SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS “LETTERE
DAL FRONTE” DEL 02/07/15
Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere
dal fronte”, cioè una raccolta di quelle mail che, tra le tante che ricevo,
hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a
diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un
lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della
mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”
e-mail: sp-mail@libero.it
Web Medicina Democratica: http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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INDICE
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
GIANLUCA GARETTI COMMENTA L’ENCICLICA DI
PAPA FRANCESCO
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
LA POESIA DI CARLO SORICELLI “MORTI BIANCHE”
Posta Resistenze posta@resistenze.org
LA PRODUTTIVITA’ A OGNI COSTO UMANO!
Katia Lumachi klumachi@gmail.com
L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO: “LA CARTA
MAGNA DELL’ECOLOGIA INTEGRALE”
Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
BERGOGLIO E IL SOGNO DI UNA CONCILIAZIONE
CON IL CAPITALISMO
Il Sindacato è un’altra cosa sindacatounaltracosa@gmail.com
MODENA: MANIFESTO LAVORATORI SETTORE
AGRO-ALIMENTARE
Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
MELFI: IL VAMPIRO CAPITALISTA SUCCHIA OGNI
GOCCIA DI SANGUE DEL LAVORO VIVO
Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org
A FORZA DI URLARE...
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 6 MESI
DEL 2015
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NOTA
Alcune delle mail sotto riportate
contengono commenti e riferimenti alla Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco.
Per completezza di informazione segnalo che
la Enciclica può essere scaricata integralmente all’indirizzo:
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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Tuesday, June 23, 2015 9:14 AM
Subject: GIANLUCA GARETTI COMMENTA L’ENCICLICA
DI PAPA FRANCESCO
Cari amici e compagni,
vi giro un articolo di Gianluca Garetti a
commento dell’Enciclica di Papa Francesco I.
Gianluca mette in relazione l’Enciclica con
le scelte (im)politiche dei nostri amministratori fiorentini e regionali:
inceneritori, sottoattraversamenti, allungamento di piste di aeroporti, ecc..
Jorge Bergoglio sistematizza magistralmente
nell’Enciclica l’assalto del Capitale Finanziario alla natura, ma anche agli
ultimi (gli scarti) della terra, che sono quelli a soffrire di più dell’inquinamento
dei territori, dell’acqua ecc.
Ma non voglio andare oltre: invito tutti a
leggere l’articolo di Gianluca e ovviamente anche l’Enciclica per intero.
Saluti a tutti
Gino Carpentiero
Sezione Pietro Mirabelli Medicina
Democratica Firenze
L’ECOLOGIA INTEGRALE DI BERGOGLIO e LA
PIANA FIRENZE, PRATO, PISTOIA
L’Enciclica di Bergoglio, sull’ambiente, è
appena uscita, ma sta avendo un grande e secondo me meritato successo.
Notevole è la distanza rispetto a chi ci
governa in Toscana e rispetto all’ala conservatrice della chiesa. Tante sono le
letture che si possono dare, quasi tutte condivisibili anche dal mondo
ambientalista, che può trovare in Bergoglio un insperato compagno di lotte.
Vi si legge la preoccupazione per la crisi
ambientale e per i poveri, gli scartati dalla società della finanza, delle
banche e della tecnocrazia (vedi la cultura dello scarto) su cui impattano
principalmente gli effetti dell’inquinamento outdoor e indoor, del
riscaldamento globale, della cattiva qualità dell’acqua, che vogliono pure
privatizzare, della mancata governance degli oceani, della perdita della
biodiversità, della deforestazione, dell’esaurimento delle risorse
naturali,della disumanizzazione delle città, ecc. .
Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e
quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: “Tanto
l’esperienza comune della vita ordinaria, quanto la ricerca scientifica
dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li
subisce la gente più povera”.
Accanto a queste tragedie sociali e
ambientali, fra loro interconnesse, nell’indifferenza ormai globalizzata,
stante “la grave responsabilità della politica internazionale e locale” c’è l’esigenza
di un altro modello di sviluppo, improntato alla sobrietà ed umiltà.
C’è l’ assoluta necessità “di cambiamenti
di stili di vita, di produzione e di consumo”, di mettere in atto l’economia
circolare, di sviluppare fonti di energia rinnovabile.
A livello mondiale è cresciuta la
sensibilità ecologica delle popolazioni, l’ecologia umana, i movimenti e le
associazioni che propongono buone pratiche, la difesa dei beni comuni e la
decrescita.
“L’istanza locale” e la pressione delle
popolazioni, sulla politica succube dell’economia e della finanza, possono fare
la differenza e spingere verso una cultura della cura.
Qui di seguito ho scelto alcune frasi dell’Enciclica
“Laudato sì”, contestualizzandole al territorio fiorentino, in particolare mi
riferisco alle folli decisioni previste per la Piana Firenze, Prato, Pistoia.
Si può facilmente evincere come lo spirito di questa Enciclica sia
completamente estraneo a quei miopi decisori politici. Auspico che l’attenta
lettura di questa Enciclica possa far cambiare la rotta a qualche politico
coraggioso.
“D’altra parte, l’azione politica locale
può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia dei
rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla
programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture”.
Altro che modifica dei consumi, altro che
sviluppo di economia del riuso e del riciclo, altro che protezione di
determinate specie animali, altro che agricoltura diversificata! Qui si vuol
potenziare l’aeroporto, per incentivare il turismo mordi e fuggi, i rifiuti si
vogliono bruciare nell’inceneritore di Firenze, si irride a che si preoccupa
del rospo smeraldino cioè a chi difende la biodiversità e si sostiene il parco
agricolo della piana, che di diversificato avrà solo gli inquinanti del suolo.
“Negli ultimi decenni le questioni
ambientali hanno dato origine a un ampio dibattito pubblico, che ha fatto
crescere nella società civile spazi di notevole impegno e di generosa
dedizione. La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere
all’altezza delle sfide mondiali”.
La politica toscana è ancora ferma all’era
degli inceneritori, agli insostenibili potenziamenti di aeroporti, al sotto
attraversamento di Firenze, altro che lentezza! Però sono nati dal basso tanti
movimenti e associazioni che hanno portato una nuova cultura ecologica, (uno
fra i tanti “Rifiuti Zero” a Capannori), che hanno dato inizio all’era della
responsabilità ambientale e ad alla messa in discussione della alienante società
consumistica.
“L’educazione alla responsabilità
ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e
importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico
o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo
quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri
viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra
varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò
fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere
umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da
motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità”.
“In seno alla società fiorisce una
innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune,
difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un
luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un
paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire
qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e
sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza
consumistica”.
In quest’ultima frase, Bergoglio insiste
sull’importanza della cooperazione fra le persone, tanti sono gli esempi che si
possono fare, uno su tutti è l’esperienza di agricoltura dal basso di Mondeggi
Bene Comune, Fattoria senza padroni.
Nella frase qui sotto si sposta l’accento
sull’importanza dell’assenso degli abitanti del luogo. Non basta trincerarsi
dietro i consensi elettorali, come fa anche il Sindaco di Firenze Nardella per
eludere il confronto con le migliaia di cittadini che sono scesi in piazza l’11
aprile e l’11 giugno a manifestare contro l’inceneritore di Firenze.
“E’ sempre necessario acquisire consenso
tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni
e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti
del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri
figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse
economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di interventi sull’ambiente, per
dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate. La
partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati sui diversi
aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione
iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio
costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e
politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla
legislazione”.
Nel successivo paragrafo si parla dei rischi
per l’ambiente legati alle emissioni, alle scorie, al mutamento del paesaggio e
addirittura si suggerisce il “Principio di Precauzione”, tante volte da noi
ambientalisti invano invocato, di fronte alle grandi opere impattanti sulla
salute delle popolazioni .
“Quando compaiono eventuali rischi per l’ambiente
che interessano il bene comune presente e futuro, questa situazione richiede
che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici
ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa. Questo vale soprattutto se
un progetto può causare un incremento nello sfruttamento delle risorse
naturali, nelle emissioni e nelle scorie, nella produzione di rifiuti, oppure
un mutamento significativo nel paesaggio, nell’habitat di specie protette o in
uno spazio pubblico”.
“Nella Dichiarazione di Rio del 1992, si
sostiene che laddove vi sono minacce di danni gravi o irreversibili, la
mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per
ritardare l’adozione di misure efficaci che impediscano il degrado dell’ambiente.
Questo principio di precauzione permette la protezione dei più deboli, che
dispongono di pochi mezzi per difendersi e per procurare prove irrefutabili. Se
l’informazione oggettiva porta a prevedere un danno grave e irreversibile,
anche se non ci fosse una dimostrazione indiscutibile, qualunque progetto
dovrebbe essere fermato o modificato. In questo modo si inverte l’onere della
prova, dato che in questi casi bisogna procurare una dimostrazione oggettiva e
decisiva che l’attività proposta non vada a procurare danni gravi all’ambiente
o a quanti lo abitano”.
In queste ultime righe ci si riferisce all’antropocene,
ai danni provocati dall’inquinamento quotidiano in cui tutti siamo avvolti e
della necessità stringente di ridurlo, senza immettere altri cancerogeni nell’aria,
nei cibi, nell’acqua.
La risposta dei politici è invece l’inceneritore,
l’aumento del traffico aereo, il sottoattraversamento, tutti frutti avvelenati
della tecnologia legata alla finanza.
“Esistono forme di inquinamento che
colpiscono quotidianamente le persone. L’esposizione agli inquinanti
atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare
dei più poveri, e provocano milioni di morti premature. Ci si ammala, per
esempio, a causa di inalazioni di elevate quantità di fumo prodotto dai
combustibili utilizzati per cucinare o per riscaldarsi. A questo si aggiunge l’inquinamento
che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumi dell’industria, dalle
discariche di sostanze che contribuiscono all’acidificazione del suolo e dell’acqua,
da fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in
generale. La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica
soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle
molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un
problema creandone altri”.
Il Pianeta è diventato ormai un deposito di
immondizia, ma la soluzione non sono gli inceneritori, che aumentano l’inquinamento
con le emissioni, con le scorie, con le ceneri, coi fanghi da depurare, ma le
buone pratiche, come la Strategia Rifiuti Zero.
“C’è da considerare anche l’inquinamento
prodotto dai rifiuti, compresi quelli pericolosi presenti in diversi ambienti.
Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei
quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di
demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente
tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in
un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani
ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da
spazzatura”.
In quest’ultima frase si denuncia, con
molto rigore scientifico, che gli inquinanti spesso sono persistenti e quindi
si accumulano nell’aria, nei cibi, nei suoli, nell’acqua, nei corpi umani e
sono tossici anche a basse dosi, cioè anche se ricadono entro i limiti di
legge, sono comunque epigenotossicie gli effetti negativi impatteranno, oltre
che sulle popolazioni attuali, anche sulle future generazioni. Questo è un
passo molto importante che si cerca sempre di nascondere. E molte volte si
aspetta di “contare i morti” (vedi ad esempio gli studi epidemiologici che
vanno sempre ripetuti) prima di prendere delle adeguate misure.
“Tanto i rifiuti industriali quanto i
prodotti chimici utilizzati nelle città e nei campi, possono produrre un
effetto di bio-accumulazione negli organismi degli abitanti delle zone limitrofe,
che si verifica anche quando il livello di presenza di un elemento tossico in
un luogo è basso. Molte volte si prendono misure solo quando si sono prodotti
effetti irreversibili per la salute delle persone”.
E le generazioni future ? E’ questa la solidarietà
transgenerazionale?
“La nozione di bene comune coinvolge anche
le generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con
crudezza gli effetti nocivi che porta con sé il disconoscimento di un destino
comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi.
Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le
generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle
future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che
riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare
soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per
il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale,
bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che
abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno”.
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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Wednesday, June 24, 2015 9:46 AM
Subject: LA POESIA DI CARLO SORICELLI “MORTI
BIANCHE”
Dal blog Muglia la Furia
mercoledì 24 giugno 2015
“MORTI BIANCHE”
Una poesia di Carlo Soricelli,
metalmeccanico in pensione, fondatore dell’Osservatorio Indipendente Morti sul
lavoro di Bologna, recitata da Flavio Insinna.
Il video è su YouTube al link:
Ascoltatela ad occhi chiusi, o facendo
scorrere il testo sul monitor che trovate sotto..., fate un po’ come volete. Ma
fatelo.
In meno di 90 secondi c’è dentro tutto ciò
per il quale io, e quelli come me, vogliono e lottano per “...far parte di una
società dove non siano, come credono gli sciocchi, aboliti il dolore, l’angoscia
spirituale o fisica, la problematicità della vita, ma esistano gli strumenti
per condurre una comune concorde lotta contro il dolore, la miseria, la
morte...” (Cesare Pavese).
MORTI BIANCHE
Chiamatele pure morti bianche.
Ma non è il bianco dell’innocenza
non è il bianco della purezza
non è il bianco candido di una nevicata in
montagna.
E’il bianco di un lenzuolo, di mille
lenzuoli
che ogni anno coprono sguardi fissi nel
vuoto
occhi spalancati dal terrore dalla
consapevolezza che la vita sta scappando via.
Un attimo eterno che toglie ogni speranza
l’attimo di una caduta da diversi metri
dell’esalazione che toglie l’aria nei
polmoni
del trattore senza protezioni che sta
schiacciando dell’impatto sulla strada
verso il lavoro del frastuono dell’esplosione
che lacera la carne
di una scarica elettrica che paralizza il
cuore.
E’ un bianco che copre le nostre coscienze
e il corpo martoriato di un lavoratore
E’ il bianco di un tramonto livido e
nebbioso
di una vita che si spegne lontana dagli
affetti di lacrime e disperazione per chi rimane.
Anche quest’anno oltre mille morti
vite coperte da un lenzuolo bianco.
Bianco ipocrita che copre sangue rosso
e il nero sporco di una democrazia per
pochi.
Vite perse per pochi euro al mese
da chi è spesso solo moderno schiavo.
Un solo commento per non interrompere l’emozione...
Grazie a Carlo per averla scritta, a Flavio
per averla recitata, a Marco Bazzoni che me l’ha fatta conoscere e a Lilino per
averla caricata su You Tube.
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, June 25, 2015 4:27 AM
Subject: LA PRODUTTIVITA’ A OGNI COSTO
UMANO!
Era annunciato da tempo il provvedimento
del governo di modifica dell’articolo4 dello Statuto dei diritti dei lavoratori
che avrebbe liberalizzato ogni controllo delle aziende sui dipendenti senza
alcun accordo sindacale. Era contenuto nella legge delega “Jobs Act” approvata
nei mesi scorsi. Nessuno stupore quindi che Renzi abbia mantenuto la parola.
Stupisce invece l’incomprensione a sinistra
e nella CGIL sul reale portato del provvedimento.
Il libero spionaggio delle aziende sui
lavoratori è parte integrante di un disegno complessivo che il Jobs Act
realizza. Il combinato disposto del libero licenziamento, demansionamento e
spionaggio instaura il regime della ricattabilità piena del lavoro.
Ultima in ordine di tempo giunge la
possibilità per le aziende di controllare dati di traffico, spostamenti e
qualsivoglia altra operazione effettuata con palmare, smartphone, computer,
eccetera.
E’ sufficiente pensare a come cambierà la
condizione, e parliamo di almeno un milione di lavoratori, per manutentori,
installatori di impianti. Dal lavoratore dell’azienda che installa e ripara
linee telefoniche, da chi fa la manutenzione sugli ascensori sino a chi legge i
contatori di gas e acqua. Il provvedimento autorizza le aziende a poter
verificare, grazie alle sofisticate tecnologie, tempi di ogni singolo
intervento e spostamenti sul territorio.
Dal punto di vista giuridico contrattuale
ciò significa che i dati potranno essere usati per infliggere sanzioni e
provvedimenti disciplinari. Dal punto di vista sindacale inasprirà l’attacco
sulla distinzione tra retribuzione del lavoro materiale dell’intervento e
retribuzione del tempo di viaggio. Non è solo quel settore di lavoratori ad
essere colpito ovviamente anche perché il controllo a distanza riguarda anche l’occhio
indiscreto di telecamere puntate direttamente sulle postazioni di lavoro.
E’ l’insieme del mondo del lavoro che
pagherà un prezzo enorme sull’altare della produttività.
Perché in sostanza il Jobs Act è un
portentoso strumento per l’incremento del tasso di sfruttamento del lavoro
umano. E’ la sistematizzazione del sistema di variabilità di salari, orari,
ritmi e carichi di lavoro ai bisogni del mercato e delle imprese.
Per anni il padronato ci ha raccontato che
la produttività era il vero problema del nostro paese. Dicevano produttività
per dire sfruttamento, cioè maggiore quantità di lavoro. Si può lavorare meno
ma produrre di più se si investe, cosa diversa dal lavorare di più per produrre
di più...
Il risultato potrebbe non cambiare in
termini meramente numerici, ma la differenza la fa il tasso di sfruttamento.
CGIL, CISL e UIL si sono bevute la litania
della scarsa produttività e uno dopo l’altro hanno consentito, o hanno subito
senza resistere, la cancellazione di ogni paletto a difesa del lavoro. Il
processo di restaurazione del dominio assoluto dell’impresa sul lavoro
conquista così un risultato importante. Nel passato il diritto del lavoro e la
contrattazione stabilivano quei limiti sotto ai quali non si poteva scendere.
Oggi si può fare praticamente di tutto. Il vincolo alle imprese e ai profitti è
solo quello che gli dà il mercato. Per il resto si può scaricare il costo di
questa assoluta libertà d’impresa sulla vita degli uomini e delle donne che
lavorano ma anche su coloro che un lavoro non riusciranno mai ad averlo.
Tutte materie su cui aprire una riflessione
urgente per chi ancora crede sia possibile organizzare il mondo del lavoro per
riconquistare un sistema di diritti e tutele. Se e quale spazio esiste ancora
per il sindacato e quale sindacato serve ai lavoratori. Domande sempre più
ineludibili.
18/06/15
Sergio Bellavista
Il sindacato è un’altra cosa www.sindacatounaltracosa.org
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From: Katia Lumachi klumachi@gmail.com
To:
Sent: Friday, June 26, 2015 11:23 PM
Subject: L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO: “LA
CARTA MAGNA DELL’ECOLOGIA INTEGRALE”
Da: Adista http://www.adista.it
Prima di un qualunque commento è il caso di
evidenziare alcune singolarità dell’Enciclica “Laudato sì” di papa Francesco.
E’ la prima volta che un papa affronta il
tema dell’ecologia nel senso di un’ecologia integrale (e quindi al di là del
tema ambientale) in modo così completo. Sorpresa: egli elabora il tema all’interno
del nuovo paradigma ecologico, come non ha mai fatto alcun documento ufficiale
delle Nazioni Unite.
Il suo discorso poggia sui dati più sicuri
delle scienze della vita e della Terra, letti in maniera affettiva (con l’intelligenza
sensibile o cordiale), in quanto il papa riconosce che dietro di essi si celano
drammi umani e grande sofferenza anche da parte della madre Terra.
La situazione attuale è grave, ma papa
Francesco trova sempre ragioni per la speranza e per la fiducia nel fatto che l’essere
umano possa individuare le soluzioni efficaci.
Si richiama ai papi che lo hanno preceduto,
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, citandoli molte volte. E una cosa
assolutamente nuova: il suo testo si inscrive all’interno della collegialità,
valorizzando i contributi di decine di Conferenze episcopali del mondo intero,
da quella degli Stati Uniti a quella della Germania, del Brasile, della
Patagonia, del Paraguay.
Accoglie i contributi di altri
intellettuali, come i cattolici Pierre Teilhard de Chardin, Romano Guardini,
Dante Alighieri, il suo maestro argentino Juan Carlos Scannone, il protestante
Paul Ricoeur e il musulmano sufi Ali Al-Khawwas. I destinatari sono tutti gli
esseri umani, in quanto tutti abitiamo la stessa casa comune (parola molto
usata dal papa) e soffriamo le stesse minacce.
Papa Francesco non scrive in qualità di
Maestro e Dottore della fede, ma come pastore zelante che si prende cura della
casa comune e di tutti gli esseri, non solo umani, che in essa abitano.
C’è un altro elemento che merita di essere
evidenziato, rivelando la forma mentis di papa Francesco: il suo essere
tributario dell’esperienza pastorale e teologica delle Chiese latinoamericane,
le quali, alla luce dei documenti dell’episcopato latinoamericano (Celam) di
Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), hanno fatto un’opzione
per i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione.
Il testo e il tono dell’Enciclica sono
tipici di papa Francesco e della cultura ecologica che egli ha maturato, ma ci
si può rendere conto anche del fatto che molte espressioni e modi di dire
rimandano a quanto si pensa e si scrive principalmente in America Latina. I
temi, tra gli altri, della “casa comune”, della “madre Terra”, del “grido della
Terra e grido dei poveri”, della “cura”, dell’”interdipendenza fra tutti gli
esseri”, dei “poveri e vulnerabili”, del “cambiamento di paradigma”, dell’ “essere
umano come Terra” che sente, pensa, ama e venera, dell’ “ecologia integrale”,
sono tutti temi ricorrenti tra noi.
La struttura dell’Enciclica ubbidisce al
rituale metodologico usato dalle nostre Chiese e dalla riflessione teologica
legata alla pratica della liberazione, ora adottata e consacrata dal papa:
vedere, giudicare, agire e celebrare.
Fin dall’inizio rivela la sua principale
fonte d’ispirazione: san Francesco d’Assisi, che egli definisce “esempio per
eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale”,
esprimendo un’attenzione particolare “verso i più poveri e abbandonati”.
E si sofferma quindi sul vedere: su “quello
che sta accadendo alla nostra casa”. Il papa afferma: “Basta però guardare la
realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra
casa comune”. In questa parte egli incorpora i dati più consistenti sul
cambiamento climatico, la questione dell’acqua, l’erosione della biodiversità,
il deterioramento della qualità della vita umana e il degrado della vita
sociale e denuncia l’alto tasso di iniquità planetaria, che colpisce tutti gli
ambiti della vita e vede i poveri come principali vittime.
In questa sezione appare una frase che
rimanda alla riflessione condotta in America Latina: “Ma oggi non possiamo fare
a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un
approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente,
per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. E poi
aggiunge: i gemiti di sorella terra “si uniscono ai gemiti degli abbandonati
del mondo”. E questo è assolutamente coerente, in quanto all’inizio afferma che
“noi stessi siamo terra”, pienamente in linea con il grande cantore e poeta
indigeno argentino Atahualpa Yupanqui: “L’essere umano è la Terra che cammina,
che sente, che pensa e che ama”.
Condanna poi le proposte di
internazionalizzazione dell’Amazzonia, “che servono solo agli interessi
economici delle multinazionali”. E fa un’affermazione di grande vigore etico: è
gravissima iniquità “quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo
pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del
degrado ambientale”.
Riconosce con tristezza: “Mai abbiamo
maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli”. Di
fronte a questa offensiva umana contro la madre Terra che molti scienziati
hanno denunciato come l’avvento di una nuova era geologica (l’Antropocene),
lamenta l’inadeguatezza dei poteri di questo mondo che, illusi, pensano che “il
pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali”, come alibi
“per alimentare tutti i vizi autodistruttivi” con un “comportamento che a volte
sembra suicida.
Prudente, egli riconosce la diversità di
opinioni e il fatto che “non c’è un’unica via di soluzione”. Ciononostante è “certo
che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista,
perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano”e ci perdiamo dietro
la realizzazione di mezzi destinati a un accumulo illimitato a spese della
giustizia ecologica (degrado degli ecosistemi) e della giustizia sociale (impoverimento
delle popolazioni). L’umanità semplicemente “ha deluso l’attesa divina”.
La sfida urgente consiste allora nel “proteggere
la nostra casa comune” e per farlo abbiamo bisogno, citando Giovanni Paolo II,
di una “conversione ecologica globale” e di una “cultura della cura che
impregni tutta la società”.
Dopo la dimensione del vedere, s’impone ora
quella del giudicare. Che è delineata secondo due versanti, uno scientifico e l’altro
teologico.
Vediamo quello scientifico.
L’Enciclica dedica tutto il terzo capitolo
all’analisi della “radice umana della crisi ecologica”. Qui il papa si propone
di analizzare la tecnoscienza senza pregiudizi, accogliendo quanto essa ha
offerto in termini di “cose realmente preziose per migliorare la qualità della
vita dell’essere umano”. Il problema non è qui, bensì nel fatto che essa si è
resa indipendente, sottomettendo l’economia, la politica e la natura in vista
dell’accumulo di beni materiali. La tecnoscienza parte dal presupposto errato
della “disponibilità infinita dei beni del pianeta”, quando sappiamo di aver
già raggiunto i limiti fisici della Terra e che gran parte dei beni e servizi
non è rinnovabile. La tecnoscienza è diventata tecnocrazia, una vera dittatura
con la sua ferrea logica di dominio su tutto e su tutti.
La grande illusione oggi dominante consiste
nel credere che con la tecnoscienza si possano risolvere tutti i problemi
ecologici. E’ un’idea ingannevole, poiché “significa isolare cose che nella
realtà sono connesse”. In realtà, “tutto è connesso”, “tutto è in relazione”,
un’affermazione, questa, che attraversa tutto il testo dell’Enciclica come un
leitmotiv, essendo un concetto chiave del nuovo paradigma contemporaneo. Il
grande limite della tecnocrazia sta nella “frammentazione del sapere” fino a “perdere
il senso della totalità”. Il peggio è che essa “non riconosce agli altri esseri
un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere
umano”.
Il valore intrinseco di ogni essere, per
minuscolo che sia, è evidenziato in maniera permanente nell’Enciclica, come fa
la Carta della Terra. Negando questo valore intrinseco, ci stiamo rendendo
responsabili del fatto che “migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la
loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio”.
La maggiore deviazione prodotta dalla
tecnocrazia è l’antropocentrismo, che presuppone illusoriamente il fatto che le
cose hanno valore solo nella misura in cui servono all’essere umano,
dimenticando che la loro esistenza ha un valore proprio. Se è vero che tutto è
in relazione, allora “tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e
sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per
ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto,
al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra”.
Come possiamo pretendere di dominarli e di considerarli nell’ottica limitata
della dominazione?
Tutte le “virtù ecologiche” si perdono a
causa della volontà di potere come dominazione sugli altri e sulla natura.
Viviamo un’angosciante “perdita del senso della vita e del vivere insieme”. Il
papa cita più di una volta il teologo italo-tedesco Romano Guardini
(1885-1968), uno dei più letti a metà del secolo scorso, il quale ha scritto un
libro critico contro le pretese della modernità.
L’altro versante del giudicare è quello
teologico. L’Enciclica riserva parecchio spazio al “Vangelo della Creazione”,
partendo dalla giustificazione del contributo delle religioni e del
cristianesimo, in quanto, essendo la crisi globale, ogni istanza deve, con il
suo capitale religioso, contribuire alla cura della Terra.
E l’Enciclica non insiste sulle dottrine,
bensì sulla saggezza presente nei distinti cammini spirituali. Il cristianesimo
preferisce parlare di creazione anziché di natura, poiché la creazione “ha a
che vedere con un progetto dell’amore di Dio”. Più di una volta è citato un bel
testo del libro della Sapienza dove appare chiaro che “la creazione appartiene
all’ordine dell’amore” e che Dio è “il Signore amante della vita”.
Il testo si apre a una visione
evoluzionista dell’universo benché non usi questa parola, ricorrendo a una
circonlocuzione nel riferirsi a un universo “composto da sistemi aperti che
entrano in comunicazione gli uni con gli altri”. Utilizza i principali testi
che legano Cristo incarnato e risorto al mondo e all’intero universo, rendendo
sacra la materia e tutta la Terra. E in questo contesto cita Pierre Teilhard de
Chardin (1881-1955) come precursore di questa visione cosmica.
Citando il patriarca ecumenico della Chiesa
ortodossa Bartolomeo, riconosce che “un crimine contro la natura è un crimine
contro noi stessi e un peccato contro Dio. Da qui l’urgenza di una conversione
ecologica collettiva che restauri l’armonia perduta.
La conclusione di questa parte dell’Enciclica
evidenzia giustamente “la necessità di un cambio di rotta” per “uscire dalla
spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando”. Non si tratta di una
riforma, bensì, citando la Carta della Terra, della ricerca di “un nuovo inizio”.
L’interdipendenza di tutti con tutti ci porta “a pensare a un solo mondo, ad un
progetto comune”.
Poiché la realtà presenta molteplici
aspetti, tutti intimamente relazionati, papa Francesco propone un’ecologia
integrale che va oltre l’ecologia ambientale a cui siamo abituati per coprire
tutti i campi: ambientale, economico, sociale, culturale e anche quello della
vita quotidiana. Senza mai dimenticare i poveri, i quali testimoniano anch’essi
la propria forma di ecologia umana e sociale, vivendo legami di appartenenza e
di solidarietà gli uni con gli altri.
Il terzo passo metodologico è quello dell’agire.
In questa sezione, l’Enciclica si attiene ai grandi temi della politica
internazionale, nazionale e locale, sottolineando l’interdipendenza della sfera
sociale e di quella educativa con quella ecologica e denunciando le difficoltà
che comporta il predominio della tecnocrazia, ostacolando quei cambiamenti che
possono contrastare la voracità di accumulazione e di consumo e inaugurare il
nuovo.
Il papa riprende il tema dell’economia e
della politica che devono servire il bene comune e creare le condizioni per una
pienezza umana possibile. Torna a insistere sul dialogo tra la scienza e la
religione, come suggerito dal grande biologo Edward Wilson. Tutte le religioni
devono “entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla
difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”.
Ancora riguardo all’agire, sfida l’educazione
a creare una “cittadinanza ecologica” e un nuovo stile di vita, basato sulla
cura, sulla compassione, sulla sobrietà condivisa, sull’alleanza tra umanità e
ambiente, inscindibilmente connessi, sulla corresponsabilità per tutto ciò che
esiste e vive e per il nostro destino comune.
Infine, il momento di celebrare. La
celebrazione si realizza in un contesto di “conversione ecologica” che implica
una “spiritualità ecologica”, la quale deriva non tanto dalle dottrine
teologiche quanto dalle motivazioni che la fede suscita per provvedere alla
casa comune e “alimentare una passione per la cura del mondo”. Tale esperienza
è piuttosto una mistica che spinge le persone a vivere l’equilibrio ecologico, “quello
interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con
tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio”. Qui appare come sia vero
che “meno è più” e che si possa essere felici con poco.
Nel senso della celebrazione “il mondo è
qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che
contempliamo nella letizia e nella lode”.
Lo spirito tenero e fraterno di San
Francesco d’Assisi attraversa tutto il testo dell’Enciclica “Laudato sì”. La
situazione attuale non significa una tragedia annunciata, ma una sfida a
prenderci cura della casa comune e gli uni degli altri. Vi è nel testo
leggerezza, poesia e gioia nello Spirito e un’indistruttibile speranza nel
fatto che, se grande è la minaccia, più grande ancora è l’opportunità che ci è
data di risolvere i nostri problemi ecologici.
L’Enciclica termina poeticamente “Al di là
del sole”, con queste parole: “Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la
nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”.
Mi piacerebbe concludere con le parole
finali della Carta della Terra citate dallo stesso papa: “Possa la nostra epoca
essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la
risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta
per la giustizia e la pace, e per la gioiosa celebrazione della vita”.
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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Friday, June 26, 2015 9:49 AM
Subject: BERGOGLIO E IL SOGNO DI UNA
CONCILIAZIONE CON IL CAPITALISMO
A PROPOSITO DELLA RECENTISSIMA ENCICLICA
DEL PAPA SULLA RICONVERSIONE ECOLOGICA
Un’Enciclica sulla duplice riconversione,
ecologica e cristiana: così può essere definita l’Enciclica
dell’attuale pontefice, “Laudato si’”,
documento di quasi duecento pagine che prende il nome dall’invocazione di
Francesco d’Assisi nel “Cantico delle creature”.
Il testo (redatto, lo si ricordi, da un
esponente dell’ordine dei Gesuiti che ha scelto di ispirarsi, fin dal nome, al
fondatore dell’ordine dei Francescani) contiene denunce molto dure contro gli
egoismi e la miopia che nascono da una concezione ultracapitalistica dello
sviluppo e contro i danni che ne derivano all’umanità e in particolare alla
parte più povera di essa, nonché all’ambiente.
Degna di apprezzamento è anche l’ottica che
caratterizza il documento pontificio, ossia lo sforzo di sviluppare un dialogo
non limitato ai soli credenti, ma esteso anche ai seguaci di altre confessioni
o religioni e agli stessi non credenti. Tale dialogo nel capitolo 5 dell’Enciclica
viene perciò individuato, in coerenza con gli orientamenti del Concilio
Vaticano II, come strumento per affrontare e risolvere i problemi.
E’ un documento ambizioso questa Enciclica,
come dimostra una rapida rassegna degli assi tematici portanti e degli autori
che vengono richiamati. Tra i primi, vanno segnalati “l’intima relazione tra i
poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è
intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che
derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia
e il progresso; la grave responsabilità della politica internazionale e locale;
la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”. Fra i
secondi, è doveroso richiamare il canonico “doctor angelicus”, Tommaso di
Aquino, e il meno canonico Teilhard de Chardin, il naturalista gesuita che,
sfiorando pericolosamente il panteismo, ha elaborato un’interpretazione
cristiana dell’evoluzionismo darwiniano.
Alcuni “flash” sui temi cruciali della “crisi
ecologica” sono utili a dare un’idea dell’importanza di un documento che per la
sua estensione è un vero e proprio libro.
Dopo aver sottolineato che l’impatto dei
mutamenti climatici ricade sui più poveri, che la vitale risorsa dell’acqua è
il più importante “bene comune” dell’umanità, che la biodiversità va preservata
e che il debito ecologico chiama in causa la responsabilità del Nord del mondo
verso il Sud del mondo, papa Francesco, ricordando il fallimento dei Vertici
internazionali sulle questioni dell’ambiente, stigmatizza la “debolezza delle
reazioni”, la “diffusa irresponsabilità” e la mancanza di una cultura adeguata
e della disponibilità a cambiare stili di vita, produzione e consumo. Nel
secondo capitolo, rifacendosi al racconto biblico della creazione, il papa
rilegge le
problematiche precedenti alla luce delle
Sacre Scritture, ribadendo i postulati cristiani.
Il terzo capitolo dell’enciclica è quello
filosoficamente più impegnato e socialmente più radicale, poiché in esso l’autore,
dopo aver esaminato gli effetti della crisi ecologica, affronta l’analisi delle
cause attraverso un confronto con la filosofia e con le scienze umane.
Importanti sono, in questo àmbito, le
riflessioni sulle potenzialità, sui limiti e sui pericoli della tecnologia che,
come afferma il papa con accenti marxisti, “dà a coloro che detengono la
conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio
economico impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero”.
Pertanto, le radici umane della crisi ecologica sono, a giudizio di papa
Francesco, da ricondurre a due vizi, ad un tempo, cognitivi e morali: un “eccesso
di antropocentrismo”, per cui nel suo rapporto con l’ambiente e con i suoi
simili l’essere umano assume una posizione autoreferenziale centrata esclusivamente
su di sé e sul proprio potere, e il relativismo, tradizionale bersaglio, quest’ultimo,
della polemica condotta dai suoi predecessori (Wojtyla e Ratzinger).
Sempre in linea con la dottrina sociale
della Chiesa esposta da questi ultimi papi risulta poi la trattazione di due
ordini di problemi: l’uno attinente al lavoro e l’altro ai limiti del progresso
scientifico con un particolare riferimento agli OGM.
Sennonché, malgrado l’ampia e analitica
disàmina che il papa svolge sulla fenomenologia della crisi ecologica e le
buone intenzioni al servizio delle quali egli la pone, permangono, e non
potrebbe essere diversamente considerando la fonte, l’istituzione e gli
obiettivi dell’autorità da cui promana il dettato, una serie di contraddizioni
che, se non tolgono all’enciclica la sua importanza, ne pregiudicano largamente
la coerenza ideale e ne vanificano l’attuazione pratica.
La prima contraddizione, già segnalata dai
più avvertiti studiosi delle dottrine sociali cattoliche (e per il suo
contenuto l’enciclica in questione appartiene pienamente a questa categoria),
consiste nel cercare di costruire tali dottrine a partire da un messaggio
religioso sui fini ultimi della vita umana, a partire quindi dal primato dei
beni dell’anima rispetto a quelli del corpo, di quelli spirituali rispetto a
quelli temporali, della morale rispetto all’economia.
Come sfuggire allora all’implacabile
realismo di Marx, che ha qualificato le concezioni di questo tipo come “fiori
gettati sulle catene dello sfruttamento”? Inoltre, la prospettiva che
caratterizza l’Enciclica è pur sempre quella, formulata alla fine dell’Ottocento
nella “Rerum novarum” di Leone XIII, ripresa nella “Centesimus annus” di
Giovanni Paolo II e teorizzata dalla scuola tedesca di Colonia, dell’ “economia
sociale di mercato”, che è quanto dire della conciliazione tra il profitto e il
salario, tra un capitalismo “cattivo” ed un capitalismo “buono”, che ognun vede
quanto sia oggi praticabile, in tempi di prolungata crisi economica,
disoccupazione di massa e crescente sfruttamento dei lavoratori.
Così, l’uso di un linguaggio
anticapitalistico da parte degli estensori di detti documenti serve, in genere,
a dissimulare la sostanza retriva dell’ideologia della conciliazione e della
rassegnazione, più o meno temperate dall’azione correttiva di un “capitalismo
compassionevole”, in essi formulata (come già notava Marx nel “Manifesto del
partito comunista”, esaminando quella variante del socialismo feudale che è il “socialismo
pretesco”, (“non c’è cosa più facile che dare una tinta socialistica all’ascetismo
cristiano”).
La conclusione è dunque la seguente:
proprio perché dalla stessa disàmina papale si evince che i problemi sono
radicali, occorre una soluzione altrettanto radicale.
Non basta denunciare gli abusi di questo
modo di produzione sempre più ecocida e genocida, ma occorre rovesciarlo e
sostituirlo con un modo di produzione rispettoso degli equilibri naturali, che
allevii la fatica umana attraverso la scienza e la tecnologia e sia
razionalmente e collettivamente controllabile dalla società; parimenti, non
basta invocare un’”ecologia integrale” come nuovo paradigma di giustizia (vedi
il capitolo quarto dell’enciclica). Occorre invece prendere atto che “lo
spirito della produzione capitalistica è antitetico alle generazioni che si
succedono” (Marx) e trarre da questa constatazione tutte le conseguenze che ne
derivano, aggredendo le vere cause dell’attuale crisi ecologica e umana, che
non sono l’antropocentrismo e il relativismo, ma il capitalismo e la sua
inestinguibile sete di profitto e di dominio.
di Eros Barone
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From: Il Sindacato è un’altra cosa sindacatounaltracosa@gmail.com
To:
Sent: Saturday, June 27, 2015 5:08 PM
Subject: MODENA: MANIFESTO LAVORATORI
SETTORE AGRO-ALIMENTARE
Questo Manifesto ci riguarda tutte/i. Tutte
le categorie e non, lavoratrici, lavoratori, precarie, precari, disoccupate/i
Tutti dovremmo sottoscriverlo!
Difendiamo il settore agro alimentare in
Italia. E non solo
Silvia Cortesi lavoratrice in mobilità
D.B.Consorzio Scarl - Milano
Proposto da lavoratori e lavoratrici del
settore agro-alimentare di Modena
Siamo lavoratrici e lavoratori del settore
agricolo-alimentare della provincia di Modena che ritengono necessario e non
più rimandabile un forte contrasto alla gestione antipopolare della crisi
portata avanti dalle centrali economico-finanziarie del capitalismo europeo e
dai padroni negli ultimi 25 anni.
La crisi attuale non è di penuria, non è
una carestia o una calamità naturale, ma è crisi di abbondanza di capitali e di
sovrapproduzione di merci. Le classi sociali più ricche la usano per cancellare
reddito e diritti conquistati in anni di dure lotte dai lavoratori e
lavoratrici italiane.
Il disegno capitalista portato avanti dalla
“troika” non ci appartiene, noi non vogliamo essere competitivi, iper
produttivi o concorrenziali con i lavoratori di altri paesi. Altri sono i
nostri valori, la solidarietà internazionalista, il diritto al reddito, la
riduzione del tempo di lavoro e la riconquista di tempo in più da dedicare alla
nostra vita che questo sistema ci sequestra.
Oggi siamo ad uno snodo cruciale, l’attacco
violento dei governi che si sono succeduti negli ultimi 25 anni ha cancellato l’intero
impianto normativo e di diritti che abbiamo conosciuto negli anni passati,
passando per la precarizzazione del lavoro e l’aumento dello sfruttamento dei
lavoratori. A questo le centrali Sindacali si sono piegate e anche la CGIL,
alla disperata e infruttuosa ricerca dell’unità Sindacale non ha risposto con
la determinazione che era necessaria, contribuendo alla progressiva
demoralizzazione e alla sostanziale passività e rassegnazione dei lavoratori.
Noi siamo coscienti della forza immensa che va messa in campo per contrastare
il potere che le forze politiche ed economiche, che stanno gestendo queste
politiche, hanno prodotto e producono, ma sappiamo altrettanto bene che non
esistono isole felici dove ritirarci se non tentassimo di contrastare questo
stato di cose, per questo vogliamo provarci partendo dal basso, cominciando a
rovesciare i termini del discorso.
I soldi ci sono. Ci sono per le guerre, gli
interventi militari, gli F 35, le missioni militari all’estero, la TAV, il
MOSE, la Cispadana, la corruzione, le evasioni fiscali, i profitti astronomici
di padroni, manager e politici. Cancelliamo quelle voci e facciamo scuole e
asili sicuri, strutture sanitarie, risanamento idrogeologico del territorio e
introduciamo un reddito minimo garantito per chi resta senza un lavoro o non
riesce a trovarlo e che potrà servire soprattutto ai giovani a cui è stato
cancellato il futuro.
Cancelliamo con le lotte il Jobs Act, la
riforma Fornero delle pensioni, la legge 30, la legge Bossi-Fini e la riforma
della scuola, che ha visto nei giorni scorsi un grande sciopero generale.
Chiamiamo tutti i cittadini della nostra
provincia, le lavoratrici e i lavoratori, i giovani, gli studenti, i
pensionati, i disoccupati e i precari, a firmare questo manifesto con l’impegno
di autoconvocare entro l’autunno un’assemblea pubblica di costituzione di un
comitato popolare contro la crisi.
Albarani Alessandro Lavoratore Menù
Alberto Lugli Rsu Cantine Riunite Civ
Bruzzi Daniele RSU Apofruit
Claudia Venturelli RSU Suincom
Di Fonte Sabino RSU Suincom
Diego Capponi lavoratore Suincom
Fabio Esposito RSU Cantine Riunite Civ
Lorena Barozzi RSU Villani
Manni Franca Pensionata
Massimo Valentini lavoratore in mobilità
Cantine Riunite Civ
Ori Lanfranco RSU Inalca
Roberto Saguatti RSU Cantine Riunite Civ
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From: Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
To:
Sent: Sunday, June 28, 2015 11:51 AM
Subject: MELFI: IL VAMPIRO CAPITALISTA
SUCCHIA OGNI GOCCIA DI SANGUE DEL LAVORO VIVO
Nonostante la forte contrarietà di molti
operai, l’accordo per saturare la produzione, e passare da 15 a 20 turni alla
Sata Fca di Melfi, sottoscritto da padrone, quadri e sindacati
collaborazionisti, è ora applicato sulle linee della 500X e della Jeep Renegade
(vendute negli USA) che producono circa 1.000 autovetture al giorno, più circa
400 Punto. Sui due nuovi modelli lavorano quasi 4 mila operai mentre 2 mila
rimangono sulla Punto.
Col passaggio a 20 turni Melfi è diventato
il primo stabilimento ex Fiat a ciclo continuo. Lo schema a 20 turni non era
mai stato adottato nel settore dell’auto in Europa perché ha conseguenze
devastanti sulla salute operaia. La spinta ai 20 turni (praticamente un ciclo
continuo) deriva da una precisa esigenza capitalistica: quella di non far
restare inattivi i mezzi di produzione, che per i padroni sarebbe una perdita.
Ma vediamo come funziona il nuovo sistema
dei turni, perché ciò che accade nel tempio dello sfruttamento capitalistico
riguarda tutti gli operai.
Prendiamo ad esempio il “profilo B”. Si
lavora 6 mattine di seguito, dalle 6 alle 14, dal lunedì al sabato. Poi si
riattacca domenica sera dalle 22 alle 6, per 4 notti di seguito. Quindi due
giorni di riposo. Poi 3 pomeriggi-sera di lavoro dalle 14 alle 22, compresa una
domenica. Quindi 2 giorni di riposo. Poi altre 3 notti di lavoro. Quindi altri
due riposi. Poi altri 4 pomeriggi di lavoro. Infine una domenica di riposo. Il
lunedì alle 6 si ricomincia: “E’ come vivere in un continuo cambio di fuso
orario”, dice una operaia.
Quanti anni può vivere un operaio con
questi turni senza ammalarsi o uscire di senno? In realtà, al capitale non
importa un fico secco della salute e della durata della vita dell’operaio.
Quello che interessa a Marchionne e ai suoi compari americani è torchiare al
massimo la forza-lavoro per 24 ore al giorno, tutti i giorni.
Ovviamente l’accordo-truffa non prevede
alcuna riduzione di orario di lavoro, e nemmeno sabati e domeniche di riposo
consecutive. Come se non bastasse, sono stati tagliati dieci minuti di pausa
per turno per singolo operaio. Dieci minuti al giorno per seimila operai, fanno
centinaia di migliaia di ore di lavoro gratis per il padrone ogni anno, cioè
maggiore sfruttamento e tanta fatica in più per gli operai.
“Accordo storico” è stato definito dai
venduti che l’hanno firmato, con il pretesto dei mille operai in più (senza
tutele), che servono al padrone per spremere il massimo plusvalore possibile
dalla loro forza-lavoro.
Col “just in time” i carichi e i ritmi sono
aumentati. Zero tempi morti. Nella pratica è difficile mantenere la postazione
assegnata in linea e per qualsiasi inconveniente gli operai sono costretti a
risalire la corrente “come i salmoni”. Intanto i sorveglianti stanno lì a
ricordare che in fabbrica vige l’autocrazia e il ricatto no-stop del capitale.
Quando c’è crisi e il padrone decide di
fermare i mezzi di produzione, gli operai sono licenziati o sbattuti in cassa
integrazione a fare la fame; quando il mercato tira il padrone vuole che i
mezzi di produzione assorbano ogni goccia di lavoro vivo senza interruzioni, e
dunque gli operai tornano a casa sfiniti. Per le operaie va anche peggio,
perché a casa sono loro a lavorare di più.
I micidiali effetti della dittatura
capitalistica in fabbrica cominciano a non essere più sostenuti dalla massa
operaia di Melfi. Il clima che si respira è pesante, c’è paura, ma anche
malcontento e tensione. Nelle assemblee sui turni sono uscite forti proteste
contro i sindacalisti venduti al padrone.
Da parte sua Renzi, il burattino di
Marchionne, appoggia pienamente il modello Melfi e si prepara a visitarlo per
dare il un segnale politico: il governo è schierato dalla parte dei capitalisti
più intransigenti e reazionari e fa del suo meglio per tutelare i loro
interessi. Anche favorendo quel sindacato unico di regime su cui sta lavorando
sottobanco Marchionne.
Ma gli operai sono stufi di ingoiare rospi.
Ci vuole una nuova lotta “dei 21 giorni”, che prima o poi esploderà senza e
contro i bonzi sindacali.
Protagonisti ne saranno i giovani operai
senza diritti assieme ai più anziani ed esperti, uniti in organismi
rappresentativi che raccolgano e organizzino la massa operaia (Comitati operai)
nei quali si realizzi il fronte unico proletario contro i vampiri capitalisti.
Lotta per la cancellazione dell’accordo sui
turni, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per il
ripristino e l’aumento delle pause, per la riduzione dei carichi e dei ritmi di
lavoro, forti aumenti salariali: questi i punti di partenza per azioni
politiche di più largo sviluppo nella prospettiva rivoluzionaria.
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From: Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org
To:
Sent: Tuesday, June 30, 2015 7:36 AM
Subject: A FORZA DI URLARE...
Car* Tutt*,
quando un giornale, anche se locale e non
certo annoverabile fra quelli di Movimento, nello stesso numero racconta due
progetti che stai portando avanti avallandone di fatto i contenuti, allora vuol
dire che i risultati ci sono e gli addetti non solo li raccontano, ma
oggettivamente li sostengono.
E’ vero, lo sappiamo, a volte per difendere
i più elementari diritti siamo costretti a urlare (con tutti i mezzi a
disposizione partendo dai nostri stessi corpi) andando sopra le righe, ma se
necessario non possiamo tirarci indietro, perché il silenzio è dei colpevoli.
Veder raccontare quindi della nostra
presenza al Pride come del lavoro che stiamo facendo da settimane per la
realizzazione della partecipazione di tanti nostri fratelli africani di stanza
a Casale ai Mondiali Antirazzisti, significa che il tanto sgolarci (unito all’opera
volontaria dei nostri attivisti, logicamente) qualche effetto lo ha dato.
Una cosa, però, abbiamo ben chiara: tutto
quello che facciamo è grazie a voi che ci sostenete e che continuate a farlo
anche quando siete perplessi sulle strade che decidiamo d’intraprendere e sugli
strumenti da noi utilizzati: per questo siete indispensabili, per questo siete
Voci della Memoria.
Associazione Voci della Memoria
Su Twitter: https://twitter.com/Voci_Memoria
---------------------
From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, July 01, 2015 6:06 PM
Subject: REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI
6 MESI DEL 2015
REPORT MORTI SUL LAVORO NEL 2015 DAL 1°
GENNAIO AL 30 GIUGNO
L’Osservatorio Indipendente di Bologna
morti sul lavoro vi mette a conoscenza della drammatica situazione che c’è
anche quest’anno.
Dall’inizio dell’anno sono morti sui luoghi
di lavoro 300 lavoratori, con le morti sulle strade e in itinere si superano i
620 morti complessivi (stima minima).
Occorre tenere presente che nelle
statistiche delle morti sul lavoro lo Stato considera morti sul lavoro anche i
lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere e che tantissime categorie
come per esempio le Partite IVA individuali, Vigili del Fuoco, Poliziotti,
Carabinieri, lavoratori in nero e tanti altri non rientrano nelle statistiche
ufficiali.
Sta a noi che svolgiamo un lavoro
volontario fare conoscere anche questo aspetto ai cittadini italiani. TENIAMO
SEMPRE PRESENTE QUESTO ASPETTO QUANDO PARLIAMO DI QUESTE TRAGEDIE CHE SI
TENDONO SEMPRE A SOTTOVALUTARE.
Morti per infortuni sui luoghi di lavoro
per regione e provincia per ordine decrescente delle morti.
LOMBARDIA 35: Milano 7, Bergamo 3, Brescia
10, Como 2, Cremona 1, Lodi 1, Monza Brianza 2, Pavia 4, Sondrio 1, Varese 3.
TOSCANA 34: Firenze 3, Arezzo 3, Grosseto
7, Livorno 3, Lucca 3, Massa Carrara 4, Pisa? 4, Pistoia 2, Siena 1 Prato 4.
VENETO 29 : Venezia 1, Belluno 2, Padova?
4, Rovigo 4, Treviso 4, Verona 5, Vicenza 9.
CAMPANIA 23: Napoli 8, Avellino 2,
Benevento 2, Caserta 2, Salerno 9.
SICILIA 21: Palermo 7, Agrigento 1,
Caltanissetta 1, Catania 2, Messina 3, Ragusa 2, Siracusa 1, Trapani? 4 .
LAZIO 20: Roma 6, Frosinone 6, Latina 1,
Rieti 1, Viterbo 6.
PIEMONTE 17: Torino 5, Alessandria 4, Asti
2, Biella 1, Cuneo 3, Novara 1, Verbano-Cusio-Ossola 1.
EMILIA ROMAGNA 16: Bologna 3, Forlì Cesena
1, Ferrara 1, Modena 4, Parma, Piacenza 2, Ravenna 2, Reggio Emilia 2, Rimini
1.
LIGURIA 10: Genova 3, Imperia 2, La Spezia
3, Savona 2.
MARCHE 10: Ancona 4, Macerata 1, Fermo 1,
Pesaro-Urbino 2, Ascoli Piceno 2.
ABRUZZO 12: L’Aquila 4, Chieti 4, Pescara,
Teramo 4.
UMBRIA 8: Perugia 6, Terni 2.
PUGLIA 7: Barletta-Andria-Trani 1, Brindisi
2, Foggia, Lecce 2, Taranto 2.
TRENTINO ALTO ADIGE 7: Trento 3, Bolzano 4.
FRIULI VENEZIA GIULIA 6: Pordenone 4, Udine
2.
BASILICATA 4: Potenza 2, Matera 2.
CALABRIA 4: Catanzaro 2, Cosenza 1,
Crotone, Reggio Calabria 1.
SARDEGNA 5: Cagliari 2, Carbonia Iglesias
1, Medio Campisano 2.
MOLISE 3: Campobasso 2, Isernia 1.
VALLE D’AOSTA 0.
I lavoratori morti sulle autostrade, all’estero
e in mare non sono segnalati a carico delle province.
Circolano in rete dei dati dei morti sui
luoghi di lavoro che generano solo confusione e non hanno nessuna attinenza con
la realtà.
Noi li monitoriamo ogni giorno e non
temiamo smentite. il nostro e’ un lavoro volontario e in totale autonomia da
tutti, non lavoriamo nel settore della sicurezza e mai abbiamo preso soldi da
nessuno. lo svolgiamo da 8 anni per primi in italia per far comprendere la vera
dimensione complessiva di queste tragedie.
Osservatorio Indipendente di Bologna morti
sul lavoro
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