lunedì 8 febbraio 2016

8 febbraio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 08/02/16 di M. Spezia



INDICE

LA SANITA’ PUBBLICA HA IL DOVERE DI STABILIRE CONDIZIONI DI SALUTE NEI TERRITORI CON RISCHIO AMIANTO

COMUNICATO E RESOCONTO CASSA DI SOLIDARIETA’ TRA FERROVIERI GENNAIO 2016

Sinistra Lavoro info@sinistralavoro.it
LA CONSULTA: “SI’ AL REFERENDUM ANTI TRIVELLE”

Delprete Fabrizio fabriziodelprete@gmail.com
INTERPELLANZA ENICHEM OTTANA

UNA STORIA DI ORDINARIA REPRESSIONE NEI LUOGHI DI LAVORO PUBBLICI

Clash City Workers cityworkers@gmail.com

MANUALE DI AUTODIFESA "50 SFUMATURE DI LAVORO NERO E COME COMBATTERLE"


IL LIMBO DI UNA GENERAZIONE DI LAVORATORI DIMENTICATI


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From: Mario Murgia murgia.mario50@virgilio.it
To:
Sent: Thursday, January 21, 2016 7:14 PM
Subject: LA SANITA’ PUBBLICA HA IL DOVERE DI STABILIRE CONDIZIONI DI SALUTE NEI TERRITORI CON RISCHIO AMIANTO

Dal 1° convegno di Ottana (NU), tenutosi il 22 maggio 2009, si sono susseguiti: azioni, convegni, tavoli di concertazione tra le Parti Sociali e le Istituzioni direttamente interessate alla tematica amianto, al fine di far ottenere il riconoscimento dei diritti a favore dei lavoratori, esposti e/o ex esposti.
I lavoratori sono smarriti e disorientati, perché molti di loro hanno contratto patologie oncologiche e altri si sono visti negare giuridicamente le richieste dei benefici previdenziali per decadenza dei termini.
All’uopo l’Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA) con un lavoro paziente e puntuale ha raccolto una serie di informazioni mediatiche documentate da interviste, foto, video, al fine di creare le basi per inoltrare gli esposti denuncia depositati alla Procura di Cagliari inerente il sito industriale di Assemini, alla Procura di Nuoro per il sito industriale di Ottana (NU).
E’ un diritto del cittadino essere informato e reso consapevole delle conseguenze derivanti dall’esposizione a sostanze pericolose e cancerogene come l’amianto; l’AIEA ha creato una rete informativa tale da raggiungere le Istituzioni territoriali e nazionali.
La sanità pubblica ha il dovere di stabilire con certezza le reali condizioni di salute nei territori con rischio ambientale, come nei siti di Ottana, Macomer e Assemini; essa deve individuare le persone che hanno lavorato in questi siti industriali, come da libro matricola, e avviare l’indagine epidemiologica sullo stato di salute dei lavoratori e dei residenti in quei territori, finalizzata a verificare l’incidenza dei tumori maligni.
Esigenza manifestata già nel verbale di intesa del 21/10/10 tra ASL3 di Nuoro, Provincia di Nuoro, Comune di Ottana e di Macomer, le Parti Sociali (CGIL, CISL, UIL) e AIEA.
Ringraziamo i giornalisti per il contributo fattivo affinché “le affermazioni del diritto alla tutela della salute”, non restino solo propositi fumosi, ma un diritto uguale per tutti i cittadini italiani (articolo3 della Costituzione Italiana) e, non un diritto mutevole a seconda della località geografica.

Mario Murgia

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
Sent: Wednesday, January 20, 2016 1:54 AM
Subject: COMUNICATO E RESOCONTO CASSA DI SOLIDARIETA’ TRA FERROVIERI GENNAIO 2016

Aiutaci a diffondere, grazie!

COMUNICATO GENNAIO 2016
La cassa di solidarietà esiste e opera (oramai da 9 anni) grazie al contributo degli iscritti e di quanti credono nella solidarietà e nel sostegno reciproco come arma di lotta e di resistenza contro un sistema che non perde occasione per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, che continua a intimidire e tenta di reprimere chi si batte in difesa della sicurezza e della salute di lavoratori e cittadini e reclama con forza il rispetto di quei diritti faticosamente conquistati.
L’altro aspetto è che di questa solidarietà (dati i tempi durissimi che stiamo vivendo) c’è sempre più bisogno. A questo proposito, crescono la partecipazione di lavoratori e le sottoscrizioni di cittadini ai quali ci curiamo di far conoscere la Cassa e la sua attività.
I nostri colleghi licenziati ingiustamente per aver preteso la sicurezza e denunciato la mancanza, Riccardo Antonini e Sandro Giuliani hanno presentato ricorso in Cassazione contro il licenziamento e sono da mesi in attesa che sia fissata la data; il nostro collega macchinista Silvio Lorenzoni, reintegrato dal giudice del lavoro di Genova che ha respinto anche l'opposizione al pronunciamento di primo grado presentata da Trenitalia, ancora non è al suo posto di lavoro perché l'azienda non dà esecuzione alle sentenza; mentre il nostro collega Bruno Bellomonte, capostazione di Sassari, è perseguitato, oltre che dall'azienda, da quella stessa giustizia che ha confermato i licenziamenti di Riccardo e Sandro. Intanto a ottobre un altro nostro collega, Mauro Colombera, macchinista Cargo di Venezia, licenziato nel 2013, è stato riammesso dal giudice al suo posto di lavoro.
Con i prossimi comunicati ci ripromettiamo di fare il punto della situazione di ognuno dei nostri colleghi.
Anche quest’anno ricordiamo agli iscritti di rinnovare i versamenti e invitiamo tutti ad aderire a questo strumento prezioso (ci si può iscrivere online, sul sito www.casofs.org, oppure rivolgendosi ai referenti di zona), che cresce proprio grazie a chi sa che il contributo di ciascuno diventa un sostegno importante e concreto per molti.
Auguriamo a tutti e tutte un anno di resistenza e solidarietà!
La nostra forza parte da noi, la nostra forza siamo noi tutti/e insieme.
Contributi erogati da Cassa di Solidarietà tra Ferrovieri nell’anno 2015:
-         spese legali Assemblea Nazionale Ferrovieri ricorso contro la contestazione della Commissione di Garanzia (avvocato Belli): € 500;
-         spese processuali appello Giuliani: € 3.850;
-         spese Avvocato Alleva per Primo Grado, Appello e acconto Cassazione Giuliani: € 5.337;
-         contributo Bruno Bellomonte: € 700 (dei 1.700 giunti per lui, Bruno ne ha lasciati 1.000 alla Cassa);
-         quinto acconto Avvocato processo Viareggio: € 500;
-         spese processuali Riccardo Antonini: € 1.900;
-         spese processuali Bruno Bellomonte: € 3.000;
-         spese legali ricorso Maltese: € 1.153.
Attualmente sul Conto Corrente della Cassa ci sono € 6.897,02

Gennaio 2016
Cassa di solidarietà tra ferrovieri
Conto Corrente postale n.71092852
intestato a Crociati Marco
Sede: via dell’Acqua Acetosa 2/a
00043 Ciampino (RM)

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From: Sinistra Lavoro info@sinistralavoro.it
To:
Sent: Thursday, January 21, 2016 9:20 AM
Subject: LA CONSULTA: “SI’ AL REFERENDUM ANTI TRIVELLE”

Si farà il referendum antitrivelle: esultano 9 Regioni e oltre 200 associazioni di tutta la Penisola. La Corte Costituzionale, infatti, ha dato l’OK all’unico dei quesiti referendari, contro gli idrocarburi, ammesso dalla Cassazione lo scorso 8 gennaio. I giudici hanno deciso, in poco più di tre ore, sulla richiesta di sottoporre alla valutazione popolare il sesto quesito, “quello sul mare”.
“I cittadini” - spiega in una nota il coordinamento nazionale No Triv - “saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la durata della vita utile del giacimento. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento. La sentenza della Consulta dimostra come le modifiche apportate dal Governo con la Legge di stabilità” - aggiungono - “non soddisfacevano i quesiti referendari e, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione”.
Tre dei sei quesiti depositati il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla legge di stabilità, emendata: il parlamento ha modificato le norme su strategicità, indefferibilità e urgenza delle attività petrolifere, che erano poco garantiste sulla partecipazione dei territori alle scelte. Un altro quesito è stato ora ammesso dalla Corte Costituzionale, mentre sugli ultimi due è stato promosso, da sei Regioni, un conflitto d’attribuzione tra poteri di fronte alla Consulta e nei confronti dell’Ufficio centrale della Cassazione.
I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle aree che obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le zone in cui è possibile avviare progetti di trivellazione. “Si tratta di uno strumento di concertazione che risulta essere fondamentale soprattutto se con la riforma del titolo V si accentra il potere in materia energetica nelle mani dello Stato. Sappiamo ora che su uno dei quesiti centrali ci sarà il referendum, a meno che governo e parlamento intervengano sulla materia” - afferma l’avvocato Stelio Mangiameli che ha rappresentato i Consigli regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise di fronte alla Consulta. All’ultimo momento, invece, ha battuto in ritirata l’Abruzzo che, con un voltafaccia del presidente della Regione Luciano D’Alfonso (PD), si è infine schierato contro il referendum e a fianco del governo.
“Le norme precedenti” - prosegue il legale – “prevedevano, per i titoli già concessi, proroghe di 30 anni, aumentabili di altri 10 e altri 5. Le modifiche introdotte con la legge di Stabilità eliminano la scadenza trentennale e fanno sì che in sostanza non ci sia più un termine. Su questo punto ci sarà il referendum”.
“Il fronte referendario è sul 4–2 nella disputa con il premier” - dichiara il costituzionalista Enzo Di Salvatore, docente all’università di Teramo, colui che ha materialmente scritto i quesiti – “Il governo voleva far saltare il referendum, visto che i sondaggi davano la vittoria antitrivelle al 67%”.
“Il presidente Renzi dev’essere contento perché quando il popolo irrompe sulla scena della democrazia, chi è iscritto al Partito Democratico dev’essere contento per definizione”: così il governatore della Puglia, Michele Emiliano – “Per festeggiare il risultato organizzerei un corteo con le automobili. Qui la campagna per il voto comincia subito”. E non risparmia di commentare l’abbandono da parte dell’Abruzzo: “E’ come quando uno si vende la schedina prima della partita, e poi si ritrova col tredici. Lo dico con affetto nei confronti del mio amico Luciano D’Alfonso, che avrebbe potuto gioire con noi”.
“Non c’è uno Stato centrale che ama l’Italia e un territorio che la odia. L’interesse strategico di un Paese, con lealtà e trasparenza lo si costituisce insieme. E questo è un passo importante” - gli fa eco il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza (PD).
“Questa sentenza ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al governo: rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa (a cominciare da Ombrina) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione off shore e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale”  - così Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e WWF accolgono il giudizio della Consulta.
“Pur di assecondare le lobby dei petrolieri, l’esecutivo Renzi” - attaccano – “aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come opere strategiche, dunque imposte. La Corte Costituzionale rimette al giudizio dei cittadini quei meccanismi legislativi truffaldini con cui si è aggirato sino ad oggi un divieto altrimenti chiaro, lasciando campo libero ai signori del greggio fin sotto le spiagge”.

Serena Giannico
Il Manifesto
21/01/16

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From: Delprete Fabrizio fabriziodelprete@gmail.com
To:
Sent: Thursday, January 21, 2016 7:35 PM
Subject: INTERPELLANZA ENICHEM OTTANA

Car*,
di seguito trovate il comunicato mandato oggi alla stampa sarda, in riferimento all' interpellanza urgente su Ottana di questa mattina.
Trovate inoltre il comunicato che l'ufficio stampa di Sinistra Italiana - SEL invierà come avviso di comunicazione per quanto riguarda la conferenza stampa di lunedì 25 alle ore 13 alla Camera dei Deputati.
Naturalmente provvedete anche voi (con i vostri contatti ed i vostri canali) a diffondere la notizia nella maniera ottimale.
Un caro saluto

Fabrizio Delprete
Collaboratore Onorevole Piras
327 86 85 627

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AMIANTO KILLER :
A OTTANA UNA SITUAZIONE SURREALE
INTERPELLANZA URGENTE ALLA CAMERA
L’atteggiamento inqualificabile dell’INAIL e le inadempienze storiche della Regione Sardegna hanno generato il mostro del mancato inserimento dell’ex Enichem di Ottana (NU) fra i siti nazionali contaminati da amianto.
Sono già una decina i morti per patologie asbesto correlate fra gli ex lavoratori dell’impianto (in funzione dal 1970 alla fine degli anni ’90) e 289 le domande respinte dall’INAIL per riconoscimento dei benefici previsti dalla legge del 1992.
Questo nonostante la documentazione e le immagini dell'imponente presenza di amianto nell'ex stabilimento chimico costituiscano una testimonianza incontrovertibile.
Oggi abbiamo chiesto al Governo di intervenire prontamente per garantire giustizia a lavoratori e famiglie e per porre rimedio a una situazione surreale, analogamente a quanto riconosciuto ai lavoratori dell’impianto “gemello” di Pisticci (MT).
Il governo ci ha dato una risposta insoddisfacente, senza alcun preciso impegno, se non quello di una sorta di sollecito alla Regione Sardegna per quanto di sua competenza, ovvero la segnalazione del sito.
Il 25 gennaio prossimo, presso la Camera dei Deputati, si svolgerà una conferenza stampa nella quale (insieme ai rappresentanti regionali e nazionali di Associazione Italiana Esposti Amianto e al pool di avvocati che ha presentato esposto presso la procura di Nuoro sul caso Ottana) presenteremo alcuni emendamenti sul caso specifico in questione e una proposta di legge generale di riforma della norma del 1992 in materia di amianto.

Michele Piras
Sinistra Italiana SEL 


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SEGNALAZIONE: AMIANTO
PRESENTAZIONE PROPOSTA RIFORMA LEGGE AMIANTO
CONFERENZA STAMPA  LUNEDI’ 25 GENNAIO 2016 ORE 13 SALA STAMPA MONTECITORIO
Si svolgerà lunedì 25 gennaio 2016 alle ore 13 presso la sala stampa di Montecitorio la conferenza stampa promossa dall’Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA) di presentazione delle proposte di Legge, presentate al Senato da Felice Casson (PD) e alla Camera da Michele Piras (Sinistra Italiana), di riforma dell’attuale normativa sull’amianto.
Nel corso della conferenza stampa si parlerà anche del caso di Ottana in Sardegna, sede della EniChem Fibre Spa, esclusa dall’elenco dei siti nazionali contaminati dall’amianto.
Partecipano Michele Piras, deputato di Sinistra Italiana, Mario Murgia, Vicepresidente Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA), Sabina Contu, AIEA Sardegna, Maura Crudeli, Vicepresidente AIEA, e l’avvocato Andrea Di Giura.
Lo rende noto l’ufficio stampa Gruppo Parlamentare Sinistra Italiana
Roma 22 gennaio 2016

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From: Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
To:
Sent: Sunday, January 24, 2016 12:06 PM
Subject: UNA STORIA DI ORDINARIA REPRESSIONE NEI LUOGHI DI LAVORO PUBBLICI

COMUNE DI CASCINA
BASTA CAPRI ESPIATORI
Sono trascorsi almeno 12 anni dalla prima segnalazione all'Amministrazione Comunale di Cascina sulla necessità di aprire un'uscita di emergenza su un lato del fabbricato che ospita vigili e altri uffici comunali, per dotare il palazzo di una seconda via di entrata\uscita e fuga . In questi anni niente è stato fatto....
Parliamo di un ente locale nella provincia di Pisa con meno di 200 dipendenti e una Giunta ormai monocolore del Partito Democratico dopo l'uscita di IDV, Socialisti e Federazione della Sinistra, parliamo di un lavoratore che per avere denunciato pubblicamente alla ASL l'assenza di sicurezza si trova ora con un procedimento disciplinare in arrivo e la minaccia di una sospensione fino a sei mesi , ovviamente senza retribuzione alcuna.
Il lavoratore è un ispettore della Polizia Municipale.
La storia è propedeutica del sistema di relazioni all'interno della Pubblica Amministrazione, del codice di comportamento utilizzato ad arte per trasformare la denuncia pubblica e l'impegno civile in colpa, in danno recato alla immagine della Amministrazione, per trasformare il senso civico in materia di provvedimenti sanzionatori e un domani favorire la repressione economica da parte della Magistratura contabile.
Parliamo di un Ente locale che non ha risposto a numerosi solleciti scritti di un dipendente, letteralmente ignorato le note del lavoratore anche grazie alla paralisi e compiacenza verso gli amministratori propria del sindacato negli enti locali sempre più chiuso nella perdente difesa della propria produttività (che il Ministro Madia per altro si accinge a svuotare con i prossimi decreti attuativi).
La comunicazione del dipendente sulle normative di sicurezza nel palazzo che ospita la Polizia Municipale e altri uffici è stata reiterata ma amministratori e dirigenti, pur informati da note scritte, hanno scelto di non rispondere .
A seguito dell'esposto alla ASL e di un successivo sopralluogo è scattata la richiesta di aprire un procedimento disciplinare a carico del lavoratore. I ritardi, le inadempienze e le responsabilità degli amministratori comunali, ma anche di alcune figure apicali del Comune che eseguono alla lettera i dettami della politica, vengono così interamente scaricati su un lavoratore: l'applicazione dei codici disciplinari avviene sempre a senso unico e questa volta per coprire carenze in materia di sicurezza.
A seguire un approfondimento sulla figura del preposto alla sicurezza (il lavoratore è stato nominato preposto e, a detta degli amministratori, questa figura dovrebbe esimersi dal denunciare pubblicamente inadempienze interpretando la filiera della sicurezza nei luoghi di lavoro come funzionale agli amministratori, anche se questi di sicurezza e salute non vogliono parlare).
Pensiamo esistano centinaia di casi del genere che passano sotto silenzio per paura e rassegnazione lasciando soli lavoratori e lavoratrici in balia di provvedimenti disciplinari e intimidazioni. Per questo bisogna rompere il muro del silenzio soprattutto ora che il dipendente pubblico viene dipinto come una caricatura della disonestà e dell'inefficienza.
Se l'Amministrazione Comunale ha intenzione di sanzionare e aprire un procedimento disciplinare a carico di un lavoratore che ha avuto il senso civico di mettersi in gioco a tutela della salute e sicurezza di tutti i colleghi, sappia che non staremo a guardare.
Cobas Pubblico Impiego

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Le vigente normativa di tutela della salute e della sicurezza pone a carico dei lavoratori e, in particolare dei preposti, dei precisi doveri, tanto che il Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs.81/08) prevede specifici obblighi sanzionabili in merito, obblighi dei quali gli amministratori e i dirigenti comunali dovrebbero essere a conoscenza.
Per quanto riguarda i lavoratori l’articolo 20 del testo Unico sancisce l’obbligo sanzionabile penalmente per il quale essi devono “segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d) [attrezzature, dispositivi di sicurezza, dispositivi di protezione individuali], nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza”.
Per quanto riguarda i preposti, in virtù della loro posizione di coordinamento dei lavoratori a loro sottoposti, la normativa è ancora più "pressante" imponendo all’articolo 19 del testo Unico l’obbligo, sempre sanzionabile penalmente, di “segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro”.
E’ evidente che il mancato intervento da parte del datore di lavoro, o dei dirigenti, per la efficace e definitiva risoluzione delle problematiche segnalate da lavoratori e preposti li pone in una situazione di corresponsabilità ovvero di complicità con i vertici aziendali e di responsabilità penale e civile a seguito di lesioni ai lavoratori dovute ai mancati adempimenti.
In una tale situazione, il lavoratore che ha segnalato puntualmente e formalmente a datore di lavoro e dirigenti il mancato adempimento agli obblighi di legge su salute e sicurezza sul lavoro (che costituiscono reati penali) e che ha reiterato tali segnalazioni senza ricevere nessuna risposta da parte dei vertici aziendali, si trova costretto a richiedere l’intervento degli organi di vigilanza (il Dipartimento Salute e Sicurezza della ASL o, a seconda dei casi, i Vigili del Fuoco).

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, January 24, 2016 1:21 PM

Subject: MANUALE DI AUTODIFESA "50 SFUMATURE DI LAVORO NERO E COME COMBATTERLE"


Questo manualetto è il risultato di un percorso nato all'interno della Camera Popolare del Lavoro di Napoli, un'esperienza nuova, autogestita, interna allo spazio e al progetto dell'Ex OPG “Je so’ pazzo”.
Tra lavoratori ci siamo incontrati, abbiamo parlato, ci siamo scambiati esperienze, abbiamo ascoltato avvocati, ispettori e consulenti del lavoro e questo è ciò che ne è venuto fuori. Allora abbiamo deciso di condividerlo con tutte e tutti.

Scarica al link:

e diffondi il manuale di autodifesa "50 sfumature di lavoro nero e come combatterle", che riportiamo anche a seguire.

 

1. E’ DI TE CHE SI PARLA IN QUESTA STORIA

Raffaella ha 22 anni. Nel 2012, arrivata da un paesino dell'entroterra, aveva iniziato a lavorare come cameriera in un locale in uno dei quartieri “bene” della città. Tre turni a settimana, ogni volta 10 ore di lavoro. Quando finiva la giornata, il gestore le metteva in mano 30 euro. Di un contratto nemmeno l'ombra. Dopo tre anni, qualche settimana fa, a fine turno, le è stato detto che, per “politica aziendale”, stavano “rinnovando” il personale e l'hanno invitata a non presentarsi più. Licenziata così, da un giorno all’altro. Liquidazione, contributi, ferie e permessi che avrebbe dovuto maturare, se avesse avuto un contratto, sono un sogno. Manco “arrivederci e grazie”, figuriamoci i soldi che le sarebbero spettati!
Valentina, invece, di anni ne ha 27. Viene da uno dei paesi della sterminata provincia. Da ormai parecchi anni fa l’animatrice. In giro, per feste per bambini, con una paga di 5 euro l’ora. All'inizio non volevano rimborsarle la benzina. Dopo un po' di discussioni, almeno quello è riuscito ad ottenerlo. Di un contratto, però, anche per lei, neanche a parlarne.
Daniele ha 31 anni. Dopo anni di sbattimenti è finalmente riuscito a realizzare un sogno: fare il professore. Oggi lavora dieci ore a settimana in una scuola privata e ha firmato anche un contratto. Peccato però che sia totalmente fasullo e che a fine mese non gli venga dato nemmeno un euro. Qualcuno direbbe che lavora per la gloria, in realtà lo fa solo per maturare il punteggio in graduatoria, sperando in un domani migliore.
Anche Lucia un contratto ce l'ha. Oggi di anni ne ha 29. Da 6 fa la commessa nello stesso negozio, uno di quelli in cui a tanti sarà capitato di entrare, in una delle vie dello shopping cittadino. Dopo un lungo periodo “a nero”, due anni fa è stata “messa a posto”. Si fa per dire, visto che quello che sulla carta è un part-time, 4 ore di lavoro al giorno, si trasforma spesso in una giornata di 12 ore, per non parlare delle domeniche al negozio, della mancanza di riposo, ecc. A fine mese i soldi che guadagna non sono quelli riportati in busta paga. Ha pattuito una cifra con la proprietaria e da anni non ci si muove da quella. Ogni tanto, sotto le feste, magnanimamente le vengono “regalati” 50€.
Sanjeev è arrivato dallo Sri Lanka 12 anni fa. 35 anni, una moglie e due figli piccoli. Da anni lavora come cuoco in un locale del centro storico. Il contratto, anche se non veritiero, gli serve. Senza quello niente permesso di soggiorno. Peccato che avrebbe diritto anche agli assegni familiari. Peccato perché quelli se li tiene il proprietario.
Potremmo andare avanti a lungo, ma ci fermiamo qui. Sono 5 storie, tutte diverse, eppure tutte uguali. Sono le nostre storie. Chi non ne ha una simile? Che si tratti di un tavolo da servire, di un palco da montare, di una lezione da preparare, di un bambino cui badare, di una borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di pomodori da raccogliere, tutti abbiamo tantissime storie del genere da raccontare.
Non a caso l'Italia è considerata patria del lavoro “nero”. Che poi qualcuno una busta paga ce l'abbia pure non è che cambi molto: se la mansione, l'orario, la paga che vengono messi nero su bianco non corrispondono al vero, non è che ci renda poi così tranquilli, né tanto meno “regolari”. Lavoro “nero” o “grigio” (come si definisce il lavoro quando uno un contratto ce l'ha, ma quest’ultimo è falso) cambia poco: niente ferie, malattie, permessi, contributi, insomma zero tutele, zero diritti, e tanta, tanta impotenza e solitudine.
E la rabbia e il disincanto ci prendono quando televisione e giornali ci dicono che la situazione sta migliorando, che il Jobs Act funziona, che in fondo basta non essere “choosy” e una soluzione la si trova. E lo vengono a dire a noi, con le nostre storie di merda, con fratelli, sorelle e amici costretti a emigrare perché qui è sempre più dura. E magari pretendono pure che gli crediamo, sennò siamo “gufi”.Ma come si fa, se attorno a noi il lavoro nero non diminuisce? Se le forme di lavoro “legale” gli assomigliano sempre più?
Ormai il contratto a tempo indeterminato non è solo una chimera; con le “tutele crescenti” praticamente non esiste più. Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i voucher, sempre più diffusi e che un datore di lavoro può tirar fuori quando c'è un'ispezione (che poi, l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica visto che quasi nessuno riesce a vederne uno!). Come è successo nel locale in cui lavorava Raffaella: è arrivato un controllo e...puff...da un cassetto è uscito fuori qualche bel voucher che “dimostrava” che lei lì ci lavorava in maniera legale, altro che nero! Peccato che lei non lo sapesse, che un voucher non lo avesse mai nemmeno visto.
Lamentarsi non basta, ce lo dicono sempre. E hanno pure ragione. Allora noi qualcosa la vogliamo fare. Ne abbiamo piene le scatole di sentirci fare la predica. Ci fosse mai uno che viene e ti dice qualcosa di veramente utile, qualcosa che possa far cambiare un minimo la situazione in cui ci troviamo.

2. COME POSSO DIFENDERMI DAL LAVORO NERO (O “GRIGIO”)?

Partiamo da una cosa che può sembrare banale, ma molto spesso non lo è: se lavoro a nero, non c'è proprio nulla che possa fare per difendermi.
FALSO! Abbiamo imparato, anche a nostre spese, che difendersi è possibile, però dobbiamo capire come...
Cerchiamo allora di procedere con ordine e partiamo proprio dall'inizio.
ASSUNZIONE: nella “felicità” di questo momento ricordiamoci di non abbassare la guardia, perché fin da subito dobbiamo iniziare a difenderci. Se c'è la firma su un contratto, ce ne deve essere data una copia: non la trattiamo come un volantino pubblicitario qualsiasi, conserviamola (lo stesso vale per le buste paga: non sono carta straccia!). Se, invece, è “bastata” una stretta di mano, segniamoci il giorno in cui il patto tra “gentiluomini” è stato siglato!
Il primo passo per difenderci è, infatti, quello di raccogliere quanto più materiale possibile per DIMOSTRARE che c’è stato davvero un rapporto di lavoro, quando è iniziato, quanto è durato e cosa facevamo. Non è raro, infatti, che, nel momento in cui si arriva a uno scontro che magari porta all'interruzione del rapporto di lavoro, il “gentiluomo” neghi la nostra stessa esistenza, se gli è possibile, o riporti dei tempi completamente sballati: data di inizio falsa, orari di lavoro inferiori a quelli reali, ecc.
Niente è inutile!
E’ molto importante, anzi necessario, tentare di ricostruire il racconto del proprio rapporto di lavoro nella maniera più precisa possibile e quindi:
-         ANNOTIAMO data di inizio, ed eventualmente anche di fine del rapporto di lavoro, le ore di lavoro effettive (comprese le eventuali pause) e, laddove possibile, prendiamo documenti che attestino le modalità di organizzazione del lavoro da parte del datore (schemi turni, foglio orari);
-         APPUNTIAMO e conserviamo eventuali provvedimenti disciplinari presi contro di noi (richiami orali o scritti, sospensioni, multe, diminuzione punitiva della paga);
-         PROCURIAMOCI un'agendina e registriamo le nostre presenze e i nostri orari nella maniera più precisa possibile, incluse date e orari di straordinari e assenze (malattie, ferie o permessi), eventuali chiusure estive o festive dell’impresa;
-         RACCOGLIAMO e conserviamo qualsiasi tipo di corrispondenza (mail; SMS; Whatsapp; messaggi su Facebook) o materiale fotografico rilevante (anche una banale foto sul posto di lavoro, magari con i colleghi, che può sembrare inutile, può essere invece importantissima (con i social network, capita che gli stessi esercizi commerciali pubblichino sulla loro pagina nostre foto mentre siamo al lavoro!);
-         PRENDIAMO NOTA delle effettive mansioni che svolgiamo: ad esempio, servire al tavolo è diverso da stare alla cassa e comporta retribuzioni e indennità diverse che, purtroppo, non ci vengono quasi mai riconosciute;
-         APPUNTIAMO quando ci viene consegnato lo stipendio e con quale cadenza periodica (ad esempio a cadenza giornaliera o mensile), fotocopiando eventuali assegni di pagamento ricevuti dal datore di lavoro;
-         CERCHIAMO DI RECUPERARE (per quanto sappiamo essere operazione per nulla facile) e conservare qualsiasi tipo di documento su cui si è apposta una nostra firma (ricevute, documenti dei corrieri, ecc.);
-         ACCERTIAMO chi sia effettivamente il nostro datore di lavoro: spesso ci interfacciamo con un “gestore”, ma una causa andrà fatta col datore (il titolare dell'attività).
Un secondo passo, fondamentale per tutelarci al meglio, è quello di trovare delle prove testimoniali. Eventuali “testimoni” servono per dimostrare non solo l’esistenza stessa del rapporto di lavoro, ma soprattutto la sua continuità nel tempo e gli orari effettivi.
Quindi, durante il rapporto di lavoro è molto utile:
-         redigere una lista di contatti dei colleghi, dei fornitori o di eventuali guardiani, portieri, guardie giurate, utili come testimoni;
-         annotare i nominativi dei clienti che incontriamo regolarmente;
-         frequentare abitudinariamente luoghi ed esercizi pubblici posti nelle immediate vicinanze del posto di lavoro (per eventuali testimonianze da parte di titolari e dipendenti).
Ovviamente, tra tutte queste figure, quella più importante è quella dei colleghi. Sono quelli con cui condividiamo il tempo, la fatica, gli abusi, le vessazioni, ma anche le piccole gioie quotidiane. Per quanto possa essere difficile, sono i primi con cui provare a difendersi insieme.

3. UN PASSO AVANTI: DALL’ACCUMULO DI CARTE ALL'AZIONE PRATICA

Ma, arrivati a questo punto, che ce ne facciamo di tutta questa documentazione, di queste informazioni e, eventualmente, di testimoni? Tutto e niente. Sono infatti le nostre armi, da tirar fuori al momento opportuno, se e quando lo riterremo necessario.
Se lavoriamo, infatti, una ragione ci sarà: mantenere una famiglia, pagarsi un affitto, le bollette. Non è che lo facciamo perché ci piace. Quel lavoro (per quanto di merda sia) ci serve e in molti casi non possiamo permetterci di perderlo solo per affermare dei principi morali, per farci dare una pacca sulla spalla dagli amici e sentirci dire che avevamo ragione, che tutto è uno schifo e che abbiamo fatto bene. Dobbiamo quindi essere attenti, la nostra azione deve essere efficace, non semplicemente giusta.
Tutto quanto raccolto lo possiamo semplicemente tenere in un cassetto, conservandolo con cura. Ci sarà utile quando vorremo dare una svolta, quando la rabbia sarà troppa, quando l’ennesimo sopruso sarà la famigerata goccia che farà traboccare il vaso. O, semplicemente, quando il datore di lavoro deciderà che può fare a meno di noi, che non gli serviamo più e vorrà buttarci via come uno straccio…
4. CHE COSA SUCCEDE SE DECIDIAMO DI DENUNCIARE?
Se pensiamo a questa ipotesi bisogna mettere in conto anzitutto una cosa, che per quanto invisibili, latenti e poco funzionali, lo stato prevede degli strumenti per la tutela dei lavoratori...in effetti, uno: l’Ispettorato del Lavoro, che è un organo preposto alla tutela dei lavoratori, che ha il potere di effettuare delle “ispezioni” sui posti di lavoro per verificare che le regole siano rispettate. L’Ispettore del Lavoro può visitare senza preavviso qualsiasi posto di lavoro, controllare le strutture aziendali, la documentazione dell’impresa, nonché sentire i lavoratori (ovviamente senza la presenza “ingombrante” del datore di lavoro) per raccogliere la loro testimonianza.
Chi può presentare una denuncia?
All’Ispettorato si può rivolgere il singolo lavoratore, un’organizzazione sindacale o un’associazione, ma anche il semplice cittadino che sia a conoscenza di situazioni di irregolarità.
Devo dare per forza le mie generalità? Denunciando il datore di lavoro, non rischio forse di perdere il “posto”?
La denuncia da parte del singolo lavoratore può essere anche anonima, ma aumenta il rischio che i funzionari dell’Ispettorato non la prendano in considerazione. Gli Ispettori del Lavoro con cui ci siamo confrontati ci hanno consigliato di apporre comunque nome e cognome. Tuttavia, sappiamo bene che, sia in caso di lavoro “grigio” che, a maggior ragione, di “nero”, la minore esposizione possibile è consigliabile.
In ogni caso, nessun problema. Come già detto, possiamo presentare una denuncia utilizzando un’associazione. Ad esempio, anche per andare incontro a quest’esigenza, abbiamo creato a Napoli l’associazione “Potere al popolo!”. Possiamo usarla come scudo dietro cui parare i colpi che ci potrebbero arrivare dalla controparte.
Cosa ci deve essere nella denuncia?
Tutta la documentazione di cui abbiamo scritto prima (inizio del rapporto, orari di lavoro, salario percepito, ecc.). Quanto più precisa una denuncia, tanto meglio.
Come fare la denuncia?
-         può essere inviata tramite posta (come sempre per la Pubblica Amministrazione, meglio una Raccomandata con ricevuta di ritorno);
-         può essere portata direttamente all’ufficio di zona dell’ispettorato del lavoro;
-         può essere fatta telefonicamente: tuttavia, questa modalità ci è stata fortemente sconsigliata, dal momento che nel 99% dei casi non sarebbe presa minimamente in considerazione.
Ma questa denuncia serve poi a qualcosa? La situazione cambia davvero?
E qui i nodi arrivano al pettine. Inutile dire che, Governo dopo Governo, quest’Ente è stato sempre più depotenziato. Meno fondi, meno personale, più burocrazia e meno possibilità di effettuare controlli. Se ci aggiungiamo che in alcuni casi il singolo Ispettore può non agire esattamente nell’interesse dei lavoratori, la situazione non è idilliaca. Tutt’altro. Non a caso quasi nessuno di noi ha visto un Ispettore, e chi lo ha visto non ha per questo migliorato la propria condizione.
Comunque, a questo punto dobbiamo entrare in gioco noi. Gli Ispettori devono renderci conto del loro operato. Dobbiamo esercitare una pressione costante sul loro lavoro, stargli col fiato sul collo. Loro sono lì per tutelare noi. Individualmente, ma soprattutto se ci mettiamo insieme, in tre, quattro, decine di noi, possiamo “costringerli” a fare per bene il loro lavoro. E’ già successo che i lavoratori abbiano avuto successo in questo. Possiamo provarci anche noi. Anche perché più controlli, fatti sul serio, significherebbero maggiori difficoltà delle aziende ad assumere “a nero” o “a grigio”, con la conseguenza che, domani, quando cercheremo un altro posto di lavoro, magari almeno il rispetto delle condizioni minime ce l’abbiamo.
5. E SE VENIAMO CACCIATI, LICENZIATI?
Nel corso delle nostre esperienze lavorative, nelle chiacchiere che ci siam fatti con amici e parenti, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Ci cacciano e spesso ci danno pure le motivazioni più implausibili del mondo! A volte, davvero, ci offendono nella nostra intelligenza. Come quando a una di noi hanno detto che sarebbe stato meglio se non fosse più tornata a lavorare perché c’era bisogno di una “pausa di riflessione”! No comment!
Anche quando sembra che tutto sia finito, comunque, nessuna resa. C’è ancora qualcosa che possiamo fare. Tutti i dati raccolti ci torneranno ancora una volta utilissimi. Possiamo infatti denunciare il datore di lavoro, rivolgendoci ad un avvocato o ad un consulente del lavoro.
Alla Camera Popolare del Lavoro abbiamo organizzato uno sportello legale gratuito per aiutarci anche in questo tipo di situazioni.
Potremmo pensare che la denuncia sia una soluzione del cavolo, che non abbiamo tempo da perdere dietro a queste cose e, soprattutto, che di soldi non ce ne sono per pagare chicchessia.
E’ quello che pensiamo un po’ tutti. E poi vuoi mai vedere che il datore di lavoro è stato così disattento da poter perdere una causa? Ebbene sì. Anche quando a noi sembra che abbia preso tutti gli accorgimenti del caso, quando sappiamo che si è rivolto a fior fiore di consulenti, nella maggior parte dei casi, i lavoratori che denunciano vincono. Per essere precisi e non dire baggianate, in realtà in molti casi non si arriva nemmeno a processo. Il datore di lavoro (meglio, il suo avvocato) ci contatterà una volta partita la denuncia per proporci una transazione: anziché rischiare di doverci pagare somme che spesso sono tutt’altro che bruscolini, decidono di offrirci una cifra ben più bassa, purché rinunciamo ad andare avanti. Sta poi a noi scegliere se proseguire o accettare.
Ma che si arrivi a processo o che si giunga ad un accordo in precedenza, il risultato è chiaro: nella maggior parte dei casi VINCIAMO! E almeno recuperiamo una parte di ciò che ci sarebbe stato dovuto, per le situazioni che siamo costretti a subire.
Un’ultima postilla: a volte capita che il datore di lavoro che perde la causa risulti insolvente. Risultato? Rischiamo di essere vincitori morali, ma di non vedere nemmeno un euro. Neanche a questo punto però tutto è perduto.
Possiamo rivolgerci all’INPS. Difatti, è previsto che l’INPS ci riconosca almeno il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) che ci spetterebbe (se agiamo entro 5 anni dalla fine del nostro rapporto di lavoro) e, se ci muoviamo per tempo (entro 1 anno dalla cessazione del rapporto di lavoro), potremmo riuscire a ottenere anche il pagamento delle ultime tre mensilità (come da contratto e non come da “accordi” col datore di lavoro!) che ci sarebbero dovute toccare.

6. TIRIAMO LE SOMME

Abbiamo scritto questo manualetto per dotarci di uno strumento pratico, e utile, per combattere un problema che, troppo spesso, ci sembra senza soluzione. Siamo entrati nel merito di molti dettagli proprio per chiarire che, nonostante tutto, qualcosa si può fare, e non è poco.
Tutte le indicazioni fornite per costruire il proprio dossier sembrano noiose ma sono utilissime: quando un giorno decideremo di chiudere un determinato rapporto avremo ottime chances di recuperare quanto ci spetta, e anche farla pagare a chi ci ha sfruttato, magari facendocela passare come un favore.
Ma non è tutto. La denuncia non ci basta, e con questo manualetto abbiamo l'ambizione di andare oltre.
Vogliamo rompere il muro di silenzio su una situazione che riguarda migliaia e migliaia di persone, e che a stento emerge dalle statistiche ISTAT, e costringere tutti (media, istituzioni) a non fare finta di non vedere e dare delle risposte. Vogliamo rendere il sonno dei nostri “donatori di lavoro” meno placido e sicuro, vogliamo vederli con la strizza addosso, in poche parole vogliamo combattere il problema a monte, non solo dopo che si è presentato. E possiamo farlo.
Se avete voglia di mettervi in gioco anche voi, direttamente, noi ci siamo!
Se il lavoro fatto vi sembra utile, se ci sono delle correzioni o dei suggerimenti,
scriveteci all’indirizzo:
o contattateci su Facebook Organizzazione “Camera popolare del lavoro” al link:

Camera Popolare del Lavoro di Napoli
17 Dicembre 2015

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From: Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
To:
Sent: Sunday, January 24, 2016 1:24 PM
Subject: IL LIMBO DI UNA GENERAZIONE DI LAVORATORI DIMENTICATI

PRESENTAZIONE DEL LIBRO “NON HO L’ETÀ – PERDERE IL LAVORO A 50 ANNI” DI LORIS CAMPETTI, CON L’INTRODUZIONE DI ROSSANA ROSSANDA, PER MANNI EDITORE.
C’è un limbo appeso nella crisi sociale italiana. Non è solo quello più riconoscibile e macroscopico della disoccupazione dei giovani, ingabbiati nell’attesa di un lavoro o nella prigione del precariato a vita. E’ anche quello meno evidente e perfino non definito da statistiche certe, di centinaia di migliaia di vite di lavoratrici e lavoratori che, passati da una interruzione all’altra dell’attività, sbattuti da un padrone all’altro, da una perdita a una sconfitta, si ritrovano tra i 45 e i 50 anni senza più nulla. Nemmeno il magro privilegio dell’età.
Anzi, arrivati a quella soglia che altrimenti dovrebbe essere normalmente produttiva, si sentono dire che “sei troppo vecchio per trovare un lavoro e troppo giovane per andare in pensione”.
Sono esperienze fondamentali per capire come si è sviluppata la crisi economica e sociale del capitalismo finanziario che ha devastato la struttura produttiva internazionale e che conta ormai l’ottavo anno.
Nonostante la retorica degli annunci sui “zerovirgola” di renziani, di confindustriali, dell’UE o del Fondo monetario.
Esperienze che purtroppo pochi raccontano.
Che si realizzi la cancellazione di vite e conoscenze professionali sfugge ai più. Raccontare questa realtà vuol dire mettere le mani dentro la “crisi”, la paroletta che tutti c’incanta, per rinominare la questione centrale del lavoro umano e della sua fine attuale nell’orizzonte della merce.
C’è un solo modo per farlo. Dare parola e valore alle protagoniste e ai protagonisti, anche nel limite del tempo di un libro. E’ il lavoro d’inchiesta, condotto tra molte difficoltà, di Loris Campetti nel suo “Non ho l’età. Perdere il lavoro a 50 anni” (Manni Editori). Quali difficoltà?
“Nell’uragano volano gli stracci” scrive Rossana Rossanda nell’introduzione al libro, perché questi lavoratori sospesi emergono in genere poco volentieri. Quel che li caratterizza, salvo qualche indomita o indomito combattente, è la paura. Che si accresce fino a rifiutare di discorrere con il giornalista che gli chiede di parlare di sé: “No assolutamente no, grazie”. O, al massimo, se lo fa, rimanendo nell’anonimato. Sono uomini e donne che, perduto il primo loro impiego, nell’attesa di qualche impiego successivo, temono di essere in qualche misura riconosciuti, se non schedati, e di perdere anche quello. La disperazione non solleva, se non in rari casi la ribellione. E c’è una “rassegnazione infelice” che colpisce tra gli uomini e le donne, che sono le prime colpite se si tratta di tagliare gli impieghi, ricorda Rossana Rossanda.
Insomma la perdita del lavoro non è introiettata come ingiustizia ma, insieme al disastro di ritrovarsi senza salario e senza pensione, solo malasorte o, peggio, dedizione personale al fallimento.
Con tanto di perdita di identità social-familiare, fino ai casi “teatrali” di fingimento e negazione della perdita del lavoro.
Chi parla allora nel libro-inchiesta di Loris Campetti, in un un’Italia che ha inventato la parola “esodati” nell’epoca della coppia Monti-Fornero e dove il diritto di licenziare è stato riconsegnato dal governo Renzi agli imprenditori dopo 45 anni di democrazia, con gli attacchi a colpi di accetta allo Statuto dei cittadini lavoratori, colpendo proprio la dignità di chi lavora o non lavora più o non riesce a trovare o a ritrovare un lavoro? Sono i protagonisti delle lotte collettive che non vogliono disperdere nel tempo.
Così Loris Campetti ha girato il “Belpaese”, da nord a sud, da Feltre ad Avellino, da Montecatini a Roma, da Cascina a Ottana, da Fabriano a Napoli e a Reggio Emilia, perché alcune figure uscissero dall’ombra.
C’è l’indiana Goghi (che minaccia di tornare come un fantasma per farsi giustizia), bracciante, operaia nell’industria e nelle stalle della bassa Reggiana, giunta in Italia per ricongiungersi con il marito occupato in un circo dove accudiva gli animali; ha guidato una lotta di 185 indiani, non ha paura dell’anonimato che così, tra le altre rivelazioni del suo lungo racconto, dichiara: “Non chiedetemi quale lavoro vorrei fare da grande, intanto perché sono abbastanza grande e i miei 50 anni me li sono lasciati alle spalle. E poi il problema non è quale lavoro vorrei fare, ne ho fatti tanti, dal circo alla fabbrica, dalla stalla al forno e alla cucina, posso farne altri. Il lavoro non mi spaventa” - continua Goghi – “però non sono più disposta a lavorare per una cooperativa, né a fare la schiava sotto qualsiasi padrone. Perché la verità è che oggi chi lavora in Italia è senza diritti, dunque è uno schiavo”.
Ogni storia è raccontata in prima persona. Dal Bellunese delle multinazionali a Ottana, nella Sardegna delle cattedrali nel deserto; da Roma parla una ex programmatrice informatica dell’Eutelia (vi ricordate le proteste con le maschere bianche?).
Ogni storia è legate a filo doppio alle vicende di padroni che hanno chiuso l’attività, da Merloni al bancarottiere in fuga ad Abu Dhabi con la cassa sotto il braccio. In due casi ci sono i saggi di Sergio Caserta sulla deriva della cooperazione e sul teatro come lavoro di Granfranco Capitta.
Fino alla storia più drammatica di tutte, quella di Nicola che negli anni Ottanta ha lavorato alla Isochimica di Avellino, una fabbrica inventata per fare il lavoro che i ferrovieri si era rifiutati di fare: scoibentare i vagoni impregnati di amianto. 330 operai impegnati su 3.000 carrozze per anni a grattare il micidiale asbesto, senza protezione, nonostante da tempo si sapesse della nocività della sostanza che anche dopo molti anni presenta il conto di morte.
Oggi Nicola vive senza lavoro e, malato ma non abbastanza a quanto pare, anche senza pensione: la legge sull’amianto prevede infatti forme di prepensionamento, per lui non è applicabile essendo stato esposto meno di dieci anni. E ha già accompagnato al cimitero venti dei suoi compagni.
Una generazione di lavoratori dimenticati e, com’è nel sogno neoliberista, contrapposti ogni volta ai disoccupati e ai giovani precari.
Scrivendo l’inchiesta l’autore si è rafforzato nell’idea “antica” della centralità del lavoro nella vita delle persone, perché quando il lavoro viene meno non è dell’assistenza che si va in cerca bensì della dignità. Cioè del lavoro. Un lavoro irrobustito dai diritti. “L’ascolto di Campetti” - scrive Rossana Rossanda nell’introduzione - “non ci rimanda alla già troppo elogiata, dai cattolici e dalla borghesia qualità morale del lavoro” che oggi è negata dal riformismo. Tutti sono pronti a riconoscere che certo lavorare assieme, in uguali condizioni e facendosi reciprocamente coraggio, è infinitamente meglio di un invecchiare solitario. Ma è tempo di riflettere sia sulla nostra battaglia contro il lavorismo e il lavoro salariato, a cui non è stato contrapposto né il lavoro libero né un tempo libero realmente bonificato; sia sui diversi livelli di malessere nello stare in un mondo che ha smesso di interrogarsi sul suo meccanismo di fondo come faceva nelle generazioni scorse.

Tommaso di Francesco
Società Editrice “Il Nuovo Manifesto”

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