze,
la tastiera possono determinare riflessioni di luce che provocano abbagliamento
debilitante e molesto. Pertanto, è necessario scegliere gli apparecchi di
illuminazione e la loro posizione in modo da evitarle.
E’ a cura del progettista
determinare le zone di montaggio disturbanti e scegliere apparecchi e
disposizioni che non causino riflessioni disturbanti.
4.4 LAMPADE DA
TAVOLO
E’ possibile
aumentare l’illuminazione dell’area di lavoro utilizzando oltre alla luce
naturale proveniente dalle finestre e alla luce artificiale provenienti da
corpi illuminanti a soffitto o a parete, anche lampade da tavolo per fornire
un’illuminazione addizionale sul piano di lavoro.
Occorre però verificare che le
lampade da tavolo non comportino una mancanza di uniformità di illuminamento
sul piano di lavoro, determinando livelli di illuminamento molto diversi tra i
punti del piano e causando così affaticamento visivo,.
Di tale evenienza occorre tenere
conto mediante misure di uniformità di illuminamento (vedi dopo).
4.5
PARAMETRI TECNICI DI VALUTAZIONE DELLA ADEGUATEZZA DELL’ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
I
requisiti minimi richiesti a un impianto di illuminazione artificiale sono
definiti dalla norma UNI EN 12464–1:2011.
Secondo
tale norma i requisiti minimi richiesti per l’illuminazione artificiale sono
definiti tramite i seguenti parametri:
-
illuminamento medio mantenuto (Ēm);
-
indice unificato di abbagliamento (UGR);
-
uniformità dell’illuminamento (U0)
4.5.1 L’ILLUMINAMENTO MEDIO MANTENUTO
L’illuminamento
e la sua distribuzione sull’area del compito e nell’area circostante ha un grande
impatto sulla velocità, sicurezza e comfort con cui una persona percepisce e
svolge il compito visivo.
Tutti i
valori degli illuminamenti specificati nella norma UNI EN 12464–1:2011 sono
valori cosiddetti mantenuti, e sono idonei a soddisfare le esigenze di comfort
visivo e prestazionali.
Si
definisce illuminamento medio mantenuto (Ēm) quel valore di illuminamento al di
sotto del quale l’illuminamento medio su una specifica superficie non può mai
scendere. Considerato che i provvedimenti legislativi indicano valori di
illuminamento minimi da garantire, nel seguito si farà unicamente riferimento
al parametro Ēm.
I
valori di Ēm, definiti al punto 5 della norma UNI EN 12464–1:2011, sono
illuminamenti mantenuti sulla superficie del compito giacente su un piano di
riferimento che può essere orizzontale, verticale o inclinato. L’illuminamento
medio per ogni compito non dovrà scendere al di sotto del valore fornito nel
punto 5 della norma, indipendentemente dall’età e dalle condizioni
dell’impianto.
I
valori sono validi per condizioni visive normali e tengono conto dei seguenti
fattori:
aspetti
psico-fisiologici, come comfort visivo e benessere;
-
requisiti per i compiti visivi;
-
ergonomia visiva;
-
esperienza pratica;
-
sicurezza;
-
economia.
L’illuminamento
mantenuto deve essere aumentato quando:
-
il compito visivo è critico;
-
gli errori sono costosi da correggere;
-
l’accuratezza o una maggiore produttività sono di
grande importanza;
-
la capacità visiva del lavoratore è minore del
normale;
-
i dettagli visivi hanno dimensioni non usualmente
piccole o basso contrasto;
-
il compito visivo è svolto per un tempo non usualmente
lungo.
L’illuminamento
mantenuto può essere diminuito quando:
-
i dettagli del compito visivo hanno dimensioni non
usualmente grandi o elevato contrasto;
-
il compito è svolto per un tempo non usualmente breve.
4.5.2
ABBAGLIAMENTO
L’abbagliamento
è la sensazione prodotta da superfici brillanti all’interno del campo visivo e
può essere avvertito come abbagliamento molesto o abbagliamento debilitante.
E’
importante limitare l’abbagliamento per evitare errori, affaticamento ed
incidenti.
Nei
luoghi di lavoro interni, l’abbagliamento molesto può essere causato
direttamente da apparecchi di illuminazione brillanti o da finestre.
Se i
limiti all’abbagliamento molesto sono soddisfatti, l’abbagliamento debilitante
di solito non è un problema importante.
Il
livello di abbagliamento molesto prodotto dagli apparecchi di illuminazione di
un impianto per interni si determina attraverso l’indice unificato di
abbagliamento (UGR), calcolato mediante una formula che tiene conto dei
parametri di illuminazione e geometrici dei corpi illuminanti.
Il
valore di UGR di un impianto di illuminazione non deve superare il valore
fornito nel punto 5 della norma UNI EN 12464–1:2011.
4.5.3 UNIFORMITA’ DI ILLUMINAMENTO
La superficie del compito deve
essere illuminata il più uniformemente possibile, onde ridurre al minimo il
passaggio tra ambienti o superfici molto illuminate e altri poco illuminati e
ridurre così l’affaticamento visivo.
Per definire quanto sia uniforme
l’illuminazione degli ambienti di lavoro si utilizza il parametro uniformità di
illuminamento U0 sulla superficie del compito e delle zone
immediatamente circostanti
Tale
parametro è definito come il rapporto fra l’illuminamento minimo e quello
medio, nel locale o nella zona del locale dove si svolge un determinato compito
visivo
Il
valore minimo di U0 è definito al punto 5 della norma UNI EN
12464–1:2011.
4.6 I REQUISITI DELL’ILLUMINAZIONE
SECONDO LA NORMA UNI
EN 12464–1:2011
La
norma UNI EN 12464–1:2011 definisce al punto 5 per i tre parametri sopra richiamati
-
illuminamento medio mantenuto (Ēm);
-
indice unificato di abbagliamento (UGR);
-
uniformità dell’illuminamento (U0);
i
valori di riferimento.
A
seguire sono riportati tali parametri per locali a uso ufficio e per postazioni
con videoterminali e con riferimento ai punti indicati nel punto 5 della norma
citata.
A
seguito delle definizioni e della descrizione sopra data, i valori di Ēm e di U0
devono intendersi come valori minimi, mentre i valori di UGR devono intendersi
come valori massimi.
-
zone di circolazione e corridoi (5.1.1) Ēm (lx):100, UGR:28, U0:0,40;
-
scale, scale mobili, tappeti mobili (5.1.2) Ēm (lx):100, UGR:25, U0:0,40;
-
ascensori, montacarichi (5.1.3) Ēm (lx):100, UGR:25, U0:0,40;
-
mense, dispense (5.2.1) Ēm (lx):200, UGR:22, U0:0,40;
-
locali di riposo (5.2.2) Ēm (lx):100, UGR:22, U0:0,40;
-
guardaroba, gabinetti, bagni, toilette (5.2.4) Ēm (lx):200, UGR:25, U0:0,40;
-
archiviazione, copiatura (5.26.1) Ēm (lx):300, UGR:19, U0:0,40
-
scrittura, dattilografia, lettura, elaborazione dati (5.26.2) Ēm (lx):500, UGR:19, U0:0,60;
-
disegno tecnico (5.26.3) Ēm (lx):750, UGR:16, U0:0,70;
-
postazioni CAD (5.26.4) Ēm (lx):500, UGR:19, U0: 0,60;
-
sale conferenze e riunioni (5.26.5) Ēm (lx):500, UGR:19, U0:0,60;
-
banco della reception (5.26.6) Ēm (lx):300, UGR:22, U0:0,60;
-
archivi (5.26.7) Ēm (lx):200, UGR:25, U0:0,40.
4.7
FATTORE DI MANUTENZIONE
L’impianto di illuminazione deve
essere progettato con un fattore di manutenzione complessivo, calcolato in
funzione dei componenti luminosi scelti, del grado di impolveramento ambientale
e del piano di manutenzione stabilito.
L’illuminamento raccomandato per
ogni compito è dato come illuminamento mantenuto. Il fattore di manutenzione
dipende dalle caratteristiche di manutenzione delle lampade e delle loro
apparecchiature ausiliari di alimentazione, dall’apparecchio di illuminazione,
dall’ambiente e dal piano di manutenzione.
Il progettista deve:
-
dichiarare il
fattore di manutenzione e indicare tutte le assunzioni fatte nel derivarne il valore;
-
specificare le
apparecchiature di illuminazione impiegate per l’ambiente in esame;
-
preparare un
piano di manutenzione esaustivo che indichi la frequenza di sostituzione delle
lampade, gli intervalli di pulizia degli apparecchi di illuminazione e del
locale e i metodi di pulizia.
5. CONCLUSIONI
A seguito di
quanto sopra esposto si può concludere quanto segue.
Una adeguata
illuminazione naturale e artificiale degli ambienti di lavoro e in particolare
delle postazioni con utilizzo di videoterminali è obbligo (sanzionabile)
richiesto al datore di lavoro.
Gli obblighi
generali definiti dal D.Lgs. 81/08 devono essere garantiti in riferimento alle
norme tecniche relative ai parametri e ai requisiti richiesti per
l’illuminazione artificiale e naturale.
La normativa
tecnica definisce parametri misurabili di valutazione dell’adeguatezza dell’illuminamento
relativamente a:
-
illuminazione
naturale: fattore medio di luce diurna (FLDM);
-
intensità della illuminazione ai posti di lavoro:
illuminamento medio mantenuto (Ēm);
-
fenomeni di abbagliamento: indice unificato di
abbagliamento (UGR);
-
uniformità dell’illuminazione tra zone di lavoro
adiacenti: uniformità dell’illuminamento (U0).
Per il
primo parametro (illuminazione naturale) i limiti di riferimento sono definiti
dal Decreto Ministeriale del 5 luglio 1975, per gli
altri tre (illuminazione artificiale) i limiti di riferimento sono
definiti dalla norma tecnica UNI EN 12464–1:2011.
I
valori di riferimento per l’illuminazione naturale devono essere garantiti da
un’adeguata progettazione delle superfici vetrate (finestre, lucernari) e da
una adeguata manutenzione delle stesse (pulizia periodica).
I
valori di riferimento per l’illuminazione artificiale devono essere garantiti
da un’adeguata progettazione illuminotecnica dei corpi illuminanti (numero,
disposizione, potenza delle lampade, schermature, ecc.) e da una adeguata
manutenzione degli stessi (pulizia periodica, sostituzione delle lampade).
Per
quanto riguarda l’illuminazione artificiale dei piani di lavoro adibiti a
postazione con videoterminale i parametri richiesti dalla norma citata sono:
-
illuminamento medio mantenuto: Ēm > 500;
-
indice unificato di abbagliamento: UGR < 49;
-
uniformità dell’illuminamento: U0 >
0,60.
Tali
parametri devono essere garantiti dal datore di lavoro nell’ambito dei citati
obblighi di cui al D.Lgs. 81/08.
La
formalizzazione del rispetto di tali parametri deve avvenire all’interno del
Documento di Valutazione dei Rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori
(articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29), mediante specifica relazione
tecnica di verifica del rispetto delle caratteristiche di illuminazione solare
e artificiale, con riferimento alle norme tecniche applicabili.
SICUREZZA E BENESSERE NELLE SCUOLE
Da Portale
Consulenti
“Sicurezza e
Benessere nelle scuole”: pubblicazione realizzata da INAIL Consulenza Tecnica
Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP).
Lo studio,
realizzato dai professionisti INAIL della CONTARP centrale, prende spunto dal
protocollo d’intesa stipulato tra INAIL e Ministero della Istruzione
dell’Università e della Ricerca nel 2007 e finalizzato a implementare le
conoscenze sui fattori di rischio e di comfort negli ambienti scolastici.
Edizione
2015
Pubblicazione
realizzata da INAIL
Consulenza
Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP)
Autori:
Raffaella
Giovinazzo, Emma Incocciati, Francesco Nappi, Roberto Piccioni, Diego Rughi -
Direzione Generale CONTARP
Silvia
Amatucci, Federica Cipolloni - Consulenza Statistico Attuariale
Francesco De
Matteis - Libero professionista
Fotografie:
Roberto
Piccioni, Francesco Nappi, Francesco De Matteis
Il settore
della scuola rappresenta una realtà particolarmente significativa della società
odierna.
L’innegabile
valore intrinseco dell’educazione, strumento principale per la preparazione dei
giovani al loro l’inserimento nella società e in particolare nel mondo del
lavoro, rende necessario fornire agli studenti le risorse più adeguate e
aggiornate ai fini della loro realizzazione sociale.
La
popolazione studentesca, riferita a ogni ordine e grado, rappresenta una
percentuale cospicua dell’intero paese; nell’anno 2012 il numero totale degli
studenti delle scuole (pubbliche e private), da quelle dell’infanzia a quelle
di istruzione secondaria superiore, era pari a 8.961.159.
Va inoltre
considerata la forza lavoro che opera in questo specifico settore che, in
riferimento al corpo docente ed escludendo il personale amministrativo, assomma
a 765.818 unità per la sola scuola pubblica .
Gli aspetti
connessi all’igiene e alla sicurezza sul lavoro assumono rilevanza anche in
ambito scolastico.
In primo
luogo va sottolineata l’importanza di formare su questa specifica disciplina
una popolazione scolastica particolarmente numerosa: preparare gli studenti,
ovvero i lavoratori del domani, ad affrontare tali aspetti rappresenta un
sicuro investimento sul futuro e quindi un efficace strumento di prevenzione.
La
promozione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro implica, inoltre,
l’adozione di comportamenti consapevoli della rischiosità degli ambienti di
lavoro e, in tale contesto, la cultura della prevenzione va sviluppata a
partire da conoscenze e comportamenti virtuosi che devono essere acquisiti già
in età scolare.
Particolare
attenzione va poi rivolta alle caratteristiche strutturali degli edifici
scolastici, che rappresentano una parte rilevante del patrimonio immobiliare
nazionale, non sempre rispondenti o adeguabili alle attuali norme sulla
sicurezza.
Oltre a
dover rispondere ai requisiti di sicurezza previsti per legge, gli ambienti
scolastici devono garantire ulteriori requisiti di comfort, necessari per
rendere quanto più possibile efficaci le attività di insegnamento e di
apprendimento.
Per queste
considerazioni preliminari il primo livello di formazione sui temi della
sicurezza, quello di più facile accesso per gli studenti, è rappresentato dalla
conoscenza diretta dei rischi relativi al proprio ambiente scolastico.
Tale bisogno
formativo va ad aggiungersi a quello sancito dal D.Lgs. 81/08, a beneficio dei
lavoratori e delle figure professionali direttamente coinvolte nelle attività
del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) aziendale.
Proprio
riguardo lo stato delle conoscenze sui rischi negli ambienti scolastici, va
sottolineato che i dati sulle condizioni di igiene e sicurezza, disponibili a
livello nazionale, risultano piuttosto scarsi; inoltre limitati sono gli studi
e le indagini realizzati negli ultimi anni in questo settore. Non esiste al
momento un quadro esaustivo che possa descrivere la situazione nella sua globalità.
Uno dei
motivi alla base di tale carenza può essere collegato anche al fatto che
l’INAIL assicura solo “gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di
istruzione di qualsiasi ordine e grado, anche privati, che attendano ad esperienze
tecnico-scientifiche o esercitazioni pratiche o che svolgano esercitazioni di
lavoro”. Pertanto non vi sono riscontri adeguati sulle malattie e sugli
infortuni verificatisi in ambito scolastico, né tantomeno sulla loro
eziopatogenesi.
Questa
scarsa conoscenza non consente quindi la pianificazione e l’adozione di
interventi di tipo preventivo per eliminare o quantomeno ridurre la casistica
connessa ai suddetti fenomeni.
Alla luce di
quanto sopra è evidente l’importanza di accrescere le conoscenze sui rischi
presenti negli ambienti scolastici, al fine di avere un quadro globale il più
esauriente possibile. Ciò rappresenta il passaggio propedeutico alla
realizzazione di un’efficace attività di prevenzione che dovrà tener conto
della priorità degli interventi da attuare e delle risorse economiche disponibili.
Il documento
“Sicurezza e Benessere nelle scuole” realizzato da INAIL CONTARP è scaricabile
all’indirizzo:
CASSAZIONE: IL
DATORE DI LAVORO DEVE PREDISPORRE MECCANISMI DI VIGILANZA PER IMPEDIRE CHE IL
LAVORATORE DISATTIVI I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
Da
Studio Cataldi
di
Licia Albertazzi
INFORTUNI
SUL LAVORO: CASSAZIONE, LA
RESPONSABILITA’ CONCORRENTE DI DATORE E LAVORATORE
IL
DATORE DEVE PREDISPORRE MECCANISMI DI VIGILANZA PER IMPEDIRE CHE IL LAVORATORE
DISATTIVI I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
Secondo
la Corte di
Cassazione Civile (Sezione Lavoro, Sentenza n. 10465 del 21 Maggio 2015) il
datore di lavoro e lavoratore sono corresponsabili in caso di infortunio sul
lavoro di quest’ultimo, se è accertato che i dispositivi di protezione vengono
regolarmente disattivati e il datore non ha predisposto alcun meccanismo di
vigilanza atto ad impedire tale prassi.
Nel
caso di specie, dopo che la sua domanda è stata rigettata nei gradi di merito,
propone ricorso il lavoratore dopo che la propria mano destra, durante i
consueti lavori di pulizia dei macchinari, è rimasta schiacciata sotto un rullo
di stampa, mentre tentava di recuperare uno straccio rimasto incastrato.
La Corte di merito ha stabilito
le rispettive responsabilità dei due soggetti in maniera concorrente; riguardo
all’onere della prova “compete al lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa
dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza necessarie a
evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della
violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una
responsabilità per colpa di una responsabilità oggettiva”.
A
prescindere dalla circostanza che il datore di lavoro, non avrebbe, ad esempio,
adibito specifico personale alla sorveglianza dei locali, è tuttavia innegabile
che, agendo sui meccanismi di sicurezza, disattivandoli, il lavoratore si è
posto egli stesso nella condizione di pericolo sfociata poi nell’infortunio.
Il
ricorso è rigettato.
Vai
al testo della sentenza 10465/2015
LE REGOLE VITALI PER L’UTILIZZO DEI
CARRELLI ELEVATORI
Da:
PuntoSicuro
26 maggio
2015
di Tiziano
Menduto
Raccolte da
SUVA le nove regole vitali di sicurezza per l’utilizzo dei carrelli elevatori.
Focus sui sistemi di ritenuta, valutazione e posizionamento del carico, marcia
in curva, forche, visibilità, regole di guida, percorsi in pendenza e in
discesa.
Le raccolte
di “regole vitali” per la prevenzione nel mondo del lavoro, elaborate in
Svizzera dall’Istituto per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni
(SUVA) e correlate alla campagna “Visione 250 vite”, si rivolgono con un
linguaggio chiaro e diretto sia ai lavoratori che ai superiori e si
accompagnano a vademecum che forniscono precise informazioni su come preparare
per ciascuna regola una mini-lezione.
Tra le varie
raccolte elaborate negli anni (metalcostruttori, autotrasportatori, attività di
stoccaggio, elettricisti, attività edili, ecc.) non poteva mancare una raccolta
dedicata alla sicurezza di una delle attrezzature di lavoro più utilizzata e,
purtroppo, spesso associata a infortuni mortali e gravi: il carrello elevatore.
Il documento
“Nove regole vitali per l’utilizzo di carrelli elevatori. Vademecum”,
realizzato nel febbraio 2015 da SUVA in collaborazione con le associazioni del
settore logistica e trasporti e con le scuole per carrellisti, riporta e
approfondisce le nove regole vitali.
Prima regola
“Guidiamo i carrelli elevatori solo se siamo stati autorizzati”
Lavoratore:
“guido il carrello elevatore solo se sono stato formato, istruito e incaricato
dal mio superiore”
Superiore:
“autorizzo a manovrare carrelli elevatori solo persone in possesso di apposita
formazione; affido gli incarichi in maniera chiara, istruendo i lavoratori
sulle regole di sicurezza dell’azienda”
Seconda
regola “Utilizziamo i carrelli elevatori conformemente alle istruzioni”
Lavoratore:
“applico in maniera coerente quello che ho imparato durante la formazione di carrellista”
Superiore:
“verifico se i carrelli elevatori vengono utilizzati conformemente alle
istruzioni; non tollero le imprudenze”
Terza regola
“Guidiamo con prudenza”
Lavoratore:
“guido il carrello elevatore solo se ho piena visibilità; adeguo la velocità di
marcia alle condizioni del luogo; do la precedenza ai pedoni”
Superiore:
“sorveglio lo stile di guida dei carrellisti, non tollero le imprudenze”
Quarta
regola “Utilizziamo vie di circolazione sicure”
Lavoratore:
“utilizzo solo le vie di circolazione riservate ai carrelli elevatori; elimino
le anomalie immediatamente oppure avviso il mio superiore”
Superiore:
“stabilisco su quali vie di circolazione possono transitare i carrelli
elevatori; ne verifico regolarmente la sicurezza e predispongo i miglioramenti
necessari”
Quinta
regola “Mettiamo in sicurezza il carico”
Lavoratore:
“prima di sollevare il carico, verifico sempre che sia adeguatamente messo in
sicurezza”
Superiore:
“stabilisco regole precise su come mettere in sicurezza i carichi durante il
trasporto, verificando se tali regole vengono rispettate”
Sesta regola
“Stocchiamo in sicurezza il carico”
Lavoratore:
“prima di depositare il carico, verifico se l’area di deposito è adeguata; mi
attengo al piano di immagazzinamento dell’azienda”
Superiore:
“stabilisco regole precise su come stoccare le merci in azienda, controllando
regolarmente se queste regole vengono rispettate”
Settima
regola “Controlliamo regolarmente i nostri carrelli elevatori”
Lavoratore:
“prima di iniziare il lavoro, controllo il carrello elevatore e lo utilizzo
solo se è in perfetto stato; segnalo eventuali anomalie al mio superiore”
Superiore:
“provvedo affinché le anomalie vengano eliminate; faccio in modo che i carrelli
elevatori vengano sottoposti a regolare controllo e manutenzione a opera di uno
specialista”
Ottava
regola “Non tolleriamo soluzioni improvvisate”
Lavoratore:
“lavoro solo con attrezzature adeguate”
Superiore:
“metto a disposizione attrezzature di lavoro adeguate; intervengo subito in
caso di soluzioni improvvisate”
Nona regola
“Utilizziamo i dispositivi di protezione individuale”
Lavoratore:
“utilizzo i dispositivi di protezione individuale secondo le istruzioni”
Superiore:
“mi assicuro che i lavoratori ricevano e utilizzino i dispositivi di protezione
individuale necessari; ovviamente, questo vale anche per me”
Riprendiamo,
per concludere, alcune indicazioni di SUVA per l’utilizzo in sicurezza dei
carrelli:
-
utilizzo del
carrello elevatore (nella cabina di guida il conducente è protetto): manovrare
i carrelli elevatori solo dal posto di guida; tutte le parti del corpo devono
trovarsi all’interno della cabina di guida;
-
impiego di
sistemi di ritenuta: nel caso in cui il carrello si ribalti, se il conducente
non è protetto, capita di frequente che venga sbalzato fuori dal veicolo e
rimanga incastrato sotto il tettuccio di protezione; di conseguenza, è
necessario impiegare sempre i sistemi di ritenuta (anche per brevi tragitti):
cinture di sicurezza, staffa di ritenuta, porte della cabina;
-
valutazione
del carico (in caso di sovraccarico, il carrello elevatore può ribaltarsi):
verificare la portata del carrello elevatore (diagramma di carico); ridurre al
minimo possibile la distanza del baricentro;
-
posizionamento
del carico (se il carico non è posizionato correttamente, può cadere): posizionarlo
il più vicino possibile al dorso forche e inclinare all’indietro il montante;
distanza e lunghezza delle forche devono essere adeguate;
-
rampe di
carico (per operazioni di carico su veicoli, è necessario prestare particolare
attenzione): non superare la portata della passerella o della piattaforma
elevatrice dell’autocarro; fissare le passerelle per evitare spostamenti
accidentali;
-
marcia in
curva (se si affronta una curva a velocità sostenuta, il carrello elevatore può
ribaltarsi): guidare sempre adagio in curva; frenare e accelerare con prudenza;
-
posizione
delle forche durante la marcia (se durante la marcia le forche sono sollevate,
c’è il rischio che il carrello elevatore possa ribaltarsi): mai sterzare con il
carico sollevato; tenere sempre abbassati il carico o le forche vuote (la
distanza dal suolo dipende dalle condizioni dello stesso; di solito è pari a 15
cm); marcia con carico: inclinare all’indietro il montante; marcia senza
carico: posizionare il montante in verticale;
-
visibilità
(in caso di visibilità insufficiente lungo il percorso del carrello elevatore,
c’è un rischio di collisione): prima di innestare la retromarcia, guardare
sempre indietro; se la visuale è impedita, innestare la retromarcia e/o
chiedere l’aiuto di una seconda persona;
-
salite e
pendenze (nel percorrere rampe o superfici in pendenza, c’è il rischio che il
carico cada e/o che il carrello elevatore si ribalti): trasportare il carico
sempre nel senso della salita; percorrere solo rampe pulite e non
sdrucciolevoli; sulle rampe è vietato sterzare e procedere in diagonale;
-
guida
(evitare di distrarsi durante la marcia): concentrarsi sul percorso e non
eseguire altre attività alla guida; non telefonare (eccezione: comunicazione
per motivi di lavoro con vivavoce);
-
non portare
a bordo oggetti sfusi: documenti, lettori a barre, utensili, ecc. possono
essere portati a bordo solo se riposti nelle apposite sedi;
-
utilizzare
il carrello elevatore solo se il conducente è in grado di guidare; vietato
l’uso di alcol e droghe; qualora non ci si senta in grado di guidare, avvertire
il superiore;
-
parcheggio
(i carrelli elevatori possono rappresentare un pericolo anche dopo il loro impiego):
parcheggiare il carrello elevatore in modo che non sia di ostacolo (non
parcheggiarlo davanti a passaggi, abbassare le forche a livello del suolo);
parcheggiare il carrello elevatore su una superficie piana; prima di
allontanarsi, azionare il freno a mano e togliere la chiavetta di accensione;
per i carrelli elevatori elettrici, azionare l’interruttore di emergenza; per i
carrelli elevatori a gas, chiudere la valvola del gas;
-
discesa (non
saltare giù dal veicolo!): scendere all’indietro; servirsi di pedane e
maniglie.
Segnaliamo
che in Italia il carrello elevatore semovente con conducente a bordo è tra le
attrezzature di lavoro per le quali l’Accordo Stato-Regioni inerente le
attrezzature di lavoro, pubblicato il 22 febbraio 2012, richiede una specifica
abilitazione degli operatori.
Ricordiamo
che i riferimenti legislativi contenuti nei documenti di SUVA riguardano la
realtà elvetica. Tuttavia i suggerimenti indicati rimangono di utilità per
tutti i lavoratori.
Il documento
di SUVA “Nove regole vitali per l’utilizzo di carrelli elevatori”, edizione
febbraio 2015 è scaricabile all’indirizzo:
Il documento
di SUVA “Nove regole vitali per l’utilizzo di carrelli elevatori. Vademecum”,
edizione febbraio 2015 è scaricabile all’indirizzo:
LE FIGURE SOGGETTIVE DELLA SICUREZZA
Da:
PuntoSicuro
28 maggio
2015
I soggetti
obbligati alla sicurezza: datore di lavoro, dirigente, preposto, lavoratore
(articoli 17, 18, 19, 20 del D.Lgs. 81/08).
Pubblichiamo
un estratto dell’approfondimento monografico sul tema degli infortuni sul
lavoro “La colpa negli infortuni sul lavoro” apparso sul Bollettino del marzo
2015 delle Camera penale veneziana “Antonio Pognici”, per il sito internet www.camerapenaleveneziana.it.
L’evoluzione
della normativa in Italia in materia di salute e sicurezza sul lavoro comincia
con l’articolo 2087 del Codice Civile “Tutela delle condizioni di lavoro”, oggi
considerata norma “di chiusura”; passa per il D.Lgs 626/94 e seguenti modifiche
e integrazioni che, in recepimento della legislazione comunitaria “sociale”,
impone un nuovo approccio alla sicurezza, mediante una maggiore attenzione alle
risorse umane, alla loro formazione e organizzazione; e arriva all’attuale
Testo Unico, D.Lgs. 81/08 e seguenti modifiche e integrazioni, che si applica a
tutti i settori di attività, privati e pubblici.
Gli
strumenti per la sicurezza hanno una natura oggettiva (risorse tecnologiche) e
una soggettiva (risorse umane).
Approfondendo
la sicurezza dal punto di vista soggettivo, possiamo affermare che il Testo Unico
è strutturato su un modello quadripartito di soggetti obbligati alla sicurezza:
datore di lavoro, dirigente, preposto, lavoratore (articoli 17, 18, 19, 20).
Per
trasformare la sicurezza da concetto astratto a realtà in qualsiasi luogo di
lavoro, il legislatore non ha ritenuto, appunto, più sufficiente nominare dei
soggetti responsabili, ma ha obbligato uno di loro (datore di lavoro) a
effettuare una formale valutazione dei rischi e a compilare un vero e proprio
atto, da aggiornare ogni anno con la collaborazione dei Rappresentanti dei
Lavoratori per la Sicurezza.
La prima e
fondamentale figura del sistema sicurezza è, quindi, quella del datore di
lavoro: colui che è soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore
o in altri termini chi ha la responsabilità dell’impresa stessa in quanto
esercita i poteri decisionali e di spesa. Tale ampia definizione fa sì che vi
si possa ricomprendere all’interno anche la figura del committente, in quanto
soggetto che comunemente concepisce e finanzia l’opera.
Nelle
Pubbliche Amministrazioni, per datore di lavoro s’intende il dirigente al quale
spettano i poteri di gestione ovvero il funzionario non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto a un ufficio
avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole
Pubbliche Amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale
degli uffici nei quali viene svolta l’attività.
In caso di
omessa individuazione o di individuazione non conforme ai criteri sopra
indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo.
Al datore di
lavoro spetta l’organizzazione della prevenzione e delle misure di gestione
dell’emergenza.
E’ ammessa
la delega con eccezione della valutazione dei rischi e della designazione del responsabile
del servizio di prevenzione e protezione.
Il datore di
lavoro, infatti, deve fornire al servizio di prevenzione e protezione e al
medico competente informazioni in merito alla natura dei rischi;
all’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure
preventive e protettive; la descrizione degli impianti e dei processi
produttivi; i dati relativi agli infortuni e quelli relativi alle malattie
professionali; i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza.
Si precisa
che gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione
necessari per assicurare, ai sensi del Testo Unico, la sicurezza dei locali e
degli edifici assegnati in uso a Pubbliche Amministrazioni o a Pubblici Uffici,
ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico
dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura
e manutenzione.
In tal caso
gli obblighi previsti dal Decreto Legislativo di cui ci si occupa,
relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei
dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la mera richiesta
del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne abbia
l’obbligo giuridico.
Si
evidenzia, inoltre, che a ragione delle peculiari attività (esempi di
particolari ambienti o datori di lavori sono le forze armate, i vigili del
fuoco, il volontariato, le piccole e medie imprese agricole). svolte sono
previste semplificazioni in tema di adempimenti informativi, formativi e
sorveglianza sanitaria o correttivi, che sono fissati in sede amministrativa.
Il dirigente
è colui che attua le direttive del datore di lavoro, assomma in sé poteri,
funzioni e responsabilità tali da poter esser definito l’alter ego del datore
di lavoro.
Il dirigente
ai fini della sicurezza non deve essere confuso con l’omonima posizione
contrattuale. Egli è un lavoratore subordinato, che ricopre un ruolo
decisionale, organizzativo e direttivo.
L’effettività
del ruolo prevale sull’inquadramento contrattuale.
Si
identifica in virtù di delega conferita dal datore di lavoro.
Il preposto
è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive senza il
potere/obbligo di predisporre mezzi e strutture.
Egli non
assume una specifica posizione di garanzia (né esclusiva, né concorrente con il
datore di lavoro), bensì un ruolo ausiliario rispetto al datore di lavoro, con
l’obbligo di segnalargli tempestivamente sia le deficienze dei mezzi, delle
attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni
altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali
venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta.
Si
identifica in virtù di delega conferita dal datore di lavoro.
Il
lavoratore è colui che (indipendentemente dalla tipologia contrattuale) svolge
un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro,
con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte
o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Ogni
lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella
delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti
delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle
istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. (articolo 20 del Testo
Unico).
L’informazione
e la formazione sono i principali diritti riconosciuti ai lavoratori.
L’informazione
concerne essenzialmente i rischi connessi all’attività, le procedure di primo
soccorso, la lotta antincendio ed l’evacuazione.
La
formazione (che deve essere sufficiente e adeguata) riguarda, invece, i
concetti generali di rischio, danno, prevenzione e protezione, nonché i rischi
specifici riferiti alle mansioni e ai possibili danni all’azienda.
Si evidenzia
che per la giurisprudenza, in sede di valutazione delle responsabilità
penalmente rilevanti, una condotta abnorme prevale sulla mancanza di formazione
ed informazione.
Va
segnalato, infine, che al lavoratore è riconosciuto il diritto all’abbandono
del posto di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, che non può essere
evitato. Se nell’impossibilità di contattare il superiore competente, il
lavoratore prendesse misure per evitare le conseguenze del pericolo, egli non
potrebbe subirne pregiudizio a meno che non avesse commesso una grave
negligenza.
Queste definizioni
di carattere generale risentono delle precisazioni legate ai vari settori di
attività o alla concreta organizzazione aziendale.
Il punto
nodale in un processo penale per lesioni o morte sul lavoro, pertanto, è quello
di comprendere come si articoli la posizione di garanzia in capo a ogni
soggetto.
Risolutiva
in tal senso è la recente Sentenza di Cassazione Penale, Sezione IV n. 37738
del 13 settembre 2013, la quale si pone l’obiettivo di fare un vero e proprio
“punto della situazione” nella materia del sistema prevenzionistico in vigore.
La decisione
giurisprudenziale sopracitata è apprezzabile proprio perché si preoccupa di
rivisitare il classico inquadramento dei reati commissivi mediante omissione.
Per questa
via, il relatore affronta l’analisi critica della causalità condizionalistica
(equivalenza casuale) non curandosi affatto di attaccarla ferocemente, perché
foriera di una forza espansiva (cioè, di una moltiplicazione delle imputazioni)
capace di coinvolgere una vastità di soggetti da considerarsi, oggi, obsoleta.
Si critica
la causalità adeguata, la causa efficiente, la causalità umana e la teoria del
rischio: tutte definizioni che abbiamo studiato nei nostri testi universitari e
che hanno, come comune denominatore, il tentativo di separare la sfera di
responsabilità, affinché l’illecito possa attribuirsi, come si conviene in un
sistema penale costituzionalmente orientato, solo a colui che ne sia
effettivamente l’autore.
Fondamentale
è, in quest’ottica, l’affermazione della Suprema Corte: “La diversità dei
rischi separa le sfere di responsabilità”.
Ne discende
che il rischio designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di garanzia.
Pertanto, il
buon avvocato deve preoccuparsi di individuare il rischio gestito dal suo
assistito onde verificare, come sopra accennato, la percepibilità da parte di
questi, di segnali di allarme nell’ambito della gestione di un lavoro di
equipe, connotato dal necessario affidamento nel buon lavoro altrui.
E’ utopia
credere che la sfera di responsabilità di ciascuno possa essere delineata
rigidamente, ma non per questo si deve pensare che non sia di fondamentale
importanza delineare ruoli, competenze e poteri in fase progettuale ed
esecutiva.
Non vi è
alcuna automaticità quando si parla di responsabilità. Il concetto è stato
ribadito anche recentemente dalla Suprema Corte con la Sentenza n. 42309 del
2014: in caso di infortunio del lavoratore interinale, va verificato nel caso
concreto quale sia la ripartizione degli obblighi di sicurezza in caso di
lavoro somministrato, non potendosi affermare in via “automatica” che gravino
sul personale direttivo dell’agenzia del lavoro.
La Sentenza
della Cassazione Penale, Sezione IV n. 42309 del 10 ottobre 2014 “Clausola contrattuale
che trasferisce tutti gli obblighi antinfortunistici gravanti sul datore di
lavoro all’impresa utilizzatrice” è consultabile all’indirizzo:
NORME TECNICHE: VALORE GIURIDICO E
VINCOLATIVITA’
Da:
PuntoSicuro
29 maggio
2015
di Anna
Guardavilla
Le norme
tecniche, definite non obbligatorie dal Testo Unico, sono volontarie sempre e
comunque? I diversi “gradi” di vincolatività delle norme tecniche nei diversi
casi: dalla volontarietà all’obbligatorietà.
Gli
operatori del settore della prevenzione sui luoghi di lavoro si trovano
costantemente a doversi confrontare con le norme tecniche ( norme dell’UNI, del
CEI, del CENELEC, ecc.).
Il testo
unico di salute e sicurezza sul lavoro fornisce ormai, a partire dal 2008, una
definizione di “norma tecnica” (oltre che di buone prassi e di linee guida),
dalla quale si desumono i tre elementi che qualificano tale fonte:
è una
“specifica tecnica”;
deve essere
stata “approvata e pubblicata da un’organizzazione internazionale, da un organismo
europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione”;
è
qualificata come una fonte “la cui osservanza non sia obbligatoria” (articolo
2, comma 1, lettera u) del D.Lgs.81/08).
L’osservanza
delle norme tecniche è dunque non obbligatoria per espressa dichiarazione del
legislatore, il quale identifica di conseguenza nella volontarietà la “natura”
di queste fonti.
Tutto ciò
vale laddove le norme tecniche vengano considerate isolatamente.
Ma quando le
si guarda alla luce del complesso delle norme presenti nell’ordinamento,
occorre fare delle distinzioni.
Infatti, in
una prospettiva più generale, è importante tenere presente che le norme non
sono delle monadi isolate all’interno dell’ordinamento giuridico ma si
condizionano a vicenda, esercitando un’influenza le une sulle altre sulla base
del loro ambito applicativo ovvero della loro sfera di influenza, un po’ come i
pianeti all’interno del sistema solare.
Per cui vi
sono alcuni casi in cui la mancata applicazione di una norma tecnica può essere
legittimamente contestata a un soggetto sotto il profilo omissivo in quanto
l’applicazione della stessa acquisisce una valenza obbligatoria, proprio in
virtù della presenza all’interno dell’ordinamento di norme giuridiche che
fungono da fonte, diretta o indiretta, esplicita o implicita, di tale
obbligatorietà.
IL PRIMO
CASO: IL RINVIO FORMALE ALLA NORMA TECNICA DA PARTE DI UNA NORMA COGENTE
Il primo e
più evidente caso in cui l’applicazione della norma tecnica, pur avendo una
natura volontaria, diviene obbligatoria in virtù dell’influenza di una o più
norme giuridiche sulle norme tecniche, si ha quando una norma cogente ne
richiama l’applicazione in via obbligatoria, recependola.
Gli esempi,
dentro e fuori il D.Lgs.81/08, si sprecano.
Il rinvio, a
seconda dei casi, può essere indirizzato a una specifica norma tecnica (o a più
norme tecniche i cui riferimenti sono specificati nel dettaglio) o, più in
generale, alle norme tecniche di un certo settore.
Un esempio
di quest’ultimo caso può essere tratto dall’articolo 71, comma 8 del
D.Lgs.81/08 (obblighi del datore di lavoro in materia di attrezzature di
lavoro) come modificato dal Decreto correttivo nel 2009: la relazione di
accompagnamento al D.Lgs.106/09 specificava che tale comma veniva modificato
“imponendo al datore di lavoro di considerare, nell’adempimento dell’obbligo in
parola, i documenti indicati o le indicazioni derivanti da norme tecniche,
buone prassi o linee guida assicurando un migliore livello di tutela.”
La ratio di
tale modifica normativa era rappresentata, dunque, secondo il legislatore,
dall’esigenza di elevare i livelli di tutela.
In caso di
rinvio formale da parte della norma giuridica, la norma tecnica (o meglio la
sua osservanza) acquisisce la natura vincolante della norma cogente che la
richiama e, nel caso quest’ultima sia sanzionata penalmente o in via
amministrativa, la mancata osservanza della norma tecnica determinerà
l’attribuzione di tale sanzione.
Un esempio
giurisprudenziale chiarisce questo aspetto.
In un caso
in cui, come raramente accade, è stato riconosciuto il comportamento
imprevedibile ed esorbitante dal processo produttivo del lavoratore, tale da
liberare interamente da responsabilità i due imputati (dirigente e preposto),
il Tribunale, nell’operare “una ricognizione della normativa applicabile in
materia di prevenzione e sicurezza dal rischio elettrico”, ha definito questa
ricognizione un “compito questo sicuramente non agevole attesa la stratificazione
di interventi legislativi verificatasi in anni recenti (si pensi alla rapida
successione del D.Lgs.81/08 e del cosiddetto “correttivo” D.Lgs.106/09) e in
considerazione dell’interferenza sui precetti legali delle norme tecniche
emanate dal Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI), più volte richiamate dalla
legge a integrare la disciplina statuale attraverso lo strumento del “rinvio
formale” a quella particolare fonte di produzione normativa”.
In
particolare, “secondo il Giudicante, tali rinvii hanno comportato la novazione
del significato stesso di “norma tecnica” quale definito un tempo dall’articolo
2 della Legge 186/68 (secondo il quale si dovevano considerare costruiti a
regola d’arte “i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni
e gli impianti elettrici realizzati secondo le norme del comitato elettrotecnico
italiano”), e ora dall’articolo 2, comma 1, lettera u) del D.Lgs.81/08 (che la
definisce come una “specifica tecnica [...] la cui osservanza non sia
obbligatoria”), facendo divenire vincolanti quei precetti di buona tecnica che
fino ad ieri venivano considerati solo opzionali (si vedano infatti, in questo
senso, le Sentenze della Corte di Cassazione Penale n. 7253 del 30/03/81 e n.
1542 del 24/10/84)”. (Sentenza n. 776 del 22 aprile 2014 del Tribunale di Pisa,
Sezione Penale).
Ovviamente
la “novazione del significato” di norma tecnica di cui parla la Sntenza vale non in
termini assoluti ma, come specificato dalla pronuncia stessa, nel caso in cui
sussistano i “rinvii formali” di cui si è detto da parte della norma cogente.
IL SECONDO
CASO: LE NORME TECNICHE QUALE CONTENUTO DEL RINVIO ALLA “TECNICA” OPERATO
DALL’ARTICOLO 2087 DEL CODICE CIVILE
Partendo dal
presupposto per cui le norme tecniche riproducono il cosiddetto “stato dell’arte”,
esse possono essere considerate delle fonti la cui applicazione contribuisce a
realizzare la cosiddetta massima sicurezza tecnologicamente fattibile imposta,
in via obbligatoria, dall’articolo 2087 del Codice Civile.
Infatti,
come ricorda la giurisprudenza, “il datore, per tutelare l’integrità
psico-fisica del prestatore, ha l’obbligo ex articolo 2087 Codice Civile di
predisporre le cautele necessarie secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica: poiché la responsabilità oggettiva del datore non è
configurabile, l’adempimento datoriale è da valutare sulla base delle regole di
esperienza e la ragionevole prevedibilità degli eventi” (Sentenza della Corte
di Cassazione Civile n. 181072 del 01 luglio 2008).
Ma come si
fa a riempire di significato le espressioni generali utilizzate dall’articolo
2087 del Codice Civile, una disposizione cogente che prevede un vero e proprio
obbligo la cui violazione può andare a rappresentare titolo di colpa specifica
in sede penale (colpa specifica quale inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini o discipline ex articolo 43 del Codice Penale)?
E qual è il
collegamento tra l’articolo 2087 del Codice Civile e le norme tecniche?
La risposta
ci viene fornita dalla sentenza di primo grado sul caso Thyssen-Krupp
(Tribunale di Torino, Corte d’Assise, Sentenza del 15 aprile 2011), che, di
fronte alle argomentazioni della difesa che lamentava le difficoltà legate al
dare adempimento all’obbligo previsto dall’articolo 2087 del Codice Civile,
dapprima premette che “la Corte
non ignora una ipotizzabile difficoltà, per il datore di lavoro, di conoscere
effettivamente come comportarsi [...] a fronte di un dovere generale di
solidarietà e di una espressione di ampio contenuto quale quella di cui
all’articolo 2087 del Codice Civile […]”.
Ma poi
aggiunge che “il dovere generale di tutela, derivante dalla Costituzione e
dall’articolo 2087 del Codice Civile, funge da elementare (ma altrettanto
fondamentale) criterio interpretativo per tutta la legislazione in materia di sicurezza
e di salute dei lavoratori, a cominciare dal D.Lgs.626/94 e fino al
D.Lgs.81/08) (vedi nelle prioritarie enunciazioni [...] “misure generali di
tutela”), passando per i Decreti Ministeriali, per giungere alle norme
“tecniche”, le quali ultime, riproducendo lo “stato dell’arte” (nel nostro
caso, relativo alla materia di prevenzione antincendio), costituiscono il
“contenuto” preciso del rinvio alla “tecnica” e alle “conoscenze acquisite in
base al progresso tecnico” come indicate all’articolo 2087 del Codice Civile e
all’articolo 3 del D.Lgs.626/94 [ora articolo 15 comma 1, lettera c) del
D.Lgs.81/08]”.
Dunque
(secondo la Sentenza
torinese) le norme tecniche, riproducendo lo “stato dell’arte”, costituiscono
il “contenuto” preciso del rinvio alla “tecnica” operato dall’articolo 2087 del
Codice Civile, quale norma di chiusura del sistema prevenzionistico, ed anche
(per un principio di continuità normativa con l’articolo 3 del D.Lgs.626/94)
del rinvio che l’attuale articolo 15 del D.Lgs.81/08 (“misure generali di
tutela”) fa alle “conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” allorché
tale norma impone “l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro
riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso
tecnico” (ai sensi dell’articolo 15, comma 1, lettera c) del D.Lgs.81/08).
E, da questa
pronuncia, si desume come (allorché ci si trovi a ragionare sulla prevedibilità
o meno di un evento e quindi in ordine alle responsabilità di chi era tenuto a
prevederlo e prevenirlo) la presenza o meno di norme tecniche in un certo
settore o ambito possa fungere da spartiacque (o sia comunque uno degli
elementi tali da fare da spartiacque) tra ciò che è prevedibile e ciò che non
lo è.
Nella
fattispecie, sempre rifacendosi a questo “spartiacque”, i Giudici hanno
ritenuto che “il cosiddetto flash fire [nello stabilimento Thyssen-Krupp di
Torino] si presentasse agevolmente prevedibile e rappresentabile sulla base di
conoscenze tecniche medie e patrimonio tecnico consolidato: sicuramente non di
carattere innovativo.”
Sul piano
normativo, tutte queste considerazioni vanno ricondotte alla natura e alla
funzione dell’articolo 2087 del Codice Civile. quale norma che “si atteggia
anche come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, nel senso che,
anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, la disposizione
suddetta impone al datore di lavoro di adottare comunque le misure generiche di
prudenza, diligenza e la osservanza delle norme tecniche e di esperienza” (Sentenza
della Corte di Cassazione Civile n. 4721 del 9 maggio 1998).
IL TERZO
CASO: LE NORME TECNICHE VOLONTARIAMENTE ADOTTATE E RICHIAMATE IN SEDE ISPETTIVA
Concludendo
ricordiamo un terzo caso in cui, anche se la norma tecnica viene adottata volontariamente,
la legge ha predisposto uno strumento specifico (applicabile dall’Organo di
Vigilanza) atto a garantire che il datore di lavoro la applichi correttamente.
Tale caso è
contemplato dal Titolo XII del D.Lgs.81/08 (che contiene disposizioni in materia
penale e di procedura penale e che andrebbe letto unitamente al Titolo I) e in
particolare dall’articolo 302-bis “Potere di disposizione” (introdotto
all’interno del D.Lgs.81/08 dal D.Lgs.106/09).
Tale norma
al comma 1 prevede che “gli Organi di Vigilanza impartiscono disposizioni
esecutive ai fini dell’applicazione delle norme tecniche e delle buone prassi,
laddove volontariamente adottate dal datore di lavoro e da questi espressamente
richiamate in sede ispettiva, qualora ne riscontrino la non corretta adozione,
e salvo che il fatto non costituisca reato”.
Il comma 2
dell’articolo 302-bis prevede poi che “avverso le disposizioni di cui al comma
1 è ammesso ricorso, entro trenta giorni, con eventuale richiesta di
sospensione dell’esecutività dei provvedimenti, all’autorità gerarchicamente
sovraordinata nell’ambito dei rispettivi Organi di Vigilanza, che decide il
ricorso entro quindici giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la
decisione il ricorso si intende respinto”.
Ovviamente,
come specificato dalla parte finale della norma stessa, tale potere di
disposizione potrà essere esercitato solo ove il fatto non rappresenti reato;
si tenga conto, in tal senso, che ogni qual volta un precetto contenuto dal
D.Lgs.81/08 è sanzionato con la pena dell’arresto, con la pena alternativa
dell’arresto o dell’ammenda o con la pena della sola ammenda, si è in presenza
di un reato (contravvenzionale).
La ratio
dell’introduzione di questo particolare potere di disposizione nel Testo Unico
viene anche in questo caso chiarita dalla Relazione di accompagnamento al
Decreto Correttivo: “E’ introdotto, inoltre, l’articolo 302-bis per la
valorizzazione dello strumento della disposizione, utilizzabile dagli organi di
vigilanza per impartire indicazioni in materia di salute e sicurezza sul
lavoro”.
Tale
valorizzazione corrisponde alla necessità di adottare, nei confronti
dell’impresa, una misura che consenta il ripristino dei livelli di tutela e che
privilegi l’approccio prevenzionistico a quello sanzionatorio.
La norma si
applica, favorendo in tal modo la “scelta” dell’imprenditore per gli strumenti
“dinamici” e volontaristici delle norme tecniche e delle buone prassi in luogo
di quelli “rigidi” delle previsioni normative, dove le norme tecniche e le
buone prassi sono disposizioni per loro natura idonee a modificare il parametro
di riferimento per il soggetto obbligato in relazione alla migliore soluzione
tecnica disponibile in un dato momento storico.
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