NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
CHIARIMENTI
SULLA VACCINAZIONE ANTITETANICA PER I LAVORATORI
Da Ufficio Salute Ambiente Sicurezza FIOM
CGIL
Da diversi Rappresentanti dei Lavoratori per
la Sicurezza è arrivata la richiesta di chiarimenti relativa alla vaccinazione
antitetanica che molte aziende stanno imponendo ai dipendenti, rispondo
tentando di dare qualche chiarimento che spero sia utile per informare
correttamente le lavoratrici e i lavoratori e per confrontarsi con le aziende.
Vediamo di capirci qualcosa sul tetano e
sulla vaccinazione antitetanica.
Solo dal 1968 con la Legge 419 la
vaccinazione contro il tetano è obbligatoria. La vaccinazione si effettua in
diverse tappe: prima iniezione dal 3° al 5° mese di vita del bambino e un richiamo
nel corso dell’11° o 12° mese di vita. Successivamente si fa un richiamo al 5°
anno di vita e poi ogni 10 anni.
Dunque per fare degli esempi:
-
un
lavoratore nato prima del 1968 che non ha mai avuto una vaccinazione è
opportuno che a prescindere dall’attività lavorativa che svolge è necessario
che la faccia prima possibile;
-
un
lavoratore nato nel 1968 è certo che ha fatto la vaccinazione nel 68, poi un
richiamo a 5 anni, nel 1973. La vaccinazione antitetanica viene richiesta per
l’accesso del bambino alle scuole.
Dopo 10 anni è possibile che abbia fatto
successivi richiami nel 1983, nel 1993, nel 2003, nel 2013 e oggi non deve fare
il richiamo e cosi per gli altri nati successivamente.
Il lavoratore che ritiene di non aver
necessità di richiamo vaccinale non necessariamente deve presentare il libretto
delle precedenti vaccinazioni ma è sufficiente che faccia una autodichiarazione
in cui dichiara di essere stato già vaccinato e di aver anche fatto i richiami.
Il lavoratore può anche non essere
disponibile alla vaccinazione dichiarando sempre in forma scritta che nel
passato a fronte delle precedenti vaccinazioni è stato colpito da fenomeni di ipersensibilità
e da reazioni allergiche al vaccino.
Diamo alcune informazioni sul tetano.
La spora del tetano vive nell’intestino degli
animali, soprattutto erbivori e dunque lo si trova nelle feci di questi animali
e non è contagioso in quanto non si trasmette, né per le vie aeree, né da uomo
a uomo. Il rischio è dunque presente soprattutto per i contadini, che si
feriscono e sono a contatto con la terra ove possono essere state depositate
feci di erbivore e per i lavoratori che operano nel ciclo dei rifiuti, sempre
per le stesse ragioni.
Esiste il rischio anche per i lavoratori
metalmeccanici che sono a contatto con metalli sporchi di terra, rifiuti,
polveri depositate in terra. Questo tipo di rischio deve essere comunque evidenziato
nel Documento di Valutazione dei Rischi, ove devono essere individuate le
azioni per cancellare il rischio tetanico o almeno prevenirlo con la
vaccinazione e con l’uso appropriato dei Dispositivi di Protezione Individuali,
quali i guanti.
I lavoratori metalmeccanici che non sono
impegnati in queste attività, e non sono dunque a contatto con terriccio anche
se svolgono mansioni che li portano a utilizzare metalli, non hanno questi
rischi e dunque è superflua la vaccinazione.
Bisogna smentire quel senso comune che
identifica la possibilità della patologia tetanica alla presenza di ruggine,
solo le feci, il terriccio e le polveri che impregnano eventuali utensili che
provocano una ferita possono provocare il rischio.
La copertura immunitaria contro il rischio
del tetano è forte anche se il lavoratore ha saltato o salta qualche richiamo o
gli è stato somministrato a un intervallo superiore ai 10 anni, con
l’attenzione però di verificare l’età dello stesso, in quanto in soggetti
anziani l’assenza del richiamo aumenta il rischio della possibile infezione
antitetanica.
Il tetano può portare alla morte per la
paralisi dei nervi, ma se si riconosce rapidamente, al massimo entro le 48 ore,
la terapia farmacologica fa regredire la grave situazione, fino alla completa
guarigione Negli ultimi anni complessivamente i colpiti dal tetano in Italia
sono stati una cinquantina, perlopiù lavoratori e persone molto anziani e
soprattutto contadini, in quanto non avevano sufficiente copertura vaccinale,
ma nessuno è deceduto.
La vaccinazione antitetanica è sicura se il
lavoratore interessato è sano e non affetto da fenomeni allergici, in caso
contrario i rischi di shock sono possibili e quindi è meglio evitarla.
Sono presenti dei rischi nell’inoculazione
del siero antitetanico, che si utilizza al posto della vaccinazione
antitetanica. Infatti essendo il siero un emoderivato, sono immunoglobuline provenienti
dal sangue umano.
Pur con tutte le accortezze che vengono prese
il rischio della trasmissione dell’epatite A e del HIV sono elevate. Dunque è
necessario sempre ponderare bene la decisione di inoculare il siero
antitetanico.
Conclusioni: troviamo curioso che le aziende
vogliano procedere a campagne generalizzate di vaccinazioni, che ricordiamo si
devono realizzare all’interno dell’attività di sorveglianza sanitaria che il
medico competente deve realizzare in base ai rischi presenti in azienda e a
quanto valutato nel Documento di Valutazione dei Rischi.
Su queste basi che sommariamente abbiamo
descritto si dovrebbe svolgere il confronto con le aziende, nell’eventualità
che non si trovasse un positivo riscontro c’è la necessità di rivolgersi al
Servizio di Prevenzione della ASL.
Ufficio Sicurezza Ambiente Salute FIOM CGIL
nazionale
ADEMPIMENTI
E RESPONSABILITA’ IN CASO DI RIMOZIONE AMIANTO E RISCHIO DI CADUTA DALL’ALTO
Da La Voce del Trentino
15 giugno 2016
a cura di Andrea Merler e Alessandro Pedrotti
La gestione della sicurezza nei lavori in
quota, intesi come tutte quelle operazioni che si svolgono ad un’altezza
superiore ai 2 metri, sono da sempre oggetto di discussione tra gli esperti del
settore e di dibattito giurisprudenziale.
Uno dei lavori più delicati riguarda
l’attività di cantiere, a prescindere che si tratti di manutenzione ordinaria e
straordinaria, che ha come oggetto i lavori eseguiti sulle coperture in cemento-amianto.
Molte volte per esigenze legate alla
tipologia e allo stato di degrado della copertura vi è la necessità di
bonificare definitivamente il sito attraverso la tecnica della rimozione. E’
questo il caso tipico della bonifica delle coperture in cemento-amianto. Il
materiale in lastre piane e ondulate è stato largamente diffuso come manto di
copertura tra gli anni 1955 e 1995 e tuttavia si possono trovare installate
coperture in cemento amianto (diverso dal cosiddetto fibrocemento “ecologico”)
fino anche al 1999).
Sul piano burocratico e prima dell’inizio
effettivo dei lavori, il committente, sia esso l’amministratore di un
condominio ovvero un’impresa/datore di lavoro/committente, ha l’esigenza di
pianificare i lavori per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Stabilita la presenza di fibre di amianto nel
manufatto, l’impresa individuata per la bonifica dell’amianto compatto inteso
come legato solidalmente a una matrice cementizia (cemento-amianto) o resinoide
(vinil-amianto) deve possedere dei requisiti ben definiti. Prima di tutto la
“condicio sine qua non” è l’iscrizione dell’impresa incaricata della rimozione
all’albo gestori ambientali per la categoria appropriata (www.albogestoriambientali.it)
In buona sostanza l’impresa deve essere in
possesso della cosiddetta idoneità tecnico-professionale che deve essere
verificata prima dell’inizio dei lavori dal committente. E’ bene ricordare che
il modo in cui verificare l’idoneità tecnico professionale è indicata
espressamente nell’allegato XVII del D.Lgs. 81/08.
Non possono certamente bastare la mera
iscrizione alla CCIAA (Camera di Commercio) o la regolarità del DURC (Documento
Unico di Regolarità Contributiva), ma serve perlomeno una verifica ulteriore:
il possesso dell’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali nella
categoria 10/A nel caso in cui l’amianto sia a matrice compatta. Invece, nel
caso in cui l’amianto fosse a matrice friabile (ad esempio coibentazioni di
tubi e caldaie, guarnizioni, stucchi, materiali spruzzati ecc.) allora il
requisito di cui sopra riguarderebbe l’iscrizione all’albo nella categoria
10/B.
Bisogna però stare molto attenti perché i due
requisiti (le due categorie) non sono sovrapponibili, ma distinti l’uno
dall’altro. Tuttavia l’iscrizione dell’impresa alla categoria 10/B automaticamente
implica anche la possibilità di effettuare i lavori anche per la 10/A mentre
invece il contrario non è possibile in quanto categoria minore.
Ulteriori abilitazioni potrebbero essere da
considerare in riferimento all’importo complessivo dei lavori di rimozione dei
materiali in amianto a matrice friabile in quanto l’impresa, in maniera
differenziata, oltre ad essere iscritta all’Albo e quindi ad essere “abilitata”
a effettuare tali particolari lavori, dovrebbe anche dimostrare di possedere
particolari capacità tecnico-economiche.
Un ulteriore adempimento burocratico a carico
dell’impresa individuata riguarda la presentazione del piano di lavoro ex
articolo 256 del D.Lgs 81/08, in cui vengono comunicate ufficialmente una serie
di informazioni (ad esempio data e luogo del cantiere, tipologia dei manufatti
da rimuovere, oltre a inizio lavori e informazioni circa lo smaltimento dei
rifiuti) e che deve essere presentato, almeno trenta giorni prima dell’inizio
dei lavori, all’Organo di Vigilanza competente per territorio.
E’ possibile avere accesso alla procedura
d’urgenza al fine di abbreviare il termine di trenta giorni ad esempio nel caso
in cui vi sia pericolo di crollo a seguito di eventi meteorologici o per ottemperare
ad ordinanze emanate dal Sindaco. L’articolo 256, comma 5 del D.Lgs. 81/08 prevede
anche un meccanismo di silenzio-assenso all’inizio dei lavori nel caso in cui,
nel termine di trenta giorni dalla presentazione del piano di lavoro, non siano
richieste dalla ASL integrazioni o modifiche al piano stesso.
Il piano di lavoro serve a varie finalità, di
tutela dei lavoratori, ma anche dei terzi e dell’ambiente. Ad esempio per la
tutela dei lavoratori è prevista l’individuazione delle misure di sicurezza per
i lavoratori contro il rischio di caduta dall’alto oltre alla protezione
personale attraverso i Dispositivi di Protezione Individuali, la verifica
dell’assenza di rischi al termine dei lavori e la tracciabilità del rifiuto
speciale quale è l’amianto.
Molte volte accade che le imprese
interpretino l’adempimento necessario del piano di lavoro anche per altre
finalità quale ad esempio l’obbligo di redazione del POS (Piano Operativo di Sicurezza).
E’ bene chiarire che non è possibile
esonerarsi dall’obbligo di redazione del POS perché i due adempimenti (piano di
lavoro e POS) sono del tutto diversi e con soggetti preposti alla verifica
distinti. Il piano di lavoro viene verificato dall’Organo di Vigilanza della
ASL mentre il POS viene verificato dal Coordinatore per l’Esecuzione nel caso
in cui sul cantiere vi sia la presenza di più imprese esecutrici anche non
contemporaneamente, ovvero dal committente nel caso in cui l’impresa sia unica.
Un ultimo obbligo importante riguarda gli
oneri della sicurezza non soggetti a ribasso d’asta che devono essere contenuti
nel contratto di appalto. In caso di mancata indicazione degli oneri della
sicurezza per gestire le interferenze tra le lavorazioni del committente e
quelle dell’impresa esecutrice il contratto può essere dichiarato nullo ai
sensi dell’articolo 1418 del Codice Civile.
La necessità di calpestare superfici di
coperture in amianto provoca il tipico rischio di sfondamento delle lastre con
conseguente caduta verso l’interno e gravi conseguenze per i lavoratori in
quanto il materiale (anche integro e non vetusto) non é in grado di sopportare
il peso di una o più persone.
Per questo motivo il legislatore ha previsto
una specifica normativa per evitare questo rischio nell’articolo 148 del D.Lgs.
81/08.
In primis, è necessario predisporre misure di
prevenzione collettiva (ad esempio ponti di servizio, reti di sicurezza) e
accertare la resistenza al sostegno del peso degli operai e delle attrezzature.
Nel caso dell’amianto a matrice compatta
delle coperture, i lavoratori hanno l’obbligo di trattare preventivamente il
materiale contenente amianto con prodotti incapsulanti su entrambi i lati delle
lastre. Quindi qualora le coperture siano posate su struttura priva di solaio
portante (ad esempio orditura in ferro), è necessario adottare sempre misure
atte a garantire l’incolumità dei lavoratori e quindi prevedere la rimozione
dall’intradosso della copertura attraverso l’ausilio di piattaforme di lavoro
elevabili.
Qualora invece siano presenti concreti rischi
di caduta dall’alto (ad esempio solaio portante con inseriti lucernari) è
preferibile sempre l’utilizzo di ponteggi perimetrali o parapetti in gronda,
sottopalchi o reti e linee vita a cui collegare i dispositivi anticaduta
(cinture di sicurezza).
Anche in caso di sfondamento delle lastre,
che dovrebbe comunque essere limitato dall’uso dei dispositivi anticaduta, il
lavoratore non dovrebbe MAI poter cadere al suolo per la presenza, necessaria,
dei sottoponti di sicurezza (ad esempio reti di sicurezza o sottopalchi).
Qualcuno può ritenere che le protezioni per
eliminare il rischio di caduta dall’alto siano una prerogativa specifica
dell’impresa esecutrice. Questo non corrisponde affatto al vero. Non solo
l’impresa esecutrice, ma anche lo stesso committente, di fronte a rischi palesi
come la caduta dall’alto in quanto oggettivamente percepibili da chiunque, deve
garantire la sicurezza dei lavori in appalto e dei lavoratori che formalmente
non rientrano nella sua organizzazione d’impresa. In sostanza l’impresa deve
approntare le misure di sicurezza, il committente deve verificare che adempia
concretamente.
La responsabilità in caso di caduta di un
lavoratore per sfondamento di una lastra in cemento- amianto può dunque vedere
la corresponsabilità del committente e del datore di lavoro dell’impresa
esecutrice ai sensi dell’articolo 113 del Codice Penale in cooperazione colposa
tra loro. Rimane esclusa la responsabilità del datore di lavoro e dello stesso
committente in caso di condotta negligente, avventata, imprudente e abnorme del
lavoratore infortunato.
Per accertare se la condotta sia come quella
sopra descritta bisognerà accertare in concreto se salire sul tetto era
necessario, se le attrezzature e i lavori da eseguire potevano essere espletati
in maniera diversa senza dover sbarcare, ad esempio, sulla copertura. Cosa
alquanto difficile in tema di rimozione di lastre di copertura in
cemento-amianto, più verosimile invece nel caso di approntamento di fari
perimetrali a un capannone industriale.
CHECK LIST PER LA
RIDUZIONE DEL RISCHIO STRADALE SUL LAVORO
Da:
PuntoSicuro
13
giugno 2016
di
Marco De Mitri.
Esperto
in rischio stradale sul lavoro
Come
ridurre il rischio stradale intervenendo sulle componenti uomo, veicolo e
spostamento del “sistema guida”?
Una
lista di controllo per aumentare la sicurezza stradale.
Ogni
datore di lavoro, tra i propri obblighi, ha quello di effettuare la valutazione
dei rischi dei lavoratori e prendere le misure per ridurre detti rischi,
consentendo al proprio personale di lavorare in piena sicurezza.
Le
aziende che hanno grandi numeri in termini di dipendenti, veicoli in uso e
spostamenti quotidiani avvertono la gestione del rischio stradale come uno dei
principali punti su cui focalizzare la propria attenzione ed a cui destinare
una quota significativa delle risorse dedicate alla sicurezza sul lavoro.
Per
innumerevoli attività, infatti, il “luogo di lavoro” non è un posto specifico
individuato all’interno di un ufficio o di uno stabilimento produttivo (che
pure deve avere le sue misure per la riduzione del rischio di infortuni tra
veicoli e persone), ma è la strada pubblica, spesso in condizioni di difficile
gestione (come nel caso di flussi di merci pericolose che impegnano le strade
urbane).
E
non va poi dimenticato che gli incidenti stradali sono la prima causa di morte
sul lavoro (come testimoniano ogni anno i dati INAIL).
Per
minimizzare i rischi di questi lavoratori e aumentare la sicurezza stradale (a
vantaggio loro e di ogni altro utente), viene in aiuto dei responsabili
aziendali la check list sotto riportata, che consente di ridurre il rischio
stradale intervenendo sulle componenti uomo, veicolo e spostamento del “sistema
guida”. Ogni responsabile aziendale della sicurezza può consultarla e verificare,
punto per punto, se la propria azienda sta tenendo debitamente in conto ogni
aspetto importante ai fini della riduzione del rischio.
Le
aziende che soddisfano in buona misura i punti di questa check list sono inoltre
ben attrezzate per implementare (e vedersi riconoscere tramite specifica
certificazione) il proprio sistema di gestione per la riduzione del rischio
stradale conforme allo standard ISO 39001.
IL
GUIDATORE
COMPETENZA
I
guidatori sono competenti e in grado di svolgere il proprio lavoro in modo
sicuro per essi stessi e per le altre persone?
I
nuovi assunti hanno una esperienza precedente?
L’impiego
richiede qualcosa di più di una semplice patente di guida per il veicolo che
deve essere utilizzato?
Le
procedure di assunzione includono appropriate verifiche preliminari (ad esempio
richiesta e verifica di referenze)?
La
validità della patente di guida viene controllata al momento dell’assunzione e
poi ad intervalli periodici?
I
vostri guidatori sono consapevoli della politica ambientale sulla sicurezza
stradale (e sanno cosa ci si aspetta da loro)?
Avete
specificato quali competenze standard sono richieste per le circostanze di un
particolare lavoro?
Come
vi assicurate che questi standard sono raggiunti?
ADDESTRAMENTO
I
guidatori sono addestrati in modo appropriato?
Avete
stimato se i vostri lavoratori “su strada” necessitano di addestramento
aggiuntivo per effettuare i loro compiti in sicurezza?
Organizzate
l’addestramento per i guidatori dando priorità a quelli a maggiore rischio (ad esempio
quelli che fanno maggiori percorrenze, quelli che hanno minore esperienza,
ecc.)?
I
guidatori hanno bisogno di sapere come condurre verifiche di sicurezza di
routine (ad esempio su luci, pneumatici, ecc.)?
I
guidatori sanno come usare correttamente i dispositivi di sicurezza (ad esempio
cinture, ecc.)?
I
guidatori sanno come utilizzare correttamente il dispositivo ABS?
I
guidatori sanno come effettuare la distribuzione sicura dei carichi (ad esempio
in caso di operazioni con carichi e scarichi ripetuti)?
I
guidatori sanno come agire per assicurare la loro sicurezza a seguito di una
avaria intervenuta sul veicolo?
Avete
fornito ai guidatori un manuale con suggerimenti e informazioni sulla sicurezza
stradale?
I
guidatori sono consapevoli dei rischi derivanti dalla stanchezza?
I
guidatori sanno cosa dovrebbero fare se dovessero accusare sonnolenza?
I
guidatori sono pienamente consapevoli delle dimensioni del veicolo (ad esempio
altezza a vuoto e a pieno carico, ecc.)?
E’
stato stanziato un budget per l’addestramento?
CONDIZIONI
FISICHE
I
guidatori sono in condizioni fisiche adeguate per guidare in sicurezza e non
mettere essi stessi o altri in condizioni di rischio?
I
guidatori per i quali sono richiesti per legge particolari requisiti medici,
hanno i certificati appropriati?
Anche
in caso non sia previsto dalla legge, i lavoratori maggiormente a rischio
ricevono sorveglianza sanitaria?
Sono
stati avvisati i guidatori che non possono condurre veicoli se sono sottoposti
a trattamenti farmacologici che possono influire sulle loro capacità (ad
esempio diminuzione dei tempi di reazione, ecc.)?
IL
VEICOLO
ADEGUATEZZA
I
veicoli sono adatti per l’uso a cui sono destinati?
Verificate
prima dell’acquisto che i veicoli siano i migliori dal punto di vista della
guida e della sicurezza?
Vi
siete assicurati che ogni veicolo della vostra flotta sia adatto all’utilizzo a
cui è destinato?
Avete
pensato di integrare o rinnovare la vostra flotta con veicoli in leasing o a
noleggio?
Vi
assicurate che i veicoli privati non siano usati per lavoro (a meno che non
siano assicurati anche a tale scopo)?
CONDIZIONI
I
veicoli sono mantenuti in condizioni di sicurezza adeguate?
Sono
previste adeguate procedure di manutenzione?
Come
vi assicurate che manutenzione e riparazioni siano effettuate in modo
accettabile?
La
manutenzione è programmata in accordo alle raccomandazioni del produttore?
I
vostri guidatori sanno come effettuare i controlli basilari di sicurezza?
Come
vi assicurate che il carico dei veicoli non ecceda il massimo peso consentito?
La
merce e gli equipaggiamenti che devono essere trasportati possono essere
assicurati adeguatamente (ad esempio per evitare che si muovano liberamente
distraendo il guidatore)?
I
tergicristalli sono controllati con regolarità e sostituiti se necessario?
EQUIPAGGIAMENTI
DI SICUREZZA
Gli
equipaggiamenti sono correttamente conservati e gestiti?
L’equipaggiamento
di sicurezza è appropriato e in buone condizioni?
Le
cinture di sicurezza ed i poggiatesta sono regolati e funzionano correttamente?
INFORMAZIONI
CRITICHE PER LA SICUREZZA
I
guidatori hanno accesso alle informazioni che li aiutano a ridurre i rischi?
Avete
pensato al modo migliore con cui rendere disponibili le informazioni ai
guidatori (ad esempio pressione raccomandata degli pneumatici, regolazione dei
fari per compensare l’effetto del carico, regolazione dei poggiatesta per
compensare gli effetti del colpo di frusta, azioni da fare se si ritiene che il
veicolo non sia sicuro e chi si dovrebbe contattare)?
ERGONOMIA
La
salute e la sicurezza dei guidatori sono messe a rischio da posizioni di guida
scorrette o da postura inappropriata?
Prendete
in considerazione le questioni ergonomiche prima di acquistare o noleggiare
nuovi veicoli?
Fornite
ai conducenti dei veicoli guide sulla postura corretta e sul modo giusto di
sedersi al posto di guida?
LO
SPOSTAMENTO
I
PERCORSI
Si
esegue una pianificazione completa dei percorsi?
Pianificate
i percorsi in modo adeguato?
Avete
la possibilità di usare i percorsi più sicuri e appropriati rispetto alle
caratteristiche del veicolo utilizzato?
La
vostra pianificazione dei percorsi prende sufficientemente in conto vincoli
come ponti, tunnel e altri punti critici (ad esempio passaggi a livello) che
possono essere pericolosi per i veicoli più grandi?
LA
PROGRAMMAZIONE
Si
programmano gli spostamenti in modo realistico?
Prendete
in sufficiente considerazione i periodi nei quali i guidatori sono più soggetti
a sonnolenza quando pianificate gli spostamenti?
Avete
previsto misure per interrompere la guida dei conducenti in caso di sonnolenza,
anche se questo potrebbe pregiudicare i tempi pianificati?
Controllate
regolarmente i cronotachigrafi (se possibile) per assicurarvi che i guidatori
rispettino velocità e tempi di sosta definiti?
Cercate
di evitare i periodi di picco del traffico?
Fate
una pianificazione “più morbida” per i conducenti meno esperti?
IL
TEMPO
Siete
sicuri che il tempo stimato sia sufficiente per completare in sicurezza ogni
spostamento?)
La
vostra pianificazione dei tempi è realistica?
I
tempi di viaggio tengono conto del tipo e delle condizioni delle strade e delle
pause per il riposo?
La
politica aziendale mette i guidatori sotto pressione e li induce a prendere
rischi non necessari (ad esempio eccedere la velocità di sicurezza a causa di
tempi di arrivo prefissati)?
I
guidatori possono fare un pernottamento, piuttosto che dover essere costretti a
fare un lungo spostamento al termine della giornata lavorativa?
Avete
valutato di segnalare al personale che lavora su orari irregolari quali sono i
pericoli del tornare a casa dopo il lavoro, se sono molto stanchi e in queste
circostanze, possono considerare delle alternative (ad esempio l’uso del taxi)?
LA
DISTANZA
Siete
sicuri che i guidatori non siano messi a rischio a causa della stanchezza data
da percorrenze eccessive senza pause?
Siete
confidenti che i guidatori non siano messi a rischio a causa della stanchezza
causata dalla guida per lunghe distanze senza pause adeguate?
Potete
eliminare gli spostamenti più lunghi su strada o ridurli combinandoli con altri
metodi di trasporto?
Effettuate
una pianificazione dei viaggi in modo tale che non siano lunghi al punto di
provocare stanchezza o sonnolenza?
Quali
criteri seguite per assicurarvi che ai guidatori non sia richiesto di lavorare
per un periodo molto lungo durante la giornata?
CONDIZIONI
METEO
Siete
sicuri che sia data sufficiente importanza alle condizioni meteo avverse in
fase di pianificazione dei viaggi?
Tempi
e percorsi degli spostamenti possono essere modificati per tenere in conto le
cattive condizioni meteo?
Siete
confidenti che i veicoli siano equipaggiati adeguatamente per operare in
condizioni meteo difficili?
Siete
sicuri che i guidatori sappiano bene quali azioni dovrebbero fare per ridurre
il rischio?
Siete
sicuri che i guidatori non si sentano “pressati” per completare il viaggio se
le condizioni meteo sono molto difficili?
La check list è stata tratta dal documento inglese
“Driving at work: Managing work-related road safety” pubblicato da Health and Safety
Executive.
Le
indicazioni fornite sono perfettamente applicabili in ogni parte del mondo.
PRONTO SOCCORSO E
GESTIONE DELLE EMERGENZE NEI CANTIERI EDILI
Da:
PuntoSicuro
16
giugno 2016
Indicazioni
sulla gestione delle emergenze e sui servizi di cantiere correlati. La
normativa sul pronto soccorso aziendale, i presidi sanitari, gli addetti al
primo soccorso, gli addetti alla prevenzione incendi e al servizio di
evacuazione.
Per
affrontare un tema rilevante per la sicurezza nei cantieri edili come la
gestione delle emergenze, ci soffermiamo su alcuni materiali didattici, in
materia di “Organizzazione del cantiere”, pubblicati sul sito web del
Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università degli Studi di
Napoli Federico II e a cura del Professor Fabrizio Leccisi.
Nella
parte del materiale dedicata ai “servizi di cantiere” si indica che la gestione
delle emergenze si attua attraverso l’istituzione, da parte del datore di
lavoro dell’impresa affidataria dei lavori dei servizi:
-
per
la gestione delle emergenze;
-
di
pronto soccorso;
-
antincendio;
-
di
evacuazione dei lavoratori;
-
di
salvataggio nei lavori in sotterraneo.
Si
ricorda che gli addetti di questi servizi sono lavoratori della ditta
esecutrice dei lavori formati con idonei corsi a carico del datore di lavoro.
Nel cantiere deve essere sempre assicurata la presenza di tali addetti.
Si
segnala inoltre che il Decreto del Ministero della Salute n. 388 del 15 luglio
2003, “Regolamento recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, in
attuazione dell’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, e successive modificazioni”, ha classificato tutte le aziende
ovvero le unità produttive in 3 gruppi individuati con le lettere A, B e C, fissando
per ciascuno di questi gruppi l’organizzazione di pronto soccorso obbligatoria.
In
edilizia i vari gruppi risultano così definiti:
-
gruppo
A: cantieri per lavori in sotterraneo di cui al D.P.R. 20 marzo 1956 n. 320,
imprese con oltre 5 lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi tariffari
INAIL con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a 4, quali
desumibili dalle statistiche nazionali INAIL relative al triennio precedente ed
aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno;
-
gruppo
B: imprese con 3 o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A;
-
gruppo
C: imprese con meno di 3 lavoratori che non rientrano nel gruppo A.
Per
le aziende dei gruppi A e B sono previste le seguenti attrezzature di pronto
soccorso:
-
una
cassetta di pronto soccorso, da eventualmente integrare sulla base dei rischi
presenti e su indicazione del medico competente, se previsto, e del sistema di
emergenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, della quale sia costantemente
assicurata la completezza e il corretto stato d’uso dei presidi contenuti;
-
un
mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza
del Servizio Sanitario Nazionale.
Per
le aziende di gruppo C le attrezzature sono invece:
pacchetto
di medicazione;
un
mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza
del Servizio Sanitario Nazionale.
Inoltre
in ogni cantiere devono dunque essere disponibili i presidi sanitari
indispensabili per prestare le prime immediate cure ai lavoratori feriti o
colpiti da malore improvviso.
Le
attrezzature minime di equipaggiamento, i dispositivi di protezione individuale
per gli addetti al primo intervento interno e al pronto soccorso ed il
materiale di primo soccorso, cassetta di pronto soccorso o pacchetto di
medicazione, vanno tenuti in un posto pulito e conosciuto da tutti, riparato
dalla polvere, ma non chiuso a chiave, facilmente accessibile e individuabile
con segnaletica appropriata per evitare perdite di tempo al momento in cui se
ne ha bisogno.
Nel
materiale didattico si indica la possibilità di istituire nei grandi cantieri
anche altri posti di pronto soccorso e si segnala che è opportuno valutare i
presidi medico-chirurgici con il medico competente, se previsto, e con il
sistema di emergenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, in relazione
alla particolarità dei lavori e sulla base dei rischi presenti in cantiere. I
presidi devono, in tutti i casi, essere corredati da istruzioni complete sul
corretto stato d’uso degli stessi e sui primi soccorsi da prestare
all’infortunato in attesa del medico.
Dopo
aver riportato indicazioni sul contenuto del pacchetto di medicazione e della
cassetta di pronto soccorso, il documento universitario si sofferma sugli
addetti alle emergenze.
Se
segnala che l’incarico di addetto alla prevenzione incendi ed evacuazione e
quello di addetto al primo soccorso può essere ricoperto sia dal datore di
lavoro titolare sia da un dipendente dell’impresa. I lavoratori non possono, se
non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. E i vari addetti devono
essere opportunamente formati e dotati delle attrezzature adeguate.
Questi
sono i compiti degli addetti al primo soccorso:
-
mantenere
in efficienza i presidi medico aziendali, cassetta o pacchetto di pronto
soccorso;
-
aggiornare
i recapiti telefonici dei servizi pubblici competenti;
-
intervenire
in caso d’infortunio, evitando che l’infortunato venga soccorso in modo non corretto.
In
particolare riguardo al servizio di pronto soccorso, si indica che in funzione
della natura delle attività e delle dimensioni del cantiere, devono essere
presi i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso ed assistenza
medica di emergenza, rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei
lavoratori infortunati. All’attuazione di tali provvedimenti devono essere designati
uno o più lavoratori incaricati, se non vi provvede direttamente il datore di
lavoro.
Per
i lavori in sotterraneo e quelli esterni connessi, con più di 150 lavoratori per
turno ed in quelli in cui, indipendentemente dal numero di lavoratori, vi è o
sia probabile la presenza di gas infiammabili o esplodenti, il numero di
lavoratori volontari idonei prescelti per operazioni di soccorso o di
salvataggio deve essere non inferiore a 9, designando anche elementi di
riserva. In tali cantieri devono essere tenuti disponibili almeno 4
autorespiratori con un numero adeguato di bombole di ossigeno di ricambio e gli
altri mezzi di emergenza necessari.
Veniamo
al servizio antincendio.
Il
documento universitario segnala che in relazione al tipo di attività, al numero
di lavoratori occupati e ai fattori di rischio devono essere individuate e
messe in atto le misure di prevenzione incendi e di gestione delle emergenze
conseguenti, nonché le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione
e protezione antincendio.
Chiaramente
i dispositivi per combattere l’incendio devono risultare adeguati ai rischi e
facilmente accessibili ed utilizzabili.
Concludiamo
parlando del servizio di evacuazione e salvataggio.
Infatti
sempre in relazione al tipo di attività, al numero dei lavoratori occupati e ai
fattori di rischio, vanno anche definite misure che consentano ai lavoratori,
in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, di cessare la
loro attività, ovvero mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il posto
di lavoro.
In
particolare le misure devono essere contenute in apposito piano di evacuazione,
e devono essere individuati i soggetti incaricati della gestione di tale piano.
Il piano di evacuazione deve essere reso noto a tutti i lavoratori interessati
ed esposto in cantiere. I soggetti incaricati del servizio di evacuazione dei
lavoratori nelle situazioni di pericolo grave ed immediato, devono accertarsi
che tutti i lavoratori abbiano abbandonato i posti di lavoro o la zona di
pericolo e mettere in atto le relative procedure di emergenza.
Il
documento del Dipartimento Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università
degli Studi di Napoli Federico II, “Organizzazione del cantiere. Impianto di
cantiere. I servizi di cantiere. Viabilità di cantiere” è scaricabile
all’indirizzo:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI PROTEGGONO ADEGUATAMENTE GLI OCCHI
Da: PuntoSicuro
16 giugno 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati all’uso errato
o al mancato uso dei Dispositivi di Protezione Individuale DPI per la
protezione degli occhi. La manutenzione di linee elettriche e le conseguenze
delle schegge. La dinamica degli infortuni, i fattori causali e la prevenzione.
In “Imparare dagli errori”, la rubrica
dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, si siamo
soffermati in questi anni più volte sulle problematiche relative ai DPI,
dispositivi che nei luoghi di lavoro a volte possono essere inadatti, assenti,
non utilizzati, usati male, in cattive condizioni.
Dispositivi che, come si può visualizzare
nelle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di
infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e
gravi, non sono quasi mai il principale fattore causale dell’incidente, ma la
cui assenza rende l’infortunio possibile o più grave.
Operando una ricerca su INFOR.MO. in
relazione ai casi gravi di infortunio correlati a DPI e abbigliamento,
compaiono tre diverse categorie:
-
uso
errato o mancato uso (anche se disponibile) di DPI;
-
inadeguatezza
strutturale o deterioramento di DPI;
-
DPI
non fornito.
Ci soffermiamo ora sulla prima categoria
individuata. Quanti sono i casi di infortunio grave in cui è rilevabile un
errato uso o un mancato uso di DPI disponibili in azienda? Sicuramente ancora
troppi.
Per aumentare la consapevolezza
dell’importanza dell’uso adeguato dei DPI, riporteremo alcuni casi di
infortunio e alcune informazioni sui DPI, sul loro uso, sulla scelta e la manutenzione,
in questo caso ci occuperemo dei dispositivi per la protezione del viso e degli
occhi.
I CASI
Il primo caso riguarda un infortunio in
attività di manutenzione di linee elettriche.
Un manutentore si trova, assieme a due
colleghi, in una zona di campagna per effettuare un intervento di manutenzione
su un palo di una linea elettrica.
Dopo aver messo in sicurezza il tratto di
linea interessato dai lavori (installando su di un palo il dispositivo di messa
in corto circuito e a terra), effettua i lavori, e al termine di questi, risale
sulla scala a pioli in alluminio appoggiata al palo, per scollegare e
recuperare il dispositivo di cui sopra, ma nello scendere a terra, viene
colpito da un ramoscello dell’albero che si trova a fianco del palo, riportando
un trauma penetrante del bulbo con incarceramento dell’iride nella ferita
corneale.
L’infortunato ha riferito successivamente che
“probabilmente il ramoscello, dapprima incastrato tra altri rami, per un suo
movimento durante la discesa, si liberava, tornando repentinamente nella sua
posizione naturale. L’azienda ha fornito ai propri lavoratori, quali DPI, anche
degli schermi facciali, ma nelle procedure aziendali non è previsto che questi
vengano utilizzati nelle suddette operazioni”. Ma nella valutazione dei rischi,
nella scelta dei DPI e nelle procedure aziendali si era tenuto conto di tutti i
rischi per i lavoratori?
Questi i fattori causali identificati nella
scheda:
-
nello
scendere dalla scala urta alcuni rami dell’albero presente a fianco del palo;
-
schermo
facciale non previsto e quindi non utilizzato.
Il secondo caso riguarda un infortunio con
ferita all’occhio sinistro di un lavoratore.
Un lavoratore sta rifinendo una scatola di
ferro quando, nel tentativo di rimuovere un eccesso di saldatura con martello e
scalpello nuovo, una scheggia di questo eccesso di saldatura colpisce il suo
occhio sinistro.
E’ stato accertato successivamente che il
lavoratore utilizzava gli occhiali di protezione in modo non adeguato.
Questi i fattori causali dell’incidente
rilevati dalla scheda:
-
lo
scalpello, nuovo, si scheggiava;
-
il
lavoratore utilizzava gli occhiali di protezione in modo non adeguato.
LA PREVENZIONE
Sono tanti i documenti pubblicati in questi
anni che hanno affrontato il tema dei DPI e dell’importanza di utilizzarli
adeguatamente per prevenire infortuni più o meno gravi.
Riprendiamo oggi una scheda informativa
pubblicata dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro
(SPISAL) dell’Azienda ULSS 9 di Treviso dedicata alla protezione degli occhi e
intitolata “Occhiali per la protezione degli occhi contro la proiezione di
schegge”.
La scheda ricorda, ad esempio, che in Veneto
tra il 2009 e il 2011 sono stati denunciati all’INAIL ben 8.906 infortuni agli
occhi, cioè in media circa 3.000 infortuni all’anno. E sicuramente molti
infortuni agli occhi non vengono denunciati perché generalmente non comportano
lunghe assenze dal lavoro.
Nella scheda si sottolinea che nonostante
l’apparente lievità anche lesioni minime agli occhi possono provocare gravi
conseguenze per la vista se insorgono complicanze infettive o si formano
cicatrici nella cornea in corrispondenza della pupilla. Conseguenze che possono
determinare lesioni permanenti indennizzabili (superiori al 5%), seri danni
alla vista, fino alla perdita del bulbo oculare.
Ed è dunque evidente che nei luoghi di lavoro
è perciò necessario adottare sempre tutti gli accorgimenti necessari per
proteggere gli occhi.
La scheda ricorda che il maggior numero di
infortuni denunciati agli occhi negli ultimi tre anni si registra in
metalmeccanica (2.334) e in edilizia (1.666). E un caso particolare è quello
degli agenti chimici: con questi agenti gli infortuni non sono molto numerosi,
ma sono spesso gravi quando sono coinvolte sostante corrosive.
E cosa fare per la prevenzione?
Si segnala che se la prevenzione si deve
basare innanzitutto sull’adozione di misure protettive di tipo collettivo, per
questa tipologia di rischio spesso è inevitabile ricorrere anche all’uso dei
DPI, come occhiali e schermi.
Riportando le indicazioni della scheda su
cosa deve fare, per questa tipologia di prevenzione, il datore di lavoro, il
preposto e i lavoratori.
Il datore di lavoro (o il dirigente) deve:
-
valutare
i rischi e individuare le misure di protezione più idonee;
-
assicurarsi
che le attrezzature siano dotate degli schermi di protezione contro la
proiezione di materiali, se previsti (protezione collettiva);
-
se
necessario usare anche i DPI, esporre la segnaletica che indica l’obbligo di
utilizzare gli occhiali protettivi in prossimità del posto di lavoro in cui è
presente il rischio;
-
fornire
i DPI idonei ai lavoratori;
-
informare,
formare ed addestrare i lavoratori all’uso dei DPI;
-
formare
i preposti;
-
vigilare
sulla sicurezza delle attrezzature e sull’uso dei DPI da parte dei lavoratori.
Invece il preposto deve:
-
vigilare
sull’uso dei DPI da parte dei lavoratori, richiederne l’uso e informare il
datore di lavoro (o il dirigente) sulle inadempienze dei lavoratori;
-
segnalare
al datore di lavoro (o al dirigente) le deficienze dei DPI e ogni condizione di
pericolo di cui venga a conoscenza.
I lavoratori devono:
-
osservare
le disposizioni aziendali ai fini della protezione collettiva e individuale;
-
utilizzare
correttamente i DPI;
-
segnalare
al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei DPI e ogni
condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza;
-
non
rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o
segnalazione o controllo;
-
partecipare
ai programmi di formazione e addestramento.
Si ricorda infine che anche i lavoratori
autonomi devono utilizzare correttamente DPI idonei rispetto al rischio a cui
sono sottoposti.
Il link del sito web di INFOR.MO è:
UNA NUOVA DENUNCIA
CONTRO L’ABOLIZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI
Da:
PuntoSicuro
17
giugno 2016
di
Tiziano Menduto
E’
stata presentata alla Commissione Europea una denuncia relativa all’abolizione
dell’obbligo di tenuta del registro infortuni come prevista dal D.Lgs. 151/15
(uno dei Decreti attuativi del Jobs Act). I possibili punti di violazione con
il diritto europeo e la mancanza del Sistema Informativo Nazionale per la
Prevenzione (SINP).
“L’abolizione del registro infortuni non è una
mera trasformazione e semplificazione, pur auspicabile, dell’obbligo di
documentazione del datore di lavoro; essa consiste invece in una vera e propria
cancellazione, non sostituita [...] da alcuna misura equipollente”.
Ad
affermarlo è una recente denuncia della Confederazione Generale Italiana del
Lavoro (CGIL) alla Commissione Europea sull’ abolizione del registro infortuni
prevista da uno dei Decreti attuativi del “Jobs Act” (legge 10 dicembre 2014,
n. 183).
Una
denuncia ricevuta dalla Commissione Europea e protocollata con numero
CHAP(2016)01863.
Sulle
vicende dell’abolizione del registro infortuni (operata dal D.Lgs. 151/15
“Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli
adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di
rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre
2014, n. 183”) è già intervenuto più volte il nostro giornale.
Sia
per raccontare come si sia arrivati a questa imprevista abolizione (per lo meno
in mancanza dell’istituzione del SINP, il sistema informatizzato per la
gestione degli infortuni e delle malattie professionali), sia per presentare
una analoga denuncia fatta già nel 2015 alla Commissione Europea dall’RLS
toscano Marco Bazzoni.
Prima
di riprendere il testo della denuncia della CGIL presentiamo per chiarezza
quanto riportato dal D.Lgs. 151/2015 all’articolo 20, comma 1, lettera h):
“Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81,
sono apportate le seguenti modificazioni:
[...]
all’articolo 53,
comma 6, le parole «al registro infortuni ed» sono soppresse;
[...]”.
e
all’articolo 21, comma 4:
“A decorrere dal novantesimo giorno
successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, è abolito
l’obbligo di tenuta del registro infortuni”.
Con
il D.Lgs. 151/2015 si arriva dunque alla soppressione del riferimento al
registro infortuni nell’articolo 53 del D.Lgs. 81/08 e all’abolizione
dell’obbligo di tenuta del registro infortuni dal 23 dicembre 2015.
La
denuncia sindacale indica tuttavia che questa abolizione sarebbe in contrasto
con quanto stabilito dall’articolo 9, paragrafo 1, lettera c) della Direttiva
89/391/CE, in base al quale il datore di lavoro deve “tenere un elenco degli infortuni sul lavoro che abbiano comportato per
il lavoratore un’incapacità di lavorare superiore a tre giorni di lavoro” e
conseguentemente con le disposizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 3,
lettera b) della medesima Direttiva, in base al quale “i lavoratori che hanno una funzione specifica in materia di protezione
della sicurezza e della salute dei lavoratori o i rappresentanti dei lavoratori
i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e
della salute dei lavoratori devono avere accesso all’elenco e alle relazioni di
cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere c) e d)”.
Inoltre,
continua la denuncia, l’abolizione del registro infortuni comprometterebbe
seriamente le fondamentali funzioni di consultazione dei rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza di cui all’articolo 12 della medesima Direttiva,
posto che la consultazione preventiva deve vertere, anche sulle “informazioni di cui all’articolo 9,
paragrafo 1 e all’articolo 10”.
La
denuncia precisa poi che l’abolizione del registro infortuni (introdotto dal
D.P.R. 547/55 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”) era già
stata prevista dal D.Lgs. 81/08 (articolo 53, comma 6). La cancellazione del
registro sarebbe derivata dall’abrogazione della norma che lo istituiva di cui
al D.Lgs. 626/94. Il legislatore ha ritenuto che tale obbligo avrebbe ben
potuto essere sostituito da quello introdotto dall’articolo 18, comma 1, lettera
r) del D.Lgs. 81/08 stesso, in base al quale il datore di lavoro ha l’obbligo
di “comunicare in via telematica
all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro [SINP] di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla
ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le
informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal
lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento”, precisando altresì
che “l’obbligo di comunicazione degli
infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre
giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui
all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124”.
Il
problema, al di là di altri dubbi di conformità con la normativa europea
sollevati dalla denuncia, è legato al fatto che successivamente non si ebbe
alcuna concreta innovazione, perché la nuova disciplina di cui al D.Lgs. n.
81/08 non entrò mai in vigore.
In
particolare il comma 1-bis del medesimo articolo 18 del D.Lgs. 81/08 stabiliva
che le disposizioni relative alla tenuta del registro infortuni sarebbero
rimaste in vigore fino all’emanazione del decreto istitutivo del SINP e per i
sei mesi successivi. E non essendo mai stato istituito il SINP, l’obbligo di
tenuta del registro infortuni è sostanzialmente rimasto in vigore sino alla
nuova previsione della sua abolizione di cui all’articolo 21 del D.Lgs. 151/15.
E,
continua il documento della CGIL, la comunicazione all’ente previdenziale
dell’infortunio, che costituisce l’unico obbligo che resta in vigore a carico
del datore di lavoro, non può considerarsi equipollente alla tenuta del
registro.
Essa,
infatti, presenta alcuni rilevanti limiti. Anzitutto, e per quanto dettagliata
sia la comunicazione, non è affatto garantito che il soggetto che poi vi accede
riesca ad avere contezza del dato storico ovvero a ricostruire le dinamiche
aziendali con una visione d’insieme degli infortuni che si sono verificati in
un’azienda nel corso del tempo, delle loro dinamiche e modalità, elemento
questo indispensabile per le funzioni preventive, poiché solo dall’analisi
complessiva degli eventi è possibile verificare se un determinato infortunio
sia frutto di dinamiche del tutto casuali, di cause di forza maggiore o di una
carenza di prevenzione.
Invero
la disponibilità di tali dati e le modalità con cui vi si accede sembrano del
tutto rimesse alla prassi amministrativa. Le modalità di registrazione dei
dati, la loro conservazione, il tempo di conservazione e le condizioni per
l’accesso dipenderanno insomma dal come verrà istituito e regolamentato il SINP
tuttora in attesa di realizzazione.
Secondo
la denuncia un altro punto di violazione della Direttiva riguarda la
conservazione nel tempo dei dati, in quanto la disposizione di legge, “abolendo
l’obbligo di tenuta del registro infortuni, con effetto dal 23 Dicembre 2015,
incide non solo sugli eventi infortunistici successivi a tale data, ma
potenzialmente anche su quelli precedenti ; quindi, abolendo l’obbligo di
tenuta del registro, non si impone affatto la conservazione dello stesso, anche
con riferimento a quelli antecedenti all’entrata in vigore delle nuove
disposizioni”.
Si
ricorda che l’INAIL, con circolare n. 92 del 23 dicembre 2015, ha tentato di
sopperire al vuoto normativo mediante il rilascio del cosiddetto “Cruscotto
infortuni”. La finalità dell’istituzione del Cruscotto è quella di fornire i
dati agli organi preposti all’attività di vigilanza; e infatti l’accesso è
consentito soltanto agli ispettori delle aziende sanitarie locali, dell’INAIL e
dell’Ispettorato del lavoro (Direzioni territoriali del lavoro), mediante
l’inserimento di credenziali. L’accesso ai dati del singolo infortunio inoltre
sarà consentito solo mediante il possesso del codice fiscale del soggetto
infortunato. Agli utenti esterni (all’amministrazione) è permesso l’accesso
solo a informazioni di carattere generale, mediante numero verde gratuito.
Tuttavia
se con la circolare l’INAIL si è espresso “nel senso della conservazione del
registro contenente i dati fino al dicembre 2015”, la CGIL ritiene che la
circolare comunque si tratta di “una disposizione che non garantisce
un’adeguata tutela degli interessi protetti: trattandosi di disposizioni
soggette alle regole e ai principi generali che informano il diritto penale e
amministrativo, prevarrebbe sempre l’interpretazione più favorevole al reo,
sicché il datore di lavoro potrebbe sempre opporsi alla sanzione che gli
venisse eventualmente comminata per la mancata tenuta del registro contenente i
dati fino al 2015”.
La
circolare n. 92/2015, dunque, non è in grado di garantire che “l’obbligo
prescritto dalla Direttiva europea sia corredato da sanzioni effettive,
proporzionate e dissuasive”.
Infine
secondo la denuncia alla Commissione Europea l’abolizione del registro
infortuni limiterebbe “gravemente il diritto del lavoratore a condizioni di
lavoro giuste ed eque di cui all’articolo 31 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea”. E sarebbero violati anche l’articolo 35
della Carta relativo alla protezione della salute, nella misura in cui
l’abolizione del registro infortuni non consente l’accesso dei cittadini UE a
misure di prevenzione adeguate, e l’articolo 27 relativo al “diritto
all’informazione e consultazione dei lavoratori nell’ambito dell’impresa”.
Il
documento “Violazione da parte dell’articolo 22 del D.Lgs. 151/15 della
Direttiva 89/391/CE”, punto 6/7/8/9 della denuncia della CGIL alla Commissione
Europea è scaricabile all’indirizzo:
Il
documento della Commissione Europea Direzione Generale Occupazione, affari
sociali e inclusione “Prima risposta della Commissione Europea del 6 giugno
2016 alla denuncia della CGIL” è scaricabile all’indirizzo:
Il
Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di
razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a
carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di
lavoro e pari opportunità, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183”
è consultabile all’indirizzo:
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