sabato 4 luglio 2015

4 luglio - Il nuovo numero di Know Your Rights: la controinformazione su Salute e sicurezza



SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!

NEWSLETTER N. 217 DEL 03/07/15


NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE


L’ISIS FA MENO MORTI CHE ANDARE AL LAVORO
1
IL DEMANSIONAMENTO E’ LEGGE: ECCO COME CAMBIA IL CODICE CIVILE
3
INFORTUNI SUL LAVORO: NON E’ RESPONSABILE IL DATORE DI LAVORO, MA IL PREPOSTO SE IL LAVORATORE NON INDOSSAVA LA CINTURA
5
LE 10 DOMANDE PIU’ FREQUENTI SUL TEMA DELLA POSTAZIONE DI LAVORO IN UFFICIO
6
GLI OBBLIGHI GENERALI E SPECIFICI DEI LAVORATORI IN MATERIA DI SICUREZZA
9
I QUESITI SUL DECRETO 81/08: RSPP E DELEGA PER LA SICUREZZA
12
VISITE MEDICHE DI IDONEITA’ EFFETTUATE IN AZIENDA: ISTRUZIONI D’USO
14


L’ISIS FA MENO MORTI CHE ANDARE AL LAVORO

Da Portale Consulenti
27 giugno 2015
di Mario Di Carlo

L’ISIS FA MENO MORTI CHE ANDARE AL LAVORO
LA DOMANDA VIENE SPONTANEA: E’ PIU’ PERICOLOSO ANDARE AL LAVORO O COMBATTERE IN GUERRA ???


Questo Articolo è una provocazione non una comparazione.
Provocazione ai Media, che trattano giustamente il fenomeno ISIS, ma che non trattano mai il problema ormai cronico dei morti sul lavoro.
Sembra assurdo che in Italia ci sono circa 1.000 morti all’anno e migliaia di feriti senza che nessun talk show faccia una trasmissione dedicata.

Maurizio Sacconi chiede semplificazioni più coraggiose per sicurezza lavoro.
Secondo il relatore, Maurizio Sacconi, “gli ampi criteri di delega consentono al legislatore delegato ben più consistenti margini di intervento ai fini di semplificazione e di razionalizzazione in una delle materie più segnate dalla complessità della regolazione”.

Secondo il Presidente della Commissione lavoro del Senato “la relazione allo schema di Decreto in oggetto segnala in particolare, ove la volontà semplificatoria si traduca in maggiore complicazione, le integrazioni che possono rafforzare il conseguimento dell’obiettivo dichiarato, gli ulteriori ambiti di riregolazione in coerenza con i principi e i criteri di delega”.
In merito ai profili della sicurezza e della salute sul lavoro la relazione esplicita che “per produrre luoghi di lavoro sicuri e prevenire efficacemente i danni alla salute e alla sicurezza delle persone appare necessario riconfigurare in senso moderno le norme sulla salute e sicurezza del lavoro, in un’ottica di incremento delle tutele accoppiata ad una vera semplificazione”.

Sarebbe quindi auspicabile, secondo Sacconi, una più coraggiosa opera di riscrittura della legislazione vigente, ridondante oltremisura e vaga nella definizione dei comportamenti penalmente rilevanti in modo da assicurare tra gli altri che: “siano definiti dei principi essenziali in non più di 20 articoli, ispirati al testo della Direttiva Europea 89/391/CE e all’esperienza di successo di altri Paesi europei; tutto ciò che comporta obblighi per le aziende sia supportato da adeguate evidenze scientifiche di efficacia; le fattispecie penalmente rilevanti e i precetti di prevenzione siano definiti con estrema chiarezza, anche attraverso l’applicazione di norme tecniche e linee guida; le sanzioni penali siano graduate in base alle possibili conseguenze del pericolo cagionato; per le imprese con profili di rischiosità bassi e assimilabili agli ambienti domestici (piccoli uffici, attività di servizio semplici, ecc.) siano previste norme specifiche, estremamente semplificate rispetto a quelle generali; gli adempimenti documentali siano ridotti al minimo indispensabile e vengano effettuati attraverso modelli unici nazionali da compilarsi via internet”.

Forse Maurizio Sacconi vive sulla Luna :
-         perché la Comunità Europea ci ha sanzionato proprio per le semplificazioni;
-         le persone che muoiono nei luoghi di lavoro in Italia sono in aumento non diminuiscono, se vanno calcolati sulla forza lavoro attiva;
-         l’Italia non è l’Europa: secondo statistiche Eurostat (aggiornate a dicembre 2012) considerando le attività del Nace-R2 (una sorta di “paniere” delle 13 attività economiche comuni ai paesi della UE) l’Italia tra il 2008 e il 2010 è stato per valori assoluti il Paese con più morti sul lavoro (718 vittime nell’ultimo anno considerato, contro le 567 della Germania, le 550 della Francia, le 338 della Spagna e le 172 della Gran Bretagna). Situazione leggermente migliore per gli infortuni con Germania e Spagna, che precedono il nostro Paese, in valori assoluti.

Prendiamo ad esempio i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, di cui riportiamo il seguente passaggio.
“Dall’inizio dell’anno sono morti sui luoghi di lavoro 290 lavoratori, con le morti sulle strade e in itinere si superano i 600 morti complessivi (stima minima). Occorre tenere presente che nelle statistiche delle morti sul lavoro lo Stato considera morti sul lavoro anche i lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere e che tantissime categorie come per esempio le Partite IVA individuali, Vigili del Fuoco, Poliziotti, Carabinieri, lavoratori in nero e tanti altri non rientrano nelle statistiche ufficiali. Sta a noi che svolgiamo un lavoro volontario fare conoscere questo aspetto ai cittadini italiani. TENIAMO SEMPRE PRESENTE QUESTO ASPETTO QUANDO PARLIAMO DI QUESTE TRAGEDIE CHE SI TENDONO SEMPRE A SOTTOVALUTARE”.

Poi occorre tenere presente dei feriti, perché questa è una guerra. In Italia si verificano circa 600.000 incidenti con danni temporanei ogni anno.
Forse il Senatore si è poi scordato delle Malattie professionali. Indicativamente in Italia si registrano, dal 2000 al 2005, circa 25.000 malattie professionali di vario tipo registrate dall’INAIL.

Se guardiamo a tutto il pianeta, l’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) stima che ogni anno si verificano nel mondo:
-         250 milioni di incidenti sul lavoro, che equivalgono a 685.000 al giorno, 475 al minuto e 8 al secondo;
-         12 milioni di incidenti sul lavoro che colpiscono minori;
-         più di 1.300.000 decessi legati al lavoro che equivalgono a 3.300 morti al giorno;
-         100.000 decessi provocati dalla sola lavorazione dell’amianto.

Le statistiche ufficiali dei morti e dei feriti per terrorismo indicano che nel 2013 sono state uccise 17.891 persone, 61% in più rispetto al 2012, mentre il numero degli attacchi (9.707) segna un +43%. I feriti sono stati 32.577 e quasi 3.000 le persone rapite.

La domanda viene spontanea è più pericoloso andare al lavoro o combattere in guerra ???



IL DEMANSIONAMENTO E’ LEGGE: ECCO COME CAMBIA IL CODICE CIVILE

Da Studio Cataldi
di Marina Crisafi

E’ in vigore il D.Lgs. 81/15 sulla nuova disciplina dei contratti prevista dal Jobs Act che sostituisce anche l’articolo 2103 del Codice Civile.

Da ieri, data dell’entrata in vigore del D.Lgs. 81/15 (Gazzetta Ufficiale n. 144/15) che contiene la nuova disciplina dei contratti di lavoro sancita dal Jobs Act, sono legge anche le nuove norme sul demansionamento che tanto hanno fatto discutere e non mancheranno di farlo anche in futuro.

Le regole sancite dal Governo in virtù della Legge Delega sulla riforma del lavoro (Legge 183/14) mettono, infatti, nelle mani dei datori di lavoro un grandissimo potere: quello di poter cambiare unilateralmente e in piena autonomia le mansioni dei dipendenti, senza la necessità di accordi sindacali o apposite previsioni dei contratti collettivi, laddove siano in corso cambiamenti organizzativi.

Dopo aver fatto salvo, il principio secondo il quale “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”, il nuovo articolo 2103 del Codice Civile, già pienamente operativo, recita, infatti, che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale”.

I soli limiti cui andrà incontro il datore di lavoro nell’operare il demansionamento saranno quelli di comunicare per iscritto il mutamento, a pena di nullità (e senza possibilità di scelta per il lavoratore, se vuole conservare il posto di lavoro), e della conservazione della retribuzione goduta, “fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”.
Ciò significa che, ad esempio, se la vecchia mansione prevedeva trasferte o indennità varie che facevano lievitare la retribuzione, il lavoratore non ne avrà più diritto, assistendo quindi inerte alla diminuzione del proprio stipendio.

Il mutamento di mansioni, peraltro, può anche avvenire senza un’adeguata formazione [anche relativamente alla tutela della salute e della sicurezza del lavoratore] perché l’obbligo è stabilito soltanto laddove necessario e il mancato adempimento non determina la nullità della nuova assegnazione.

Altre ipotesi di demansionamento, specifica la norma, possono essere previste anche dai Contratti Collettivi e tramite accordi individuali, stipulati “nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma del Codice Civile o avanti alle commissioni di certificazione”, prevedendo per il lavoratore soltanto il diritto di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Per contro, invece, il lavoratore avrà diritto alla maggiore retribuzione derivante dall’assegnazione a mansioni superiori, che diventerà definitiva, a meno che non sia stata disposta per sostituire un collega.

Non si tratta, tuttavia, del classico “bastone e carota”, perché anche la “carriera” nel ruolo diventerà più difficile, visto che il nuovo articolo 2103 del Codice Civile prevede che l’assegnazione diventa definitiva “dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”, in luogo dei tre previsti sinora dall’articolo 6 della Legge 190/85, abrogato dal Decreto.

Ma c’è di più.
L’articolo 3 del Decreto attuativo del Jobs Act legittima infatti anche il trasferimento del lavoratore da un’unità produttiva all’altra, in caso di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

Il D.Lgs. 81/15 è consultabile all’indirizzo:

Il testo del Codice Civile aggiornato a seguito del D.Lgs. 81/15 è consultabile all’indirizzo:



INFORTUNI SUL LAVORO: NON E’ RESPONSABILE IL DATORE DI LAVORO, MA IL PREPOSTO SE IL LAVORATORE NON INDOSSAVA LA CINTURA

Da Studio Cataldi

INFORTUNI SUL LAVORO: NON E’ RESPONSABILE IL DATORE DI LAVORO, MA IL PREPOSTO ALLA SICUREZZA SE IL LAVORATORE NON INDOSSAVA LA CINTURA
SECONDO LA CASSAZIONE IL DOVERE DI VIGILARE SUL CORRETTO UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI SICUREZZA E’ DEL PREPOSTO

Il datore di lavoro non è penalmente responsabile se il lavoratore ha subito un infortunio per non aver indossato la cintura. La responsabilità in tal caso è del preposto alla sicurezza che ha il dovere di vigilare sul rispetto da parte dei lavoratori delle direttive impartite.

Lo afferma la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sentenza n. 26994 del 25/06/15) che ha così accolto il ricorso di un datore di lavoro che era stato condannato ai sensi dell’articolo 590 del Codice Penale per lesioni colpose.

Secondo la Cassazione in caso di incidenti sul lavoro “l’identificazione della posizione di garanzia deve rifuggire da superficiali generalizzazioni o indebiti automatismi, non potendo esimersi il giudice dall’analizzare la particolare regola cautelare la cui trasgressione è stata identificata come antecedente causale dell’evento illecito concretizzatosi”.

Per questo se c’è stata una violazione dell’obbligo di vigilare sull’utilizzo della cintura di sicurezza da parte del lavoratore, deve considerarsi che tale obbligo “rimanda alla sfera di rischio gestita dal preposto, i cui compiti sono quelli di sovrintendere alla attività lavorativa e garantire l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

In tal caso, conclude la Corte, si può configurare solo una responsabilità penale del preposto e “non del datore di lavoro, cui non si può dunque imputare l’omessa vigilanza”.

Come rilevano gli Ermellini, anche se i giudici di merito hanno fatto riferimento a un dovere del datore di lavoro di vigilare sull’operato del preposto, tale omessa vigilanza “non può essere affermata apoditticamente, per il solo fatto dell’essersi verificato l’infortunio”.
Una responsabilità del datore potrebbe esservi nel caso in cui abbia indicato come preposto una persona che non è in grado di svolgere tale compito.

Il testo integrale della Sentenza n. 26994 del 25/06/15 della Corte di Cassazione Penale è consultabile all’indirizzo:



LE 10 DOMANDE PIU’ FREQUENTI SUL TEMA DELLA POSTAZIONE DI LAVORO IN UFFICIO

Da: PuntoSicuro
23 giugno 2015
        
Quando e perché il lavoro in ufficio può diventare stressante? Quali sono le principali cause di infortunio e come si possono prevenire? Quali sono i requisiti della postazione di lavoro?

Pubblichiamo un documento tratto da SUVA (principale assicuratore in Svizzera nel campo dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni) riguardante le dieci domande più frequenti sui rischi per la salute e la sicurezza nel lavoro di ufficio. Ricordiamo che anche se i documenti di SUVA riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati possono essere comunque di utilità per tutti i lavoratori.

QUANDO E PERCHE’ IL LAVORO IN UFFICIO PUO’ DIVENTARE STRESSANTE?
Più sono i fattori di disturbo presenti sul posto e nell’ambiente di lavoro, più aumenta lo stress.
Possono costituire un problema fattori come un’illuminazione inadeguata, il rumore, un microclima non favorevole, ma anche difetti di vista non adeguatamente corretti ed elementi di natura psicofisica.
Il lavoro d’ufficio, inoltre, viene svolto prevalentemente stando seduti e la tensione statica della muscolatura favorisce l’insorgere di vari disturbi, specie se si assumono posture forzate a causa di postazioni di lavoro non disposte in maniera corretta. Si tratta quasi sempre di problemi muscolari e alla schiena di natura cronica, che eventuali tensioni psicologiche possono ulteriormente incrementare.

QUALI SONO LE PRINCIPALI CAUSE DI INFORTUNIO E COME SI POSSONO PREVENIRE?
Più della metà degli infortuni sul lavoro si verifica nel settore dei servizi e quasi sempre si tratta di inciampi e cadute. Le relative cause sono da ricondurre a difetti tecnici e di costruzione (usura, errore di progettazione), problemi di organizzazione (sovraccarico di lavoro, tempi troppo ridotti, clima di lavoro negativo) e fattori umani (distrazione, fretta, stanchezza).
Ogni anno il 5% dei lavoratori subisce un infortunio in ufficio, il che si traduce da un lato in periodi di assenza, dall’altro in ore straordinarie a carico di altri collaboratori.
Per evitare tali infortuni, in ufficio bisogna fare attenzione a collocare, sollevare e trasportare gli oggetti in maniera corretta come pure a lasciare libere tutte le vie di circolazione. Anche cassetti e canaline dei cavi aperti, versamenti di liquidi sul pavimento o angoli rialzati dei tappeti possono essere causa di infortunio, dunque sono situazioni da evitare o a cui porre tempestivamente rimedio.

COME REGOLARE SEDIA E SCRIVANIA?
Ogni persona ha una propria conformazione fisica e dunque anche sedia e scrivania dovrebbero essere regolate secondo tali caratteristiche individuali. Non si tratta solo di tenere conto della statura, ma anche del peso e della lunghezza degli arti. Per una postura seduta corretta, si fa riferimento ai gomiti: la scrivania va regolata alla loro altezza, senza sollevare le spalle. Si raccomanda anche di lavorare in piedi, di tanto in tanto. E’ possibile farlo con le scrivanie dotate di regolazione elettrica dell’altezza, i tavolini alti o i piani di appoggio rialzati, che possono essere utilizzati per prendere appunti, brevi telefonate o riunioni con i colleghi. Anche per le scrivanie alte vale la stessa regola, ossia il piano deve essere regolato all’altezza dei gomiti.
Una sedia ergonomica ha uno schienale regolabile in altezza o un supporto lombare regolabile a parte. La curvatura dello schienale deve trovarsi all’altezza delle vertebre lombari. Inoltre, è importante che l’altezza della sedia nonché la profondità della seduta siano regolabili. I braccioli di supporto non sono obbligatori ma, se presenti, devono poter essere spostati indietro per evitare che si incastrino sul bordo della scrivania. Una postura seduta corretta al videoterminale presuppone che il corpo sia ben diritto. I piedi devono appoggiare completamente sul pavimento mentre cosce e parte inferiore delle gambe devono formare un angolo di 90 gradi rispetto al pavimento, evitando così punti di compressione che ostacolano la circolazione del sangue.

QUAL E’ LA DISPOSIZIONE MIGLIORE DI UN POSTO DI LAVORO AL VIDEOTERMINALE?
La disposizione di un posto di lavoro al videoterminale prevede un corretto posizionamento di sedia, schermo, tastiera e mouse, che vanno considerati come un’unità.
E’ importante che siano allineati su uno stesso asse e che il mouse si trovi più vicino possibile alla tastiera. I documenti devono essere posizionati tra la tastiera e lo schermo, non davanti alla tastiera. La distanza della tastiera dal bordo della scrivania deve essere di 10-15 cm. Se si hanno problemi alle spalle, ai gomiti o alle articolazioni delle mani, bisogna utilizzare una tastiera senza blocco numerico al fine di ridurre al minimo il carico laterale sulle articolazioni interessate. Lo schermo deve essere posizionato in modo da non dover ruotare il corpo, evitando riflessi e abbagli sul monitor provenienti da fonti di luce. La distanza ideale tra lavoratore e schermo è pari alla lunghezza di un braccio mentre l’altezza ideale è quella di un palmo sotto gli occhi.

QUALI SONO I REQUISITI DI UNA CORRETTA ILLUMINAZIONE?
Il posto di lavoro deve essere possibilmente illuminato con luce naturale, evitando fastidiosi effetti di abbagliamento. Ma poiché ciò non è possibile in molti casi, è necessario assicurare una buona illuminazione artificiale di almeno 500 lux. Considerato che il fabbisogno di luce aumenta con il passare degli anni, può essere d’aiuto dotare la postazione di lavoro di una lampada individuale, facendo naturalmente attenzione ai collaboratori più giovani per non abbagliarli. E’ possibile evitare tale situazione, organizzando adeguatamente il posto di lavoro o servendosi di elementi divisori o di schermatura della luce, come pannelli insonorizzati o piante. In questo caso, è importante prestare attenzione a non impedire il passaggio della luce naturale o la vista sull’esterno.

QUANTO SPAZIO DEVE METTERMI A DISPOSIZIONE IL DATORE DI LAVORO?
In prossimità diretta del posto di lavoro, per motivi di sicurezza, bisogna garantire un’adeguata libertà di movimento. Ciò significa disporre di un piano della scrivania che misuri minimo 160 x 80 cm, per un’adeguata superficie di appoggio, e di uno spazio di movimento di almeno 100 cm per la sedia tra bordo della scrivania e ostacolo più vicino nella parte posteriore. Se tale ostacolo è rappresentato da un archivio con cassetti estraibili, si fa riferimento alle misure a cassetti aperti.
Molto importanti anche l’accesso alla postazione personale, che deve essere almeno 60 cm e le vie di circolazione, larghe almeno 80 cm. Inoltre, è necessario assicurare uno spazio per riporre il materiale necessario al lavoro e uno per gli oggetti personali, come soprabito, ombrello e borsa.
Una semplice regola empirica prevede da 8 a 10 metri quadri di spazio per posto di lavoro, ma per attività più complesse o gruppi più grandi, dati i maggiori fattori di disturbo (come il livello di rumore) le dimensioni vanno aumentate da 12 a 15 metri quadri.
Oltre alla stanza riservata ai colloqui, fanno parte del posto di lavoro le toilette e una zona di riposo bene illuminata con vista sull’esterno. E’ importante tener conto di questi spazi supplementari sin dalla fase di pianificazione di un ufficio.

QUALI SONO LE CONDIZIONI CLIMATICHE PIU’ ADEGUATE DI UN UFFICIO?
Le condizioni climatiche influenzano la nostra salute e, come per lo stress, la sensibilità varia da persona a persona. Spesso basta parlarsi tra colleghi per regolare al meglio la temperatura ambiente.
I seguenti valori indicativi di una temperatura ambiente ideale sono comunque validi per la gran parte dei casi: d’inverno la temperatura va impostata tra i 21 e i 23 °C, d’estate si può arrivare a 25 °C.
L’umidità ideale dell’aria è tra il 30 e il 65%. Per aumentare la sensazione di benessere, si possono disporre delle piante mentre arieggiare regolarmente gli ambienti permette di evitare un affaticamento precoce. Al di sotto del 30% di umidità relativa, è opportuno bere più acqua.

COME SI PUO’ EVITARE LO STRESS IN UFFICIO?
La sensibilità allo stress varia da una persona all’altra. Quello che disturba uno, è indifferente all’altro. Per esempio, lavorare sotto pressione può essere motivante per qualcuno mentre altri reagiscono con attacchi di panico.
In linea generale, bisogna evitare sia i carichi di lavoro eccessivi che quelli insufficienti. Anche un buon clima di lavoro, che garantisca possibilità di formazione e sviluppo, può contribuire a ridurre lo stress.
Ogni persona deve riconoscere i propri sintomi di stress, prenderli sul serio e reagire tempestivamente, con opportuni colloqui, con tecniche personali di gestione dello stress, o anche ricorrendo a una consulenza medica.

QUALI SONO I FATTORI DI DISTURBO DA EVITARE IN UFFICIO?
La percezione varia da una persona all’altra. Una determinata cosa può apparirci utile, piacevole o sgradevole e ciò dipende dall’entità o dalle circostanze.
Possono essere fattori di disturbo la temperatura, le correnti d’aria, il livello di rumore, lo squillo del telefono o gli apparecchi che non funzionano (computer, stampante, ecc.). Anche conversazioni private o professionali tra collaboratori nello stesso ufficio possono essere avvertite come un disturbo, a seconda del carico di lavoro e del livello di rumore in quel momento.
Per questo è importante mettere a disposizione un’apposita stanza per i colloqui e, possibilmente, collocare gli apparecchi più usati in un ambiente separato.

QUALI SONO I DIRITTI E I DOVERI DI DATORI DI LAVORO E LAVORATORI?
I diritti e i doveri di datori di lavoro e lavoratori riguardo alla sicurezza sul lavoro e alla tutela della salute sono disciplinati...[in Italia dal D.Lgs.81/08].
Vengono spesso precisati in dettaglio nei contratti collettivi di lavoro con allegato regolamento. Così, per esempio, il datore di lavoro è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie per la tutela della salute e dell’integrità personale allo scopo di prevenire infortuni sul lavoro e malattie professionali nonché di adeguare il posto di lavoro allo stato della tecnica e alle circostanze.
I lavoratori vengono chiamati a collaborare per tutto quanto riguarda la tutela della salute e sono tenuti a loro volta a supportare il datore di lavoro nell’attuazione delle prescrizioni.



GLI OBBLIGHI GENERALI E SPECIFICI DEI LAVORATORI IN MATERIA DI SICUREZZA

Da: PuntoSicuro
24 giugno 2015
di Tiziano Menduto

Un saggio di Olympus si sofferma sul ruolo, sugli obblighi e le responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro. Focus sugli obblighi generali e specifici sanciti dall’articolo 20 del D.Lgs. 81/08.

Il lavoratore, con la stipula del contratto di lavoro, ha il dovere di adempiere anche agli obblighi in materia di sicurezza, sanciti dall’articolo 20 del D.Lgs. 81/08.
La sua prestazione non deve essere solo professionalmente adeguata (sul piano del risultato finale), ma anche svolta nel rispetto degli obblighi impostigli dalla normativa di sicurezza e dalle stesse disposizioni approntate in materia, dal datore di lavoro e/o dai suoi più stretti collaboratori. Senza dimenticare che il lavoratore assume anche obblighi di sicurezza nei confronti dei colleghi di lavoro e delle altre persone presenti sul luogo di lavoro.

A presentare in questi termini gli obblighi generali dei lavoratori è un Working Paper (pubblicato da Olympus nel mese di giugno 2014) dal titolo “L’individuazione e le responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro” a cura di Mariantonietta Martinelli (Avvocato del Foro di Trani, Specialista in Diritto del Lavoro e Sicurezza Sociale presso l’ Università di Bari).
All’interno del trovano particolare enfasi le parole dell’autrice che mostrano come il legislatore abbia voluto attribuire al lavoratore il nuovo ruolo di collaboratore di sicurezza del datore di lavoro e a considerarlo non più solo soggetto passivo. Ma nel saggio vengono affrontati anche gli obblighi generali e specifici dei lavoratori partendo dalla normativa e in relazione agli orientamenti giurisprudenziali.

Per parlare degli obblighi il punto di partenza non può che essere il comma 1 dell’articolo 20 del D.Lgs. 81/08 che prescrive, per ogni lavoratore, l’obbligo generale di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

Dunque con tale previsione normativa, ciascun lavoratore è chiamato ad adempiere non soltanto agli obblighi specifici, imposti dal comma successivo e, peraltro, penalmente sanzionati (ad eccezione della lettera a), ma anche a porre in essere tutte le azioni e ad assumere tutti i comportamenti idonei alla salvaguardia della salute e della sicurezza proprie e altrui, in proporzione alla formazione ricevuta, alle competenze che possiede e alle condizioni ambientali date.
Infatti (continua il saggio) il debito di sicurezza che la norma pone a carico del lavoratore è limitato alle sue conoscenze e competenze professionali e alla sfera di controllo relativa all’attività da lui espletata. Inoltre, secondo alcuni, l’ampio concetto di prendersi cura, non comporta soltanto l’obbligo della semplice osservanza delle disposizioni ma impone al lavoratore di prestare un’attenzione consapevole ai suoi comportamenti e di assumere la condotta richiesta dalla specifica situazione. Egli, dunque, dovrà astenersi dall’assumere comportamenti che possano mettere a repentaglio la propria e l’altrui salute e sicurezza ovvero dovrà agire consapevolmente per tutelare e preservare quegli stessi valori. In questo senso il lavoratore potrà essere ritenuto responsabile, non solo nel caso di fattispecie commissive ma anche, di fattispecie omissive improprie, in conseguenza di una mancata azione che aveva il dovere di compiere.

Il documento mette poi in rilievo la stretta correlazione fra i doveri imposti al lavoratore e quanto il datore di lavoro ha fatto in termini di formazione, istruzione e mezzi. L’assolvimento da parte del datore di lavoro di tali obblighi posti dalla normativa a suo carico, condiziona, anzi, l’operatività dell’obbligo generale del lavoratore di cui al comma 1 e la sua effettiva portata. E’ proprio l’avverbio “conformemente” a configurare un limite all’attribuzione di responsabilità in capo al lavoratore: vi sarà una sua responsabilità, in proporzione alla formazione ricevuta, alle adeguate istruzioni impartitegli e ai mezzi di protezione assegnatigli. Più il lavoratore è formato, istruito e dotato di idonei strumenti e mezzi di tutela, più responsabilità graveranno su di lui e più il datore di lavoro potrà pretendere da lui in materia di sicurezza, in considerazione del fatto che costui ha diritto di attendersi che il lavoratore, usando la normale diligenza, adempia esattamente ai propri doveri anche in tale materia.

Si ricorda poi che, fra i beneficiari della tutela, la norma non indica solo i lavoratori, ma anche le “altre persone” presenti sul luogo di lavoro. E ci è chiesti se tale ampia formulazione comprenda non solo i lavoratori, ma anche i terzi che per qualsiasi motivo si trovino “sul luogo di lavoro”.
In Dottrina, la tesi dominante sembra escludere una interpretazione così estensiva anche se non manca chi propende per la stessa. La Giurisprudenza ha, invece, reiteratamente affermato che le norme antinfortunistiche siano poste a tutela sia dei lavoratori, sia di chiunque sia presente anche occasionalmente sul luogo di lavoro.

Ci soffermiamo brevemente su alcuni obblighi specifici (riportati al comma 2 dell’articolo 20 del D.Lgs. 81/08) a carico dei lavoratori subordinati e a essi equiparati che arricchiscono la posizione debitoria del lavoratore.
La loro violazione, comporterà l’applicazione di sanzioni penali (a eccezione della lettera a) e, ovviamente, di sanzioni civili.

“I lavoratori devono in particolare:
a)    contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b)    osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
c)    utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza;
d)    utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e)    segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
f)    non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
g)    non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
h)    partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
i)     sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente”.

Ci soffermiamo sul primo dovere prescritto dalla lettera a), che è quello di contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Dunque il lavoratore è chiamato a collaborare e partecipare attivamente all’assolvimento del dovere generale di sicurezza, risultandone egli stesso pienamente corresponsabilizzato, in considerazione dell’autonoma sfera di azione riconosciutagli dal legislatore.

Inoltre la successiva lettera b) sancisce l’obbligo di osservare le disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva e individuale.
In questo caso è condivisibile è la tesi di chi ritiene tale obbligo, una specificazione del generale dovere di obbedienza sancito dall’articolo 2104, comma 2 del Codice Civile.
Una norma di tal genere, consente, infatti, al datore di lavoro (e ai suoi più stretti collaboratori), nell’esercizio del potere direttivo, di prevedere, in aggiunta, a quanto già sancito dal legislatore in materia, ulteriori specifiche e concrete norme di comportamento adeguate all’ambiente produttivo in cui il lavoratore opera. Consente, altresì, a dirigenti e preposti, di intervenire puntualmente e, forse meglio, del datore di lavoro che, come giustamente osservato, nelle imprese moderne, caratterizzate da una maggiore complessità e articolazione organizzativa, è il soggetto forse meno presente sul luogo di lavoro.

Ci soffermiamo infine sull’obbligo sancito dalla lettera h), che costituisce una novità per il lavoratore, l’obbligo di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro.
Questa norma è stata favorevolmente accolta dalla Dottrina che ha osservato come la previsione di un obbligo di tal genere, ponga in evidenza il ruolo centrale della formazione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Ora la formazione non è più considerata solo un diritto ma, anche, un obbligo per il lavoratore. La previsione del vincolo partecipativo ai corsi di formazione e addestramento rafforza, conseguentemente, i corrispondenti obblighi di informazione e formazione gravanti sul datore di lavoro. Se, infatti, il lavoratore non ha ricevuto adeguata informazione e formazione, quando ponga in essere comportamenti negligenti, imprudenti, imperiti, non potrà agevolmente assumersi, che gli eventi letali che ne conseguano, siano il frutto di condotte anomale e imprevedibili, in quanto la imperizia del comportamento sarebbe direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione e informazione da parte del datore di lavoro, che resta il soggetto responsabile.

Segnaliamo per finire che il saggio si sofferma in particolare anche sugli obblighi specifici:
-         per i lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto;
-         per i lavoratori autonomi e i componenti dell’impresa familiare.

Il documento di Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro “L’individuazione e le responsabilità del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro” è scaricabile all’indirizzo:



I QUESITI SUL DECRETO 81/08: RSPP E DELEGA PER LA SICUREZZA

Da: PuntoSicuro
01 luglio 2015
di Gerardo Porreca

Sulla possibilità da parte del datore di lavoro di conferire una delega di funzioni al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP).

Risposta sulla possibilità da parte del datore di lavoro di conferire una delega di funzioni al RSPP a cura di Gerardo Porreca.


QUESITO

Sono il RSPP dipendente di un’azienda di oltre 50 addetti e in tale veste presto assistenza e consulenza al datore di lavoro nelle varie pratiche aziendali afferenti le tematiche di sicurezza. Nel servizio non vi è nessun ASPP e nessun altro dipendente fa riferimento a me per le proprie mansioni. Il datore di lavoro vuole conferirmi una delega di funzioni ex articolo 16 del D.Lgs. 81/08. Sono compatibili le due figure?


RISPOSTA

La domanda fatta dal lettore, finalizzata a conoscere se la figura del RSPP è compatibile con quella del delegato del datore di lavoro ex articolo 16 del D.Lgs. 81/08, ricorre facilmente perché accade spesso che il datore di lavoro ritenga opportuno individuare, come possibile soggetto al quale trasferire alcuni o tutti i suoi obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, proprio il RSPP della sua azienda essendo questa una figura che per sua natura è competente nel campo specifico della salute e sicurezza sul lavoro.

Per poter rispondere al quesito formulato e per potere valutare se vi è una compatibilità o meno tra le funzioni svolte dalle due figure sopraindicate occorre innanzitutto richiamare gli obblighi e i compiti che il legislatore ha inteso assegnare alle stesse figure.

L’istituto della delega di funzioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, anche se di fatto già esistente nelle organizzazioni aziendali, è stato ufficialmente introdotto dal legislatore con il comma 1 dell’articolo 16 del D.Lgs. 81/08 secondo il quale:
“La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto”.

Tale articolo, come è facile osservare, nell’introdurre la delega stessa ha fissato anche delle precise condizioni, mancando anche una sola delle quali la delega viene definita in gergo tecnico “imperfetta” e non ha quindi nessuna validità effettiva.

Il RSPP invece è un soggetto che dirige tale servizio istituito dal datore di lavoro presso la propria azienda e che, alla luce di quanto indicato nell’articolo 33 del D.Lgs. 81/08, deve provvedere:
“a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;
c) a elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36”.

Occorre precisare che il Servizio di Prevenzione e Protezione, così come specificato nel comma 3 dello stesso articolo 33, “è utilizzato dal datore di lavoro” per cui è chiaro che il RSPP è quindi sostanzialmente un consulente del datore di lavoro che collabora con lo stesso e lo supporta nel risolvere le problematiche in materia di salute e di sicurezza sul lavoro esistenti nella sua azienda.
Normalmente, specie nel caso di aziende di grandi dimensioni, così come è quella di cui al quesito formulato, il RSPP, per svolgere i suoi compiti, è coadiuvato da uno o più addetti al servizio di prevenzione e protezione (ASPP) che il datore di lavoro gli può affiancare.

Con riferimento ora alla richiesta formulata dal lettore con il quesito che si riscontra, riguardante la possibilità per il datore di lavoro di conferire una delega di funzioni al RSPP, si osserva che mentre la condizione di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 16, relativa al possesso del requisito di “professionalità e di esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate”, sembra essere sufficientemente soddisfatta nel caso in esame, considerata l’attività che il RSPP svolge nell’ambito dell’azienda, qualche perplessità sorge invece sull’attuazione della condizione di cui alla lettera c) alla luce di quanto indicato dal lettore in merito alla posizione gerarchica che lo stesso ha nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
Per il conferimento di una delega di funzioni ex articolo 16 del D.Lgs. 81/08 viene richiesto infatti dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo 16 anche il possesso di “poteri di organizzazione, gestione e controllo”, poteri tipici di una figura dirigenziale che il lettore sembra non possedere nel caso in esame perché, come da lui stesso sostenuto, non ha altre persone alle sue dipendenze, a parte il fatto che, considerata appunto la sua posizione nell’ambito della organizzazione aziendale, difficilmente si ritiene che possa trovare attuazione la condizione di cui alla lettera d) relativa all’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.

Alla luce quindi di quanto sopra detto e in risposta al quesito formulato, pur non vietando il legislatore che un datore di lavoro possa delegare il RSPP per l’assolvimento di alcuni o di tutti i suoi obblighi in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, sempre ovviamente che siano realizzate tutte le precise condizioni fissate con l’articolo 16, non si ritiene comunque opportuno che lo stesso faccia questa scelta, così come analogamente non si ritiene opportuno che il datore di lavoro nomini per l’assolvimento nella propria azienda dei compiti del RSPP un dirigente dell’azienda stessa.

Il rischio che si può correre se si conferisce una delega di funzioni a un RSPP, specie se si ha a che fare con una grossa azienda e specie se il RSPP non ha il supporto di uno o più ASPP come nel caso in esame, è quello di distoglierlo dall’effettuazione dei compiti che il legislatore gli ha assegnati in materia di sicurezza sul lavoro, che nel caso in esame si presumono abbastanza gravosi, perché impegnato a curare la organizzazione dell’azienda e a gestire la stessa e di metterlo altresì sostanzialmente in una posizione di incompatibilità nel senso che lo si può condizionare nelle proprie decisioni nel momento in cui, individuate nell’ambito della propria attività e nella propria veste di RSPP le misure preventive e protettive da adottare per eliminare o ridurre al minimo i rischi individuati, debba poi lui stesso provvedere ad attuarle quale delegato del datore di lavoro e ciò a maggior ragione se il potere di autonomia e di spesa che gli è stato conferito sia solo fittizio e non effettivo.



VISITE MEDICHE DI IDONEITA’ EFFETTUATE IN AZIENDA: ISTRUZIONI D’USO

Da: PuntoSicuro
02 luglio 2015

Chi deve effettuare le visite mediche di idoneità? Come si devono svolgere le visite? Come devo essere i locali? Guida al decoro e alla dignità del lavoratore e del medico competente.
Pubblichiamo a tale proposito un contributo del dottor Cristiano Ravalli tratto dal blog Il Medico Competente www.medicompetente.blogspot.it.

GUIDA PER I LAVORATORI E GLI RLS PER LE VISITE MEDICHE DI IDONEITA’ EFFETTUATE IN AZIENDA
Fa specie parlare nel 2015 di decoro e di igiene dei locali ove vengono effettuate le visite mediche di idoneità di medicina del lavoro e fa specie che molti medici si prestino a effettuarle in locali non idonei e per questo è opportuno informare i lavoratori e i loro rappresentanti (RLS) sui regolamenti e sugli elementi minimi di dignità per la visita medica effettuata nei locali aziendali.
Ancora oggi ricevo proposte di eseguire, e non è uno scherzo, le visite mediche sui divani del bar, sulle scrivanie, sulle sedie, sui letti degli hotel, negli spogliatoi aziendali, nei locali dedicati alla pausa pranzo, ecc. Al mio rifiuto la risposta è sempre la stessa: “ma il medico di prima le faceva senza fare problemi”.
Pertanto, convinto che un lettino di visita non lo si neghi neppure al nostro fido, scrivo di cuore questa guida dedicata al decoro e alla dignità dell’individuo lavoratore e dell’individuo medico.

CHI DEVE EFFETTUARE LE VISITE MEDICHE DI IDONEITA’?
Le visite mediche di idoneità devono essere effettuate dal medico che ha ricevuto l’incarico di medico competente.
L’articolo 36, comma 1 del Testo Unico (TU: Decreto Legislativo n.81 del 2008) prevede che “Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione, e del medico competente”.
La sanzione prevista in caso di inadempienza è l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.315 a 5.700 euro (articolo 55, comma 5, lettera c) del TU).
Pertanto solo il medico il cui nominativo viene indicato ai lavoratori ha diritto e dovere di operare.
Il medico competente non può delegare ad altri l’effettuazione delle visite mediche come di qualsiasi altra attività prevista dal TU a suo carico.
Pertanto qualora ciò accadesse occorre che i lavoratori, anche a mezzo del loro RLS, provvedano a comunicare al Servizio di Tutela della Salute e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro della ASL territorialmente competente la grave violazione commessa dal medico, non priva di risvolti etici quale quello del subappalto di lavoro ad altri colleghi. Molti centri medici hanno introdotto la visita parere di medicina del lavoro: il medico competente fa effettuare la visita medica a altro collega sotto la dizione di “visita parere di medicina del lavoro”. Inutile dire che si tratta di schifosi escamotage per aggirare la normativa che non permette la delega della visita e che qui si vede il vero ruolo dei medici coordinatori che ai convegni sventolano principi universali e poi nei loro centri medici ne fanno di ogni sotto gli occhi di tutti.

IL MEDICO DEVE EFFETTUARE EFFETTIVAMENTE UNA VISITA MEDICA INCLUSIVA DI ESAME OBIETTIVO?
La cartella sanitaria e di rischio è conforme a un modello previsto dalla norma che include, sempre, l’esame obiettivo. Esame obiettivo quindi non significa chiedere “sta bene?” o limitarsi alla misurazione della pressione arteriosa, ma significa effettuare l’esame obiettivo generale o degli organi così come previsto dall’Allegato 3A del TU.
Il medico che in azienda compila la cartella ma non effettua materialmente l’esame obiettivo commette un reato grave in quanto falsifica una cartella sanitaria, riportando appunto un esame obiettivo che invece non è stato effettuato.
Si tratta di un falso che può avere risvolti penali e pertanto il medico che compila la cartella e non effettua l’esame obiettivo (visita medica) deve essere segnalato al Servizio di Tutela della Salute e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro della ASL territorialmente competente e all’Ordine dei Medici Provinciale a cui è iscritto.
Ricordo che il lavoratore può, in ogni momento, richiedere al medico competente copia della sua cartella sanitaria e di rischio, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, lettera h) del TU:
“Il medico competente informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria”.
In caso di inadempienza è prevista la sanzione amministrativa a carico del medico inosservante: da 657 a 2.1920 euro (articolo 58, comma 1, lettera d) del TU.
Inoltre il lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, riceve d’ufficio copia della sua cartella senza neppure richiederla, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, lettera e) del TU:
“Il medico competente consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima; l’originale della cartella”.
La sanzione in caso di inadempienza prevede l’arresto fino a un mese o l’ammenda da 219 a 876 euro (articolo 58, comma 1, lettera a) del TU).
Pertanto il lavoratore ancora in organico che dopo aver fatto richiesta di copia della propria cartella sanitaria e di rischio non la riceva o il lavoratore che, alla cessazione del rapporto di lavoro, non riceva automaticamente la copia della propria cartella sanitaria e di rischio può, anche a mezzo del RLS, segnalare al Servizio di Tutela della Salute e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro della ASL le inadempienze.

ANCHE GLI ADDETTI UFFICIO DEVONO ESSERE VISITATI?
La cartella sanitaria e di rischio vale per tutti e quindi tutti i lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria devono essere materialmente visitati.
In particolare i lavoratori che operano in ufficio addetti a videoterminali devo essere visitati ai sensi dell’articolo 176, comma 1 del TU:
“I lavoratori [addetti ai videoterminali] sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, con particolare riferimento:
-         ai rischi per la vista e per gli occhi;
-         ai rischi per l’apparato muscolo-scheletrico”.
Il medico quindi è tenuto a esprimersi anche sull’apparato muscolo-scheletrico che non può essere esplorato senza una visita medica.

IL LAVORATORE PUO’ RIFIUTARSI DI SPOGLIARSI?
No, non può. Nei limiti del decoro ovviamente. Mutande e reggiseno possono essere mantenuti in quanto non interferenti con la visita medica che risparmia esame senologico o esame dei genitali. Sarà poi il medico a cercare di rendere meno imbarazzante la visita medica soprattutto quelle di medicina del lavoro ove l’assistito è obbligato a sottoporsi a un esame medico senza possibilità di scelta del medico competente. Anche se ciò non è del tutto vero in quanto l’articolo 50 del TU al comma 1, lettera c) prevede che il “RLS è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente”.
la sanzione in caso di inadempienza al datore di lavoro o al dirigente che ha effettuato le nomine senza la consultazione del RLS: è un’ammenda da 2.192 a 4.384 euro (articolo 55, comma 5, lettera e) del TU).
Ci sono poi situazioni particolari come le lavoratrici di religione musulmane che sono ostili alla visita medica effettuata da soggetto di sesso opposto. Nella mia esperienza: qualora si usi il dovuto riguardo, informate sulla possibilità di essere accompagnate da un familiare o altro, non è mai stato un problema insormontabile.

IL LAVORATORE, AL MOMENTO DELLA VISITA MEDICA DI IDONEITA’, PUÒ FARSI ACCOMPAGNARE DA ALTRO SOGGETTO?
Non c’è nessuna controindicazione a che ciò avvenga se il lavoratore è d’accordo.

E’ POSSIBILE EFFETTUARE LA VISITA MEDICA SULLE SCRIVANIE O SULLA SEDIA?
Sebbene questa sia una pratica diffusa essa viola i principi generali del decoro e il medico che si presta a tali pratiche deve essere segnalato al Servizio di Tutela della Salute e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro della ASL territorialmente competente e all’Ordine dei Medici Provinciale a cui è iscritto.
Occorre precisare che nel TU, non vengono indicati i requisiti dei locali adibiti, anche temporaneamente, alla sorveglianza sanitaria. Il comma 1 dell’articolo 39 del TU stabilisce che “l’attività di medico competente é svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH)”.
In realtà ho cercato anche nel Codice Etico ICOH e non vi è cenno a questo aspetto. Ho cercato anche nel codice deontologico ma non vi è cenno, se non per i medici convenzionati o dipendenti.
In realtà credo che non vi sia cenno in quanto si dà per scontato che il medico, in genere, operi rispettando i requisiti minimi di decoro professionale e di rispetto dell’assistito e questo c’è nel codice deontologico.
Alcuni servizi ispettivi dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (ASL SPISAL Vicenza ad esempio) avevano inserito, nelle loro check-list di controllo, una verifica dei requisiti minimi dei locali adibiti alle visite mediche in azienda.
IN OGNI CASO, QUALI CARATTERISTICHE DEVE AVERE LA STANZA UTILIZZATA TEMPORANEAMENTE DA PARTE DEL MEDICO COMPETENTE PER RISPETTARE UN MINIMO DI DECORO E DI RISPETTO DELL’ASSISTITO?
Deve essere chiusa, priva di vetri che permettano la visione dall’esterno, dotata di lettino (anche pieghevole che l’azienda può riporre in altro luogo terminate le visite), dotata di rotolo di carta igienico, riscaldata in inverno (le persone si spogliano!), due sedie e un tavolo, sufficiente isolamento acustico per il rispetto della privacy, possibilità di accesso al bagno per le normali pratiche igieniche (lavaggio mani del sanitario). Le ASL indicavano, fra i requisiti, anche la presenza del lavandino nella sala visite.
Il lettino può essere anche portato dal medico competente se è contento lui di fare lo “sherpa”.
Ovviamente se c’è una parete divisoria che non garantisce la privacy e dall’altra parte si sente tutto: non va bene!
Ovviamente se occorre effettuare le audiometrie e fuori passano i camion: non va bene!
Ovviamente se il rumore dell’impianto impedisce al medico di auscultare i polmoni o il cuore: non va bene!
Esistono poi altre soluzioni quali effettuare le visite presso l’ambulatorio del medico o utilizzare le unità mediche mobili (camper omologati per questo tipo di attività) che sono forniti da società che esercitano la medicina del lavoro. Credo che esista anche la possibilità di noleggio del mezzo.
Pertanto le visite mediche effettuate negli spogliatoi, nei sottoscala, tra le scrivanie non rispettano minimamente i requisiti minimi di decoro e di dignità del lavoratore, del medico e dell’azienda stessa.

I medici competenti che operano, anche con non pochi sacrifici personali in termini di atti burocratici, ringraziano gli RLS e i lavoratori che segnalino le aberrazioni a cui siamo costretti ad assistere con la finalità del miglioramento. Noi medici competenti dobbiamo essere consapevoli che il nostro lavoro deve essere anche oggetto di attenzione e di controllo da parte dei nostri assistiti.

Una check-list di audit dell’attività di medico competente è scaricabile

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