sabato 3 ottobre 2015

3 ottobre - “JOBS ACT” : IL DECRETO 81 DEL 2015 - SICUREZZA SUL LAVORO E RUOLO DEI RLS: Ovvero l'attacco del governo e l'impunità per le aziende



Riporto a seguire un complesso, ma interessante articolo di Cinzia Frascheri, Responsabile nazionale CISL salute sicurezza sul lavoro, sulle ricadute a livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori derivanti da uno dei Decreti attuativi del Jobs Act, il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”.
Tale Decreto (a differenza del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”, sempre attuativo del Jobs Act, di cui tratterò in dettaglio la prossima settimana) non va a modificare, se non in maniera marginale il D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza), ma ha comunque pesanti ricadute (spesso negative) sulla tutela della salute e della sicurezza.
Un altro passo nella riduzione dei diritti dei lavoratori del governo Renzi.
L’articolo di Cinzia Frascheri, oltre a riportare nel dettaglio le ricadute che il D.Lgs.81/15 ha sulla tutela della salute e della sicurezza, indica in maniera chiara il ruolo che, alla luce del dettato normativo, devono avere i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza per garantire tale tutela.
Marco Spezia

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Da: PuntoSicuro
29 settembre 2015


LE DISPOSIZIONI DI NATURA PREVENZIONALE NEL NUOVO DECRETO LEGISLATIVO N.81 DEL 15 GIUGNO 2015

Il giorno 15 giugno 2015, in attuazione della Legge delega n.183 del 2014 (denominata Jobs Act) è stato varato il D.Lgs.81, recante la “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” (Gazzetta Ufficiale n.144 del 24/06/15), entrato in vigore il 25/06/15.

La portata del Decreto è di estrema rilevanza e ampiezza per le novità che introduce in merito alla regolazione dei contratti di lavoro e delle mansioni; da questo, specifiche disposizioni e importanti riflessi vengono a determinarsi per quanto riguarda gli aspetti legati alle tutela della salute e sicurezza sul lavoro (regolata attualmente dal D.Lgs.81/08 che non va confuso con il Decreto in parola, vista l’identica numerazione).

Ritenendo utile evidenziare e illustrare, in maniera specifica, quanto disposto dal Decreto in oggetto sui temi della prevenzione e protezione in ambiente i lavoro, si analizzano di seguito, procedendo secondo la sequenza prevista dall’articolato, gli aspetti più significativi nell’ambito del quadro della nuova regolazione dei contratti di lavoro e delle mansioni, con preciso riferimento a quanto concerne la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.

Vista l’incidenza diretta delle novità introdotte dal testo normativo sull’attività svolta in ambiente di lavoro da parte delle figure di rappresentanza, a partire dai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (aziendali RLS e territoriali RLST), sono stati previsti, nella nota a seguire, per ciascuna tipologia contrattuale e provvedimento, degli specifici richiami correlati all’esercizio del ruolo.

CAPO I DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RAPPORTO DI LAVORO - DISCIPLINA DELLE MANSIONI
ARTICOLO 3 COMMA 1

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Sostituendo quanto previsto all’articolo 2103 del Codice Civile si prevede che il lavoratore, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla sua posizione lavorativa, possa essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale.
Tale mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.
Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.
Possono, inoltre, essere stipulati (nelle sedi e secondo le modalità previste) accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
In questa ipotesi, il lavoratore dovrà farsi assistere dal sindacato cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o consulente del lavoro.

NOTA DI COMMENTO
La rilevanza che tale disposizione determina (anche) nei riguardi del tema della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, è ampia.
Ponendo, in primo luogo, l’attenzione a quanto previsto dal secondo capoverso (o secondo comma) del testo dell’articolo, è utile andare ad analizzare i diversi concetti che emergono, raccordandoli alle disposizioni ad oggi vigenti in tema di prevenzione (ai sensi del D.Lgs.81/08).
Considerato che l’obbligo del datore di lavoro di formare il lavoratore alla nuova mansione (sia essa anche di inquadramento inferiore), sorge solo nel caso sia ritenuto “necessario” (dovendosi ipotizzare che il lavoratore potrebbe già conoscere le procedure previste), a fronte, in ogni caso, del mancato adempimento di tale obbligo, l’atto di assegnazione alla nuova mansione non viene ritenuto nullo.
Se sulle prime tale nuova disposizione potrebbe risultare in contrasto con l’obbligo formativo a favore dei lavoratori, in tema di prevenzione, previsto dal D.Lgs.81/08 (articolo 37, commi 1 e 4), alla luce di un analisi puntuale dei testi, lo si può escludere.
Sul punto, difatti, nel dettato normativo si parla di mancata nullità dell’atto, non di assenza di eventuali sanzioni a riguardo.
Come in tema di prevenzione, difatti, la mancata formazione dei lavoratori non determina (purtroppo) la nullità dell’atto di assegnazione del lavoratore alla mansione o, peggio, il suo svolgimento, ponendo solo le condizioni per una sanzione nei riguardi del datore di lavoro; sul punto in commento, il legislatore si premura unicamente di precisare che, in caso di mutamento della mansione, il mancato svolgimento della formazione, non determina la nullità di tale atto.
Resta, quindi, inteso che per quanto concerne gli obblighi di formazione, in tema di prevenzione, valgono le disposizioni e le relative sanzioni a oggi previste, tra cui quelle riferite a tale eventuale mancato assolvimento da parte del datore di lavoro nei riguardi dei lavoratori (articolo 55, comma 5, lettera c) del D.Lgs.81/08).
Più complessa, invece, risulta la lettura combinata tra l’articolo in commento e l’articolo 42 del D.Lgs.81/08, in tema di assegnazione ad altra mansione in caso di inidoneità del lavoratore a questa.
L’ipotesi da porre in esame è quella di un lavoratore che dovesse trovarsi a stipulare un accordo individuale di modifica della propria mansione (con un inquadramento e relativa retribuzione anche più bassi della precedente), spinto dall’interesse alla conservazione dell’occupazione o al miglioramento delle condizioni di vita (che potrebbe anche solo essere...il conservare uno stipendio in più in famiglia).
Se in base alla nuova disciplina dei contratti di lavoro tale condizione assume oggi il carattere di piena legittimità, una tale situazione, a fronte di una condizione di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione (non determinata necessariamente da infortunio o malattia professionale), ancora oggi, di contro, non potrebbe essere perfezionata.
Sulla base, difatti, delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alla mansione specifica, il datore di lavoro sarebbe comunque obbligato ad adibire quest’ultimo (ove possibile, ma di certo a seguito di motivazioni espresse in caso contrario) ad altra mansione, equivalente o inferiore, garantendogli però in ogni caso il “trattamento corrispondente alla mansione di provenienza” (ai sensi dell’articolo 42).
In tal caso, il datore di lavoro non potrebbe, quindi, stipulare con il lavoratore (anche se consenziente), un accordo di modifica della mansione, prevedendo un inquadramento e relativa retribuzione, più bassi della precedente. In quanto, considerato che se la mansione lavorativa sussiste, anche inferiore, in tale situazione il trattamento dovrà rimanere corrispondente alla condizione di provenienza, mentre, se non sussiste, alcun accordo individuale, anche di livello di inquadramento inferiore, si potrà andare a stipulare.
Utile attenzione deve anche essere rivolta alle parole utilizzate dal legislatore nei riguardi della possibilità di stipulare un accordo individuale di modifica della mansione.
Riferendosi all’ “interesse del lavoratore”, il legislatore lo lega in un’unica soluzione di continuità con le ragioni della “conservazione dell’occupazione”, andando così a stemperare di molto un aspetto potenzialmente valutabile come positivo (l’interesse del singolo), a fronte di un unica triste condizione (la conservazione del posto di lavoro, e null’altro).
Il quadro che si delinea, quindi, è di una tale complessità normativa, nella comprensione e armonizzazione delle disposizioni vigenti, che richiede un necessario alto presidio e supporto (competente) da parte dei RLS nei confronti dei lavoratori, non potendoli lasciare soli, in balia dei datori di lavoro/consulenti, specie in una prima fase di utile informativa.


CAPO II – LAVORO A ORARIO RIDOTTO E FLESSIBILE
SEZIONE I – LAVORO A TEMPO PARZIALE LAVORO SUPPLEMENTARE, LAVORO STRAORDINARIO, CLAUSOLE ELASTICHE
ARTICOLO 6 COMMI 1, 2 E 3

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro (nei termini del D.Lgs.66/03), lo svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l’orario concordato fra le parti, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi.
Nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non disciplini il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare. In tale ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
Nel rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario. Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata.

NOTA DI COMMENTO
Pur nel rispetto di quanto disposto dai contratti collettivi (e in primis, dalla nuova normativa oggi vigente), non può in nessun caso essere trascurato, in tema di lavoro supplementare, straordinario o regolato sulla base di clausole elastiche, la ricaduta che tali regole possono determinare nei riguardi della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
In tal senso, deve essere posta in evidenza (informando puntualmente i lavoratori) la prevista possibilità, a loro favore, di rifiutarsi di svolgere le prestazioni di lavoro supplementare per “motivi di salute”.
A tale riguardo, occorre ricordare che un inadeguato rapporto tra tempo di veglia e tempo di sonno, può determinare gravi conseguenze alla salute dei lavoratori, così come un calo dell’attenzione, portando ad un aumento significativo dell’esposizione al rischio di infortuni.
Sono ormai molti i dati che dimostrano come negli ultimi anni vi sia stata una evidente crescita nella popolazione di uso/abuso di sostanze che servono a resistere alla fatica e al sonno. Sostanze che, già nel breve e medio termine, portano ad alterazioni pesanti del sistema nervoso centrale, con conseguenze molte rilevanti per la salute (importanti studi hanno dimostrato il rapporto tra infertilità e ridotte pause di riposo, così come anche l’individuazione della fatica e dell’alterazione delle fasi veglia-sonno, quali concause dei tumori al seno).
La mancata lucidità e le condizioni non idonee del singolo lavoratore, non va dimenticato, non determinano solo un pericolo per se stessi, ma anche per gli altri lavoratori che operano nello stesso contesto lavorativo, senza dimenticare gli eventuali effetti sulla collettività, specie in caso di svolgimento di mansioni che ne prevedono il rapporto.
La precisazione testuale mediante la quale viene prevista la possibilità di rifiuto dello svolgimento del lavoro supplementare, da parte del lavoratore per motivi, tra gli altri, di salute, solo “ove giustificato da comprovate esigenze”, riporta in primo piano il ruolo del medico competente che, deve certificare, anche in questi casi “delicati”, tali condizioni.
Un medico, quest’ultimo che, pur vista la sua posizione in azienda non del tutto svincolata e pienamente autonoma dal datore di lavoro, dal quale riceve l’incarico (e il relativo compenso), dovrà approfondire in modo adeguato e competente le ragioni, a favore e contro, lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare, da parte di un determinato lavoratore (anche a fronte di un certificato esibito di un medico specialista).
E’ importante, quindi, un ruolo attivo e informato da parte dei RLS, sia nelle fasi della contrattazione, che nell’esercizio del ruolo. Concentrando, comunque, le energie nell’azione di presidio e monitoraggio delle diverse fasi di valutazione dei rischi e dei relativi interventi di prevenzione e protezione, a partire, nel caso specifico, dal promuovere un’analisi puntuale dei livelli di stress lavoro-correlato.


CAPO II – LAVORO A ORARIO RIDOTTO E FLESSIBILE
SEZIONE I – LAVORO A TEMPO PARZIALE TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
ARTICOLO 8 COMMI 3 E 4

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
I lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti (per le quali residui una ridotta capacità lavorativa) anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’ASL territorialmente competente, hanno diritto, su richiesta, alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Su richiesta del lavoratore si può procedere a contrario.
Se le problematiche sopra evidenziate, riguardano coniuge, figli, genitori o persone assistite convivente con totale e permanente inabilità lavorativa (con connotazione di gravità in base alla L.104/92) che abbia necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, è riconosciuta al lavoratore, su richiesta, la priorità della trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Così anche in caso di figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi della L.104/92).

NOTA DI COMMENTO
Se tali rilevanti disposizioni, è importante che vengano ad essere oggetto di informazione diffusa nei riguardi dei lavoratori, anche attraverso l’azione svolta dai RLS, occorre che non si trascurino le possibilità che la normativa prevenzionale già ad oggi dispone, ai sensi dell’articolo 42 del D.Lgs.81/08, in caso di sopravvenuta inidoneità (che non necessariamente deve essere per ragioni di infortunio o malattia professionale); così come anche, in base al più ampio ed articolato obbligo previsto in capo al datore di lavoro, di dover tenere conto, nell’affidare i compiti ai lavoratori, “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla loro sicurezza” (articolo 18, comma 1, lettera c).
Non di meno, in tal senso merita ricordare, la collaborazione espressamente richiesta al medico competente (un obbligo sanzionato a suo carico), per quanto concerne la valutazione dei rischi ai fini della predisposizione delle misure di tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori (articolo 25, comma 1, lettera a).
La possibilità, difatti, offerta ai lavoratori affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, di richiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, porta con sé, comunque, la problematicità rappresentata dalla diminuzione della retribuzione che, per molti lavoratori può essere motivo di mancato utilizzo di tale facoltà.
La conservazione del posto di lavoro, in effetti, è il prioritario interesse per questi lavoratori e, tale disposizione, si muove in tal senso, garantendo a tutti il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro, senza compromettere la propria occupazione. Ma, poter avere la possibilità di conciliare la propria condizione di “inidoneità” con lo svolgimento agevolato/facilitato delle proprie mansioni, potrebbe consentire a tali lavoratori di mantenere, per quanto possibile, il proprio contratto di lavoro a tempo pieno, senza andare a compromettere le proprie particolari condizioni di salute o la possibilità di garantire il proprio necessario aiuto, ai congiunti affetti da tali gravi patologie.
Il ruolo della contrattazione, in questo senso, può divenire davvero determinante, così come la promozione da parte dei RLS di accordi aziendali volti al benessere organizzativo.


CAPO II – LAVORO A ORARIO RIDOTTO E FLESSIBILE
SEZIONE II – LAVORO INTERMITTENTE
ARTICOLI 13 COMMI 1 E 2, 14 COMMA 1, LETTERA C), 15 COMMA 1, LETTERA F).

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Il contratto di lavoro intermittente è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzare tale prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi. Sono possibili anche casi di utilizzo del lavoro intermittente in assenza di contratto collettivo, se espressamente individuati con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età e con più di 55 anni.
E’ vietato il ricorso al lavoro intermittente da parte di quei datori di lavoro che non hanno effettuato la Valutazione dei Rischi (VdR), ai sensi della normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova di alcuni elementi tra cui le misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività prevista dal contratto.
Il datore di lavoro è tenuto a informare, con cadenza annuale, le RSA o le RSU sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente. Sono fatte salve le previsioni più favorevoli previste dai contratti collettivi.

NOTA DI COMMENTO
Quanto disposto in merito all’obbligo da parte dei datori di lavoro di doversi dotare della VdR, per poter ricorrere alla forma di lavoro intermittente, è senza dubbio importante, ma è nei riguardi della realizzazione adeguata di questo obbligo, che i RLS devono operare al meglio.
Porre, in effetti, quale condicio “sine qua non”, l’effettuazione della VdR da parte del datore di lavoro, al fine del poter far ricorso a una specifica tipologia contrattuale, dimostra con evidenza la scarsa attenzione del legislatore, estensore del testo in commento, ai temi prevenzionali.
Ponendo, in effetti, tale clausola, pur di certo importante, sembra volersi considerare la possibilità, da parte di un datore di lavoro, di scegliere se dotarsi, o meno, di una VdR, accedendo così, o rinunciando, alla stipula di contratti di lavoro intermittente.
La VdR, va sottolineato, è un obbligo a carico del datore di lavoro, a prescindere dalla decisione di stipulare forme contrattuali particolari.
Il legislatore, in tal senso, avrebbe dovuto legare la condizione di ricorso al lavoro intermittente, così come per altre forme contrattuali (come la somministrazione di lavoro), non alla mera effettuazione della VdR, ma bensì alla sua piena rispondenza ai criteri previsti dal D.Lgs.81/08 (articoli 28 e 29).
Non basta, difatti, rimanendo al caso in commento, che nella VdR vengano ad essere annoverati specificatamente tali lavoratori, ma occorre che vengano previsti interventi adeguati di prevenzione, non solo sul piano info-formativo, ma anche per quanto concerne, ad esempio, la dotazione, se necessario, di Dispositivi di Prevenzione Individuale (DPI).
Tale strumenti, difatti, considerata in alcuni casi la brevità della prestazione lavorativa svolta (tipica nel caso di lavoro intermittente), non vengano ad essere consegnati; dispositivi che, anche per questi lavoratori, devono avere le caratteristiche di adeguatezza, ergonomicità, comfort, normativamente previsti per ogni lavoratore (quindi, anche, lavoratrice) che svolge determinate mansioni.
Considerato, inoltre, che il lavoro intermittente può essere svolto da soggetti con meno di 24 anni di età e con più di 55 anni, la VdR non potrà non considerare le ricadute, in termini di esposizione a rischio, sulla base del fattore trasversale dell’età che, come si sa, alla luce del modello a matrice, introdotto dal D.Lgs.81/08, costituisce una variabile fondamentale di incidenza nel valutare i rischi tradizionali a cui un lavoratore è esposto.
Specie per gli over 55, la valutazione dovrà essere molto specifica e accurata, visto l’aumento significativo delle problematiche che da tale età (dati confermati ormai ampiamente dalle statistiche) si vanno a determinare in ambiente di lavoro, nello svolgimento di determinate mansioni.
Un attenzione che, considerata anche la variabile genere (sia nel caso delle lavoratrici, ma non meno dei lavoratori, per le problematiche specifiche), assume una valenza ancor più determinante.
A tutto questo, anche il caratterizzante elemento della discontinuità e/o dell’intermittenza della prestazione lavorativa, va ad aggiungere potenziali problematicità che devono trovare, in una analisi complessiva e sinergica, adeguate valutazioni e risposte, in termini di prevenzione e protezione della salute e della sicurezza sul lavoro.
Il ruolo attivo fondamentale dei RLS, in questa circostanza, è di limpida evidenza, considerati i diritti a loro legislativamente riconosciuti in merito alla consultazione previa sulla valutazione dei rischi e sull’adozione di interventi di prevenzione e protezione.


CAPO III LAVORO A TEMPO DETERMINATO
ARTICOLI 19, COMMI 1, 3 E 4, 20 COMMA 1, LETTERA D)

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Al contratto di lavoro subordinato può essere previsto un termine di durata non superiore a 36 mesi.
Un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, può essere stipulato presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio.
Con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.
L’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa da parte di quei datori di lavoro che non hanno effettuato la VdR, ai sensi della normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

NOTA DI COMMENTO
Anche in caso di contratto di lavoro a tempo determinato, il dettato normativo attribuisce al rispetto dell’obbligo di effettuare la VdR, a carico del datore di lavoro, un ruolo di spartiacque tra la possibilità, o meno, di poter usufruire delle disposizioni previste per tale tipo di contratto.
Rimandando alle considerazioni fatte nel paragrafo precedente (in merito al lavoro intermittente), sull’inesattezza di una tale disposizione, la VdR, non solo dovrà essere effettuata, stando ai RLS il dover verificare la veridicità di tale condizione (non potendo contare, per questo, su un monitoraggio sistematico da parte degli organi di vigilanza), ma dovrà soprattutto essere redatta in modo adeguato e finalizzato al garantire una tutela mirata per tutti i lavoratori, tra i quali, nel caso di specie, coloro che hanno un contratto a tempo determinato.
Va considerato, difatti, che se la durata di tali contratti, nelle condizioni ordinarie, non può superare i 36 mesi, è possibile che nella maggior parte delle situazioni il periodo di lavoro subordinato sia di molto inferiore.
In tali casi, in modo inverso, la brevità del tempo di durata del contratto aumenta potenzialmente l’esposizione a condizioni di maggior rischio, sia per la salute che per la sicurezza sul lavoro, richiedendo per questo una valutazione mirata e declinata sui lavoratori titolari di tali posizioni contrattuali.
Considerato, poi, che i soggetti titolari di un contratto di lavoro a tempo determinato rientrano a tutti gli effetti nella più ampia categoria dei lavoratori (ai sensi della definizione prevista all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08), nei loro confronti dovranno essere rispettati tutti gli obblighi di natura prevenzionale, previsti a favore dei lavoratori a tempo indeterminato.
I RLS potranno, pertanto, a fronte di una VdR che a loro giudizio non risponde ai criteri previsti, oltre a far pervenire al datore di lavoro le proprie note critiche al momento della consultazione (in funzione del loro duplice diritto, sia dell’essere preventivamente e tempestivamente consultati, sia del poter esprimere note sul contenuto, scritto o mancante, della VdR), rifiutarsi di procedere alla firma del documento, in fase di procedura di attestazione della data certa, determinando in questo modo una frattura nell’iter di approvazione del documento di VdR, mandando un segnale chiaro di mancato accoglimento di quanto predisposto.


CAPO IV SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO
ARTICOLI 30, 31 COMMI 1 E 4, 32 COMMA 1, LETTERA D), 33 COMMI 1 E 3, 34 COMMA 3, 35 COMMA 4, 37, COMMA 3, 40 COMMA 1, 55 COMMA 1, LETTERA E)

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
E’ abrogata la disposizioni prevista all’articolo 3, comma 5, del D.Lgs.81/08.
Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.
Salvo diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore, il numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore.
Salvo alcune disposizioni, la disciplina della somministrazione a tempo indeterminato non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Il contratto di somministrazione di lavoro è vietato da parte di quei datori di lavoro che non hanno effettuato la VdR, ai sensi della normativa di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Il contratto di somministrazione di lavoro é stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi:
a) gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
b) il numero dei lavoratori da somministrare;
c) l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate;
d) la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
e) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l’inquadramento dei medesimi;
f) il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.
Il lavoratore somministrato non è computato nell’organico dell’utilizzatore, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e li forma e addestra all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs.81/08.
Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore.
L’utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto nei confronti dei propri dipendenti, nel rispetto di quanto disposto dalla normativa vigente e dai contratti collettivi.
Gli obblighi dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali previsti dal D.P.R.1124/65 sono determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte.
I premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio o medio ponderato, stabilito per l’attività svolta dall’impresa utilizzatrice, nella quale sono inquadrabili le lavorazioni svolte dai lavoratori somministrati, ovvero in base al tasso medio o medio ponderato della voce di tariffa corrispondente alla lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore somministrato, ove presso l’impresa utilizzatrice la stessa non sia già assicurata.
La violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli articoli 33, comma 1, nonché, per il solo utilizzatore, di cui agli articoli 31 e 32 e, per il solo somministratore, di cui all’articolo 33, comma 3, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250.

NOTA DI COMMENTO
Abrogando quanto disposto all’articolo 3, comma 5 del D.Lgs.81/08, il dettato del D.Lgs.81/15 in tema di diritti di tutela prevenzionale dei lavoratori titolari di contratto di somministrazione di lavoro diviene il riferimento normativo principale e completo sul tema (privando il testo prevenzionale di ogni riferimento a tale fattispecie contrattuale); una completezza del quadro regolativo, quella prevista dal testo del Decreto del 2015, che comunque non può trascurare quanto già disposto in tema di formazione di tali lavoratori nell’ Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011, in tema di salute e sicurezza sul lavoro (e nelle Linee applicative, emanate nel luglio dell’anno seguente).
Considerato l’ampio utilizzo che di questa forma contrattuale vien fatto nella generalità dell’attività lavorativa svolta, specie nelle piccole realtà lavorative (emblema, per numero e diffusione, del nostro sistema produttivo), è quanto mai importante che venga ampiamente conosciuta (specie da parte dei RLS) la regolazione, in tema di diritti di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, previsti per tale tipologia contrattuale.
Sostanzialmente equiparati ai lavoratori dipendenti dell’utilizzatore, nei riguardi dei lavoratori somministrati sono previsti gli stessi diritti di tutela prevenzionale destinati ai primi.
Diritti che, se riconfermati dalla nuova articolazione introdotta dal D.Lgs.81/15 non aggiungono alcunché all’impianto normativo disposto dal Decreto in materia prevenzionale dove, superato il concetto di necessaria subordinazione tra il datore di lavoro e i lavoratori, si equipara a essi la più ampia platea di soggetti titolari di una qualsiasi forma contrattuale finalizzata alla svolgere un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, ricomprendendo così, tra le altre, la somministrazione di lavoro.
Anche il diritto di informazione sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, così come la formazione generale e l’addestramento all’uso delle attrezzature di lavoro, quali interventi utili allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale tali lavoratori sono assunti, pur previsti in capo al somministratore, potranno essere trasferiti, quali obblighi all’utilizzatore, che dovrà farsene carico (oltre alla formazione specifica), non potendo attribuire ad alcuna mansione i lavoratori senza avervi provveduto, incorrendo eventualmente, come per ciascun proprio dipendente, alle sanzioni previste per tali mancanze.
Sanzioni che, previste in capo al somministratore, da parte del Decreto del 2015, saranno comminate in caso di mancanza delle informazioni specifiche, all’atto della stipula del contratto, tra cui, gli eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore, le misure di prevenzione adottate e le mansioni alle quali i lavoratori saranno adibiti.
Trova, così, piena coerenza anche per questa tipologia contrattuale (al di là delle critiche dapprima avanzate), la disposizione che prevede il divieto, da parte dei datori di lavoro (utilizzatori) che non hanno effettuato la VdR, di poter stipulare tali contratti (al di là del limite percentuale massimo previsto di lavoratori a tempo indeterminato posti in forza presso l’utilizzatore, nei riguardi del numero dei propri dipendenti, escluse le diverse previsioni di natura contrattuale collettiva).
Una VdR che, come più volte evidenziato, non potrà solo limitarsi all’essere effettuata (considerato che questo è un obbligo che si sostanzia con l’avvio dell’attività lavorativa e non con la scelta di determinate forme contrattuali), ma che dovrà rispondere ai criteri minimi previsti necessari al garantirne la completezza e l’idoneità, quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione, così come di misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza (articolo 2, comma 1, lettera q) del D.Lgs.81/08).
La piena equiparazione tra i dipendenti dell’utilizzatore e i lavoratori somministrati porta con sé anche gli obblighi relativi all’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte nella realtà lavorativa dell’utilizzatore.
A fronte di tale quadro complessivo, è a carico dei RLS dell’utilizzatore preoccuparsi del monitorare la gestione dei diritti di tutela in materia di prevenzione dei titolari di tali contratti di lavoro, partendo dalla verifica dell’effettuazione della VdR, ma principalmente dall’analisi dei rischi ai quali i lavoratori somministrati sono esposti, considerando anche riferite a loro le incidenze determinate dai diversi fattori trasversali (che ricordiamo essere, oltre appunto all’attenzione alle diverse tipologie contrattuali, l’età, il genere, lo stress lavoro-correlato e la provenienza da altri paesi).


CAPO V APPRENDISTATO
ARTICOLI 41 COMMI 1 E 2, 42 COMMA 2 E 6, LETTERA A).

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.
Il contratto di apprendistato si articola nelle seguenti tipologie:
a) apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
b) apprendistato professionalizzante;
c) apprendistato di alta formazione e ricerca.
Il contratto di apprendistato ha una durata minima non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto dalle disposizioni relative.
Per gli apprendisti l’applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:
a) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b) assicurazione contro le malattie;
c) assicurazione contro l’invalidità e vecchiaia;
d) maternità;
e) assegno familiare;
f) assicurazione sociale per l’impiego.

NOTA DI COMMENTO
E’ importante rimarcare quanto disposto per il contratto di apprendistato, in quanto, già ricompresi i sottoscrittori nella categoria dei lavoratori (ai sensi della definizione prevista all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08), e quindi titolari dei diritti a questi previsti, in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, viene prevista in coerenza a loro favore, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Considerato che tale contratto, nelle sue diverse tipologie, prevede non solo la formazione dei soggetti contrattualizzati, ma anche la loro presenza in ambito lavorativo, le tutele in materia di prevenzione, al pari dei lavoratori, così come l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, offrono un’adeguata condizione di prevenzione e protezione dai rischi.
Necessario, in tal senso, che da parte dei RLS ci sia il monitoraggio del rispetto di tali disposizioni, a partire dal vedere rispettati tutti i diritti che per tali soggetti sono previsti, pur nel rispetto e nei limiti delineati per tale contratto e per le specifiche tipologie nelle quali è previsto si possa articolare.


CAPO VI LAVORO ACCESSORIO
ARTT. 48, 49 COMMA 5.

DISPOSIZIONI DI RIFLESSO PREVENZIONALE
Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile.
Fermo restando il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro.
Prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di 3.000 euro di compenso per anno civile, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è consentito, nel rispetto delle disposizioni previste, così come in agricoltura.
E’ vietato, invece, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi, fatte salve specifiche ipotesi individuate con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali.
Sono previsti i versamenti per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL.

NOTA DI COMMENTO
Nei riguardi del lavoro accessorio, per quanto concerne gli aspetti relativi alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, il riferimento normativo esaustivo a cui riferirsi, non trova collocazione nelle disposizioni testé riportate, ma nell’articolo 3, comma 8 del D.Lgs.81/08.
Essendo però, ad oggi imminente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del, già approvato, schema di Decreto legislativo recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, non si può trascurare quanto in esso previsto, a modifica delle disposizione contenute nel D.Lgs.81/08, relative al lavoro accessorio.
Individuando non tanto gli ambiti di esclusione, ma indicando specificatamente quelli nei quali si prevede il possibile utilizzo delle prestazioni di lavoro accessorio, viene previsto che le disposizioni in materia di tutela prevenzionale si applichino nei soli casi in cui la prestazione del lavoratore è svolta a favore di un committente imprenditore o professionista; ponendo tutti gli altri casi sotto il regime dettato dall’articolo 21 (nel quale sono le facoltà e non gli obblighi, a trovare regolazione), conservando della normativa previgente la totale esclusione dall’applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro di quei lavoratori che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compreso l’insegnamento privato e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.
Fornita invece dal D.Lgs.81/15, all’articolo 48, comma 6, la chiara e puntuale esclusione del ricorso, fatta eccezione per alcune ipotesi che potranno essere determinate, alle prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o di servizi.
Equiparati, pertanto, in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro i titolari di contratto accessorio prestato a favore di un committente imprenditore o professionista ai lavoratori, anche nei loro confronti i RLS dovranno monitorare il rispetto dei diritti a loro favore, a partire dalla valutazione dei rischi, riferita alle mansioni svolte da questi lavoratori (attuata nel rispetto del modello di analisi a matrice, che considera i rischi tradizionali riletti alla luce dei fattori trasversali), dall’attuazione degli interventi di prevenzione previsti nei loro confronti, fino all’elaborazione di piani di miglioramento delle condizioni di vita.

Il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni” è scaricabile all’indirizzo:

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