Sequestrati
beni per 20 milioni al re delle coop di facchinaggio.
Dagli anni 80 Natale Sartori fa lo slalom tra
inchieste di mafia e indagini fiscali. Il provvedimento del Tribunale di Milano
su richiesta della Dda. Il consorzio Alma group ha avuto tra i suoi clienti
anche Esselunga e Conad
Non c’è una sentenza penale di condanna, e del resto
il 58enne imprenditore delle cooperative di facchinaggio Natale Sartori è quasi
sempre processualmente sgusciato via dalle tante inchieste milanesi che dagli
anni ’80 lo hanno lambito a fianco di latitanti di mafia come Enrico Di Grusa o
nomi storici dell’album di Cosa Nostra come lo “stalliere” di Arcore, Vittorio
Mangano. Ma stamattina è non un provvedimento penale, bensì una misura di
prevenzione (disposta dalla competente sezione del Tribunale su richiesta della
Direzione distrettuale antimafia milanese) a colpire, con un sequestro di beni
del valore di circa 20 milioni di euro eseguito dalla Guardia di Finanza,
l’”accumulazione patrimoniale sproporzionata rispetto alla tipologia dei
redditi leciti dichiarati, verosimilmente collegata anche al reimpiego di
risorse derivanti da evasione fiscale”, della galassia di cooperative ruotanti
attorno alla “Alma Group”: appunto un consorzio di cooperative di facchinaggio,
trasporti e logistica che tra i propri clienti ha avuto anche colossi dei
supermercati come Esselunga o Conad; e che, essendo privo di personale
dipendente, subappaltava il lavoro ricevuto o alle proprie consorziate o ad
altre cooperative comunque riconducibili allo stesso Sartori, presso le quali
c’era disponibilità di manodopera assunta con formale veste di “socio” a fronte
di regolare fattura per prestazioni eseguite (documento che abbatteva l’utile e
generava crediti Iva). Ma secondo gli investigatori il personale assunto in
teoria come “socio lavoratore” era in realtà un vero e proprio personale
dipendente, rispetto al quale Sartori “si interponeva tra il committente e il
consorzio”, celandosi “dietro prestanome” di sigle di cui sarebbe stato “il
reale amministratore al solo scopo di assumere cartolarmente la manodopera”.
Due, in questo modo, le fonti di guadagno per il consorzio: l’inserimento in
contabilità di costi fittizi per 92 milioni nel 2010-2012, e l’indebita
trattenuta di 11 milioni di Iva fatturata al consorzio ma non versata, e invece
drenata dai conti della galassia oppure monetizzata in assegni e prelievi di
contanti. Uno schema ricostruito anche grazie ai software contabili trovati nei
server dell’Alma Group e alle dichiarazioni di una dipendente della società che
si occupava delle paghe dei lavoratori. Il pm Alessandra Dolci, che cura le
misure di prevenzione nella Dda del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, ha
così ottenuto dal collegio Roia-Rispoli-Tallarida il sequestro non del capitale
sociale della “Alma Group” (richiesta qui rigettata), ma degli immobili di
“Alma Group”, di Sartori e dei suoi familiari, e di altri immobili a Padova,
Desenzano sul Garda, Valtournanche, Peschiera Borromeo e San Vittore Olona, e
terreni a Settala. E’ l’ennesimo guaio giudiziario con il quale Sartori si
ritrova a confrontarsi. Già a metà anni ’80, infatti, viene indagato per associazione
a delinquere finalizzata al traffico di droga sulla base di dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Rosario Spatola, ma il Tribunale di Milano lo
assolve, definendole “generiche e indirette, quindi non riscontrabili”. Nel
1998 un altro collaboratore, Vincenzo La Piana, parla di Sartori come di un
sostenitore delle spese di carcerazione di Vittorio Mangano (lo “stalliere di
Arcore” legato a Marcello Dell’Utri) e come appoggio della latitanza del genero
di Mangano, Enrico Di Grusa, che effettivamente verrà catturato a Rozzano in un
capannone di una cooperativa di un consorzio presieduto da Sartori, perciò
arrestato nel 1999. Ma alla fine di un’altalena di processi, quando le
intercettazioni vengono dichiarate inutilizzabili, Sartori è assolto dal
favoreggiamento del latitante, limitando a 1 anno e 8 mesi la condanna per
corruzione di un tenente colonnello dei carabinieri pagato per “raccomandare”
il consorzio di facchinaggio di Sartori. Non l’unico contatto di alto livello
di Sartori, visto che nel 1998 anche l’allora colonnello della GdF Michele
Adinolfi (poi comandante in seconda della Guardia di Finanza, nel 2015 suo
malgrado alle cronache per le intercettazioni 2014 con il premier Matteo Renzi)
entrò nel radar delle indagini a causa dell’agitazione di Sartori per una
verifica fiscale in una sua società. Curiosamente già nella sentenza di
assoluzione in Appello di Sartori dal favoreggiamento del latitante Di Grusa si
indicava “pacificamente acclarato il nero nella misura di 64 miliardi di lire”,
creato con “una doppia contabilità e l’assenza di fatturazione”, ma senza però
che ad avviso dei giudici fosse stata “superata quella linea di confine sottile
che separa il mafioso da chi mafioso, giudizialmente in senso tecnico e non
metagiuridico, non può essere ancora ritenuto”. Questo versante fiscale produce
nel 2001 un procedimento che finisce però in archiviazione nel 2008, in parte
perché alcuni reati vengono ritenuti già giudicati nel processo principale, e
in parte perché “gli altri reati sono prescritti”. In compenso Equitalia Nord
spa contesta al consorzio “Cisa” di Sartori un debito di 25 milioni di euro
verso l’Erario. Nel 2008 altra indagine su Sartori, stavolta perché per gli
inquirenti, una volta liquidato il consorzio Cisa, nel 2003 aveva costituito la
“Alma Group Società Consortile” a Peschiera Borromeo, “in sostanza – scrivevano
i magistrati – un clone di quello che era la Cisa prima dell’arresto, ossia un
collettore a cui aderiscono svariate singole cooperative di servizi”: ma mentre
i suoi coindagati vengono arrestati, Sartori alla fine è archiviato. Nel 2013 è
invece il Nucleo di Polizia Valutaria della GdF a produrre gli atti sulla cui
base Sartori viene arrestato dal 27 ottobre 2014 al 7 aprile 2015 per
associazione a delinquere finalizzata a reati fiscali, e finisce destinatario
di un sequestro preventivo di beni fino a un massimo di 31 milioni di euro. Una
delle fonti di acquisizioni investigative utilizzate ora dal diverso strumento
della misura di prevenzione.
Tratto da: Corriere della Sera
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