INDICE
Mario Murgia murgia.mario50@virgilio.it
LA
SANITA’ PUBBLICA HA IL DOVERE DI STABILIRE CONDIZIONI DI
SALUTE NEI TERRITORI CON RISCHIO AMIANTO
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
COMUNICATO E RESOCONTO CASSA DI SOLIDARIETA’ TRA
FERROVIERI GENNAIO 2016
Sinistra Lavoro info@sinistralavoro.it
LA CONSULTA: “SI’ AL
REFERENDUM ANTI TRIVELLE”
Delprete Fabrizio fabriziodelprete@gmail.com
INTERPELLANZA
ENICHEM OTTANA
Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
UNA STORIA DI ORDINARIA REPRESSIONE NEI LUOGHI DI LAVORO PUBBLICI
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
MANUALE DI AUTODIFESA "50 SFUMATURE DI LAVORO NERO E COME COMBATTERLE"
Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
IL LIMBO DI UNA GENERAZIONE DI LAVORATORI
DIMENTICATI
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To:
Sent:
Thursday, January 21, 2016 7:14 PM
Subject: LA SANITA’ PUBBLICA HA IL
DOVERE DI STABILIRE CONDIZIONI DI SALUTE NEI TERRITORI CON RISCHIO AMIANTO
Dal 1° convegno di Ottana (NU), tenutosi il 22 maggio
2009, si sono susseguiti: azioni, convegni, tavoli di concertazione tra le
Parti Sociali e le Istituzioni direttamente interessate alla tematica amianto,
al fine di far ottenere il riconoscimento dei diritti a favore dei lavoratori,
esposti e/o ex esposti.
I lavoratori sono smarriti e disorientati, perché
molti di loro hanno contratto patologie oncologiche e altri si sono visti
negare giuridicamente le richieste dei benefici previdenziali per decadenza dei
termini.
All’uopo l’Associazione Italiana Esposti Amianto
(AIEA) con un lavoro paziente e puntuale ha raccolto una serie di informazioni
mediatiche documentate da interviste, foto, video, al fine di creare le basi
per inoltrare gli esposti denuncia depositati alla Procura di Cagliari inerente
il sito industriale di Assemini, alla Procura di Nuoro per il sito industriale
di Ottana (NU).
E’ un diritto del cittadino essere informato e reso
consapevole delle conseguenze derivanti dall’esposizione a sostanze pericolose
e cancerogene come l’amianto; l’AIEA ha creato una rete informativa tale da
raggiungere le Istituzioni territoriali e nazionali.
La sanità pubblica ha il dovere di stabilire con
certezza le reali condizioni di salute nei territori con rischio ambientale,
come nei siti di Ottana, Macomer e Assemini; essa deve individuare le persone
che hanno lavorato in questi siti industriali, come da libro matricola, e
avviare l’indagine epidemiologica sullo stato di salute dei lavoratori e dei
residenti in quei territori, finalizzata a verificare l’incidenza dei tumori
maligni.
Esigenza manifestata già nel verbale di intesa del
21/10/10 tra ASL3 di Nuoro, Provincia di Nuoro, Comune di Ottana e di Macomer,
le Parti Sociali (CGIL, CISL, UIL) e AIEA.
Ringraziamo i giornalisti per il contributo fattivo
affinché “le affermazioni del diritto
alla tutela della salute”, non restino solo propositi fumosi, ma un
diritto uguale per tutti i cittadini italiani (articolo3 della Costituzione Italiana)
e, non un diritto mutevole a seconda della località geografica.
Mario Murgia
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From:
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
Sent:
Wednesday, January 20, 2016 1:54 AM
Subject: COMUNICATO
E RESOCONTO CASSA DI SOLIDARIETA’ TRA FERROVIERI GENNAIO 2016
Aiutaci a
diffondere, grazie!
COMUNICATO GENNAIO 2016
La cassa di solidarietà esiste e opera (oramai da 9
anni) grazie al contributo degli iscritti e di quanti credono nella solidarietà
e nel sostegno reciproco come arma di lotta e di resistenza contro un sistema
che non perde occasione per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, che
continua a intimidire e tenta di reprimere chi si batte in difesa della
sicurezza e della salute di lavoratori e cittadini e reclama con forza il
rispetto di quei diritti faticosamente conquistati.
L’altro aspetto è che di questa solidarietà (dati i
tempi durissimi che stiamo vivendo) c’è sempre più bisogno. A questo proposito,
crescono la partecipazione di lavoratori e le sottoscrizioni di cittadini ai
quali ci curiamo di far conoscere la
Cassa e la sua attività.
I nostri colleghi licenziati ingiustamente per aver
preteso la sicurezza e denunciato la mancanza, Riccardo Antonini e Sandro
Giuliani hanno presentato ricorso in Cassazione contro il licenziamento
e sono da mesi in attesa che sia fissata la data; il nostro collega macchinista
Silvio Lorenzoni, reintegrato
dal giudice del lavoro di Genova che ha respinto anche l'opposizione al
pronunciamento di primo grado presentata da Trenitalia, ancora non è al suo
posto di lavoro perché l'azienda non dà esecuzione alle sentenza; mentre il
nostro collega Bruno Bellomonte,
capostazione di Sassari, è perseguitato, oltre che dall'azienda, da quella
stessa giustizia che ha
confermato i licenziamenti di Riccardo e Sandro. Intanto a ottobre un altro
nostro collega, Mauro Colombera,
macchinista Cargo di Venezia, licenziato nel 2013, è stato riammesso dal
giudice al suo posto di lavoro.
Con i prossimi comunicati ci ripromettiamo di fare il
punto della situazione di ognuno dei nostri colleghi.
Anche quest’anno ricordiamo agli iscritti di rinnovare
i versamenti e invitiamo tutti ad aderire a questo strumento prezioso (ci si
può iscrivere online, sul sito www.casofs.org,
oppure rivolgendosi ai referenti di zona), che cresce proprio grazie a chi sa
che il contributo di ciascuno diventa un sostegno importante e concreto per
molti.
Auguriamo a tutti e tutte un
anno di resistenza e solidarietà!
La nostra forza parte da
noi, la nostra forza siamo noi tutti/e insieme.
Contributi erogati da Cassa
di Solidarietà tra Ferrovieri nell’anno 2015:
-
spese legali Assemblea Nazionale
Ferrovieri ricorso contro la contestazione della Commissione di Garanzia (avvocato
Belli): € 500;
-
spese processuali appello Giuliani: €
3.850;
-
spese Avvocato Alleva per Primo Grado,
Appello e acconto Cassazione Giuliani: € 5.337;
-
contributo Bruno Bellomonte: € 700 (dei
1.700 giunti per lui, Bruno ne ha lasciati 1.000 alla Cassa);
-
quinto acconto Avvocato processo
Viareggio: € 500;
-
spese processuali Riccardo Antonini: € 1.900;
-
spese processuali Bruno Bellomonte: €
3.000;
-
spese legali ricorso Maltese: € 1.153.
Attualmente sul Conto
Corrente della Cassa ci sono € 6.897,02
Gennaio 2016
Cassa di solidarietà tra
ferrovieri
Conto
Corrente postale n.71092852
intestato
a Crociati Marco
Sede:
via dell’Acqua Acetosa 2/a
00043
Ciampino (RM)
e-mail:
marcocrociati@fastwebnet.it
internet: http://www.casofs.org
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From: Sinistra
Lavoro info@sinistralavoro.it
To:
Sent:
Thursday, January 21, 2016 9:20 AM
Subject: LA CONSULTA: “SI’ AL
REFERENDUM ANTI TRIVELLE”
Si farà il
referendum antitrivelle: esultano 9 Regioni e oltre 200 associazioni
di tutta la Penisola. La
Corte Costituzionale, infatti, ha dato l’OK all’unico dei quesiti referendari,
contro gli idrocarburi, ammesso dalla Cassazione lo scorso 8 gennaio.
I giudici hanno deciso, in poco più di tre ore, sulla richiesta di
sottoporre alla valutazione popolare il sesto quesito, “quello sul mare”.
“I cittadini” -
spiega in una nota il coordinamento nazionale No Triv - “saranno chiamati
a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano
proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la durata della vita utile del
giacimento. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine,
all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca
o sfruttamento. La sentenza della Consulta dimostra come le modifiche
apportate dal Governo con la
Legge di stabilità” - aggiungono - “non soddisfacevano
i quesiti referendari e, anzi, rappresentavano sostanzialmente un
tentativo di elusione”.
Tre dei sei quesiti
depositati il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla legge di stabilità,
emendata: il parlamento ha modificato le norme su strategicità, indefferibilità
e urgenza delle attività petrolifere, che erano poco garantiste sulla
partecipazione dei territori alle scelte. Un altro quesito è stato ora
ammesso dalla Corte Costituzionale, mentre sugli ultimi due è stato
promosso, da sei Regioni, un conflitto d’attribuzione tra poteri di fronte alla
Consulta e nei confronti dell’Ufficio centrale della Cassazione.
I due quesiti
riguardano la durata dei permessi e il Piano delle aree che obbliga lo
Stato e i territori a definire quali siano le zone in cui
è possibile avviare progetti di trivellazione. “Si tratta di uno strumento
di concertazione che risulta essere fondamentale soprattutto se con la riforma
del titolo V si accentra il potere in materia energetica nelle mani dello
Stato. Sappiamo ora che su uno dei quesiti centrali ci sarà il referendum,
a meno che governo e parlamento intervengano sulla materia” - afferma
l’avvocato Stelio Mangiameli che ha rappresentato i Consigli regionali di
Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania
e Molise di fronte alla Consulta. All’ultimo momento, invece, ha battuto
in ritirata l’Abruzzo che, con un voltafaccia del presidente della Regione
Luciano D’Alfonso (PD), si è infine schierato contro il referendum
e a fianco del governo.
“Le norme
precedenti” - prosegue il legale – “prevedevano, per i titoli già
concessi, proroghe di 30 anni, aumentabili di altri 10 e altri 5. Le
modifiche introdotte con la legge di Stabilità eliminano la scadenza
trentennale e fanno sì che in sostanza non ci sia più un termine. Su
questo punto ci sarà il referendum”.
“Il fronte
referendario è sul 4–2 nella disputa con il premier” - dichiara il
costituzionalista Enzo Di Salvatore, docente all’università di Teramo, colui
che ha materialmente scritto i quesiti – “Il governo voleva far saltare il
referendum, visto che i sondaggi davano la vittoria antitrivelle
al 67%”.
“Il presidente
Renzi dev’essere contento perché quando il popolo irrompe sulla scena della
democrazia, chi è iscritto al Partito Democratico dev’essere contento per
definizione”: così il governatore della Puglia, Michele Emiliano – “Per
festeggiare il risultato organizzerei un corteo con le automobili. Qui la
campagna per il voto comincia subito”. E non risparmia di commentare
l’abbandono da parte dell’Abruzzo: “E’ come quando uno si vende la schedina
prima della partita, e poi si ritrova col tredici. Lo dico con affetto nei
confronti del mio amico Luciano D’Alfonso, che avrebbe potuto gioire con noi”.
“Non c’è uno Stato
centrale che ama l’Italia e un territorio che la odia. L’interesse
strategico di un Paese, con lealtà e trasparenza lo si costituisce
insieme. E questo è un passo importante” - gli fa eco il presidente
del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza (PD).
“Questa sentenza ci
dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al governo: rigetto immediato
e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di
interdizione delle 12
miglia dalla costa (a cominciare da Ombrina) e una
moratoria di tutte le attività di trivellazione off shore e a terra, sino
a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale” - così Greenpeace, Legambiente, Marevivo,
Touring Club italiano e WWF accolgono il giudizio della Consulta.
“Pur di assecondare
le lobby dei petrolieri, l’esecutivo Renzi” - attaccano – “aveva promosso
forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come opere
strategiche, dunque imposte. La Corte Costituzionale rimette al giudizio dei
cittadini quei meccanismi legislativi truffaldini con cui si è aggirato
sino ad oggi un divieto altrimenti chiaro, lasciando campo libero ai signori
del greggio fin sotto le spiagge”.
Serena Giannico
Il Manifesto
21/01/16
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To:
Sent:
Thursday, January 21, 2016 7:35 PM
Subject: INTERPELLANZA ENICHEM OTTANA
Car*,
di seguito
trovate il comunicato mandato oggi alla stampa sarda, in riferimento all'
interpellanza urgente su Ottana di questa mattina.
Trovate
inoltre il comunicato che l'ufficio stampa di Sinistra Italiana - SEL invierà
come avviso di comunicazione per quanto riguarda la conferenza stampa di lunedì
25 alle ore 13 alla Camera dei Deputati.
Naturalmente
provvedete anche voi (con i vostri contatti ed i vostri canali) a
diffondere la notizia nella maniera ottimale.
Un caro
saluto
Fabrizio
Delprete
Collaboratore
Onorevole Piras
327 86 85 627
* * * * *
AMIANTO KILLER :
A OTTANA UNA SITUAZIONE SURREALE
INTERPELLANZA URGENTE ALLA CAMERA
L’atteggiamento
inqualificabile dell’INAIL e le inadempienze storiche della Regione Sardegna
hanno generato il mostro del mancato inserimento dell’ex Enichem di Ottana (NU)
fra i siti nazionali contaminati da amianto.
Sono già una
decina i morti per patologie asbesto correlate fra gli ex lavoratori
dell’impianto (in funzione dal 1970 alla fine degli anni ’90) e 289 le domande
respinte dall’INAIL per riconoscimento dei benefici previsti dalla legge del
1992.
Questo
nonostante la documentazione e le immagini dell'imponente presenza di amianto
nell'ex stabilimento chimico costituiscano una testimonianza incontrovertibile.
Oggi abbiamo
chiesto al Governo di intervenire prontamente per garantire giustizia a
lavoratori e famiglie e per porre rimedio a una situazione surreale,
analogamente a quanto riconosciuto ai lavoratori dell’impianto “gemello” di
Pisticci (MT).
Il governo
ci ha dato una risposta insoddisfacente, senza alcun preciso impegno, se non
quello di una sorta di sollecito alla Regione Sardegna per quanto di sua
competenza, ovvero la segnalazione del sito.
Il 25
gennaio prossimo, presso la
Camera dei Deputati, si svolgerà una conferenza stampa nella
quale (insieme ai rappresentanti regionali e nazionali di Associazione Italiana
Esposti Amianto e al pool di avvocati che ha presentato esposto presso la
procura di Nuoro sul caso Ottana) presenteremo alcuni emendamenti sul caso
specifico in questione e una proposta di legge generale di riforma della norma
del 1992 in
materia di amianto.
Michele
Piras
Sinistra
Italiana SEL
* * * * *
SEGNALAZIONE: AMIANTO
PRESENTAZIONE PROPOSTA RIFORMA LEGGE AMIANTO
CONFERENZA STAMPA LUNEDI’ 25
GENNAIO 2016 ORE 13 SALA STAMPA MONTECITORIO
Si svolgerà
lunedì 25 gennaio 2016 alle ore 13 presso la sala stampa di Montecitorio la
conferenza stampa promossa dall’Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA) di
presentazione delle proposte di Legge, presentate al Senato da Felice Casson (PD)
e alla Camera da Michele Piras (Sinistra Italiana), di riforma dell’attuale
normativa sull’amianto.
Nel corso
della conferenza stampa si parlerà anche del caso di Ottana in Sardegna, sede
della EniChem Fibre Spa, esclusa dall’elenco dei siti nazionali contaminati
dall’amianto.
Partecipano
Michele Piras, deputato di Sinistra Italiana, Mario Murgia, Vicepresidente
Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA), Sabina Contu, AIEA Sardegna,
Maura Crudeli, Vicepresidente AIEA, e l’avvocato Andrea Di Giura.
Lo rende
noto l’ufficio stampa Gruppo Parlamentare Sinistra Italiana
Roma 22
gennaio 2016
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To:
Sent: Sunday,
January 24, 2016 12:06 PM
Subject: UNA STORIA
DI ORDINARIA REPRESSIONE NEI LUOGHI DI LAVORO PUBBLICI
COMUNE DI
CASCINA
BASTA CAPRI
ESPIATORI
Sono
trascorsi almeno 12 anni dalla prima
segnalazione all'Amministrazione Comunale di Cascina sulla necessità
di aprire un'uscita di emergenza su un lato del fabbricato che ospita vigili e
altri uffici comunali, per dotare il palazzo di una seconda via di
entrata\uscita e fuga . In questi anni niente è stato fatto....
Parliamo di
un ente locale nella provincia di Pisa con meno di 200 dipendenti e una Giunta
ormai monocolore del Partito Democratico dopo l'uscita di IDV, Socialisti e Federazione
della Sinistra, parliamo di un lavoratore che per avere denunciato
pubblicamente alla ASL l'assenza di sicurezza si trova ora con un procedimento
disciplinare in arrivo e la minaccia di una sospensione fino a sei mesi ,
ovviamente senza retribuzione alcuna.
Il
lavoratore è un ispettore della Polizia Municipale.
La storia è
propedeutica del sistema di relazioni all'interno della Pubblica Amministrazione,
del codice di comportamento utilizzato ad arte per trasformare la denuncia
pubblica e l'impegno civile in colpa, in danno recato alla immagine della Amministrazione,
per trasformare il senso civico in materia di provvedimenti sanzionatori e un
domani favorire la repressione economica da parte della Magistratura contabile.
Parliamo di
un Ente locale che non ha risposto a numerosi solleciti scritti di un
dipendente, letteralmente ignorato le note del lavoratore anche grazie alla
paralisi e compiacenza verso gli amministratori propria del sindacato negli
enti locali sempre più chiuso nella perdente difesa della propria produttività
(che il Ministro Madia per altro si accinge a svuotare con i prossimi decreti
attuativi).
La
comunicazione del dipendente sulle normative di sicurezza nel palazzo che
ospita la Polizia Municipale
e altri uffici è stata reiterata ma amministratori e dirigenti, pur informati da
note scritte, hanno scelto di non rispondere .
A seguito
dell'esposto alla ASL e di un successivo sopralluogo è scattata la richiesta di
aprire un procedimento disciplinare a carico del lavoratore. I ritardi,
le inadempienze e le responsabilità degli amministratori comunali, ma
anche di alcune figure apicali del Comune che eseguono alla lettera i
dettami della politica, vengono così interamente scaricati su un lavoratore:
l'applicazione dei codici disciplinari avviene sempre a senso unico e questa
volta per coprire carenze in materia di sicurezza.
A seguire un approfondimento sulla figura del preposto
alla sicurezza (il lavoratore è stato nominato preposto e, a detta degli
amministratori, questa figura dovrebbe esimersi dal denunciare pubblicamente
inadempienze interpretando la filiera della sicurezza nei luoghi di lavoro come
funzionale agli amministratori, anche se questi di sicurezza e salute non
vogliono parlare).
Pensiamo esistano centinaia di casi del genere che
passano sotto silenzio per paura e rassegnazione lasciando soli lavoratori e
lavoratrici in balia di provvedimenti disciplinari e intimidazioni. Per questo
bisogna rompere il muro del silenzio soprattutto ora che il dipendente pubblico
viene dipinto come una caricatura della disonestà e dell'inefficienza.
Se l'Amministrazione
Comunale ha intenzione di sanzionare e aprire un procedimento disciplinare a
carico di un lavoratore che ha avuto il senso civico di mettersi in gioco a
tutela della salute e sicurezza di tutti i colleghi, sappia che non staremo a
guardare.
Cobas Pubblico
Impiego
* * * * *
Le vigente
normativa di tutela della salute e della sicurezza pone a carico dei lavoratori
e, in particolare dei preposti, dei precisi doveri, tanto che il Testo Unico
sulla Sicurezza (D.Lgs.81/08) prevede specifici obblighi sanzionabili in
merito, obblighi dei quali gli amministratori e i dirigenti comunali dovrebbero
essere a conoscenza.
Per quanto
riguarda i lavoratori l’articolo 20 del testo Unico sancisce
l’obbligo sanzionabile penalmente per il quale essi devono “segnalare
immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le
deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d)
[attrezzature, dispositivi di sicurezza, dispositivi di protezione
individuali], nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui
vengano a conoscenza”.
Per quanto
riguarda i preposti, in virtù della loro posizione di coordinamento dei
lavoratori a loro sottoposti, la normativa è ancora
più "pressante" imponendo all’articolo 19 del testo Unico l’obbligo,
sempre sanzionabile penalmente, di “segnalare tempestivamente al datore di
lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di
lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione
di pericolo che si verifichi durante il lavoro”.
E’ evidente
che il mancato intervento da parte del datore di lavoro, o dei dirigenti, per
la efficace e definitiva risoluzione delle problematiche segnalate da
lavoratori e preposti li pone in una situazione di corresponsabilità ovvero
di complicità con i vertici aziendali e di responsabilità penale e civile
a seguito di lesioni ai lavoratori dovute ai mancati adempimenti.
In una tale
situazione, il lavoratore che ha segnalato puntualmente e formalmente a datore
di lavoro e dirigenti il mancato adempimento agli obblighi di legge su salute e
sicurezza sul lavoro (che costituiscono reati penali) e che ha reiterato
tali segnalazioni senza ricevere nessuna risposta da parte dei vertici
aziendali, si trova costretto a richiedere l’intervento degli organi di
vigilanza (il Dipartimento Salute e Sicurezza della ASL o, a seconda dei
casi, i Vigili del Fuoco).
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From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
January 24, 2016 1:21 PM
Subject: MANUALE DI AUTODIFESA "50 SFUMATURE DI LAVORO NERO E COME COMBATTERLE"
Questo manualetto è
il risultato di un percorso nato all'interno della Camera Popolare del Lavoro
di Napoli, un'esperienza nuova, autogestita, interna allo spazio e al progetto
dell'Ex OPG “Je so’ pazzo”.
Tra lavoratori ci
siamo incontrati, abbiamo parlato, ci siamo scambiati esperienze, abbiamo
ascoltato avvocati, ispettori e consulenti del lavoro e questo è ciò che ne è
venuto fuori. Allora abbiamo deciso di condividerlo con tutte e tutti.
Scarica al link:
e diffondi il manuale di autodifesa "50 sfumature di lavoro nero e come combatterle", che riportiamo anche a seguire.
1. E’ DI TE CHE SI PARLA IN QUESTA STORIA
Raffaella ha 22
anni. Nel 2012, arrivata da un paesino dell'entroterra, aveva iniziato a
lavorare come cameriera in un locale in uno dei quartieri “bene” della città.
Tre turni a settimana, ogni volta 10 ore di lavoro. Quando finiva la giornata,
il gestore le metteva in mano 30 euro. Di un contratto nemmeno l'ombra. Dopo
tre anni, qualche settimana fa, a fine turno, le è stato detto che, per
“politica aziendale”, stavano “rinnovando” il personale e l'hanno invitata a
non presentarsi più. Licenziata così, da un giorno all’altro. Liquidazione,
contributi, ferie e permessi che avrebbe dovuto maturare, se avesse avuto un
contratto, sono un sogno. Manco “arrivederci e grazie”, figuriamoci i soldi che
le sarebbero spettati!
Valentina, invece,
di anni ne ha 27. Viene da uno dei paesi della sterminata provincia. Da ormai
parecchi anni fa l’animatrice. In giro, per feste per bambini, con una paga di
5 euro l’ora. All'inizio non volevano rimborsarle la benzina. Dopo un po' di
discussioni, almeno quello è riuscito ad ottenerlo. Di un contratto, però,
anche per lei, neanche a parlarne.
Daniele ha 31 anni.
Dopo anni di sbattimenti è finalmente riuscito a realizzare un sogno: fare il
professore. Oggi lavora dieci ore a settimana in una scuola privata e ha
firmato anche un contratto. Peccato però che sia totalmente fasullo e che a
fine mese non gli venga dato nemmeno un euro. Qualcuno direbbe che lavora per
la gloria, in realtà lo fa solo per maturare il punteggio in graduatoria,
sperando in un domani migliore.
Anche Lucia un
contratto ce l'ha. Oggi di anni ne ha 29. Da 6 fa la commessa nello stesso
negozio, uno di quelli in cui a tanti sarà capitato di entrare, in una delle
vie dello shopping cittadino. Dopo un lungo periodo “a nero”, due anni fa è
stata “messa a posto”. Si fa per dire, visto che quello che sulla carta è un
part-time, 4 ore di lavoro al giorno, si trasforma spesso in una giornata di 12
ore, per non parlare delle domeniche al negozio, della mancanza di riposo, ecc.
A fine mese i soldi che guadagna non sono quelli riportati in busta paga. Ha
pattuito una cifra con la proprietaria e da anni non ci si muove da quella.
Ogni tanto, sotto le feste, magnanimamente le vengono “regalati” 50€.
Sanjeev è arrivato
dallo Sri Lanka 12 anni fa. 35 anni, una moglie e due figli piccoli. Da anni
lavora come cuoco in un locale del centro storico. Il contratto, anche se non
veritiero, gli serve. Senza quello niente permesso di soggiorno. Peccato che
avrebbe diritto anche agli assegni familiari. Peccato perché quelli se li tiene
il proprietario.
Potremmo andare
avanti a lungo, ma ci fermiamo qui. Sono 5 storie, tutte diverse, eppure tutte
uguali. Sono le nostre storie. Chi non ne ha una simile? Che si tratti di un
tavolo da servire, di un palco da montare, di una lezione da preparare, di un
bambino cui badare, di una borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di
pomodori da raccogliere, tutti abbiamo tantissime storie del genere da
raccontare.
Non a caso l'Italia
è considerata patria del lavoro “nero”. Che poi qualcuno una busta paga ce
l'abbia pure non è che cambi molto: se la mansione, l'orario, la paga che
vengono messi nero su bianco non corrispondono al vero, non è che ci renda poi
così tranquilli, né tanto meno “regolari”. Lavoro “nero” o “grigio” (come si
definisce il lavoro quando uno un contratto ce l'ha, ma quest’ultimo è falso)
cambia poco: niente ferie, malattie, permessi, contributi, insomma zero tutele,
zero diritti, e tanta, tanta impotenza e solitudine.
E la rabbia e il
disincanto ci prendono quando televisione e giornali ci dicono che la
situazione sta migliorando, che il Jobs Act funziona, che in fondo basta non
essere “choosy” e una soluzione la si trova. E lo vengono a dire a noi, con le
nostre storie di merda, con fratelli, sorelle e amici costretti a emigrare
perché qui è sempre più dura. E magari pretendono pure che gli crediamo, sennò
siamo “gufi”.Ma come si fa, se attorno a noi il lavoro nero non diminuisce? Se
le forme di lavoro “legale” gli assomigliano sempre più?
Ormai il contratto
a tempo indeterminato non è solo una chimera; con le “tutele crescenti”
praticamente non esiste più. Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i
voucher, sempre più diffusi e che un datore di lavoro può tirar fuori quando
c'è un'ispezione (che poi, l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica
visto che quasi nessuno riesce a vederne uno!). Come è successo nel locale in
cui lavorava Raffaella: è arrivato un controllo e...puff...da un cassetto è
uscito fuori qualche bel voucher che “dimostrava” che lei lì ci lavorava in
maniera legale, altro che nero! Peccato che lei non lo sapesse, che un voucher
non lo avesse mai nemmeno visto.
Lamentarsi non
basta, ce lo dicono sempre. E hanno pure ragione. Allora noi qualcosa la
vogliamo fare. Ne abbiamo piene le scatole di sentirci fare la predica. Ci
fosse mai uno che viene e ti dice qualcosa di veramente utile, qualcosa che
possa far cambiare un minimo la situazione in cui ci troviamo.
2. COME POSSO DIFENDERMI DAL LAVORO NERO (O “GRIGIO”)?
Partiamo da una
cosa che può sembrare banale, ma molto spesso non lo è: se lavoro a nero, non
c'è proprio nulla che possa fare per difendermi.
FALSO! Abbiamo imparato, anche a nostre spese,
che difendersi è possibile, però dobbiamo capire come...
Cerchiamo allora di
procedere con ordine e partiamo proprio dall'inizio.
ASSUNZIONE: nella “felicità” di questo momento
ricordiamoci di non abbassare la guardia, perché fin da subito dobbiamo
iniziare a difenderci. Se c'è la firma su un contratto, ce ne deve essere data
una copia: non la trattiamo come un volantino pubblicitario qualsiasi,
conserviamola (lo stesso vale per le buste paga: non sono carta straccia!). Se,
invece, è “bastata” una stretta di mano, segniamoci il giorno in cui il patto
tra “gentiluomini” è stato siglato!
Il primo passo per difenderci è, infatti, quello
di raccogliere quanto più materiale possibile per DIMOSTRARE che c’è stato
davvero un rapporto di lavoro, quando è iniziato, quanto è durato e cosa
facevamo. Non è raro, infatti, che, nel momento in cui si arriva a uno scontro
che magari porta all'interruzione del rapporto di lavoro, il “gentiluomo” neghi
la nostra stessa esistenza, se gli è possibile, o riporti dei tempi
completamente sballati: data di inizio falsa, orari di lavoro inferiori a
quelli reali, ecc.
Niente è inutile!
E’ molto
importante, anzi necessario, tentare di ricostruire il racconto del proprio
rapporto di lavoro nella maniera più precisa possibile e quindi:
-
ANNOTIAMO
data di inizio, ed eventualmente anche di fine del rapporto di lavoro, le ore
di lavoro effettive (comprese le eventuali pause) e, laddove possibile,
prendiamo documenti che attestino le modalità di organizzazione del lavoro da
parte del datore (schemi turni, foglio orari);
-
APPUNTIAMO e conserviamo eventuali provvedimenti
disciplinari presi contro di noi (richiami orali o scritti, sospensioni, multe,
diminuzione punitiva della paga);
-
PROCURIAMOCI un'agendina e registriamo le nostre presenze e i
nostri orari nella maniera più precisa possibile, incluse date e orari di
straordinari e assenze (malattie, ferie o permessi), eventuali chiusure estive
o festive dell’impresa;
-
RACCOGLIAMO e conserviamo qualsiasi tipo di corrispondenza (mail; SMS;
Whatsapp; messaggi su Facebook) o materiale fotografico rilevante (anche una
banale foto sul posto di lavoro, magari con i colleghi, che può sembrare
inutile, può essere invece importantissima (con i social network, capita che
gli stessi esercizi commerciali pubblichino sulla loro pagina nostre foto
mentre siamo al lavoro!);
-
PRENDIAMO NOTA delle effettive mansioni che svolgiamo: ad esempio,
servire al tavolo è diverso da stare alla cassa e comporta retribuzioni e
indennità diverse che, purtroppo, non ci vengono quasi mai riconosciute;
-
APPUNTIAMO
quando ci viene consegnato lo stipendio e con quale cadenza periodica (ad
esempio a cadenza giornaliera o mensile), fotocopiando eventuali assegni di
pagamento ricevuti dal datore di lavoro;
-
CERCHIAMO DI RECUPERARE (per quanto sappiamo essere operazione per
nulla facile) e conservare qualsiasi tipo di documento su cui si è apposta una
nostra firma (ricevute, documenti dei corrieri, ecc.);
-
ACCERTIAMO
chi sia effettivamente il nostro datore di lavoro: spesso ci interfacciamo con
un “gestore”, ma una causa andrà fatta col datore (il titolare dell'attività).
Un secondo passo, fondamentale per tutelarci al
meglio, è quello di trovare delle prove testimoniali. Eventuali “testimoni”
servono per dimostrare non solo l’esistenza stessa del rapporto di lavoro, ma
soprattutto la sua continuità nel tempo e gli orari effettivi.
Quindi, durante il
rapporto di lavoro è molto utile:
-
redigere
una lista di contatti dei colleghi, dei fornitori o di eventuali guardiani,
portieri, guardie giurate, utili come testimoni;
-
annotare
i nominativi dei clienti che incontriamo regolarmente;
-
frequentare
abitudinariamente luoghi ed esercizi pubblici posti nelle immediate vicinanze
del posto di lavoro (per eventuali testimonianze da parte di titolari e
dipendenti).
Ovviamente, tra
tutte queste figure, quella più importante è quella dei colleghi. Sono quelli
con cui condividiamo il tempo, la fatica, gli abusi, le vessazioni, ma anche le
piccole gioie quotidiane. Per quanto possa essere difficile, sono i primi con
cui provare a difendersi insieme.
3. UN PASSO AVANTI: DALL’ACCUMULO DI CARTE ALL'AZIONE PRATICA
Ma, arrivati a
questo punto, che ce ne facciamo di tutta questa documentazione, di queste
informazioni e, eventualmente, di testimoni? Tutto e niente. Sono infatti le
nostre armi, da tirar fuori al momento opportuno, se e quando lo riterremo
necessario.
Se lavoriamo,
infatti, una ragione ci sarà: mantenere una famiglia, pagarsi un affitto, le
bollette. Non è che lo facciamo perché ci piace. Quel lavoro (per quanto di
merda sia) ci serve e in molti casi non possiamo permetterci di perderlo solo
per affermare dei principi morali, per farci dare una pacca sulla spalla dagli
amici e sentirci dire che avevamo ragione, che tutto è uno schifo e che abbiamo
fatto bene. Dobbiamo quindi essere attenti, la nostra azione deve essere
efficace, non semplicemente giusta.
Tutto quanto
raccolto lo possiamo semplicemente tenere in un cassetto, conservandolo con
cura. Ci sarà utile quando vorremo dare una svolta, quando la rabbia sarà
troppa, quando l’ennesimo sopruso sarà la famigerata goccia che farà traboccare
il vaso. O, semplicemente, quando il datore di lavoro deciderà che può fare a
meno di noi, che non gli serviamo più e vorrà buttarci via come uno straccio…
4. CHE COSA SUCCEDE
SE DECIDIAMO DI DENUNCIARE?
Se pensiamo a
questa ipotesi bisogna mettere in conto anzitutto una cosa, che per quanto
invisibili, latenti e poco funzionali, lo stato prevede degli strumenti per la
tutela dei lavoratori...in effetti, uno: l’Ispettorato del Lavoro, che è
un organo preposto alla tutela dei lavoratori, che ha il potere di effettuare
delle “ispezioni” sui posti di lavoro per verificare che le regole siano
rispettate. L’Ispettore del Lavoro può visitare senza preavviso qualsiasi posto
di lavoro, controllare le strutture aziendali, la documentazione dell’impresa,
nonché sentire i lavoratori (ovviamente senza la presenza “ingombrante” del
datore di lavoro) per raccogliere la loro testimonianza.
Chi può presentare
una denuncia?
All’Ispettorato si
può rivolgere il singolo lavoratore, un’organizzazione sindacale o
un’associazione, ma anche il semplice cittadino che sia a conoscenza di
situazioni di irregolarità.
Devo dare per forza
le mie generalità? Denunciando il datore di lavoro, non rischio forse di
perdere il “posto”?
La denuncia da
parte del singolo lavoratore può essere anche anonima, ma aumenta il rischio
che i funzionari dell’Ispettorato non la prendano in considerazione. Gli Ispettori
del Lavoro con cui ci siamo confrontati ci hanno consigliato di apporre
comunque nome e cognome. Tuttavia, sappiamo bene che, sia in caso di lavoro
“grigio” che, a maggior ragione, di “nero”, la minore esposizione possibile è
consigliabile.
In ogni caso,
nessun problema. Come già detto, possiamo presentare una denuncia utilizzando
un’associazione. Ad esempio, anche per andare incontro a quest’esigenza,
abbiamo creato a Napoli l’associazione “Potere al popolo!”. Possiamo usarla
come scudo dietro cui parare i colpi che ci potrebbero arrivare dalla
controparte.
Cosa ci deve essere
nella denuncia?
Tutta la
documentazione di cui abbiamo scritto prima (inizio del rapporto, orari di
lavoro, salario percepito, ecc.). Quanto più precisa una denuncia, tanto
meglio.
Come fare la
denuncia?
-
può
essere inviata tramite posta (come sempre per la Pubblica Amministrazione,
meglio una Raccomandata con ricevuta di ritorno);
-
può
essere portata direttamente all’ufficio di zona dell’ispettorato del lavoro;
-
può
essere fatta telefonicamente: tuttavia, questa modalità ci è stata fortemente
sconsigliata, dal momento che nel 99% dei casi non sarebbe presa minimamente in
considerazione.
Ma questa denuncia
serve poi a qualcosa? La situazione cambia davvero?
E qui i nodi
arrivano al pettine. Inutile dire che, Governo dopo Governo, quest’Ente è stato
sempre più depotenziato. Meno fondi, meno personale, più burocrazia e meno
possibilità di effettuare controlli. Se ci aggiungiamo che in alcuni casi il
singolo Ispettore può non agire esattamente nell’interesse dei lavoratori, la
situazione non è idilliaca. Tutt’altro. Non a caso quasi nessuno di noi ha
visto un Ispettore, e chi lo ha visto non ha per questo migliorato la propria
condizione.
Comunque, a questo
punto dobbiamo entrare in gioco noi. Gli Ispettori devono renderci conto del
loro operato. Dobbiamo esercitare una pressione costante sul loro lavoro,
stargli col fiato sul collo. Loro sono lì per tutelare noi. Individualmente, ma
soprattutto se ci mettiamo insieme, in tre, quattro, decine di noi, possiamo
“costringerli” a fare per bene il loro lavoro. E’ già successo che i lavoratori
abbiano avuto successo in questo. Possiamo provarci anche noi. Anche perché più
controlli, fatti sul serio, significherebbero maggiori difficoltà delle aziende
ad assumere “a nero” o “a grigio”, con la conseguenza che, domani, quando
cercheremo un altro posto di lavoro, magari almeno il rispetto delle condizioni
minime ce l’abbiamo.
5. E SE VENIAMO
CACCIATI, LICENZIATI?
Nel corso delle
nostre esperienze lavorative, nelle chiacchiere che ci siam fatti con amici e
parenti, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Ci cacciano e spesso ci danno
pure le motivazioni più implausibili del mondo! A volte, davvero, ci offendono
nella nostra intelligenza. Come quando a una di noi hanno detto che sarebbe
stato meglio se non fosse più tornata a lavorare perché c’era bisogno di una
“pausa di riflessione”! No comment!
Anche quando sembra
che tutto sia finito, comunque, nessuna resa. C’è ancora qualcosa che possiamo
fare. Tutti i dati raccolti ci torneranno ancora una volta utilissimi. Possiamo
infatti denunciare il datore di lavoro, rivolgendoci ad un avvocato o ad un
consulente del lavoro.
Alla Camera
Popolare del Lavoro abbiamo organizzato uno sportello legale gratuito per
aiutarci anche in questo tipo di situazioni.
Potremmo pensare
che la denuncia sia una soluzione del cavolo, che non abbiamo tempo da perdere
dietro a queste cose e, soprattutto, che di soldi non ce ne sono per pagare
chicchessia.
E’ quello che
pensiamo un po’ tutti. E poi vuoi mai vedere che il datore di lavoro è stato
così disattento da poter perdere una causa? Ebbene sì. Anche quando a noi
sembra che abbia preso tutti gli accorgimenti del caso, quando sappiamo che si
è rivolto a fior fiore di consulenti, nella maggior parte dei casi, i lavoratori
che denunciano vincono. Per essere precisi e non dire baggianate, in realtà in
molti casi non si arriva nemmeno a processo. Il datore di lavoro (meglio, il
suo avvocato) ci contatterà una volta partita la denuncia per proporci una
transazione: anziché rischiare di doverci pagare somme che spesso sono
tutt’altro che bruscolini, decidono di offrirci una cifra ben più bassa, purché
rinunciamo ad andare avanti. Sta poi a noi scegliere se proseguire o accettare.
Ma che si arrivi a
processo o che si giunga ad un accordo in precedenza, il risultato è chiaro:
nella maggior parte dei casi VINCIAMO! E almeno recuperiamo una parte di ciò
che ci sarebbe stato dovuto, per le situazioni che siamo costretti a subire.
Un’ultima postilla:
a volte capita che il datore di lavoro che perde la causa risulti insolvente. Risultato?
Rischiamo di essere vincitori morali, ma di non vedere nemmeno un euro. Neanche
a questo punto però tutto è perduto.
Possiamo rivolgerci
all’INPS. Difatti, è previsto che l’INPS ci riconosca almeno il pagamento del
Trattamento di Fine Rapporto (TFR) che ci spetterebbe (se agiamo entro 5 anni
dalla fine del nostro rapporto di lavoro) e, se ci muoviamo per tempo (entro 1
anno dalla cessazione del rapporto di lavoro), potremmo riuscire a ottenere
anche il pagamento delle ultime tre mensilità (come da contratto e non come da
“accordi” col datore di lavoro!) che ci sarebbero dovute toccare.
6. TIRIAMO LE SOMME
Abbiamo scritto
questo manualetto per dotarci di uno strumento pratico, e utile, per combattere
un problema che, troppo spesso, ci sembra senza soluzione. Siamo entrati nel
merito di molti dettagli proprio per chiarire che, nonostante tutto, qualcosa
si può fare, e non è poco.
Tutte le
indicazioni fornite per costruire il proprio dossier sembrano noiose ma sono
utilissime: quando un giorno decideremo di chiudere un determinato rapporto
avremo ottime chances di recuperare quanto ci spetta, e anche farla pagare a
chi ci ha sfruttato, magari facendocela passare come un favore.
Ma non è tutto. La
denuncia non ci basta, e con questo manualetto abbiamo l'ambizione di andare
oltre.
Vogliamo rompere il
muro di silenzio su una situazione che riguarda migliaia e migliaia di persone,
e che a stento emerge dalle statistiche ISTAT, e costringere tutti (media,
istituzioni) a non fare finta di non vedere e dare delle risposte. Vogliamo
rendere il sonno dei nostri “donatori di lavoro” meno placido e sicuro,
vogliamo vederli con la strizza addosso, in poche parole vogliamo combattere il
problema a monte, non solo dopo che si è presentato. E possiamo farlo.
Se avete voglia di
mettervi in gioco anche voi, direttamente, noi ci siamo!
Se il lavoro fatto
vi sembra utile, se ci sono delle correzioni o dei suggerimenti,
scriveteci all’indirizzo:
scriveteci all’indirizzo:
o contattateci su Facebook
Organizzazione “Camera popolare del lavoro”
al link:
Camera
Popolare del Lavoro di Napoli
17
Dicembre 2015
---------------------
To:
Sent: Sunday, January 24, 2016
1:24 PM
Subject: IL
LIMBO DI UNA GENERAZIONE DI LAVORATORI DIMENTICATI
PRESENTAZIONE
DEL LIBRO “NON HO L’ETÀ
– PERDERE IL LAVORO A 50 ANNI” DI LORIS CAMPETTI, CON L’INTRODUZIONE DI ROSSANA
ROSSANDA, PER MANNI EDITORE.
C’è un limbo appeso nella crisi
sociale italiana. Non è solo quello più riconoscibile e macroscopico della
disoccupazione dei giovani, ingabbiati nell’attesa di un lavoro o nella
prigione del precariato a vita. E’ anche quello meno evidente e perfino non
definito da statistiche certe, di centinaia di migliaia di vite di lavoratrici
e lavoratori che, passati da una interruzione all’altra dell’attività, sbattuti
da un padrone all’altro, da una perdita a una sconfitta, si ritrovano tra i 45
e i 50 anni senza più nulla. Nemmeno il magro privilegio dell’età.
Anzi, arrivati a quella soglia
che altrimenti dovrebbe essere normalmente produttiva, si sentono dire che “sei
troppo vecchio per trovare un lavoro e troppo giovane per andare in pensione”.
Sono esperienze fondamentali per
capire come si è sviluppata la crisi economica e sociale del capitalismo
finanziario che ha devastato la struttura produttiva internazionale e che conta
ormai l’ottavo anno.
Nonostante la retorica degli
annunci sui “zerovirgola” di renziani, di confindustriali, dell’UE o del Fondo
monetario.
Esperienze che purtroppo pochi
raccontano.
Che si realizzi la cancellazione
di vite e conoscenze professionali sfugge ai più. Raccontare questa realtà vuol
dire mettere le mani dentro la “crisi”, la paroletta che tutti c’incanta, per rinominare
la questione centrale del lavoro umano e della sua fine attuale nell’orizzonte
della merce.
C’è un solo modo per farlo. Dare
parola e valore alle protagoniste e ai protagonisti, anche nel limite del tempo
di un libro. E’ il lavoro d’inchiesta, condotto tra molte difficoltà, di Loris
Campetti nel suo “Non ho l’età. Perdere il lavoro a 50 anni” (Manni Editori). Quali
difficoltà?
“Nell’uragano volano gli stracci”
scrive Rossana Rossanda nell’introduzione al libro, perché questi lavoratori
sospesi emergono in genere poco volentieri. Quel che li caratterizza, salvo
qualche indomita o indomito combattente, è la paura. Che si accresce fino a
rifiutare di discorrere con il giornalista che gli chiede di parlare di sé: “No
assolutamente no, grazie”. O, al massimo, se lo fa, rimanendo nell’anonimato.
Sono uomini e donne che, perduto il primo loro impiego, nell’attesa di qualche
impiego successivo, temono di essere in qualche misura riconosciuti, se non
schedati, e di perdere anche quello. La disperazione non solleva, se non in
rari casi la ribellione. E c’è una “rassegnazione infelice” che colpisce tra
gli uomini e le donne, che sono le prime colpite se si tratta di tagliare gli
impieghi, ricorda Rossana Rossanda.
Insomma la perdita del lavoro non
è introiettata come ingiustizia ma, insieme al disastro di ritrovarsi senza
salario e senza pensione, solo malasorte o, peggio, dedizione personale al
fallimento.
Con tanto di perdita di identità
social-familiare, fino ai casi “teatrali” di fingimento e negazione della perdita
del lavoro.
Chi parla allora nel
libro-inchiesta di Loris Campetti, in un un’Italia che ha inventato la parola “esodati”
nell’epoca della coppia Monti-Fornero e dove il diritto di licenziare è stato
riconsegnato dal governo Renzi agli imprenditori dopo 45 anni di democrazia,
con gli attacchi a colpi di accetta allo Statuto dei cittadini lavoratori,
colpendo proprio la dignità di chi lavora o non lavora più o non riesce a
trovare o a ritrovare un lavoro? Sono i protagonisti delle lotte collettive che
non vogliono disperdere nel tempo.
Così Loris Campetti ha girato il “Belpaese”,
da nord a sud, da Feltre ad Avellino, da Montecatini a Roma, da Cascina a
Ottana, da Fabriano a Napoli e a Reggio Emilia, perché alcune figure uscissero dall’ombra.
C’è l’indiana Goghi (che minaccia
di tornare come un fantasma per farsi giustizia), bracciante, operaia
nell’industria e nelle stalle della bassa Reggiana, giunta in Italia per ricongiungersi
con il marito occupato in un circo dove accudiva gli animali; ha guidato una lotta
di 185 indiani, non ha paura dell’anonimato che così, tra le altre rivelazioni
del suo lungo racconto, dichiara: “Non chiedetemi quale lavoro vorrei fare da
grande, intanto perché sono abbastanza grande e i miei 50 anni me li sono
lasciati alle spalle. E poi il problema non è quale lavoro vorrei fare, ne ho
fatti tanti, dal circo alla fabbrica, dalla stalla al forno e alla cucina,
posso farne altri. Il lavoro non mi spaventa” - continua Goghi – “però non sono
più disposta a lavorare per una cooperativa, né a fare la schiava sotto
qualsiasi padrone. Perché la verità è che oggi chi lavora in Italia è senza
diritti, dunque è uno schiavo”.
Ogni storia è raccontata in prima
persona. Dal Bellunese delle multinazionali a Ottana, nella Sardegna delle
cattedrali nel deserto; da Roma parla una ex programmatrice informatica
dell’Eutelia (vi ricordate le proteste con le maschere bianche?).
Ogni storia è legate a filo
doppio alle vicende di padroni che hanno chiuso l’attività, da Merloni al
bancarottiere in fuga ad Abu Dhabi con la cassa sotto il braccio. In due casi
ci sono i saggi di Sergio Caserta sulla deriva della cooperazione e sul teatro
come lavoro di Granfranco Capitta.
Fino alla storia più drammatica
di tutte, quella di Nicola che negli anni Ottanta ha lavorato alla Isochimica
di Avellino, una fabbrica inventata per fare il lavoro che i ferrovieri si era
rifiutati di fare: scoibentare i vagoni impregnati di amianto. 330 operai impegnati
su 3.000 carrozze per anni a grattare il micidiale asbesto, senza protezione,
nonostante da tempo si sapesse della nocività della sostanza che anche dopo
molti anni presenta il conto di morte.
Oggi Nicola vive senza lavoro e,
malato ma non abbastanza a quanto pare, anche senza pensione: la legge
sull’amianto prevede infatti forme di prepensionamento, per lui non è
applicabile essendo stato esposto meno di dieci anni. E ha già accompagnato al
cimitero venti dei suoi compagni.
Una generazione di lavoratori
dimenticati e, com’è nel sogno neoliberista, contrapposti ogni volta ai disoccupati
e ai giovani precari.
Scrivendo l’inchiesta l’autore si
è rafforzato nell’idea “antica” della centralità del lavoro nella vita delle
persone, perché quando il lavoro viene meno non è dell’assistenza che si va in
cerca bensì della dignità. Cioè del lavoro. Un lavoro irrobustito dai diritti. “L’ascolto
di Campetti” - scrive Rossana Rossanda nell’introduzione - “non ci rimanda alla
già troppo elogiata, dai cattolici e dalla borghesia qualità morale del lavoro”
che oggi è negata dal riformismo. Tutti sono pronti a riconoscere che certo
lavorare assieme, in uguali condizioni e facendosi reciprocamente coraggio, è
infinitamente meglio di un invecchiare solitario. Ma è tempo di riflettere sia
sulla nostra battaglia contro il lavorismo e il lavoro salariato, a cui non è
stato contrapposto né il lavoro libero né un tempo libero realmente bonificato;
sia sui diversi livelli di malessere nello stare in un mondo che ha smesso di
interrogarsi sul suo meccanismo di fondo come faceva nelle generazioni scorse.
Tommaso
di Francesco
Società
Editrice “Il Nuovo Manifesto”
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