INDICE
Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
PRODUTTIVITA’: QUEI MITI DA SFATARE
Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
DI NUOVO IN AUMENTO GLI OMICIDI SUL LAVORO
Michele Michelino michele.mi@inwind.it
NEL 2015 RECORD DI MORTI SUL LAVORO
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
A FIRENZE GUARINIELLO COL BINOCOLO
Clash City Workers cityworkers@gmail.com
ATAC ROMA: GLI AUTOBUS NON PASSANO...DI CHI
E’ LA COLPA?
Clash City Workers cityworkers@gmail.com
AMA ROMA: CASSONETTI PIENI...DI CHI E’ LA COLPA?
Controsservatorio Valsusa info@controsservatoriovalsusa.org
UNA SENTENZA STORICA
Movimento Femminista Proletario
Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
LA LOTTA PER LA TUTA DELLE OPERAIE DI
MELFI
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
LETTERA APERTA AL MINISTRO DELLE POLITICHE
AGRICOLE MARTINA
Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI:
IL REINTEGRO E’ COME L’UGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE...
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
SCANDALO AMIANTO A OTTANA: IL CASO IN
PARLAMENTO
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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Friday, October 30, 2015 10:26 AM
Subject: PRODUTTIVITA’: QUEI MITI DA SFATARE
Pensare che i salari pagati in ciascuna
azienda debbano dipendere dalla produttività dei rispettivi lavoratori, come
vuole il progetto di finanziaria del Governo, non solo non corrisponde alla
realtà del modo di funzionamento dei sistemi economici, ma comunque non
costituirebbe un legame tra retribuzioni e “meriti” produttivi dei lavoratori.
Dopo il Jobs Act, nella legge di Stabilità
il governo intende intervenire ancora sul mercato del lavoro; questa volta,
contestualmente all’introduzione del salario minimo legale e sostituendosi alle
parti sociali (ma trovando consenso in Confindustria), vuole modificare il
modello delle relazioni industriali, spostando il baricentro della
contrattazione dalla sfera nazionale a quella aziendale (dove dovrebbe
svilupparsi anche il welfare integrativo privato).
Il decentramento contrattuale viene motivato
sostenendo che le dinamiche salariali dovrebbero essere connesse a quelle della
produttività rilevate in ciascun posto di lavoro. Tuttavia, questa proposta non
è sorretta da solide argomentazioni analitiche (come invece si vorrebbe),
accentuerebbe le ragioni del nostro declino economico, sarebbe socialmente e
politicamente pericolosa.
Non v’è dubbio che la crescita del PIL di
un paese sia legata alla dinamica della produttività, ma, si badi bene, a
quella del suo complessivo sistema produttivo. La crescita della produttività è
particolarmente legata al progresso tecnologico; tuttavia:
a) esso si diffonde in modo disomogeneo nei
diversi settori produttivi e nelle singole aziende;
b) i suoi effetti sulla produttività non
necessariamente sono rilevabili proprio là dove il progresso si genera;
c) essi comunque trascendono l’impegno dei
lavoratori di una singola azienda o settore;
d) in ogni caso, anche storicamente, le
dinamiche salariali dei lavoratori di diversi settori non dipendono molto
dall’evoluzione delle produttività misurate in ciascuno di essi.
Ricordando che la produttività è un
concetto fisico, cioè il rapporto tra la quantità prodotta e la quantità di
lavoro impiegato, le tendenze storiche mostrano che in alcuni settori
(specialmente in quelli industriali che maggiormente hanno incorporato il
progresso tecnico) la produttività è cresciuta relativamente molto. In altri
(specialmente in quelli dei servizi dove prevale l’impegno diretto delle
capacità umane) è cresciuta relativamente poco.
Per produrre un chiodo oggi occorre un
impiego di lavoro “infinitamente” inferiore rispetto a 2.500 anni fa, ma il
tempo necessario a un docente per spiegare il teorema di Pitagora a uno
studente non è cambiato molto.
Se le dinamiche salariali dei lavoratori
nei due settori dipendessero dall’evoluzione relativa delle loro produttività,
negli ultimi secoli i metallurgici dovrebbero aver goduto di una crescita delle
retribuzioni “infinitamente” superiore a quella dei docenti. Naturalmente non è
stato così. D’altra parte, il forte aumento della produttività nella produzione
dei chiodi è dipeso anche dal fatto che in altre parti del sistema produttivo
(e sociale) continuava a essere insegnato e applicato (anche) il teorema di
Pitagora senza aumenti di produttività.
Il ruolo di settori come quelli dove si
produce ricerca di base, innovazione, istruzione e formazione è fondamentale
per gli incrementi di produttività dell’intero sistema, ma in essi la
misurazione della produttività fisica e la sua specifica attribuzione a chi vi
lavora per determinarne i salari è anche più problematica.
Dunque, la percezione e la misura degli
aumenti della produttività non si rilevano necessariamente nei settori dove
vengono generati. Collegare a essi le dinamiche salariali è problematico anche
se la produttività è misurata in termini monetari, ad esempio, in termini di
fatturato per addetto.
Infatti, così facendo, la produttività
viene a dipendere anche dall’evoluzione dei prezzi relativi.
Per il solo fatto che in un settore i
prezzi aumentano più che in un altro, il suo fatturato per addetto risulterà
maggiormente accresciuto, indipendentemente dalle dinamiche della produttività
fisica registrate in entrambi. Ma i prezzi relativi e il valore attribuito alla
produzione di ciascun settore e azienda dipendono da numerosi fattori, anche
indipendenti dalla produttività.
In primo luogo, i prezzi relativi sono
influenzati proprio dalla distribuzione del reddito (cosicché il nesso causale
tra produttività e distribuzione del reddito s’inverte) la quale, a sua volta,
dipende dalla forza economica, contrattuale, e politica dei titolari di
profitti, rendite e salari. Ma
questi fattori socio-politici non agiscono
in modo omogeneo nei diversi settori, aziende e territori, anche in uno stesso
paese.
In secondo luogo, i prezzi relativi sono
influenzati anche da altre circostanze come le condizioni di mercato (più o
meno concorrenziali) e anche queste possono essere diverse nei differenti
settori e territori di produzione.
Dunque, pensare che i salari pagati in
ciascuna azienda debbano dipendere dalla produttività dei rispettivi
lavoratori, non solo non corrisponde alla realtà consolidata del modo di
funzionamento dei sistemi economici, ma comunque non costituirebbe un legame
tra retribuzioni e “meriti” produttivi dei lavoratori. Il valore monetario
creato da un’impresa dipende molto parzialmente dalla produttività fisica dei
suoi lavoratori, la quale, peraltro, più che dalla loro capacità e
disponibilità al lavoro, scaturisce dall’organizzazione produttiva e dalle
tecnologie fornite dall’imprenditore e, prima ancora, dalla ricettività verso
il progresso tecnico del settore in cui opera l’azienda.
La proposta di legare i salari alla
produttività aziendale e di privilegiare la contrattazione decentrata, oltre che
carente analiticamente, presenta due gravi controindicazioni per la crescita e
gli equilibri sociali, specialmente nel nostro Paese.
In primo luogo, il legame tra produttività
aziendale e salari accentuerebbe la frammentazione del sistema produttivo: facendo
perdere di vista che l’aumento della produttività riguarda l’intero sistema
produttivo e non singole sue parti; premiando i settori dove la produttività si
rivela ma non quelli dove effettivamente ha origine; comunque differenziando
ciò che invece va valutato in modo integrato. La segmentazione contrattuale
celerebbe ulteriormente che la competitività che il nostro sistema produttivo
deve recuperare riguarda essenzialmente la sua complessiva capacità di
esprimere qualità e capacità innovativa, le quali non dipendono dal costo del
lavoro sostenuto in ogni singola azienda (che comunque incide relativamente
poco sui prezzi), ma dal prevalere di una logica e di un progetto d’assieme,
intersettoriale, di società e di lungo periodo che necessariamente deve coinvolgere
le tre parti che ne hanno responsabilità: l’insieme delle imprese, i
rappresentanti dei lavoratori e il Governo.
In secondo luogo, i lavoratori impiegati
nei diversi settori produttivi convivono in una stessa società e hanno bisogni
simili cosicché, se le dinamiche delle produttività aziendali e settoriali come
emergono dalle misurazioni possibili fossero fortemente disomogenee (come è
normale che accada) e se le dinamiche retributive fossero corrispondentemente
diverse (come si vorrebbe che fosse), si creerebbero maggiori disparità e
problemi di coesione sociale, a cominciare da conflitti e divisioni interni
agli stessi lavoratori.
Alimentare queste tendenze disgreganti non
gioverebbe allo sviluppo del Paese; tuttavia, per quanto miope, potrebbe essere
proprio questo l’obiettivo politico non secondario associato alla proposta del
decentramento contrattuale.
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From: Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
To:
Sent: Monday, November 09, 2015 12:11 PM
Subject: DI NUOVO IN AUMENTO GLI OMICIDI
SUL LAVORO
I morti sul lavoro sono aumentati del 15,3%
nei primi otto mesi del 2015: 752, cento in più dello scorso anno.
Aumentano di molto anche le denunce di
malattie professionali, dalle 38.400 patologie denunciate nel 2014 alle 39.400
del 2015 (+2,5%).
L'altro dato allarmante è la crescita dei
tumori: nel 2014 ne sono stati denunciati 2.999 con un incremento del 2,7%
rispetto ai 2.919 del 2013 e di ben il 24% rispetto ai 2.418 del 2010.
I lavoratori morti per malattia
professionale sono stati 1.488 nel 2014.
Si tratta di dati che non fotografano il
fenomeno nel suo complesso, perché più di 2 milioni di lavoratori non sono
assicurati con INAIL, c'è il fenomeno della "sottodenuncia"
(lavoratori indotti a non denunciare o a farlo passare come non lavorativo, su
pressione di padroni senza scrupoli).
C'è poi il lavoro nero, in cui INAIL stima
si verifichino circa 150.000 infortuni l'anno di bassa e media gravità.
Il mandante e l’esecutore della strage di
proletari, che si verifica sui posti di lavoro e per le strade, è il sistema
capitalistico, con le sue ferree leggi, prima fra tutte quella del massimo
profitto ottenuto riducendo i “costi” (cioè salari e norme di sicurezza).
La precarietà introdotta dalle
controriforme del mercato della forza-lavoro ha trasformato il lavoratore in
merce completamente "flessibile", asservito ai bisogni del padronato,
senza diritti, senza garanzie, assoggettato al ricatto quotidiano nei luoghi di
lavoro.
Una condizione che, di conseguenza, non fa
altro che aumentare il rischio di insicurezza, gli infortuni, soprattutto
mortali, lo stress e le malattie professionali causati dall'aumento dei ritmi
di lavoro.
Chi paga il prezzo più alto dell’attacco ai
diritti dei lavoratori in maniera massiccia e devastante sono le lavoratrici e
i lavoratori immigrati, regolari e non, ricattati dal legame lavoro/permesso di
soggiorno o pagati in nero, con paghe da fame, molti ammassati e nascosti in
luoghi fatiscenti e trattati peggio delle bestie.
Gli omicidi sul lavoro sono un aspetto
della feroce lotta di classe che il capitale conduce ogni giorno contro i
lavoratori sfruttati.
Sta alla classe operaia, a tutto il
proletariato riappropriarsi della coscienza di essere la classe che deve
abolire lo sfruttamento e le “morti bianche” con la lotta rivoluzionaria.
La difesa delle condizioni di salute e
sicurezza dei lavoratori non scaturisce semplicemente dai progressi della
scienza, dall’entrata in vigore di nuove leggi o dall’azione che possono fare
gli scarsi organi di vigilanza. Dipende soprattutto dalla nostra lotta!
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From: Michele Michelino michele.mi@inwind.it
To:
Sent: Monday, November 09, 2015 2:23 PM
Subject: NEL 2015 RECORD DI MORTI SUL
LAVORO
DI LAVORO SI CONTINUA A MORIRE: NEL 2015
RECORD DI MORTI SUL LAVORO
In Italia è quindi in corso una vera e
proprio guerra di classe in cui ogni anno migliaia di donne e uomini sono
sacrificati nella ricerca del massimo profitto.
Nell’Italia “democratica” nata dalla
resistenza, i lavoratori continuano a morire. La modernità del capitalismo
continua a uccidere i lavoratori come nell’ottocento.
Nel 2015 diminuiscono i lavoratori
occupati, ma aumentano i morti sul lavoro. Nel nostro paese ogni anno avvengono
più di un milione d’infortuni sul lavoro, 1.200 di questi sono mortali. Ogni
giorno in Italia ufficialmente muoiono in media 3 lavoratori per infortuni sul
luogo di lavoro e molti altri a causa delle malattie professionali, cifre
volutamente sottostimate dal governo e dall’INAIL. Li chiamano morti “bianche”,
ma sono veri e propri crimini contro l’umanità che avvengono nel più assoluto
silenzio dei media salvo quando la notizia può essere spettacolarizzata.
Le varie “riforme” delle pensioni fino a
quella del governo Monti (con la “riforma” Fornero), hanno innalzato fino a 70
anni l’età lavorativa, aumentando il precariato e il lavoro nero insieme al
ricatto della disoccupazione.
Il peggioramento delle condizioni di vita e
di lavoro, oltre a una perdita di diritti e imbarbarimento della condizione
lavorativa pesa molto anche per quanto riguarda la salute e la sicurezza sui
luoghi di lavoro. Far lavorare degli esseri umani fino a 65/70 anni nei
cantieri, costringendone alcuni a salire sui tetti, nelle miniere, o fonderie
in età cosi avanzata, insieme a persone che entrano ed escono da un’impresa con
contratti a termine ogni tre, sei o ogni 12 mesi espone questi lavoratori a
notevoli rischi.
Secondo i dati riportati da tre diversi istituti
nel 2015, gli infortuni e i morti sul lavoro sono cresciuti a ritmi
impressionanti. Secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna sui Morti sul
Lavoro, l’ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi sul Lavoro), e
l’Osservatorio Vega Engineering di Mestre sono un vero record. Secondo
l’Osservatorio Indipendente di Bologna sui Morti sul Lavoro fondato da Carlo
Soricelli metalmeccanico in pensione, “I morti per infortuni sui luoghi di
lavoro non sono mai stati così tanti da quando nel gennaio 2008 è stato aperto
l’osservatorio”.
Dal 1° gennaio al 20 ottobre 2015 sono
morti sui luoghi di lavoro 564 lavoratori, e con le morti sulle strade e in
itinere si superano le 1.180 morti.
Questa cifra in realtà è sottostimata
perché nelle statistiche delle morti sul lavoro lo Stato e l’INAIL non tengono
conto di molti lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere. Inoltre da
questi conteggi sono escluse anche diverse categorie come per esempio le
Partite IVA individuali, Vigili del Fuoco, lavoratori in nero, pensionati in
agricoltura e tanti altri.
Nelle statistiche dell'Osservatorio
Indipendente di Bologna si afferma che: “Il 30,7% dei morti sui luoghi di
lavoro ha un'età superiore a 60 anni. Il 32,5% è in agricoltura, di questi 116
sono stati schiacciati dal trattore, oltre il 20% sul totale di tutte le morti
per infortuni. In sostanza un morto su 5 di tutte le morti sui luoghi di lavoro
sono state provocate dal trattore (è così tutti gli anni). L’edilizia 22,5%.
Oltre il 50% di tutte le morti per infortuni sono in queste due categorie. Gli
stranieri sono stati il 10,3% sul totale. I romeni sono come tutti gli anni la
comunità con più vittime”.
Davanti a questo bollettino di guerra il
governo non va oltre le frasi di circostanza e lacrime di coccodrillo ogni
volta che succedono stragi di operai, (come alla ThyssenKrupp) tacendo sulle
decine di morti silenziose che avvengono ogni giorno, non intervenendo in modo
efficace a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma solo a difesa del
profitto.
Dai dati ufficiali risulta che nel 2014, i
circa 350 ispettori dell’INAIL hanno controllato 23.260 aziende e l’87,5% è
risultato irregolare. Di questi sono stati regolarizzati 59.463 lavoratori
(meno del 15% rispetto al 2013), di cui 51.731 irregolari e 7.732 in nero.
Da sempre la borghesia, le classi
imprenditoriali e i gruppi politici a essi collegati, hanno cercato di
diminuire le tutele legislative per i lavoratori.
In particolare negli ultimi anni con
l’inizio della crisi attraverso il Testo Unico del 2008, il governo Berlusconi,
quello di Letta e oggi il governo Renzi sono intervenuti con Decreti
peggiorativi, modificandone in parte i contenuti e diminuendo in tal modo le
tutele per i lavoratori.
Nonostante il peggioramento Il Testo Unico
prevede norme di carattere penale e obblighi per il “datore di lavoro” il cui
mancato adempimento comporta un reato penale perseguibile.
Nonostante questo, anche se esistono leggi
a tutela della sicurezza e della salute, la strage di lavoratori continua. Nel
sistema democratico borghese, sotto la dittatura del capitale, la lotta del
movimento operaio può riuscire a imporre anche leggi a tutela degli sfruttati,
ma non dobbiamo mai dimenticare che il governo è un “comitato d’affari” della
grande finanza e delle multinazionali capitaliste-imperialiste, che tutela la
proprietà privata e il profitto e volutamente non fa niente per fare applicare
le leggi sulla sicurezza se non è costretto dalla mobilitazione dei lavoratori.
Michele Michelino
Comitato per la Difesa della Salute nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio
E-mail: cip.mi@tiscali.it
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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Monday, November 09, 2015 4:11 PM
Subject: A FIRENZE GUARINIELLO COL
BINOCOLO
Guariniello, evidentemente preoccupato di
doversi confrontare con Muglia La
Furia, a Firenze ha tirato buca limitandosi a mandare un
video di circa 60 minuti. Insomma “Guariniello in FAD”.
Per i non addetti ai lavori FAD sta a
significare “Formazione A Distanza”; da qui formazione col “binocolo”.
Ovviamente non è stato possibile alcun
confronto diretto con Muglia La
Furia che peraltro, come avevo spiegato nel post “A Firenze a
Firenze”, non ci sarebbe stato comunque visto che:
-
non
era in programma;
-
Guariniello
tiene la sua relazione e poi in genere dopo aver risposto ad alcune domande del
pubblico o del moderatore, se la fila.
Insomma era stato Muglia La Furia che, tirandosela un
po’ e millantando credito a piene mani, aveva lasciato intendere che il
confronto sarebbe stato diretto. Vorrei ringraziare comunque i miei supporter e
i followers per il sostegno manifestato.
Tornando al video del nostro Procuratore,
registrato il giorno prima del convegno fiorentino, nulla di nuovo.
Un intervento interamente dedicato alla 231
e alla responsabilità amministrativa. Insomma le solite cose per chi ha avuto
occasione di sentirlo negli ultimi due anni.
Il pubblico l’ha presa bene anche se la Laura, temendo il peggio,
durante la pausa caffè ha tentato di darsela a gambe ma, con tacco 16 e scarpa
leopardata, difficile andare lontano.
Un particolare del video di Guariniello ha
destato particolare interesse: l’unghia del pollice della mano sinistra del
procuratore era completamente “nera”.
Tre le ipotesi.
1) La moglie del
procuratore approfittando del fatto che non andasse a Firenze gli ha chiesto di
piantare un chiodo per poter appendere un quadro alla parete. Cosa che lui ha
fatto senza valutare i rischi e senza un’adeguata formazione.
2) La vendetta di un
tifoso della Juventus per aver fatto fuori la sua squadra del cuore, a seguito
dell’inchiesta sulla pipì dei calciatori bianconeri.
3) Il martelletto del
giudice a processo stanco di ascoltare la requisitoria contro un imputato
accusato di spacciare per “carne salada” della "bresaola
valtellinese".
In ogni caso a movimentare il pomeriggio ci
hanno pensato i "magnifici 4" della tavola rotonda che hanno avviato
una discussione sul tema della formazione alla sicurezza sul lavoro e, più in
particolare, sul processo educativo (Muglia La Furia), sulla valutazione della sua efficacia
(Francesco), sulla formazione vista nella logica della 231 (Claudio) e sugli
strumenti innovativi a disposizione della formazione (Daniele).
Finalmente dopo tanti contatti solo via
internet, Facebook, mail ecc., ci siamo potuti incontrare dal vivo, o meglio,
da “vivi”.
Oggetto di critica anche la recente
risposta all’interpello sull’aggiornamento dei docenti-formatori alla sicurezza
sul lavoro per i quali sono previste ogni 3 anni, “alternativamente” 24 ore di
docenza e 24 ore di partecipazione a seminari, convegni ecc. Secondo il
Ministero “alternativamente = in alternativa”, quindi per aggiornarsi il
docente formatore potrebbe limitarsi a fare 24 ore di docenza ogni 3 anni.
Sarebbe come se un RSPP per aggiornarsi potesse limitarsi a fare un paio di DVR
o partecipare ad una riunione periodica; un coordinatore fare un PSC o 24 ore
di presenza in cantiere. Vedremo se ci saranno ulteriori chiarimenti.
Forse vi sarete accorti anche voi che
quando si parla di “231”, la categoria delle toghe è sempre ben
rappresentata sia tra i relatori che tra il pubblico. E’ stato così anche a
Firenze e mi limito a riportare un passaggio dell’intervento di uno degli
avvocati presenti che ha sostenuto come “La giurisprudenza della Cassazione
stia disegnando in maniera puntuale i compiti del coordinatore della
sicurezza”.
Alla buon’ora, potrebbe pensare qualcuno,
visto che la direttiva cantieri è stata emanata nel 1992 e recepita in Italia
nel 1996 con il Decreto Legislativo 494. Io invece mi domando ma che strano
Paese è quello in cui per vedere pienamente disegnato il ruolo, eminentemente
di carattere tecnico-organizzativo del Coordinatore, si debbano attendere le
Sentenze della Corte di Cassazione e non, più semplicemente, applicare quanto
scritto nella legge. Forse che la legge sia stata scritta male? Modificata in
peggio nel corso degli anni? Rimodificata dal D.Lgs.81/08? Modificata a seguito
delle condanne della Corte di Giustizia europea? Ricorretta dal decreto del
“fare”? E ri-ricorretta da un decreto
attuativo del Jobs Act?
Per quanto alle slide del mio intervento vi
anticipo che le metterò a disposizione sul blog dopo il 10 dicembre, data in
cui interverrò, sempre a Firenze, ad un “barcampsafety” che, detto tra noi, non
ho capito bene cosa sia, ma dove dovrò intervenire insieme ad un gruppo di
grandi esperti e ancor più grandi amici (Atti, Catanoso, Fantini, Vicenzi,
Valentini, Cuccuini, Palmisano, Zini, Verdesca, ecc.) molti dei quali reduci di
quello che fu il “Circolo di Sarnes”.
Poi le renderò disponibili grazie ai tipi
di “iCLhub”, nel cui catalogo già oggi trovate alcuni miei materiali
scaricabili gratuitamente (anche in power point):
Una però ve la voglio mostrare in
anteprima. E' quella che ho usato a Firenze venerdì scorso per salutare i
partecipanti. Per noi che da sempre sosteniamo molto modestamente che la
"formazione è come l'omeopatia e male non fa" e, visto che eravamo
nella patria di "messer Renzi"
che in TV definì "inutili" i corsi di primo soccorso, mi
pareva giusto sottolineare che proprio grazie alla formazione impartita al
collega-soccorritore, "la formazione può salvare la vita".
No, il 10 dicembre Guariniello, non ci
sarà. Ha già avvisato che sarà a sciare approfittando del ponte di S. Ambrogio.
Franco Mugliari alias Muglia La Furia
mail: fmuglia@tin.it
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From: Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 3:07 PM
Subject: ATAC ROMA: GLI AUTOBUS NON
PASSANO...DI CHI E’ LA COLPA?
Il servizio dei trasporti di Roma è soggetto
a un continuo peggioramento a causa dell'inadempimento della manutenzione
ordinaria, del mancato rinnovamento della rete di trasporto basato per lo più
sul trasporto su gomma, nonché di una crisi aziendale allargata anche dai
ritardi nei pagamenti da Comune e Regione che sono i principali finanziatori di
ATAC (70%, mentre solo il 20% è frutto dalla vendita dei titoli di viaggio).
Come avvenuto in casi analoghi, anche qui
la colpa viene scaricata sui lavoratori che in questi mesi sono diventati
vittime di vere e proprie aggressioni da parte degli utenti. Ma vediamo in
sintesi quali sono le condizioni di un servizio fondamentale come quello dei
trasporti, per cui viene tanto propagandata come soluzione la sua
privatizzazione.
Intanto la privatizzazione in ATAC già
esiste: l'azienda pubblica è affiancata dalla Roma TPL per un totale del 20%
delle linee, quelle periferiche e notturne. Gli effetti? Trattamenti salariali
diversi nell'ambito della stessa azienda, turni anche di 11-12 ore, ammontare
dei salari inferiore anche del 30% rispetto a quello dei dipendenti diretti di
ATAC. Non ultima la riduzione delle linee.
Si stima un sotto organico di circa 1.000
unità, infatti l'ordinario svolgimento del servizio è garantito per oltre il
20% dal sistematico ricorso agli straordinari; molti dei dipendenti
dell'azienda hanno accumulato più di 30 giorni di ferie, mentre per permettere
qualche giorno di ferie, ogni anno vengono assunti lavoratori con contatti a
tempo determinato di 45 giorni (prorogabili per altri 45) che nei pochi mesi in
cui lavorano sono costretti ad imparare 40 tratte diverse.
Mentre i premi di produzione dei dirigenti
ATAC ammontano ad oltre i 200.000,00 euro annui, i dipendenti saranno costretti
ad aumentare la produttività per mantenere gli stessi stipendi con un contratto
fermo dal 2006. Per giustificare queste decisioni unilaterali ne sono state
dette di tutte: a parità di stipendio gli autisti romani guiderebbero solo 736
ore annue, mentre a Milano se ne fanno 1.200. La richiesta di un aumento di ore
settimanali da 37 a
39, ci rivela con un semplice calcolo che in questi rimproveri c'è qualcosa che
non quadra (37 x 50 = 1.850).
Questo è solo uno degli elementi utili a
riconoscere quanto sia falsa e ingiusta la propaganda denigratoria dell'Azienda
e del Comune contro i suoi dipendenti.
Un servizio come il trasporto pubblico
necessita di maggiori assunzioni, di più manutenzione e di maggiori
investimenti mentre i fondi per decenni sono stati redistribuiti
trasversalmente tra partiti politici complici della malagestione, come con le
assunzioni di amministrativi dello scandalo Parentopoli ai tempi di Alemanno,
con il servizio deviato dei biglietti clonati stimati per un valore di oltre 70
milioni di euro, con l'acquisizione di una nuova inutile sede del valore di più
di 100 milioni.
Per saperne di più leggi la nostra ultima
inchiesta “ATAC: oltre le menzogne” al link:
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From: Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 3:07 PM
Subject: AMA ROMA: CASSONETTI PIENI...DI
CHI E’ LA COLPA?
Secondo il sindaco e i giornali romani la
colpa è degli operatori AMA che sarebbero troppo assenteisti e sfaticati,
un'accusa che da 30 anni Governi e televisioni lanciano ai lavoratori pubblici
per giustificare le privatizzazioni.
In realtà un lavoratore AMA carica ogni
giorno più rifiuti di quanto dovrebbe, nei camioncini arriva oltre le sponde,
contravvenendo al regolamento. E allora perché i rifiuti restano per strada?
Perché gli impianti pubblici e privati dove
vengono smaltiti i rifiuti di Roma non bastano dopo la chiusura della discarica
di Malagrotta, e spesso i camion restano in fila fuori perché non possono
scaricare.
Il problema non è che Malagrotta è stata
chiusa dopo 30 anni, ma che è stata tenuta aperta tutto questo tempo:
inquinando definitivamente la zona e tutta la città, arricchendo a dismisura il
suo proprietario Cerroni, ora agli arresti domiciliari assieme ai politici che
lo hanno favorito.
Tutti parlano di puntare sulla
differenziata, e la raccolta porta a porta è partita in tante zone della città.
Ma nessuna nuova assunzione è stata fatta per un lavoro che necessità di più
braccia umane, per ogni tipo di rifiuto da raccogliere. I lavoratori per il
porta a porta sono stati spostati dalle zone dove non c'era, diminuendo
ulteriormente le braccia al lavoro e quindi i rifiuti raccolti in quelle zone.
Chi presenta la privatizzazione come la
soluzione del problema dei rifiuti fa finta di non sapere che tanti problemi
della gestione dei rifiuti derivano proprio dalla relazione, criminale o meno,
tra l'amministrazione e le ditte private che hanno preso in appalto il
servizio: sia Cerroni sia le cooperative che raccoglievano la differenziata da
uffici, ristoranti e altri privati, tra le quali la 29 giugno di Buzzi!
Proprio come per l'ATAC un migliore servizio
necessiterebbe di più assunzioni per svolgere un lavoro, quello della
differenziata, che necessita di più braccia, più manutenzione dei camion e
camioncini, che spesso non viene potuta fare per mancanza di pezzi di ricambio,
e impianti di trattamento della differenziata che siano fatti nell'interesse
collettivo e non in quello dell'arricchimento dei privati.
E i soldi? I soldi li dovrebbero intanto
pagare tutti i Ministeri, Enti pubblici e amministrativi, grosse committenze
private, che hanno accumulato centinaia di migliaia di euro di debiti con l'AMA
per mancato pagamento del servizio reso (e che ora si lamentano degli
sprechi!). Si dovrebbero togliere dalle buste paga dei dirigenti che arrivano a
100.000 euro l'anno. Le dovrebbero versare le casse dello Stato che negli
ultimi decenni non ha fatto che tagliare soldi alla spesa locale, per diminuire
le tasse ai ricchi, fare opere inutili per arricchire i privati come la TAV, regalare soldi alle
imprese come il miliardo di euro che questo anno verrà dato in premio a chi
assume con il nuovo contratto precario a tempo indeterminato di Renzi.
Per approfondire leggi l'inchiesta del
Coordinamento Operaio “AMA: i rifiuti del(la) capitale” al link:
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From: Controsservatorio Valsusa info@controsservatoriovalsusa.org
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 11:23 PM
Subject: UNA SENTENZA STORICA
Domenica 8 novembre 2015, al termine di una
sessione di quattro giorni aperta al pubblico, il Tribunale Permanente dei
Popoli (TTP) ha pronunciato una Sentenza storica di condanna del metodo seguito
per la definizione del TAV in Val Susa e dell'intero sistema che presiede, in
Italia e in Europa, alle grandi opere.
La Sentenza si può leggere
all’indirizzo:
Con esplicito riferimento ai principi
richiamati dalla Convenzione di Aarhus la Sentenza afferma che i casi esposti nella
sessione del TPP (Val di Susa, Notre Dame des Landes, Rosia Montana, Paesi
Baschi di Francia e di Spagna, Stoccarda, Venezia, Firenze, Basilicata e
regioni d’Italia interessate ai progetti di trivellazione, Messina e Niscemi, e
tutti gli altri progetti presi in considerazione) "documentano un modello
generalizzato di non conformità operativa a questi principi, da parte di un
gran numero di governi e di enti pubblici oltre che dei committenti esecutori
di grandi opere".
La Sentenza, accogliendo
totalmente l'impianto accusatorio, afferma in maniera esplicita che in Val Susa
sono stati violati i diritti fondamentali dei cittadini all’informazione e alla
partecipazione, sono state disattese numerose convenzioni internazionali, c’è
stata un’impropria criminalizzazione del movimento di opposizione e una
inammissibile militarizzazione del territorio.
Il Tribunale ha riconosciuto la
responsabilità al riguardo, oltre che dei promotori e delle imprese coinvolte,
dei Governi italiani degli ultimi due decenni e delle articolazioni dell’Unione
europea che ne hanno accolto acriticamente le indicazioni senza effettuare i
controlli e gli accertamenti richiesti dal movimento di opposizione.
Il Tribunale ha quindi concluso con
specifiche raccomandazioni chiedendo, tra l’altro, ai governi italiano e francese
di aprire "consultazioni serie delle popolazioni interessate, e in
particolare degli abitanti della Val di Susa, per garantire loro la possibilità
di esprimersi sulla pertinenza e la opportunità del progetto e far valere i
loro diritti alla salute, all’ambiente e alla protezione dei loro contesti di
vita" estendendo l’esame a tutte le soluzioni praticabili "senza scartare l’opzione zero" e
"sospendendo, in attesa dei risultati di questa consultazione popolare,
seria e completa, la realizzazione dell’opera".
Il Tribunale chiede altresì di
"sospendere la occupazione militare della zona".
Nella Sentenza letta da Philippe Texier
(Magistrato onorario della Corte suprema di Cassazione francese) non manca un
riferimento al fatto che "Nella loro visita alla zona, i membri di una
delegazione del TPP sono stati trattati come potenziali delinquenti".
La Valsusa ha accolto con
entusiasmo una Sentenza che riconosce pienamente le sue ragioni. La lotta del
movimento No TAV per la difesa del territorio, della salute e della democrazia
non finisce certo oggi, ma il punto fermo segnato dalla Sentenza non potrà
essere ignorato.
Valorizzare il significato di un
pronunciamento del Tribunale Permanente dei Popoli che non guarda soltanto alla
Valsusa è un impegno per tutti coloro che hanno a cuore la difesa del proprio
territorio e i diritti di intere comunità.
Sul sito del Controsservatorio Valsusa sono
disponibili le registrazioni audio/video della giornata conclusiva con la
lettura della Sentenza, delle raccomandazioni finali e i messaggi di due membri
della giuria che hanno portato in Val di Susa l'eco delle lotte per i diritti
in Cile e in Colombia.
Nei prossimi giorni saranno disponibili
tutte le testimonianze ascoltate.
Il Controsservatorio Valsusa
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From: Movimento Femminista Proletario
Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 17:33 PM
Subject: LA LOTTA PER LA TUTA DELLE OPERAIE DI
MELFI
INTERVISTA ALL'OPERAIA DELLA FCA-SATA DI
MELFI: PINA IMBRENDA, PROMOTRICE DELLA CAMPAGNA CONTRO LE TUTE BIANCHE
QUAL'E’ LA SITUAZIONE ALLA
SATA?
Alla SATA, passate le pause, è passato di
tutto. Ma occorreva ripartire, cominciare a far vedere che c'eravamo, dare
fiducia.
Noi pensavamo, a differenza della
segreteria FIOM [Pina con altri operai SATA, tra cui due dei tre ex licenziati,
è parte della sinistra FIOM “Il sindacato è un'altra cosa”, NDR] che era necessario prima fare gli
scioperi esterni per farci nuovamente riconoscere dalle operaie e operai, che
esistevamo. Poi abbiamo fatto anche gli scioperi interni che sono riusciti.
Ad agosto abbiamo fatto lo sciopero in
verniciatura per le condizioni insopportabili di caldo (in verniciatura i
condizionatori ci sono, ma non mettono l'acqua refrigerante). Mentre in
lastratura abbiamo fatto l' “uscita di sicurezza” perchè all'interno vi erano
40° ed era pericoloso per la salute lavorare; questo ci ha permesso anche di
superare l'ostacolo della FIOM che non voleva che noi dichiarassimo sciopero.
Sia in Verniciatura che in Lastratura
abbiamo ottenuto per il periodo estivo di emergenza un aumento delle pause.
Questo ha dimostrato che se ti dai da fare,
acquisti fiducia.
RACCONTAMI COME E’ ANDATA SULLA QUESTIONE
TUTE
La questione della macchiatura della tuta è
cominciata a diventare un problema di tante operaie e quasi quotidiano. Fino ad
allora, anche se c'era non se ne parlava. In Basilicata le donne hanno ancora riserva
a parlare su certi temi. Per questo all'inizio anche io non ero convinta. Poi
vi è stato un episodio in particolare che ha fatto superare i dubbi. Vi erano
le operaie che per non uscire con la tuta macchiata rimanevano chiuse nei
bagni, poi dovevano chiamare il capo per avere un'altra tuta, questi lo diceva
a un altro, che quando veniva con la tuta cominciava a dire in presenza di
tutti: per chi è...? Quindi, tutti sapevano...
COME E’ LA REAZIONE DEGLI
OPERAI A QUESTA INIZIATIVA?
L'iniziativa che stiamo facendo ha cambiato
l'atteggiamento verso le operaie anche degli operai. Prima quando si parlava
dei problemi delle donne vi era un atteggiamento di sottovalutazione, di
vederli, anche da parte dei delegati, come problemi secondari, al massimo da essere
inseriti in un punto delle richieste all'azienda, ora invece è diverso. E'
stata la mobilitazione diretta delle operaie a far cambiare le cose.
Abbiamo scelto di affrontare la questione
della tuta anche per incastrare la
FIAT su una cosa su cui non può dire niente.
COME STA ANDANDO LA CAMPAGNA?
Abbiamo cominciato in due a raccogliere le
firme sulla tuta. Ma via via vedevamo che tutte le operaie firmavano. Venivano
loro a chiederci di firmare. Noi, perchè fosse una cosa seria anche per le
operaie, abbiamo voluto che mettessero a fianco della firma il numero del
tesserino identificativo. E l'hanno messo senza difficoltà.
Dopo abbiamo consegnato le firme alla FIAT,
che finora non ha risposto.
Le abbiamo consegnate anche alla FIOM
Basilicata, proprio il giorno in cui è venuto Landini. Ma anche qui silenzio.
Solo dietro richiesta nostra il segretario
della CGIL ci ha dato una mano a far pubblicare un articolo sul “Il Quotidiano
della Basilicata”. Il giorno dopo abbiamo saputo che l'azienda ci voleva dare
le culotte...
Dopo questo primo articolo ho provato
direttamente a insistere verso la stampa nazionale. Repubblica ha risposto.
Abbiamo cominciato la raccolta firme anche
alla FIAT di Termoli, Pratola Serra, Sevel.
AVETE RICEVUTO APPOGGIO A LIVELLO
NAZIONALE?
Ho ricevuto telefonate da tutt'Italia, meno
in un primo tempo che dalla FIOM. La consigliera delle pari opportunità della
Basilicata e quella del Governo hanno fatto loro la nostra istanza; la
consigliera del Governo ha fatto un documento, che è stato trasmesso e letto a
RAI Radio1, e ha fatto una lettera/appello alla direzione FIAT, perchè accolga
le nostre istanze.
Solo dopo la FIOM è intervenuta, ponendo
alla FIAT l'alternativa: o cambio della tuta o non assegnarcela, ma questo
darebbe all'azienda una via d'uscita.
Ora la FIOM cerca di appropriarsi della nostra
iniziativa, ma per affossarla.
Negli altri stabilimenti sta facendo la
raccolta di firme senza che le operaie mettano il numero identificativo.
La
FIOM
non ha delegate donne, l'unica sono io, che sono in contrasto con la FIOM, infatti la FIOM sta cercando di mandare
avanti un'altra operaia iscritta FIOM con l'intento di sostituirmi.
A livello parlamentare, devo dire che
Barozzino (l'altro operaio delegato FIOM licenziato e ora parlamentare di SEL)
ha fatto un'interrogazione parlamentare, ha parlato di tutto e la tuta è stata
semplicemente uno dei tanti punti. Tutti possono parlare delle tute, ma non
queste persone, che quando noi abbiamo lottato sulle pause non ci hanno dato
copertura politica. Ora che stiamo facendo l'iniziativa sulla tuta, guarda
caso, parlano delle pause, dei carichi di lavoro, ma solo per mettere in ombra
la nostra iniziativa.
Hanno avuto un atteggiamento migliore
alcune senatrici del PD e del M5S.
QUAL'E’ IL VALORE DI QUESTA BATTAGLIA?
Questa iniziativa sulla tuta ha permesso di
riparlare delle donne alla SATA, ha riaperto la questione.
Le operaie l'hanno vista come una questione
di dignità.
Movimento Femminista Proletario
Rivoluzionario
MFPR Nazionale
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Thursday, November 12, 2015 9:12 AM
Subject: LETTERA APERTA AL MINISTRO DELLE
POLITICHE AGRICOLE MARTINA
Egregio Ministro Martina
anche ieri sono morti 3 agricoltori
schiacciati dal trattore, due schiacciati dal mezzo e uno dal rimorchio.
Con questo volevo solo dirle che
polemizzare attraverso le pagine del Manifesto, con me, un volontario che dal
1° gennaio 2008 monitora, senza
percepire neppure un euro, e lavorando diverse ore al giorno le morti sul lavoro è assurdo.
Ho cominciato a farlo dopo la tragedia
della Thyssen-Krupp di Torino, 7 lavoratori morti pochi settimane prima.
Ancora più assurdo scrivere "certe
polemiche di qualcuno".
Da anni tempesto di mail chi ci governa,
scrivendo che i morti sul lavoro stanno aumentando e non calando, che sono
molti di più di quelli che denuncia l'INAIL che monitora solo i propri
assicurati.
Per anni sono stato ignorato, ma ormai
tutti gli italiani sanno che quello che scrivo è vero: che l'INAIL monitora
solo i propri assicurati. I morti sui luoghi di lavoro (escluso l'itinere) sono
oggi (12 novembre) dall'inizio dell'anno 615, erano secondo i nostri dati 573
nello stesso giorno del 2008, il 6,6% in più. Lo stesso giorno del 2014 sono
stati il 6,9% in più. A questi poi occorre aggiungerne almeno altrettanti che
muoiono sulle strade e in itinere.
Il 33% di tutti i morti sul lavoro sono nel
comparto agricolo. La politica, il Governo, stampa e televisioni sono state
tempestate dall'Osservatorio che dirigo di mail. A Lei chiedevo di fare
qualcosa per le centinaia di agricoltori che ogni anno muoiono schiacciati dal
trattore.
Il 28 febbraio del 2014 ho mandato una mail
a Lei, a Renzi e Poletti, vi chiedevo (come da diversi anni a chi vi ha
preceduto) di fare almeno una campagna
informativa sulla pericolosità del mezzo, perché dai dati raccolti nel corso
degli anni sapevo che entro pochi giorni sarebbe ricominciata la strage. Niente
neppure un twitter da parte Sua, di Renzi e Poletti.
Chiedevo (come tutti gli anni) che
venissero messi a disposizione dei fondi per mettere in sicurezza i vecchi
trattori. Nel 2014 ne sono morti così atrocemente 152 (un morto sui luoghi di
lavoro su 5 è causato dal trattore). Quest'anno ne sono morti già 127 e 91 nel
periodo d'apertura dell'EXPO.
Poi, come scrive Lei sul Manifesto, l'INAIL
ha messo recentemente a disposizione dei fondi, e io credo che anche la
campagna portata avanti dall'Osservatorio nel corso di tutti questi anni sia
stata determinante.
Ma i cittadini non contano niente e il
merito deve sempre andare a chi è in alto. Tutti gli italiani sanno ormai che
il trattore è un mezzo che uccide facilmente e per tante ragioni che non sto a
elencare.
E Lei che cosa fa invece di ringraziare un
cittadino che con lavoro volontario dimostra coscienza civile? Polemizza con
lui. Cerchi invece d’impegnare le sue energie al massimo per ridurre il numero
di queste tragedie che è veramente spaventoso.
Poi cercate di capire come mai in questi
anni sono passati con la complicità dei media messaggi su "favolosi"
cali delle morti, E, in base a questi presunti cali, leggi che hanno ridotto la
sicurezza sul lavoro, mentre invece i morti, se si prendono in esame tutti i
morti per infortuni non sono mai calati.
Poi sarebbe anche opportuno rivedere la Legge Fornero, visto
che c’è stato un forte incremento delle morti sui luoghi di lavoro tra gli
ultra sessantenni, costretti a svolgere lavori pericolosi con riflessi poco
pronti e acciacchi di varia natura. Tra l’altro con pericolo per sé e per gli
altri.
Aspettando una sua risposta che non sia
polemica mi metto a sua disposizione.
Cordiali saluti.
Carlo Soricelli
Curatore dell'osservatorio Indipendente di
Bologna morti sul lavoro
* * * * *
SICUREZZA IN AGRICOLTURA, LA REPLICA DEL MINISTRO
MARTINA
Da Il Manifesto
05/11/15
Cara Direttrice,
ritengo opportuno rispondere alla lettera
di Carlo Soricelli pubblicata martedì scorso sul Suo giornale, intitolata
“L’Expo e il trattore”.
Al di là dei toni, stupisce infatti che il
nostro impegno per garantire condizioni sicure di lavoro, portato avanti in
questi mesi di governo, sia stato ignorato proprio da chi si occupa in prima
persona di queste tematiche. Eppure prevenzione e sicurezza sono al centro
della nostra azione politica.
Con la Legge di stabilità, infatti, abbiamo realizzato
una misura strutturale insieme a INAIL. Con 45 milioni di euro nel 2016 e 35
milioni di euro per ogni anno a partire dal 2017 incentiviamo il rinnovo delle
macchine agricole, puntando su tecnologie innovative, sicure e sostenibili, con
l’obiettivo di favorire il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza
nei luoghi di lavoro. Con l’istituzione di un fondo specifico, presso l’INAIL,
verranno finanziati gli investimenti per l’acquisto o il noleggio con patto di
acquisto di macchine o trattori agricoli e forestali.
Sempre per sostenere l’ammodernamento della
meccanizzazione nelle aree rurali, attraverso i Programmi di sviluppo rurale
regionali, saranno messi a disposizione, fino al 2020, più di un miliardo di
euro da investire in sistemi innovativi per le imprese, con un contributo che
va da un minimo del 40% a un massimo del 50%. Interventi non banali con cui
vogliamo alzare gli standard di sicurezza. Anche sul fronte prevenzione,
questione cruciale, abbiamo messo in campo azioni mirate. La revisione
periodica, ad esempio, per cui abbiamo firmato con il Ministero delle
infrastrutture un Decreto che colma finalmente una lacuna dell’ordinamento
legislativo in materia. Non capisco poi il tentativo di confondere la questione
sicurezza con Expo, che è stata un’esperienza irripetibile per il settore e
tutto il Paese, con ricadute positive sia in termini di immagine che
economiche, che raccoglieremo anche nel medio e lungo periodo. Così come è
stata una piattaforma di confronto globale sui principali temi
dell’agroalimentare, compreso appunto il problema sicurezza a cui abbiamo
dedicato numerosi approfondimenti.
Questi incontri sono la base per aprire
un’ulteriore e più ampia discussione su queste tematiche e mettere in atto un
deciso cambiamento che faccia della cultura della sicurezza lo scopo primario
di una società più moderna e civile. Per arrivare a tutto ciò serve l’impegno
di tutti e non certo polemiche di qualcuno.
Cordialmente
Maurizio Martina
Ministro delle politiche agricole
alimentari e forestali
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From: Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent: Sunday, November 15, 2015 11:04 PM
Subject: ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI
LAVORATORI: IL REINTEGRO E’ COME L’UGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE...
Tutele crescenti o soldi pubblici per
licenziare i Lavoratori "just in time"?
Dubbi o certezze? Ai posteri...
Dall'intervista sotto riportata:
...omissis...
E lei?
“Non ci credevo. Se sei precario, te lo
puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho
scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho
trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho
ripensato all’articolo 18...”.
Cioè?
“Aveva ragione chi lo difendeva. Qui è
finito tutto, la riforma è una falsa promessa di miglioramento”.
A futura
memoria...
Giuseppe Grillo
Da La Repubblica
PRIMO ASSUNTO COL JOBS ACT E LICENZIATO:
"ALTRO CHE TUTELE CRESCENTI"
"Ero felicissimo, poi il fulmine a
ciel sereno: c'è un calo di lavoro, non possiamo più tenerti e tutto
finisce"
di Matteo Pucciarelli
14 novembre 2015
"Preferivo finire sul giornale per una
storia migliore eh", scherza Mario, operaio trentunenne, due figli di 12 e
3 anni.
E’ il primo licenziato con il contratto a
tempo indeterminato versione "Jobs Act": questa la denuncia dal
sindacalista della CISL Massimo Albanesi raccolta dal Messaggero Veneto.
Dopo soli otto mesi dalla firma della
lettera di assunzione. Per paura di ritorsioni ("non è che poi non mi
assume più nessuno?") aveva preferito non esporsi. Ma alla fine questo
lavoratore della Pigna Envelopes (quella dei block notes) di Tolmezzo, in
provincia di Udine, decide di raccontarsi, "dopotutto di cosa dovrei
vergognarmi?".
Partiamo dall'inizio: quando e come viene
assunto?
"Allora, io facevo il camionista e
stavo molto tempo all'estero. Vedevo poco la mia famiglia. Dopo quattro anni di
questa vita, decido di provare ad avvicinarmi a casa".
E com'è entrato in contatto con l'azienda?
"Sapevo che cercavano operai e io avevo
già fatto esperienza anni fa in una cartiera. Presentai domanda nell'estate del
2014. A
inizio 2015 mi
chiamano per dirmi che ci siamo. Ma poi rimandano di qualche settimana, perché
aspettavano il varo della nuova riforma del lavoro. Così il 16 marzo ho firmato
il contratto".
Era felice?
"Di più, felicissimo. Fabbrica a 200 metri da casa, ci
andavo a piedi. Due mesi di prova e poi l'indeterminato. Lo stipendio, facendo
anche i turni di notte e con gli assegni familiari, era di 1.400 euro".
Ma non sapeva che il contratto a tutele
crescenti prevede la possibilità di un più facile licenziamento?
"No, l'azienda ci aveva sempre detto
di stare tranquilli, e che per tre anni stavamo sicuri. Poi non sono un tipo
politicizzato, mai fatto uno sciopero in vita mia, non sono di sinistra. Vedevo
Renzi in tv, parlavano tutti di ‘tutele crescenti’... Ecco sulla mie pelle ho
visto che quella dizione è una barzelletta".
Come le hanno detto che restava a casa?
“Mercoledì, erano le 17,30. Stavo facendo
il turno pomeridiano, dalle 14 alle 22. Mi hanno chiamato i superiori per dirmi che
c’è un calo di lavoro, non potevano più tenermi, quindi da venerdì il contratto
era risolto”.
E lei?
“Non ci credevo. Se sei precario, te lo
puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho
scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho
trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho
ripensato all’articolo 18...”.
Cioè?
“Aveva ragione chi lo difendeva. Qui è
finito tutto, la riforma è una falsa promessa di miglioramento”.
Non aveva avuto neanche delle avvisaglie
che qualcosa non stesse andando bene?
“Sapevamo che c’erano difficoltà, sì, ci
eravamo consumati le ferie apposta. Ma da qui a vederti lasciato così...”.
Non è che per caso l’hanno licenziata per
altre ragioni legate al suo operato?
“No, oggi hanno fatto lo stesso con altri
due tempi indeterminati a tutele crescenti, forse non è finita qui”.
Senta, quando è tornato a casa con la
lettera di licenziamento cosa le ha detto la sua compagna?
“E’ rimasta senza parole anche lei. Un
fulmine a ciel sereno. Se ti parlano di ‘tutele crescenti’ e firmi un
indeterminato, vivi con una certa tranquillità. Ti fidi no? Invece scopri che
era tutto frutto della tua immaginazione, o della propaganda”.
E adesso?
“Avrò la disoccupazione per qualche mese e
intanto cerco un nuovo impiego; ma se lo avessi saputo prima che andava a
finire così non avrei mai lasciato il lavoro di camionista. Mi ero anche fatto
licenziare dal vecchio datore di lavoro, così risultando disoccupato l’azienda
ha potuto usufruire degli sgravi fiscali assumendomi...”.
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From: Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Monday, November 16, 2015 9:32 AM
Subject: SCANDALO AMIANTO A OTTANA: IL CASO
IN PARLAMENTO
Da La Nuova Sardegna
SCANDALO AMIANTO A OTTANA, IL CASO IN
PARLAMENTO
INTERROGAZIONE AL GOVERNO SULLE MORTI PER
PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE NELLA FABBRICA EX ANIC-ENICHEM
Il deputato Michele Piras interroga il
governo sulle morti per patologie asbesto correlate nella fabbrica ex
Anic-Enichem
14 novembre 2015
Approda in parlamento il caso delle morti
per gravi patologie legate all’esposizione all’amianto nello stabilimento
chimico Anic-Enichem negli anni ‘90. Il deputato di SEL Michele Piras ha
presentato un’interrogazione ai ministri della Sanità, del Lavoro e dell’Ambiente
e annuncia una proposta di legge per far sì che anche la fabbrica di Ottana
venga inserita nell’elenco nazionale dei siti industriali in cui lavoratori
erano esposti all’amianto.
“La possente contaminazione da amianto del
sito industriale ex Enichem di Ottana, le numerose vittime della micidiale
fibra che si registrano fra i lavoratori, la mancata iscrizione del sito nel
registro nazionale, rappresentano un doppio scandalo italiano”, denuncia Piras.
Un caso clamoroso “sia per la negazione ai
lavoratori della Sardegna centrale dei benefici previsti dalla legge per le
vittime da patologie asbesto correlate, sia perché stavolta si tratta di una
azienda di Stato, che per lunghi anni ha operato sul territorio, lasciando le
macerie della disoccupazione, dell'inquinamento, delle malattie, senza alcun
risarcimento tangibile di carattere sociale ed ambientale. Persino le bonifiche
fin qui operate appaiono incomplete e operate in una condizione di totale
assenza di sicurezza”.
L’interrogazione di Piras avviene
all’indomani della denuncia, da parte dell’AIEA (Associazione Italiana Esposti
Amianto) e di Medicina Democratica, avvenuta nei giorni scorsi a Ottana
contestualmente a un esposto alla magistratura in cui viene sollecitato l’avvio
di un’indagine sulla lunga serie di decine di morti e di numerosi ex lavoratori
gravemente ammalati o, comunque, a rischio di diventarlo a causa della
prolungata esposizione alla sostanza killer.
“La recente denuncia pubblica delle
associazioni dei familiari delle vittime dell'amianto è un durissimo atto
d'accusa nei confronti dello Stato e della rappresentanza politica, troppo
spesso inerte e passiva rispetto alla sofferenza di centinaia di persone” –
scrive il deputato di Sel – “Con la presente interpellanza urgente, alla quale
seguirà una mozione alla Camera dei deputati e una proposta di legge per
l'inserimento di Ottana nell'elenco dei siti nazionali contaminati
dall'amianto, chiedo al governo che si faccia carico di questa situazione
incresciosa e che vi ponga immediato rimedio”.
Piras vuole inoltre conoscere l’attuale
situazione all’interno del sito industriale e chiede al governo di “predisporre
ulteriori ed urgenti interventi di bonifica”, visto che “secondo numerose
testimonianze sono presenti sostanze inquinanti frutto di stoccaggio abusivo”.
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