INDICE
Dante De Angelis deangelisdante@gmail.com
STRAGE DI VIAREGGIO, MARCO PIAGENTINI E IL
CORTOMETRAGGIO "OVUNQUE PROTEGGI" PREMIATI A CANNES
Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
ALLA
GUERRA QUOTIDIANA PER IL PROFITTO DEI PADRONI, SERVE RISPONDERE CON LA GUERRA DI CLASSE DEGLI
OPERAI
Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
DONNE, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO NEI CAMPI DEL “GHETTO ITALIA”
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
LA FRANCIA E NOI: 5 BREVI
RIFLESSIONI
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
ALTERNANZA
SCUOLA-LAVORO: CONFINDUSTRIA STRINGE L'ACCORDO
Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
SOLIDARIETA’ PER GINA DE ANGELI
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 5 MESI DEL 2016
MicroMega kwdirect@newsletter.kataweb.it
IN
NOME DEL POPOLO O DEI MERCATI INTERNAZIONALI?
Posta Resistenze
posta@resistenze.org
NE ABBIAMO ABBASTANZA!
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
ITALIA: 4 GIORNI PER FERMARE IL GLISOFATO
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
8 GIUGNO:
ASSEMBLEA NAZIONALE DEI FERROVIERI
---------------------
From: Dante De Angelis deangelisdante@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, May 25, 2016 12:46 PM
Subject: STRAGE DI VIAREGGIO, MARCO PIAGENTINI E IL CORTOMETRAGGIO "OVUNQUE
PROTEGGI" PREMIATI A CANNES
Cari,
il
cortometraggio "Ovunque Proteggi", pochi giorni fa ha ricevuto, al
festival del cinema di Cannes, il prestigioso riconoscimento ottenuto al Global
Short Film Awards 2016 di New York.
Premiati
Marco Piagentini, vittima-simbolo della strage e gli autori, Massimo Bondielli
e Luigi Martella.
Purtroppo
al di fuori della Versilia queste notizie, pur se di rilevanza internazionale,
circolano poco.
Sotto
tre articoli che meritano di essere divulgate.
Ciao
Dante
Dante
*
* * * *
Il Tirreno
21
maggio 2016
di Donatella
Francesconi
IL FILM SULLA STRAGE APPRODA A CANNES
OGGI LA
PREMIAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO “OVUNQUE PROTEGGI”
SUL PALCO IL REGISTA MASSIMO BONDIELLI INSIEME A MARCO PIAGENTINI
La vittoria a New
York, il riconoscimento a Cannes: così la strage di Viareggio diventa
internazionale nella comunicazione oltre che nei fatti. Visto che la Gatx, multinazionale
proprietaria dei carri merce deragliata è made in Usa, e l’Europa gioca un
ruolo centrale nelle inadempienze che hanno portato al disastro ferroviario da
trentadue morti.
Il cortometraggio
“Ovunque proteggi”, firmato dai registi Massimo Bondielli e Luigi Martella, ha
trionfato a New York, vincendo il Global Short Film Awards. Ed oggi il
documentario prodotto dalla Caravanserraglio Film Factory riceverà la sua
consacrazione a Cannes, nella giornata finale del Festival internazionale.
A Cannes saranno
Daniela Rombi con il marito Claudio Menichetti (genitori di Emanuela
Menichetti, morta a 21 anni dopo 40 giorni di agonia per le ustioni riportate)
e Marco Piagentini con il figlio Leonardo, ed altri familiari delle vittime
della strage. Sul palco, al momento della premiazione, salirà solo Piagentini
insieme a Bondielli. E lì risuoneranno le parole che in tutto il mondo
ricorderanno quella notte di sette anni fa, quando tutto è cambiato, a un passo
dall’estate di bimbi e mare che si è tinta in un attimo di fuoco, fumo e
sangue.
“Sono questi i
momenti in cui rivivi, rivedi quel giorno con gli occhi degli altri”, racconta
Marco Piagentini in partenza per Cannes. Marco che per tutta la vita lotterà
con le conseguenze delle ustioni su tutto il corpo, ma che oggi avrà vicino a sé
il figlio Leonardo, che quella notte ha perso d’un colpo la mamma Stefania
Maccioni ed i fratellini Luca e Lorenzo. Il retro della copertina del
cortometraggio (disegnata da Chiara Rapaccini) c’è il disegno che Leonardo,
ricoverato in ospedale dopo essere stato salvato con un intervento delicatissimo
dai vigili del fuoco, consegnò all’allora presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano.
“Oggi condivido con
Leonardo questo momento”, racconta suo padre, “ed è un valore aggiunto. Mio
figlio oggi è vicino a me ed è l’aspetto più bello”.
Perché ancora una
volta i familiari delle vittime affrontano un mondo che non è il loro, un mondo
che racconta storie, ma quella di “Ovunque proteggi” non è fantasia.
“A Cannes, come pure
in questi anni ovunque siamo andati, io, Daniela e tutti gli altri” - continua
Piagentini - “portiamo un valore assoluto: quanto accaduto la notte del 29
giugno 2009. A
quello che è successo in quelle ore, a quello che è successo alle nostre vite
da lì in poi, non ci può essere smentita”.
Parole pronunciate
con tutta la dignità che i familiari delle vittime della strage di Viareggio
hanno sempre dimostrato e dimostrano a ogni udienza di un processo che dura
ormai dal 13 novembre 2013. E che chiama in causa le responsabilità dell’intera
catena di controllo e gestione del trasporto ferroviario di merci pericolose in
tutta Europa. “Dopo il consiglio comunale del 9 giungo” - annuncia Piagentini,
che è presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei”, nata per riunire i
familiari delle vittime della strage - “saremo in Regione. Ma si rende
necessario anche un nuovo passaggio in Europa, perché quello che è accaduto a
Viareggio sette anni fa riguarda ancora, e ancora di più, l’Europa intera”. Che
in dieci anni non è riuscita a prendere una decisione in materia di adozione
obbligatoria dei dispostivi anti svio.
“Una tragedia
avvenuta senza nessuna giustificazione di nessun genere”, sono le parole del
regista Mario Monicelli, il cui intervento a Viareggio, subito dopo la strage,
chiude il cortometraggio. Una partecipazione concreta, vera, sentita, forte
quella di Monicelli in quei giorni. Tanto che tra le decine di migliaia di
firme raccolte in quell’estate per chiedere le dimissioni di Mauro Moretti,
all’epoca dei fatti Amministratore Delegato di Ferrovie, oggi tra gli imputati
per il disastro.
*
* * * *
La Nazione
23 maggio 2016
di Paolo Di Grazia
PIAGENTINI STREGA LA PLATEA DI CANNES:
"IO QUELLA NOTTE MALEDETTA ERO LI’..."
COMMOZIONE
MENTRE RITIRA IL GLOBAL SHORT PER “OVUNQUE PROTEGGI”
“Io
quella sera ero lì...”. Sono bastate queste poche, semplici parole per consentire a Marco Piagentini di catturare l’attenzione
della platea internazionale dell’hotel Intercontinental Carlton di Cannes e per
far calare il silenzio assoluto nella cena di gala organizzata nell’ambito del
Festival del cinema.
Il
pubblico aveva da poco visto e applaudito “Ovunque proteggi” il documentario
capolavoro di Massimo Bondielli e Luigi Martella in cui Marco, insieme a
Daniela Rombi, recita da attore protagonista. Un corto premiato come miglior
documentario al Global Short Film Awards di New
York.
Massimo Bondielli e
Marco Piagentini, entrambi con un inappuntabile smoking, lo hanno ritirato
sabato sera a Cannes e, nell’occasione, Marco ha potuto parlare per poco più di
un minuto. Tutti col fiato sospeso a sentire le sue parole: “Io quella sera ero
lì” – ha esordito – “e qui rappresento 32 persone scomparse per negligenza,
imperizia e incuria dei massimi livelli delle Ferrovie dello Stato. Quello che avete visto è che 32 persone innocenti sono
state portate via dal fuoco nelle loro case. Noi siamo gli ambasciatori di
queste 32 vittime che non avevano mai girato il mondo ma che adesso cerchiamo
di far conoscere al mondo”.
Una sala che è
rimasta in silenzio in attesa della traduzione in inglese e che si è poi
lasciata andare in un lungo applauso. Non è facile per Marco, come mai lo era
stato per Daniela Rombi, mettere in piazza i suoi sentimenti, le sue emozioni.
Mentre percorreva il Red Carpet, le immagini di sua moglie e dei suoi due
figlioletti, gli saranno rimbombate mille volte nella testa, proprio come
raffigurato nel cortometraggio.
“Per noi non è una
gita di piacere. Ogni volta facciamo violenza a noi stessi” - ha detto ieri
Marco al rientro in Italia - “E’ una fatica mentale terribile. Eravamo in un
luogo che non ci appartiene, ma avevamo di fronte una platea di oltre 200
persone arrivate da tutto il mondo. L’importante per noi era rappresentare il
nostro messaggio di ricerca di verità e giustizia. E’ un cammino che abbiamo
intrapreso e continueremo a portare avanti”.
“Ovunque proteggi” è
difatti l’embrione narrativo del lungometraggio “Il sole sulla pelle”, un
docu-film sulla strage del 29 giugno 2009,
le cui riprese sono già cominciate sempre con la regia di Massimo Bondielli.
*
* * * *
Il Fatto Quotidiano
20 maggio 2016
di
Ilaria Lonigro
FESTIVAL CANNES 2016, PREMIO COME MIGLIOR CORTO AL DOCUMENTARIO SULLA STRAGE DI VIAREGGIO
“C’È LA NOSTRA VITA E IL NOSTRO DOLORE”
“Ovunque Proteggi”, il documentario di
Massimo Bondielli ha come protagonista Marco Piagentini che si è salvato
assieme al figlio Leonardo, ma ha perso la moglie e gli altri due figli
nell'incidente ferroviario del 29 giugno del 2009 che causò la morte di 32
persone. Adesso il vero sogno del regista e del co-sceneggiatore Luigi Martella
è finanziare dal basso il lungometraggio “Il sole sulla pelle”
Con l’inseparabile
ombrello per proteggersi dal sole, Marco Piagentini,
47 anni, superstite della strage di Viareggio, domani (sabato 21 maggio) sarà a
Cannes a ritirare il premio come
miglior corto per “Ovunque Proteggi”,
il documentario di Massimo Bondielli
di cui è protagonista.
Dodici minuti che
tolgono il fiato e che parlano del disastro ferroviario del 29 giugno 2009 che
ha fatto 32 morti. E che, a 7 anni di
distanza, aspetta un giudizio in primo grado.
Sfilerà sulla
croisette battuta da attori e modelle, lui che, per venire a Cannes, si è fatto
fare il primo smoking su misura. “E’ un ambiente che non mi appartiene, ma sono
contento di portare la nostra storia fuori dall’Italia con un corto bellissimo.
Per me è importante” confessa a ilfattoquotidiano.it Piagentini.
Accanto avrà, per la prima volta in un’occasione pubblica, il figlio Leonardo, 15 anni, unico sopravvissuto, insieme
al papà, nella famiglia Piagentini.
“Una storia universale” ha motivato la giuria del Global Short Film Festival Award. Un successo per il
regista e il co-sceneggiatore Luigi Martella,
che con la loro Caravanserraglio Film Factory si sono autoprodotti il corto, su
cui nessuno aveva scommesso. E adesso puntano al vero sogno: finanziare dal
basso il lungometraggio “Il sole sulla pelle”.
Il crowdfunding è già
partito ed è possibile partecipare con donazioni a partire da 10 euro, al link:
A ritirare il premio
ci saranno anche Daniela Rombi e Claudio Menichetti. I due genitori nel disastro
ferroviario persero la figlia Emanuela, 21 anni, morta dopo 41 giorni di
agonia. “Massimo e Luigi” – ha detto Rombi, tra i protagonisti di “Ovunque
Proteggi” – “si sono avvicinati in punta di piedi,
abbiamo messo nelle loro mani la nostra vita e il nostro dolore”.
“E’ una frase che ti
inchioda al muro ma allo stesso tempo è una gran bellezza”
commenta a ilfattoquotidiano.it Luigi Martella,
autore del corto e del futuro lungometraggio.
Fece 32 vittime il
disastro ferroviario del 29 giugno 2009, quando un treno carico di GPL deragliò
all’altezza della stazione di Viareggio, provocando un incendio che avvolse case e strade.
Quella notte Leonardo Piagentini, 8 anni, fu sepolto dalla propria
casa, esplosa come sotto le bombe. Ci rimase
4 ore a chiedere aiuto, finché i Vigili del Fuoco non lo tirarono su, in
pigiama. Il video del suo salvataggio, incredibile come un miracolo, fece il
giro del mondo. Il suo fratellino Lorenzo, 2 anni, morì carbonizzato nell’auto in cui i genitori lo avevano
messo per fuggire. Anche la mamma Stefania, 39
anni, non ce la fece: le fiamme la raggiunsero mentre teneva in braccio l’altro
figlio, Luca, 4 anni. Morirono entrambi. Marco Piagentini tornò ad abbracciare Leonardo dopo 6
mesi passati al reparto Grandi Ustionati di Padova, con la pelle bruciata al 95 per cento. Da allora sono passati 7
anni, scanditi da oltre 40 operazioni in anestesia totale e 90 udienze, alle
quali Marco Piagentini ha assistito in silenzio, attento, nel cuore la rabbia e
la paura per la prescrizione che
potrebbe cancellare dal processo, prima ancora della sentenza di primo grado,
il reato di incendio colposo. Il
primo aveva 4 anni e morì in braccio a Stefania.
“Io lo dico sempre!
Costa molto meno risarcire 32 familiari che investire nella sicurezza”. A
parlare, in uno dei tanti cortei dei familiari ripreso nel cortometraggio, è Andrea Maccioni, il fratello di Stefania e lo zio dei
piccoli Luca e Lorenzo Piagentini. Una frase dietro cui si nasconde un mondo,
quello dei risarcimenti, straziante,
nei freddi algoritmi che quantificano
in denaro il dolore di chi sopravvive. “Bisogna calcolare l’età della vittima e
la sua aspettativa di vita, il lavoro che conduceva, il lavoro dei suoi
familiari, il dolore e la sofferenza soggettiva dei suoi familiari. Come
afferma Andrea” - spiegano gli autori del corto - “oggi a una grande impresa
conviene molto di più pagare delle buone assicurazioni per risarcire gli
eventuali danni causati, che investire in sicurezza. Basta un semplice calcolo:
l’algoritmo del dolore”.
Definiscono così quello
che ilfattoquotidiano.it
aveva scoperto già
tre anni fa con un’inchiesta che rivelava come la Era, l’Agenzia Ferroviaria Europea, raccomandasse alle società
nazionali di usare una formula matematica per capire fino a che punto conviene mettere in conto i morti (e i relativi risarcimenti),
piuttosto che investire in sicurezza perché le vittime diminuiscano.
---------------------
From: Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, May 29, 2016 8:07 AM
Subject: ALLA GUERRA
QUOTIDIANA PER IL PROFITTO DEI PADRONI, SERVE RISPONDERE CON LA GUERRA DI CLASSE DEGLI
OPERAI
Premesso
che all'interno del sistema capitalista di produzione gli operai sono
considerati carne da macello per il profitto dei padroni, e che nella crisi le
condizioni di sicurezza sui posti di lavoro non possono che
peggiorare come dimostrano gli stessi dati della FIOM (da gennaio al 20 aprile di quest’anno sono stati 271 gli incidenti
mortali sul lavoro), nonostante le ore di lavoro totali siano
diminuite, sono le condizioni di lavoro che sono peggiorate.
Una vera e
propria guerra che oltre i padroni ha dei responsabili con nome e cognome da
combattere: il Governo con i provvedimenti terroristi contenuti nel Jobs Act
che vanno dalla libertà di licenziare al depotenziamento degli organi ispettivi
e delle leggi sulla sicurezza.
I sindacati
confederali tra cui anche la FIOM
nei contratti nazionali hanno dato la possibilità di utilizzare manodopera
precaria (interinali, apprendisti) e di fatto hanno avvallato le scelte dei
governi in tema di sicurezza e lavoro.
* * * *
Dal
comunicato della FIOM: "Un giovane operaio di 28 anni ha perso
la vita oggi (mercoledì 25 maggio) in un incidente sul lavoro alla De Lucchi di
Trezzano Rosa (Milano).
"Da tempo denunciamo le condizioni di lavoro in quell'impresa, e chiediamo
ai vertici aziendali di intervenire sulle questioni della sicurezza, in
particolare attivando procedure che annullino i rischi nella fase della
movimentazione dei carichi. La morte di un operaio è una tragedia a
prescindere, ma in questo caso c’è un elemento che accresce la rabbia: il
giovane, assunto con contratto di somministrazione, era in fabbrica da tre
settimane e mercoledì prossimo sarebbe stato il suo ultimo giorno di
lavoro" continua la nota.
"E' indecente che in una fabbrica pesante, come una
zincheria a caldo, si mettano al lavoro giovani senza alcuna esperienza,
senza alcuna formazione, assunti per pochi giorni e poi sostituiti da altri. In
questa giostra all’abbattimento dei costi, che in questo paese hanno reso
possibile, sono alte le possibilità di farsi male o di morire".
* * * *
da Repubblica
di Gabriele Cereda
OPERAIO MORTO NEL MILANESE, COLLEGHI IN ASSEMBLEA SULLA SICUREZZA: "MINACCIATI DAL CAPO"
Il ragazzo, 28 anni, interinale, schiacciato da una rastrelliera. La denuncia dei sindacati: "Dovevano subito ricominciare a scaricare i camion o li avrebbe lasciati a casa".
Sono finiti dentro un incubo e non riescono a uscirne. Non bastava la morte di un loro collega di 28 anni, ucciso da una trave di due tonnellate, ieri mattina i dipendenti della De Lucchi di Trezzano Rosa, in provincia di Milano, sono stati minacciati dai vertici dell'azienda. In assemblea, stavano discutendo della sicurezza in fabbrica, quando il direttore generale, Davide Invernizzi, ha preso in disparte tre di loro costringendoli a riprendere il lavoro.
"Ha detto che se non cominciavano subito a scaricare i camion li avrebbe lasciati a casa, rimpiazzandoli con qualcun altro", racconta Walter Albiati di FIOM CGIL Milano.
Sotto le volte del capannone di 35.000 metri quadri della De Lucchi, Gruppo Bisol, holding veneta della carpenteria pesante, i dipendenti hanno paura.
"Temono di perdere il posto e sanno che dietro l'angolo ci potrebbe essere un nuovo incidente se non verranno prese velocemente misure straordinarie in materia di sicurezza", dice ancora il sindacalista. Alla fine delle otto ore di sciopero, le tute blu hanno deciso di ripresentare alla direzione aziendale tutte le segnalazioni sui pericoli in fabbrica fatte negli ultimi 18 mesi.
Ieri, nella casa di Verdello, in provincia di Bergamo, dove abitava Antonino Capuano, il ragazzo travolto dalla trave trasportata dal carroponte, si sono presentati alcuni colleghi che hanno portato le condoglianze alla famiglia. Tra di loro anche l'uomo che col muletto ha spostato la rastrelliera sotto la quale era rimasto il corpo del 28enne. "Una scena devastante” - racconta l'uomo – “non credo che potrò mai dimenticarla".
Quella di Capuano, infatti per i colleghi è stata "una morte annunciata". Il ragazzo era stato assunto come interinale solo tre settimane fa, mercoledì prossimo avrebbe finito di timbrare il cartellino e si sarebbe rimesso in cerca di una nuova occupazione.
"Nell'ultimo anno e mezzo abbiamo segnalato la De Lucchi 20 volte all'Ispettorato del Lavoro” - aveva detto già ieri il sindacalisti - “C'è in corso un'inchiesta sulla presenza in reparto di lavoratori non in regola".
Quando ci sono i picchi di produzione, in fabbrica entrano gli interinali, "in alcuni casi, gente assunta con un contratto da facchino viene spedita in produzione. Solo qualche giorno fa” - aveva raccontato dopo l'incidente mortale – “alcuni operai sono stati spediti in una buca profonda sette metri per recuperare materiale di lavorazione. Lì sotto ci sono i bruciatori: sono stati fatti scendere senza imbragatura e maschere. Qui non c'è posto per la salute e la sicurezza".
---------------------
From: Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, May 22, 2016 6:15 AM
Subject: DONNE, CAPORALATO E SFRUTTAMENTO NEI CAMPI DEL “GHETTO ITALIA”
Le braccianti nei campi tra caporalato, sfruttamento, stupri e morte.
Occorre organizzare la lotta.
Senza questa, le proposte, anche giuste, sono palliativi e la richiesta che le imprese riducano i loro profitti è una illusione, niente affatto scientifica
Quando
pensiamo al lavoro agricolo andiamo con la mente alla fatica e al sudore di
un’occupazione considerata, a torto, prevalentemente maschile. Le cose non
stanno così. Nell’immaginario più comune si specchia un pregiudizio, visto che
le donne, le braccianti, costituiscono un pezzo importante dell’offerta di
lavoro in agricoltura. A dire il vero nella condizione delle braccianti,
soprattutto se straniere, troviamo tutti i più terribili ingredienti delle
nuove forme di sfruttamento.
Va detto
innanzitutto che il lavoro femminile non sostituisce quello maschile, ma gli è
complementare, soprattutto quando le donne sono impiegate per immagazzinare i
prodotti agricoli dopo averli raccolti. Se si tratta di ortaggi le donne sono
preferite agli uomini per via della maggiore delicatezza del lavoro da
svolgere. La raccolta degli ortaggi può avvenire in serra, sotto grandi
tendoni, al caldo asfissiante, dove all’umidità dobbiamo associare le
esalazioni dei fitofarmaci e di altri veleni. Questo avviene in Calabria, nel
Lazio, in Puglia, in Emilia.
Le donne,
italiane e straniere, vengono condotte nei luoghi della raccolta dai caporali,
trasportate per decine di chilometri dai punti di raccolta. Nel caso pugliese,
i pulmini dei caporali partono dai comuni della provincia di Brindisi o di
Taranto per raggiungere Bari e la Barletta-Andria-Trani, dove c’è la più forte
concentrazione di imprese di una certa dimensione: capaci di assorbire
manodopera in grande quantità. E in queste aziende può capitare che le
braccianti siano sottoposte a forme di ricatto, anche sessuale, pur di
mantenere il posto, per essere richiamate a lavorare l’indomani.
Il ricatto
sessuale non è nuovo. Nella memoria delle braccianti pugliesi e siciliane, per
esempio, il racconto degli stupri e dei palpeggiamenti da parte dei caporali e
dei capisquadra è sempre stato frequente. Quello che cambia è la nazionalità
delle donne ricattate. Sono per lo più rumene o centrafricane. In alcuni casi,
come ci hanno raccontato alcune braccianti rumene della provincia di Taranto,
le più giovani sono selezionate nude in una specie di turpe sfilata sotto i
teloni di imprese non sempre piccole e spesso beneficiarie di lauti
finanziamenti pubblici. Questa condizione rivela quanto sia maschilizzato il
sistema dello sfruttamento. Le caporali, infatti, sono poche e certamente non
assurgono ai vertici del sistema.
La
manodopera femminile è un doppio serbatoio di gratificazione per i caporali:
pecuniaria e sessuale. Nei ghetti dei braccianti il confine tra lavoro
bracciantile e prostituzione è davvero labile. Questo fenomeno è osservabile
nel ghetto di Rignano Garganico o in altri più piccoli ghetti della Capitanata.
Qui le donne (nigeriane, altre centrafricane e rumene) sono prostituite nei
bordelli e condotte nei campi come braccianti. Siamo in un regime di doppia
riduzione a merce delle braccia e del sesso di queste immigrate. Le ragazze
vengono vendute per i braccianti, ma sono gratuitamente a disposizione dei
caporali e dei proprietari dei terreni sui quali lavorano e sono innalzati i
ghetti. Ci è capitato di osservare questa situazione soprattutto nel foggiano,
dove la già elevata domanda invernale di sesso a pagamento aumenta nella
stagione estiva grazie all’arrivo di migliaia di maschi per la raccolta del
pomodoro. E’ un circolo vizioso, un girone infernale che stritola le ragazze in
una morsa di stress, affaticamento e malattia.
Le
braccianti pagano, soprattutto se madri, l’inesistenza di sistemi di welfare
adeguati al mercato del lavoro. E’ molto raro che un Comune apra un asilo o un
nido notturno per i figli delle braccianti, e questo costituisce un impedimento
alla continuità lavorativa che si ripercuote sulle garanzie contributive e
retributive. D’altra parte, se alle braccianti viene sempre assegnato un numero
di giornate agricole dichiarate all’INPS inferiore a quello delle giornate
realmente lavorate, ci sarà una spiegazione. E queste giornate, poi, sono molte
meno di quelle registrate per gli uomini. Sono certamente la più forte
fragilità sociale, la tendenziale esclusione dal mercato del lavoro e una
diffusa sottocultura che rendono le braccianti meno tutelate degli omologhi
maschili, e meno visibili nel racconto mediatico sul lavoro agricolo.
In un
sistema globale (gestito dalle grandi imprese della trasformazione
agroindustriale e dalle grandi reti commerciali) per chi fissa il prezzo del
prodotto agricolo a prescindere dal costo del lavoro, la manodopera femminile è
una risorsa preziosa. Un prodotto può costare tanto ma contenere un dosaggio
robusto di sfruttamento e di lavoro femminile (e maschile) nero e sottopagato.
In Puglia
nel 2014 sono aumentate le donne straniere registrate come braccianti, mentre è
diminuito il numero delle tutele a esse destinate. Il dato rivela una
contraddizione interna al mercato del lavoro, mai sanata dalle normative e
dalle ispezioni. Il prezzo del prodotto, incidendo sul tendenziale azzeramento
del costo del lavoro come mai accaduto in precedenza nella storia
contemporanea, gioca come una scommessa epocale contro i salari e contro la
salute delle braccianti. Questo spiega, secondo noi, perché la scorsa estate ci
sono stati sei morti nelle campagne pugliesi, tra i quali due donne.
Per porre
rimedio a questa condizione disumana è necessario centralizzare nel sistema
pubblico il collocamento delle/dei braccianti, sottrarlo alle agenzie informali
(i caporali!) e a quelle interinali (non di rado in combutta con i caporali) di
mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Come è necessario che il trasporto
e gli altri servizi siano garantiti dalle imprese e dalle istituzioni locali.
Infine, gli stessi dispositivi contrattuali devono essere modificati al rialzo
dei diritti: il ricorso al voucher, diffuso soprattutto al Nord, è un
espediente adoperato dal sistema d’impresa più intelligente ed evoluto per
ridurre salari e tutele e per evadere contributi. Perché questo accada, le
grandi imprese dovranno ridurre i margini della rendita e del profitto
accumulati sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli.
Di Leonardo
Palmisano e Yvan Sagnet.
---------------------
From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
May 29, 2016 09:07 PM
Subject:
LA FRANCIA E
NOI: 5 BREVI RIFLESSIONI
Al momento in cui scriviamo quest'articolo, la Francia è bloccata: le
manifestazioni e gli scioperi settoriali e generali contro il progetto di
riforma del diritto del lavoro si contano a decine e non accennano a finire.
Lo sciopero delle raffinerie ha lasciato a secco la maggior parte dei
distributori di carburante, e quello delle centrali nucleari rischia di
lasciare senza corrente il paese. Nel frattempo il governo ricorre ad una sorta
di fiducia per blindare il provvedimento, mostrando contemporaneamente deboli
segni di apertura al solo scopo di smontare una protesta enorme, la cui
grandezza però non riesce ad attraversare le Alpi: sui nostri giornali,
infatti, nessuna traccia. Sui social, intanto, decine e decine di lavoratori si
disperano: perché loro sì e noi no? Per evitare di cadere in spiegazioni di
ordine antropologico su una presunta “incapacità” degli italiani a mobilitarsi,
proviamo a condividere alcune riflessioni, allo scopo di capire tutti insieme
una cosa semplice: solo chi non lotta perde, e solo chi si arrende in partenza
è sconfitto.
I SINDACATI FRANCESI E QUELLI ITALIANI.
L'OCSE riporta, per
il 2013, una percentuale di lavoratori iscritti al sindacato pari al 7,7% in
Francia, a oltre il 37% in Italia. La
CGT, principale sindacato francese, paragonabile anche per
storia politica alla nostra CGIL, nel lavoro privato conta l'1-2% di iscritti
al massimo. Del resto anche i numeri italiani vanno ridimensionati, dal momento
che degli oltre cinque milioni di tesserati dichiarati dalla CGIL per il 2015
quasi tre milioni sono pensionati, quindi non fanno parte della popolazione
attiva. La copertura sindacale, invece, ovvero la quantità di lavoratori
coperti da contrattazione collettiva, si aggira tra l'80% e il 90% in entrambi
i paesi; sempre al di qua e al di là delle Alpi vigono norme simili sulla
rappresentanza, quantificata sulla base del numero di iscritti e dei risultati
elettorali delle diverse sigle. Insomma, la differenza fondamentale
risiederebbe nella maggiore debolezza
dei sindacati francesi rispetto a quelli italiani, dovuta al minor numero di
iscritti. Ma è l'unica differenza?
LOTTA E CONCERTAZIONE
I sindacati francesi,
a differenza di quelli italiani, non “cogestiscono” insieme ai padroni il mondo
del lavoro. Tra le cause non vi è solo la relativa debolezza, ma anche il fatto
che in Francia la legge, storicamente, è più “forte” della contrattazione: i
sindacati e le associazioni padronali, nei contratti di categoria, possono
“deliberare” su molte meno cose rispetto all'Italia, e hanno quindi meno
poteri. Inoltre in Italia i sindacati più grandi gestiscono direttamente fondi
pensione, CAF, siedono nei cosiddetti organismi bilaterali, nel CNEL, hanno
insomma un ruolo che va ben oltre la rivendicazione e il conflitto, un ruolo
anzi che vede questi ultimi due aspetti minoritari. A cavallo tra gli anni '70
e gli anni '80 sia in Italia che in Francia una buona parte del mondo sindacale
(in Italia la CGIL,
in Francia la CFDT,
simile alla CISL) ha abbracciato la linea della “compatibilità” con gli
interessi dei padroni; l'Italia, però, è andata molto oltre, e i sindacati più
grandi hanno progressivamente rinunciato alla lotta in cambio di un maggior
potere di cogestione nel mondo del lavoro. Risultato: benché in linea con tutti
i paesi industrializzati, le ore di sciopero sono calate molto più in Italia
che in Francia. Nel 2008, secondo l'ILO, in Francia si è scioperato quasi il
doppio che in Italia, e anche nel 2010, confrontando diversi studi, in Italia
abbiamo fatto circa un milione di ore in meno di sciopero. Perché? Lo abbiamo appena detto: così
come dei sindacati coinvolti (complici) nella gestione del lavoro hanno
interesse a scioperare il meno possibile, allo stesso modo dei sindacati più
deboli, come quelli francesi, hanno interesse, per questione di sopravvivenza e
di appeal, ad assumere posizioni più radicali e a portare avanti le
rivendicazioni con maggior determinazione. Va aggiunto, inoltre, che proprio
per assecondare le esigenze “soporifere” dei nostri sindacati, negli ultimi 25 anni circa le leggi sullo
sciopero in Italia sono diventate molto meno permissive e più severe.
NON C'È PIÙ NIENTE DA FARE?
Per nulla, anzi: dopo
aver elencato alcuni degli elementi che rendono oggettivamente più difficile la
lotta in Italia, ricordiamoci quanto è stato difficile, per i padroni, portare
a casa il risultato. 13 anni ci sono voluti per
cancellare l'articolo 18; un quindicennio circa per riformare le pensioni; ancora
oggi, in alcune grandi aziende, il Jobs Act è stato disapplicato grazie alla forza
dei lavoratori, che hanno pressato i loro rappresentanti sindacali. Ancora oggi
si strappano notevoli aumenti salariali e si fanno cancellare licenziamenti,
come nella logistica; ancora oggi i lavoratori in lotta ottengono di essere
assunti dal pubblico e non essere più precari. Non c'è da disperarsi, quindi,
né da pensare che altrove si vince magari perché gli altri “hanno le palle” e
noi no: queste sono frasi di merda che abbiamo sentito dire da diversi
sindacalisti per giustificare il loro opportunismo o inettitudine. La verità è
che molto spesso i lavoratori che vogliono lottare devono scontrarsi prima col
sindacalista, poi col padrone: due nemici al posto di uno! Tutto sta, invece, nel rendersi conto di quali sono i nostri punti di forza, da valorizzare,
e le nostre debolezze da superare: il resto verrà facile, tanto finché ci saranno schiavi ci saranno rivolte. Per capire queste cose, guardiamo
di nuovo a quello che succede al di là delle Alpi.
NOTTI IN PIEDI, GIORNI IN SCIOPERO!
Ha fatto tanto scalpore,
e giustamente, il movimento di occupazione delle piazze che sta coinvolgendo
centinaia di migliaia di cittadini francesi, un'ondata di partecipazione
democratica che ha rotto il clima di isolamento e paura che era seguito agli
attentati di Novembre. Nell'analizzare l'efficacia delle proteste, rendiamoci
conto però che la loro principale forza sta nel gioco di sponda che sono
riuscite a costruire con le mobilitazioni dei lavoratori. Ne hanno rilanciato e
generalizzato i contenuti, sollevando la molteplicità di temi e problemi che si
intrecciano a quelli dello sfruttamento nel luogo di lavoro. Sono così riusciti a dare risonanza e legittimazione alle forme di lotta
più dure, dai cortei agli scioperi ai blocchi. Lotte spesso difficili da
portare avanti, ma in grado di far paura realmente ai padroni e di toccare i
gangli del potere. I lavoratori dei trasporti, dell'energia,
della logistica, della meccanica, dei servizi pubblici, della grande
distribuzione, per citare i principali settori essenziali della società
contemporanea, quando decidono di astenersi dal lavoro, e di farlo in modo da
creare un danno (quindi senza preavviso, il più a lungo possibile, ecc.). Iniziano
a fare una danno, crescente di minuto in minuto, alla sola cosa che interessa
ai padroni dopo ma forse più della loro stessa vita: le loro tasche. Non solo:
quando l'astensione dal lavoro rende un paese ingovernabile, chi governa quel
paese è costretto a intervenire perché il controllo gli può sfuggire
rapidamente di mano. La risposta repressiva è sempre possibile, ma certamente
non facile come quando una protesta non comporta nessun disagio; inoltre uno
sciopero in un settore strategico (ad esempio i trasporti) è in grado di
moltiplicare il danno: tutti i settori che sono infatti collegati ai trasporti
vedranno i loro guadagni diminuiti a cascata! Il potere dei lavoratori è
enorme, ed è necessario ricostruire la consapevolezza della nostra forza.
IL PUNTO DEBOLE DELLE LOTTE IN FRANCIA (E IN SPAGNA, GRECIA, PORTOGALLO…)
Prima o poi questa
lotta finirà, portando a casa un risultato proporzionato all'intensità del
combattimento che, crediamo, sarà positivo, qui ed ora, per i lavoratori
francesi. Possiamo dire però da ora che non risolverà il nodo centrale, quello
contro il quale si sono scontrati, negli scorsi anni, anche i lavoratori di
altri paesi, e anche noi. E’ evidente, infatti, guardando il succo delle
riforme in atto in Europa, che la direzione dei padroni è unica: farci lavorare più tempo, pagarci di meno,
licenziarci quando vogliono. Il Jobs Act andava in questa direzione, la
legge El-Khomri va in questa direzione, la riforma in discussione proprio in
questi giorni in Belgio va in questa direzione, l'unica possibile per i padroni
oggi. L'attacco è lo stesso, ma la risposta è stata sempre separata: oggi, ad
esempio, il punto debole dei francesi... siamo noi! Una nuova stagione di lotte
in Italia, ad esempio contro il Jobs Act, significherebbe riaprire il conflitto
in un paese che, ancora oggi, è uno dei giganti mondiali della produzione di
merci, il secondo paese produttore in Europa dopo la Germania. Unire le
lotte e le vertenze dei lavoratori in Italia significherebbe alzare enormemente
il livello di conflitto in Europa. Il secondo paese produttore è, ovviamente,
un sorvegliato speciale: non è un caso che da noi lottare è diventato così
difficile, i sindacati così corrotti, la sfiducia così generalizzata. Ma
niente, nella società, è incontrovertibile, soprattutto quando si parla di
lavoro. Il meglio che possiamo fare, quindi, è generalizzare il conflitto;
parlarci tra lavoratori; liberarci dei sindacalisti inutili, codardi e corrotti
ricostruendo le nostre organizzazioni e dandoci nuovi rappresentanti;
individuare dei temi generali (la cancellazione del Jobs Act, ad esempio) e
concentrare le lotte su obiettivi unitari; guardare a chi lotta fuori dai nostri confini, o a chi lo fa qui da noi
senza essere nato in Italia, come ad un fratello, non ad un nemico. La
vittoria di un singolo lavoratore in un qualunque paese del mondo è una
vittoria per tutti noi!
---------------------
From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
May 29, 2016 09:07 PM
Subject:
ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO: CONFINDUSTRIA STRINGE L'ACCORDO
L'alternanza scuola-lavoro
prende forma in questi mesi, in preparazione del prossimo anno scolastico,
Confidustria e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca hanno
siglato un accordo in cui individuano gli istituti e le imprese in cui
tale alternanza si realizzerà.
In particolare, si
tratta degli studenti di ITIS Tullio Buzzi di Prato, ITIS Antonio Meucci di
Firenze, ISIS Leonardo Da Vinci di Firenze, ITT Sarrocchi di Siena, Istituto
Professionale Chino Chini di Borgo San Lorenzo (FI), ITT Balducci di Pontassieve
(FI) che potranno andare a lavorare almeno 400 ore nel secondo biennio
(come previsto dalla Legge 1107/15 "Buona Scuola") nelle seguenti
imprese: Ge Oil & Gas Nuovo Pignone, GKN, Fasep 2000, Knorr-Bremse,
OCEM, TecnoSystem, K-Array, Pear.
Nel comunicato
stampa, Confindustria per ora può cantare vittoria: "Quando si lavora in sinergia per il raggiungimento di uno stesso fine i
risultati sono tangibili” – “sottolinea Alfredo Coltelli, presidente della
Sezione Metalmeccanica di Confindustria Firenze – “Scuola e impresa stanno
finalmente parlando un linguaggio comune; il protocollo firmato oggi dimostra
che è possibile creare una cultura di impresa già sui banchi di scuola, che
orienta gli alunni in scelte più consapevoli, rendendo nel contempo le scuole
più attraenti perché connesse con le realtà industriali del territorio"
.
Allo stesso tempo, il
Sottosegretario del MIUR, Gabriele Toccafondi, può ritenersi soddisfatto per
aver dato seguito a un protocollo d'intesa, siglato nel dicembre 2015, in cui le parti
interessate (Città Metropolitana Firenze, Camera di Commercio Industria
Artigianato e Agricoltura di Firenze, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e Confindustria
Firenze, ad eccezione dei protagonisti, ovviamente, gli studenti!) si
impegnavano a dare concretezza a tale percorso.
A questo punto, tocca a noi.
Dobbiamo ribadire in tutti le occasioni possibili che l'alternanza scuola-lavoro non riduce la dispersione scolastica, né risolve il problema della disoccupazione giovanile.
Al contrario, si tratta, come abbiamo provato ad argomentare nel documento “L'alternanza scuola lavoro. Ovvero perchè la riforma della scuola riguarda tutti noi”:
dell'ennesimo elemento
di competizione a ribasso sui salari e diritti, poiché gli studenti e gli stagisti rappresenteranno un ulteriore
incentivo per le imprese a non assumere.
Dobbiamo, lottare
nelle scuole per far rispettare almeno tre punti:
-
gli
stage non devono essere obbligatori (alternativa non penalizzante per chi non
vuole farli) e devono essere retribuiti!
-
nessuna
azienda che abbia licenziato, delocalizzato, avviato mobilità, attivato cassa
integrazione o ristrutturato in peggio le condizioni salariali e lavorative
negli ultimi anni può fare domanda per avere stagisti: nessuna speculazione
sulla pelle dei lavoratori!
-
neanche
un euro deve essere dato alle aziende: i finanziamenti stanziati devono essere
destinati a potenziare l'offerta formativa all'interno della scuola, non a fare
ulteriori regalini alle imprese.
Ma non solo, a questo
punto, dobbiamo prendere contatto con i lavoratori delle aziende, a partire da
quelle sopralencate, e sperimentare forme di lotta unitarie contro il lavoro
gratuito.
---------------------
From: Riccardo
Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent:
Sunday, May 29, 2016 7:49 PM
Subject: SOLIDARIETA’
PER GINA DE ANGELI
IL “REATO” E’ CRIMINALIZZARE LA
SOLIDARIETA’!
Nell'emettere
un Decreto Penale di condanna contro una lavoratrice della sanità che
solidarizza con altre lavoratrici in lotta a difesa del proprio posto di
lavoro, la magistratura ha sanzionato la solidarietà, come troppo spesso
sanziona chi lotta per aver perso il lavoro, per vivere in povertà, per essere
disoccupato o costretto ad accettare l'elemosina. Questa giusta ribellione è
oggetto di repressione.
L'infermiera
Gina De Angeli, per essere a fianco delle lavoratrici delle pulizie ed aver
difeso il diritto al lavoro e alla salute é stata colpita da un Decreto Penale
di condanna esecutivo (10 giorni di arresto o il pagamento di 2.500 euro di
multa) in base al Regio Decreto del 18 giugno 1931 n. 773 (Testo unico delle
leggi di pubblica sicurezza), emanato dal ventennio fascista. Il “reato” è aver
solidarizzato e sostenuto le lavoratrici dell'azienda "Dussman
Service" in lotta per il posto di lavoro, al presidio organizzato dai sindacati.
La lotta
collettiva, cosciente e organizzata è l'unico antidoto a gesti di disperazione
e di autodistruzione ai quali assistiamo quotidianamente, gesti che arrivano
fino al suicidio per l'umiliazione di essere stati cacciati dal posto di lavoro
o da una abitazione. Per non parlare di sicurezza e salute nei luoghi di
lavoro. Nella provincia di Massa Carrara vi sono state tre vittime in pochi
giorni.
Di questo (!),
dovrebbero occuparsi i magistrati, sanzionando i datori di lavoro prima ancora
di ogni tragedia. E' questo il “contributo” che devono dare per salvare la vita
di chi produce la ricchezza nel paese.
E invece,
questi magistrati, si accaniscono contro la solidarietà tra lavoratori e
lavoratrici, tra lavoratori e disoccupati, e assecondano le politiche di
abbandono sulla sicurezza e di sopraffazione nei luoghi di lavoro.
Per la
salute, la sicurezza, il lavoro, la sanità pubblica, ecc. la lotta e
l'organizzazione rappresentano il centro per la difesa ed il motore di
avanzamento.
Le azioni
repressive, intimidatorie e provocatorie vanno denunciate e respinte con forza,
sviluppando quelle energie, necessarie a far sì che diritti inviolabili come la
vita, la salute, il lavoro, non siano subordinati ad alcuna norma, alcun
contratto, alcuna legge.
27 maggio 2016
Collettivo per la solidarietà e l'unità
---------------------
From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent:
Wednesday, June 01, 2016 8:42 AM
Subject: REPORT
MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 5 MESI DEL 2016
Finalmente assistiamo a un
calo delle morti per infortuni sui luoghi di lavoro, rispetto al 31 maggio del
2015. Un calo abbastanza importante, dell’8,5%. Ma se lo andiamo a rapportare
il numero di morti al 31 maggio del 2008, anno d’apertura dell’Osservatorio, il
calo è inesistente.
Altro che costante calo delle morti da dieci anni. Erano dall’inizio del
2008 al 31 maggio 234. E questo nonostante la perdita di tantissimi posti di
lavoro in regola, che sono andati a finire nel precariato e in nero.
Drammatica anche quest’anno la situazione in agricoltura e in edilizia.
Negli ultimi sette giorni sono morti 8 agricoltori schiacciati dal trattore.
Uno anche ieri. Anche in edilizia la situazione è drammatica. Ieri è morto dopo
giorni d’agonia Mario Cannavò a soli 24 anni. La famiglia ha donato gli organi.
L’agricoltura e l’edilizia hanno da sole oltre il 50% delle morti sui luoghi di
lavoro tutti gli anni.
Impressionante anche le morti per infortuni in tarda età. La legge
Monti/Fornero che non ha distinto nell’allungamento dell’età pensionabili tra
chi svolge lavori pericolosi per se e per gli altri ha incrementato le morti
tra gli ultrasessantenni che da soli rappresentano oltre il 20% di tutte le
morti per infortuni sui luoghi di lavoro.
Se poi aggiungiamo le morti sulle strade e in itinere si arriva a
sfiorare al 31 maggio i 500 morti complessivi. Questo se si tiene conto che
l’INAIL monitora solo i propri assicurati e in tanti non lo sono. Come per
esempio i Vigili del Fuoco che sono rimasti in sette intossicati ieri sera in
una fabbrica in provincia di Cuneo.
Gli stranieri morti per infortuni sul lavoro sono tutti gli anni dai 10
ai 15%. I romeni rappresentano quasi un terzo delle morti. Abbiamo deciso di
presentarlo anche nella loro lingua (molto simile all’italiano). La pagina che
creeremo sarà a cura di Nicola Irimia conosciuto come la Iena Operaia.
Ieri ho partecipato alla trasmissione Fuori Tg sulla rete tre condotto
egregiamente da Maria Rosaria De Medici. Voglio ringraziare pubblicamente la RAI che svolge un ottimo
Servizio Pubblico. La TV
di Stato si occupa costantemente di queste tragedie, come di tutte le
problematiche sociali. Le TV commerciali mai si sono interessate alle morti sul
lavoro se non per “buttarsi sull’osso” quando ci sono infortuni mortali
multipli o particolarmente drammatici. Il sensazionalismo in queste tragedie
che portano il lutto a migliaia di famiglie dura un attimo e non serve niente,
neppure a lavarsi le coscienze.
Sorprendente in questi primi cinque mesi l’andamento delle morti della
Lombardia che registra un fortissimo calo. Occorre tenere presente che la Lombardia ha il doppio
degli abitanti di qualsiasi altra regione italiana e che il numero di abitanti
è il solo parametro valido per verificare l’andamento di queste tragedie e
questo perché a morire sono tantissime persone che non sono coperte da nessuna
assicurazione.
SONO 233 I MORTI PER INFORTUNI SUI LUOGHI DI LAVORO DALL’INIZIO
DELL’ANNO.
Oltre 490 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Rispetto al
31 maggio del 2015 registriamo un calo dell'8,7%. Rispetto al 31 maggio del
2008 il calo è solo dell'1,3%. Ricordiamo che l'INAL Istituto dello Stato,
monitora solo i propri assicurati, anche perché le morti per infortuni in
categorie che non assicura, e in nero non sono di sua competenza.
Riporto a seguire i morti per infortuni sui luoghi di lavoro nel 2016 per regione e provincia in ordine
decrescente. I morti sulle autostrade e all’estero non sono conteggiate nelle
province
CAMPANIA 23: Napoli 13, Salerno 5, Caserta 3, Avellino 2.
EMILIA-ROMAGNA 22: Reggio Emilia 5, Bologna 4, Forlì Cesena 4, Modena 2,
Piacenza 2, Ferrara 1, Parma 1, Ravenna 2, Rimini 1.
VENETO 20: Vicenza 6, Padova 5,
Treviso 3, Verona 3, Venezia 2, Belluno 1.
TOSCANA 20: Massa Carrara 6, Arezzo 4, Lucca 3, Livorno 2, Pisa 2, Siena
2, Pistoia 1, Prato 1.
SICILIA 18: Catania 5, Agrigento 3, Caltanissetta 3, Messina 3, Palermo
1, Enna 1, Ragusa 1, Trapani 1.
PIEMONTE 15: Cuneo 7, Asti 3, Torino 3, Alessandria 1, Vercelli 1.
LAZIO 15: Roma 6, Viterbo 4, Latina 3, Frosinone 2.
PUGLIA 14: Taranto 7, Barletta Andria Trani 2, Foggia 2, Lecce 2, Brindisi
1.
LOMBARDIA 14: Brescia 6, Bergamo 3, Como 2, Pavia 2, Milano 1.
TRENTINO-ALTO ADIGE 7: Trento 4, Bolzano 3.
SARDEGNA 8: Cagliari 4, Sassari 3, Oristano 1.
MARCHE 8: Macerata 4, Ancona 2, Ascoli Piceno 1.
ABRUZZO 9: Chieti 4, Pescara 2, Teramo 2, L'Aquila 1.
CALABRIA 6: Catanzaro 3, Cosenza 1, Reggio Calabria 1, Vibo Valentia 1.
UMBRIA 4: Terni 3, Perugia 1.
MOLISE 4: Campobasso 4.
LIGURIA 3: Genova 2, Imperia 1.
FRIULI VENEZIA GIULIA 2: Pordenone 1, Udine 1.
Consigliamo a tutti quelli che si occupano di queste tragedie di separare
chi muore per infortuni sui luoghi di lavoro, da chi muore sulle strade e in
itinere con un mezzo di trasporto.
I lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere sono a tutti gli
effetti morti per infortunio sul lavoro, ma richiedono interventi completamente
diversi dai lavoratori morti sui luoghi di lavoro. E su questo aspetto che si
fa una gran confusione. Ci sono categorie come i metalmeccanici che sui luoghi
di lavoro hanno pochissime vittime per infortuni, poi, nelle statistiche
ufficiali, non separando chiaramente le morti causate dall’itinere, dalle morti
sui luoghi di lavoro, risultano morire in tantissimi in questa categoria che è
numerosissima e ha una forte mobilità per recarsi o tornare dai luoghi di
lavoro.
Anche quest’anno una strage di agricoltori schiacciati dal trattore, sono
già 41 dall’inizio dell’anno, Tutti gli anni sui LUOGHI DI LAVORO il 20% di
tutte le morti per infortuni sono provocate da questo mezzo. 132 sono i morti
schiacciati dal trattore nel 2015 e 152 nel 2014. Contiamo molto della
sensibilità dei media e dei cittadini che a centinaia ogni giorno visitano il
sito. In questi nove anni di monitoraggio le percentuali delle morti nelle
diverse categorie sono sempre le stesse: l’agricoltura sempre la categoria con
più vittime, seguono l’edilizia, i servizi, i metalmeccanici e l’autotrasporto.
MORTI SUL LAVORO NEL 2015
Le morti sulle autostrade e all’estero non sono segnalate nelle province
Sono stati 678 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro nel 2015
Contro i 661 del 2014 (+2,6%). Erano 637 nel
2008 (+6,1%).
L’INAIL nel 2014 ha
riconosciuto complessivamente 662 morti sul lavoro, di questi il 52% sono
decessi in itinere e sulle strade ma le denunce per infortuni mortali sono
state 1.107. Crediamo che anche per il 2015 ci siano più o meno le stesse
percentuali. Nel 2015 tra gli assicurati INAIL c’è stata un'inversione di
tendenza, per la prima volta dopo tantissimi anni questo Istituto vede
aumentare le denunce per infortuni mortali. Ma le denunce non comportano
necessariamente un riconoscimento dell'infortunio mortale. Sta a noi che
svolgiamo un lavoro volontario, senza interesse di nessun tipo, far conoscere
anche questo aspetto ai cittadini italiani.
Carlo Soricelli
31 maggio 2016
---------------------
From:
MicroMega kwdirect@newsletter.kataweb.it
To:
Sent:
Tuesday, May 31, 2016 12:25 PM
Subject: IN NOME DEL POPOLO O
DEI MERCATI INTERNAZIONALI?
Campeggia
nei corridoi della sezione lavoro del Tribunale di Milano, da alcuni giorni, un
singolare manifesto di promozione di un corso dal titolo “Licenziamento collettivo e diritto dell’unione europea”, che
attira l’attenzione per il contenuto del testo di presentazione dell’incontro.
Per
l’ignota mano che ha vergato la locandina “le riforme del lavoro varate
negli ultimi tre anni incidono profondamente sulla regolamentazione del mercato
del lavoro italiano. Alla base delle riforme sembra di
intravedere un vero e proprio cambio di paradigma. La cultura del novecento
concepiva il diritto del lavoro come un ordinamento giuridico volto a
soddisfare il bisogno di tutela del lavoratore ed a riequilibrare i rapporti di
forza tra capitale e lavoro”.
A
questa considerazione preliminare, fa seguito un giudizio tranciante: “Quest’impianto ha mostrato, nel tempo, di non essere in grado di
rappresentare la complessità del mondo del lavoro e offrire strumenti di
inclusione per quelle fasce, sempre più ampie, di lavoratori privi di diritti. In
particolare, l’esigenza di attrarre investimenti stranieri e, al contempo,
convincere le aziende a non delocalizzare verso mercati del lavoro più
convenienti richiede, certamente, forti dosi di flessibilità”.
Ecco
dunque la soluzione del problema: “Le riforme del lavoro in Italia
(dalla legge Fornero al cosiddetto Jobs Act), in questo contesto, hanno
introdotto un sistema, complesso, introducendo numerosi elementi di
flessibilità (sia in entrata che in uscita dal rapporto di lavoro) ed un mix di
politiche attive a sostegno di chi ha perso il lavoro. Il contraltare a questo massiccio sistema di flessibilità è (almeno
nelle intenzioni del legislatore) l’incentivo al contratto di lavoro a tempo
indeterminato accompagnato dall’estensione delle forme di sostegno al reddito”.
Non
manca, infine, il riferimento al “ruolo del sindacato (nel mutato
contesto normativo)” e “alle nuove frontiere della
contrattazione collettiva (soprattutto aziendale)”.
Sono
elencati, nel breve spazio di poche righe, tutti i “luoghi comuni” dell’unica
“ideologia rimasta dopo la fine delle ideologie” asetticamente applicati al
mondo del lavoro (ora diventato “mercato”) in questo vero e proprio manifesto
neoliberista: la tutela del lavoro come ferrovecchio novecentesco, “l’esigenza di attrarre investimenti stranieri” come valore
primario, la flessicurezza quale obbiettivo della legislazione del lavoro, la Legge Fornero ed il
Jobs Act come attuazione di questo nuovo fine legislativo, l’opportunità di un
“nuovo ruolo” del sindacato, la centralità della contrattazione aziendale a
scapito della contrattazione collettiva.
Nessuna
sorpresa se si trattasse del manifesto di presentazione di un incontro
organizzato dall’Associazione degli Industriali o dalla Mont Pelerin Society;
ciò che sconcerta, in questo caso, è che si tratta di un incontro di formazione
dei magistrati, organizzato direttamente dalla “Scuola Superiore della
Magistratura”.
Ecco
servita l’ultima esemplificazione del modo in cui la dottrina neoliberista,
negli ultimi trent’anni e alla “fine della storia”, ha conquistato la completa,
gramsciana “egemonia culturale”: la produzione di migliaia di saggi, articoli,
convegni che hanno permesso ai rinnovati dogmi del libero mercato e del laissez faire di insinuarsi silenziosamente nelle
accademie, nei governi e, da ultimo, in ampi strati della magistratura del
lavoro.
E’
l’abile creazione, per riprendere le splendide parole del compianto Luciano
Gallino, dell’ “intellettuale collettivo” sortito dalle fondamenta della Mont
Pelerin Society; è il ribaltamento dei pilastri repubblicani con la
sostituzione, quale fondamento della democrazia, dei mercati in luogo del
lavoro, così come auspicato alcuni anni orsono nel noto report della banca
d’affari Morgan in cui si censurava, tra i diversi vizi di una costituzione
definita “socialista”, proprio la tutela costituzionale dei diritti dei
lavoratori.
Non
pare un caso, dunque, se in sempre più numerose pronunce della giurisprudenza
viene spesso richiamata la “libertà di iniziativa economica
privata” tutelata dall’articolo 41 della Costituzione per
giustificare l’insindacabilità giudiziaria nel merito perfino delle operazioni
imprenditoriali più improbabili foriere di dubbi licenziamenti economici o che,
addirittura, si giustifichi il licenziamento del lavoratore per eccessiva
morbilità anche durante il periodo di conservazione del posto di lavoro.
In
tale inquietante contesto, l’inopportuna presentazione dell’incontro della
Scuola Superiore della Magistratura stimola una domanda più preoccupata che
provocatoria: la nuova generazione di magistrati del lavoro giudicherà in nome
del popolo italiano o dei mercati internazionali?
19 maggio 2016
di Domenico Tambasco
---------------------
From: Posta Resistenze
posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, June 02, 2016
2:31 AM
Subject: NE ABBIAMO ABBASTANZA!
da USB
28/05/16
Giovedì
l'assemblea di Confindustria, con l'insediamento del nuovo presidente, Vincenzo
Boccia, ha chiarito le linee politiche del nuovo corso, senza sostanziali
novità in realtà, ma con una rinnovata attenzione alla politica.
Il neo
presidente infatti ha rimarcato il suo appoggio al governo Renzi a
partire dall'incondizionata approvazione delle riforme istituzionali:
l'eliminazione del bicameralismo perfetto con il Senato non più eleggibile, la
legge elettorale che consegnerà il governo a un uomo solo al comando, la
riforma del Titolo V della Costituzione che darà un colpo al “federalismo
all'amatriciana” di rutelliana memoria sottraendo alle Regioni molte
delle competenze, come ad esempio in materia di politica ambientale ed
energetica e finanche sanitaria.
Naturalmente
il suo plauso non si è limitato a questo: osanna particolari sono state rivolte
alle altre grandi riforme attuate da questo esecutivo, dal Jobs Act alla
detassazione e decontribuzione dei salari che, i cui benefici per inciso
ricadranno per la stragrande maggioranza sulle imprese, mentre i lavoratori
pagheranno due volte vista la scarsa incidenza sulle buste paghe e l'enorme
dimagrimento delle casse dell'INPS.
Sarà un caso
che in contemporanea con le richieste del padronato di rendere strutturale
questi provvedimenti si sia scatenata un'immane campagna mediatica e
istituzionale sull'insostenibilità dell'attuale sistema pensionistico pubblico
e sull' implosione prossima dell'INPS al fine di promuovere i fondi
previdenziali privati.
Sarebbe
divertente capire come i precari che nella stragrande maggioranza dei casi
arrivano a percepire redditi spesso inferiori alle pensioni minime, possano
destinare parte del loro salario alle pensioni integrative!
Questa volta
hanno evitato persino di invocare non la guerra all'evasione fiscale e
contributiva: un'ipocrisia di meno, considerato che sanno benissimo che il
sistema economico italiano è basato per molta parte sull'economia illegale e
criminale.
Non poteva
mancare l'ennesimo appello alla spending rewiev e cioè ai tagli alla spesa
sociale ritenuta "una mission strategica".
Dove non
hanno taciuto è stato ovviamente sulla questione del rinnovo dei
contratti e del salario, a loro giudizio strettamente legati
all'aumento della produttività e quindi dello sfruttamento, dell'aumento
dei carichi e degli orari di lavoro (Marchionne docet!) e all'effettiva
abolizione del Contratto Nazionale in favore della contrattazione aziendale
basata sulla meritocrazia e sugli incentivi, senza tetti di salario e di
premi e non per indebolire e frammentare ancora di più l'unità dei lavoratori,
per carità! Semplicemente avendo nel cuore il futuro dei giovani e del paese!
Per
l'immediato la ripresa dei rapporti con CGIL, CISL, UIL va di pari passo con la
stessa ritrovata sintonia dei confederali ai tavoli con il Governo sul tema
dell'occupazione e delle pensioni: vistoso passo indietro di Renzi, seriamente
preoccupato sia per l'esito delle elezioni amministrative che del
referendum istituzionale che consigliano di ritornare a tenersi buoni questi sindacati
offrendo loro la carota delle consultazioni.
In Francia
l'adozione della “loi du travail” da parte del governo Hollande sta provocando
mobilitazioni scioperi generali e di categoria, capaci di bloccare un
intero paese anche contro lo stato d'emergenza imposto dopo gli attacchi
terroristici; da noi il Jobs Act, ha rappresentato un importante elemento
costituente di un modello sociale che, insieme a tutte le riforme
antidemocratiche e autoritarie attuate da Monti a Renzi, ma ispirate e pretese
dall'Unione Europea, stanno spostando vistosamente i rapporti di forza dalla
parte dei poteri forti economici e finanziari, mentre fasce sempre più ampie di
popolazione conoscono solo precarietà e povertà.
La
soddisfazione di Confindustria è palese, la complicità di CGIL, CISL, UIL
altrettanto.
E' veramente
arrivata l'ora di rafforzare il conflitto, di generalizzarlo per riconquistare
diritti sociali libertà sindacali, fuori dalle gabbie delle leggi antisciopero
e del 10 Gennaio, costruendo alleanze con tutti coloro che sono costretti a non
programmare né presente né futuro.
Ne abbiamo
abbastanza!
---------------------
From: Gino Carpentiero
ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent:
Friday, June 03, 2016 2:49 PM
Subject: ITALIA:
4 GIORNI PER FERMARE IL GLISOFATO
Vi giro la
petizione sul glisofato.
Saluti
Gino
Carpentiero
C’è un erbicida (il glifosato) che gli scienziati hanno detto essere “probabilmente
cancerogeno” e che è talmente diffuso che è stato trovato anche nel sangue
umano, senza che nessuno di noi sappia di esservi esposto.
Ora, per la
prima volta, il glifosato potrebbe essere messo al bando.
E’ da un anno che la Monsanto pressa l’Europa
per il rinnovo della licenza di questo veleno, ma ogni volta siamo riusciti a
bloccarli. Ora, tra pochi giorni, ci sarà l’ultimo tentativo di rinnovo e le
multinazionali della chimica stanno facendo di tutto per ottenerlo.
Ma la pressione dal basso sta funzionando
e, contro ogni previsione, abbiamo un’incredibile possibilità di vincere.
Il voto è tra 4
giorni! Firma ora, tutti assieme possiamo togliere questo
veleno dalle nostre tavole. E ogni firma conta: le mostreremo tutte su degli
schermi mentre i rappresentanti dei paesi europei staranno entrando nella sala
del voto:
https://secure.avaaz.org/it/stop_glyphosate_loc_eu/?bLYkefb&cl=10084547113&v=77184
Siamo tutti a rischio e non solo per la nostra salute: l’agricoltura su scala industriale che si basa sull’uso massiccio di prodotti chimici produce un terzo delle emissioni di gas serra ed è devastante per gli ecosistemi e la biodiversità. Prima smetteremo di usare il glifosato e meglio sarà. E’ una sfida cruciale per il nostro futuro e questo enorme movimento che è nato contro il glifosato può essere la chiave per vincere.
Siamo tutti a rischio e non solo per la nostra salute: l’agricoltura su scala industriale che si basa sull’uso massiccio di prodotti chimici produce un terzo delle emissioni di gas serra ed è devastante per gli ecosistemi e la biodiversità. Prima smetteremo di usare il glifosato e meglio sarà. E’ una sfida cruciale per il nostro futuro e questo enorme movimento che è nato contro il glifosato può essere la chiave per vincere.
Un anno fa il rinnovo era dato per sicuro,
con una decisione che sarebbe stata presa in silenzio e a porte chiuse. Ma poi
ci sono state la nostra petizione, decine di migliaia di telefonate, email e
post sui social network a tutti i politici europei e nazionali, manifestazioni
e proteste e un movimento che ormai comprende centinaia di organizzazioni...
tutti assieme abbiamo reso possibile quello che sembrava impossibile, e ora
manca pochissimo.
La Monsanto però è una delle aziende più potenti del mondo, e il glifosato sta alla base del suo impero perché porta miliardi di
introiti ogni anno. Per questo dobbiamo far capire a chi prenderà questa
decisione che un numero senza precedenti di cittadini chiede di dare priorità
al principio di precauzione invece che ai profitti di una multinazionale.
Vincere contro Monsanto in Europa
significa fare un primo fondamentale passo verso un Pianeta senza glifosato. E
significa anche sfidare il modo assurdo in cui queste sostanze vengono usate e
approvate, e cominciare a riprenderci le nostre democrazie dal controllo delle
grandi multinazionali. È davvero la nostra occasione per cambiare il futuro del
nostro cibo, facciamo di tutto affinché accada!
Con determinazione e speranza,
Bert, Pascal, Alice, Lisa, Camille, Luca,
Antonia e tutto il team di Avaaz
MAGGIORI INFORMAZIONI
Pesticidi, sul glifosato la Commissione europea
prende tempo (Stampa):
Glifosato e sicurezza, l’Europa ancora non
decide (Wired):
Pagina ufficiale della coalizione italiana
StopGlifosato:
Tracce glifosato in birra tedesca, pane
britannico e acque Italia (Aska News):
Così il glifosato dai campi finisce nella
pipì (Vita):
Monsanto, il suo fiore all’occhiello è il
Roundup (glifosato) sotto i riflettori della Ue (Il Sole 24 ore):
---------------------
From:
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Friday, June 03, 2016 4:02 PM
Subject: 8 GIUGNO: ASSEMBLEA
NAZIONALE DEI FERROVIERI
Basta
contratti a perdere!
Mercoledì 8 giugno ore 10:30
Sala del Consiglio Metropolitano
via Giolitti, 231 Roma
ASSEMBLEA
NAZIONALE DEI FERROVIERI
Ridurre l'orario di lavoro
Pensioni
Sicurezza
NO alla privatizzazione delle FS e all'autoritarismo
aziendale
Stato della vertenza e sintesi delle piattaforme
Verso lo sciopero
CAT - Coordinamento
Autorganizzato Trasportio
Trasporti CUB
SGB - Sindacato Generale di
Base
USB - Unione Sindacale di
Base
Nessun commento:
Posta un commento