Brescia, nei terreni inquinati
dalla Caffaro 500 kg di diossine. Quasi 20 volte di più che a Seveso
I dati rilevati in una relazione dell'Arpa. Per
bonificare l'area andrebbero rimossi 3 milioni e 170 mila metri cubi di terra
in cui si trovano abitazioni private, scuole pubbliche, campi agricoli,
stabilimenti, infrastrutture e circa 25mila abitanti
È un veleno così formidabile che la sua tossicità si
calcola in nanogrammi, i miliardesimi di grammo. Ed è classificato tra i
cancerogeni certi per l’uomo secondo lo Iarc, l’Agenzia internazionale
per la ricerca sul cancro. Ma le diossine disperse nell’ambiente, a Brescia,
si contano in chilogrammi. Una quantità enorme, senza precedenti nel mondo
industrializzato. Il dato è riportato in una relazione dell’Agenzia regionale
per la protezione dell’ambiente (Arpa) sull’inquinamento causato dalla
fabbrica chimica Caffaro di Brescia, che ha prodotto per più di 50 anni
i cancerogeni Pcb e inserita dal 2002 – insieme a un territorio di 1 milione e
800 mila metri quadri a sud della città – nel novero dei Siti inquinati di
interesse nazionale. Secondo i geologi Maria Luigia Tedesco ed Enrico
Alberico dell’Arpa, nei terreni del sito Brescia-Caffaro sono presenti
almeno 500 kg di diossine (con tossicità equivalente alla diossina di Seveso,
la più pericolosa), ovvero 500mila miliardi di nanogrammi. Rispetto a uno dei
più gravi disastri chimici italiani, l’esplosione del reattore della fabbrica Icmesa
di Seveso nel 1976 che provocò la fuoriuscita – secondo le stime più
attendibili – di quasi 30 kg di veleno, a Brescia è dunque presente una
quantità di diossina 20 volte superiore. A Seveso e nei comuni vicini
all’Icmesa, dove lo strato di diossina era concentrato e superficiale, dopo
l’incidente del 10 luglio ’76 la popolazione fu evacuata, le abitazioni
distrutte, gli alberi abbattuti, il terreno rimosso e i rifiuti collocati in enormi
vasche controllate.
A Brescia invece la diossina è dispersa in grandi quantità
di terreno, anche negli strati più profondi, ed è impossibile da isolare se non
rimuovendo 3 milioni e
170 mila metri cubi di terra (sempre secondo i dati dell’Arpa) dove si trovano
abitazioni private, scuole pubbliche, campi agricoli, stabilimenti,
infrastrutture e circa
25mila abitanti per i quali sono stati previsti in questi anni dalle autorità sanitarie solo
ordinanze e divieti parziali. Le diossine non sono l’unico grave problema del sito
inquinato di Brescia. Il dato, già di per sé eclatante, di 500 kg di diossine
non tiene conto della presenza dei policlorobifenili (Pcb), altri
composti chimici “cancerogeni certi” secondo lo Iarc, che l’industria Caffaro
ha prodotto allo stato puro dal 1938 al 1984: dallo scarico della
fabbrica ne sarebbero uscite circa 150 tonnellate, disperse nell’ambiente
attraverso le rogge agricole a sud della città di Brescia per diversi
chilometri fino alla bassa bresciana. Sempre secondo la relazione dei geologi
dell’Arpa, nei terreni del Sin Brescia-Caffaro sono presenti ancora 5
tonnellate di Pcb (nelle rilevazioni la sostanza si calcola in microgrammi,
ovvero milionesimi di grammo) oltre ad altri inquinanti come il mercurio. E il
documento non tiene conto dei veleni presenti nello stabilimento dell’ex
Caffaro, dove sotto l’impianto di trattamento delle acque sono stati trovati 235mila
ng/TEQ/kg di diossine (limite per i siti industriali di 0,0001) e 69 milioni
ug/kg di Pcb (limite di 5): per bonificare l’ex fabbrica, rimasta senza
proprietà dopo la scissione della Snia e il fallimento della chimica Caffaro,
sarebbe necessario asportare un volume di terreno pari al colle Cidneo, su cui
è collocato il castello di Brescia. Per bonificare il terreno, più di 3 milioni
di mc per un peso di oltre 5 milioni di tonnellate (senza tener conto della
bonifica dell’ex stabilimento), secondo le stime del Ministero dell’Ambiente
saranno necessari circa 1,5 miliardi di euro. Per ora a Brescia non
c’è un piano generale di bonifica e i fondi a disposizione del commissario Roberto
Moreni, nominato nel giugno scorso dal ministro dell’Ambiente Gianluca
Galletti, sono fermi a 13 milioni di euro.
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