NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
IL RAPPRESENTANTE DEI
LAVORATORI PER LA SICUREZZA (RLS): DOMANDE E RISPOSTE
Da
FILCAMS CGIL Lombardia
LA
FORMAZIONE DEL RLS DEVE ESSERE EFFETTUATA DURANTE L’ORARIO DI LAVORO?
Il
tempo per la formazione è da considerare come orario di lavoro e può essere
somministrata anche al di fuori del proprio orario di lavoro, riconoscendo per
la stessa la regolare retribuzione (anche straordinaria: se fuori il normale
orario di lavoro) non può comportare oneri economici a carico del RLS. La
durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti
in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con
verifica di apprendimento.
La
Contrattazione Collettiva Nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di
aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue
per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue di
aggiornamento per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.
In
mancanza di una contrattazione collettiva nazionale, o altro tipo di
contrattazione, il datore di lavoro e comunque obbligato a formare il RLS.
CI
SONO DELLE ORE DI PERMESSI PARTICOLARI CHE SPETTANO AL RLS?
I
permessi retribuiti, nei settori del Terziario e del Turismo, per lo
svolgimento dell’attività propria del RLS, ogni componente avrà a disposizione
un massimo di: 30 ore annue nelle aziende o unità produttive da 16 a 30
dipendenti; 40 ore annue nelle aziende o unità produttive oltre i 30
dipendenti.
Per
le aziende stagionali il monte ore di cui sopra è riproporzionato in relazione
alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di 9 ore annue
nelle aziende o unità produttive da 16 a 30 dipendenti e di 12 ore annue nelle
aziende o unità produttive oltre i 30 dipendenti.
Nelle
aziende fino a 15 dipendenti il RLS avrà a disposizione:
-
12
ore annue in aziende fino a 5 dipendenti;
-
16
ore annue in aziende da 6 a 10 dipendenti;
-
24
ore annue in aziende da 11 a 15 dipendenti.
Per
le aziende stagionali il monte ore di cui sopra è riproporzionato in relazione
alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di 4 ore annue
nelle aziende fino a 5 dipendenti; di 5 ore annue nelle aziende da 6 a 10
dipendenti; di 7 ore annue nelle aziende da 11 a 15 dipendenti.
Il
RLS nelle cooperative ha diritto alle seguenti ore annue di permesso
retribuito:
12
ore nelle imprese cooperative o unità produttive fino a 5 lavoratori;
30
nelle imprese cooperative o unità produttive da 6 a 15 lavoratori.
Nelle
aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori, per l’espletamento dei
compiti di cui all’articolo 50 del D.Lgs. 81/08 i RLS hanno diritto a permessi
retribuiti aggiuntivi a quelli previsti per le RSU, pari a 40 ore annue per
ogni RLS.
CI
SONO DELLE ORE EXTRA OLTRE LE 40 ORE ANNUALI PREVISTE PER IL RLS?
Si,
sono disciplinate dall’Accordo Interconfederale del 18/11/96, e non hanno un limite
massimo.
In
particolare le ore “extra” vengono utilizzate quando il RLS:
-
è
consultato in merito alla valutazione dei rischi;
-
è
consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione,
prevenzione incendi, pronto soccorso, emergenze;
-
è
consultato in merito alla formazione;
-
riceve
formazione;
-
formula
osservazione se e quando ci sono visite e verifiche effettuate dalle autorità
competenti (ad esempio ASL);
-
partecipa
alla riunione periodica.
UN
RLS PUO’ ESSERE PERSEGUITO LEGALMENTE IN MERITO AL SUO RUOLO?
No,
il RLS non può essere perseguito a causa dello svolgimento della propria
attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla
legge per le rappresentanze sindacali (articolo 50, comma 2 del D.Lgs. 81/08).
PUO’
UN RLS RIFIUTARSI DI FIRMARE IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI (DVR)?
No,
la firma comporta esclusivamente la conferma dell’avvenuta consultazione e non
implica l’adesione o meno alle decisioni dell’impresa (Accordo Interconfederale
comma 8, lettera c)). Se si ritiene che ci siano state delle incongruenze in
merito alla consultazione o per la valutazione che ha adottato l’azienda, si
deve comunque firmare il DVR, ma si può scrivere la dicitura: “per presa
visione”. E’ importante scrivere eventuali osservazioni nel verbale della
riunione periodica. Tali osservazioni potrebbero essere fondamentali per un
eventuale coinvolgimento degli organismi di vigilanza.
E’
COSI’ IMPORTANTE UTILIZZARE IL VERBALE DELLA RIUNIONE PERIODICA?
E’
importante perché il RLS può fare inserire a verbale le proprie osservazioni e
i propri argomenti esposti durante la riunione periodica di prevenzione e
protezione dai rischi. Il senso di scrivere eventuali osservazioni va a
ricollegarsi a due motivi. Il primo è che scrivendo nel verbale, si lascia
traccia scritta dell’avvenuta comunicazione in merito ad eventuali criticità.
Il secondo riguarda la cosiddetta “esperienza”: il datore di lavoro viene così
messo a conoscenza di eventuali criticità così che, se non si è intervenuti per
eliminare o ridurre i rischi, in caso di infortunio, il datore di lavoro non
può sostenere l’imprevedibilità dell’evento.
IL
RLS DEVE ESSERE COINVOLTO IN MERITO ALLA REDAZIONE DEL DVR?
Si,
il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento, in
collaborazione con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
(RSPP) e il Medico Competente (MC) e la consultazione del RLS (articolo 50 del
D.Lgs. 81/08).
NEL
CASO IN CUI IN AZIENDA AVVENGA UN’ISPEZIONE DA PARTE DEGLI ORGANI DI VIGILANZA,
IL RLS DEVE ESSERE CONTATTATO?
E’
buona prassi che il RLS venga avvisato nel caso in cui vi sia ispezione da
parte degli organismi di vigilanza. Di norma, quando avviene un’ispezione, gli
organismi di vigilanza sentono i RLS, il quale formula eventuali osservazioni.
(articolo 50 del D.Lgs. 81/08).
QUANDO
PRENDE UN PERMESSO, IL RLS E’ TENUTO A INDICARNE LA MOTIVAZIONE?
No,
tranne nei casi di sopralluoghi nei luoghi di lavoro, in cui possono
partecipare il RSPP e il MC.
IL
RLS DEVE ESSERE COINVOLTO IN MERITO ALLA NOMINA DI UN NUOVO MEMBRO DEL SERVIZIO
PREVENZIONE E PROTEZIONE (SPP) E/O IN MERITO ALLA FORMAZIONE?
Si
deve essere consultato sulla designazione, del RSPP, nonché in merito alla
designazione degli addetti all’attività di prevenzione incendi, al pronto
soccorso, all’evacuazione dei lavoratori.
Deve
essere consultato preventivamente in merito all’organizzazione della formazione
del lavoratore incaricato dell’attività di pronto soccorso, di lotta
antincendio e di evacuazione dei lavoratori. Si tratta di una consultazione, da
formalizzare e verbalizzare, sulle modalità di formazione di tali addetti.
(articolo 50 D.Lgs. 81/08).
A
CHI SI PUO’ RIVOLGERE UN RLS QUANDO VIENE VIOLATA UNA NORMATIVA DI SALUTE E
SICUREZZA?
Come
tutti i lavoratori deve rivolgersi e segnalare eventuali criticità in primis al
Preposto, al Dirigente, al Datore di Lavoro, al RSPP e al MC, cioè a tutte le
figure responsabili della sicurezza nel luogo di lavoro. Nel caso in cui non,
l’azienda non adotti contromisure atte ad eliminare o ridurre i rischi, il RLS
può rivolgersi alle autorità competenti: ASL (UOPSAL), Ispettorato del Lavoro,
Vigili del Fuoco, INAIL, agenti di pubblica sicurezza, Carabinieri e anche alle
categorie sindacali di riferimento (ai sensi dell’articolo 9 della Legge 300/70
“Statuto dei Lavoratori”).
E’
POSSIBILE CHE LA FORMAZIONE BASE DEL RLS SIA FATTA IN MODALITA’ E-LEARNING?
Si,
con la presenza on line del formatore. Le modalità della formazione on-line
sono descritte nell’Accordo Stato Regioni del 21/12/11.
SE
AVVIENE UN INFORTUNIO IN AZIENDA, IL RLS DEVE ESSERE CONTATTATO?
E’
auspicabile, ma non vi è l’obbligo per il preposto o per il datore di lavoro.
IL
RLS PUO’ ESSERE ALLO STESSO TEMPO UN MEMBRO DEL SERVIZIO PREVENZIONE E PROTEZIONE?
No,
l’esercizio delle funzioni di RLS è incompatibile con la nomina di RSPP o di
Addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione
A
PARTE NELLA RIUNIONE PERIODICA, QUANDO IL RLS PUO’ CONSULTARE IL DOCUMENTO DI
VALUTAZIONE DEI RISCHI?
Il
RLS, su sua richiesta e per l’espletamento della sua funzione, riceve copia del
DVR da consultare ogni qual volta che lo ritenga utile e necessario. Il
documento può essere consultato esclusivamente in azienda.
RSU/RSA
INSIEME AL RLS POSSONO FARE ASSEMBLEE, CHE HANNO PER OGGETTO SALUTE E SICUREZZA,
IN AZIENDA?
Si,
ed è auspicabile.
L’AZIENDA
PUÒ RIFIUTARSI DI CONSEGNARE E/O FAR CONSULTARE IL DVR, MAGARI PER MOTIVI
LEGATI ALLA PRIVACY E/O AL SEGRETO INDUSTRIALE?
No,
neppure adducendo questioni riguardanti la privacy, in quanto il RLS è tenuto al
rispetto delle disposizioni di cui al D.Lgs. 196/03 (Codice in materia di
protezione dei dati personali) e del segreto industriale relativamente alle
informazioni contenute nel DVR, nonché al segreto in ordine ai processi
lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni.
IL
RLS, DI FATTO, HA UN RUOLO DI RESPONSABILITA’ ALL’INTERNO DELL’AZIENDA?
No,
se non responsabilità morali nei confronti dei colleghi.
UN
RLS PUO’ UTILIZZARE LA TEMATICA DI SALUTE E SICUREZZA COME MATERIA DI CONTRATTAZIONE
DI SECONDO LIVELLO?
Si,
ma solo se tale contrattazione porti a un innalzamento del livello qualitativo,
quindi migliorativo, solo cioè se va a migliorare e ampliare le condizioni
minime stabilite dalla legge (D.lgs. 81/08). Altrimenti, se non fosse
migliorativa, la legislazione dice che la salute non può essere oggetto di
scambio contrattuale, di contrattazione monetaria, ma è un diritto
costituzionale assoluto (articolo 32 della Costituzione) il cui perseguimento
richiede che lo stesso sia un obiettivo comune di tutti in azienda il diritto
alla salute, non può, essere mai contrattato.
UN
RLS PUO’ ESSERE COINVOLTO IN MERITO ALLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO
CORRELATO?
Il
RLS deve essere coinvolto per la valutazione dello stress lavoro-correlato. Il
documento redatto a conclusione della valutazione deve essere munito di data
certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del
datore di lavoro, nonché, dalla sottoscrizione del RSPP, del RLS e del MC.
AMIANTO: DOMANDE E
RISPOSTE
Da
Assoamianto
COS’E’
L’AMIANTO?
L’amianto,
chiamato anche asbesto, è un minerale naturale a struttura microcristallina e
di aspetto fibroso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie
mineralogiche del serpentino e degli anfiboli.
Tra
questi silicati, i più diffusi sono: la Crocidolite (amianto blu), l’Amosite (amianto
bruno), l’Antofillite, l’Actinolite, la Tremolite, il Crisotilo (amianto bianco).
Le
fibre di amianto sono molto addensate ed estremamente sottili. La struttura
fibrosa conferisce all’amianto sia una notevole resistenza meccanica sia un’alta
flessibilità. L’amianto resiste al fuoco e al calore, all’azione di agenti
chimici e biologici, all’abrasione e all’usura (termica e meccanica). E’
facilmente filabile e può essere tessuto. E’ dotato inoltre di proprietà
fonoassorbenti oltreché termoisolanti. Si lega facilmente con materiali da
costruzione e con alcuni polimeri. Perciò l’amianto è un minerale praticamente
indistruttibile, non infiammabile, molto resistente all’attacco degli acidi,
flessibile, resistente alla trazione, dotato di buone capacità assorbenti,
facilmente friabile.
CHE
DIFFERENZA C’E’ TRA AMIANTO IN MATRICE COMPATTA E AMIANTO IN MATRICE FRIABILE?
Nei
prodotti, manufatti e applicazioni, in cui l’amianto è presente, le fibre
possono essere libere o debolmente legate: si parla in questi casi di amianto
in matrice friabile, oppure possono essere fortemente legate in una matrice
stabile e solida (come il cemento-amianto o il vinil-amianto): si parla in
questo caso di amianto in matrice compatta.
L’amianto
in matrice friabile può essere ridotto in polvere con la semplice azione
manuale.
L’amianto
è compatto invece quando può essere sbriciolato o ridotto in polvere solamente
con l’impiego di attrezzi meccanici manuali o funzionanti anche ad alta
velocità (dischi abrasivi, frese, ecc.).
PERCHE’
L’AMIANTO E’ NOCIVO PER LA
SALUTE DELL’UOMO?
L’amianto
è nocivo per la salute dell’uomo per la capacità dei materiali di amianto di
rilasciare fibre potenzialmente inalabili. E l’esposizione a tali fibre è
responsabile di patologie gravi e irreversibili prevalentemente dell’apparato
respiratorio.
I
più pericolosi sono i materiali friabili i quali si possono ridurre in polvere
con la semplice azione manuale e, a causa della scarsa coesione interna,
possono liberare fibre spontaneamente (soprattutto se sottoposti a vibrazioni,
correnti d’aria, infiltrazioni d’acqua) o se danneggiati nel corso di
interventi di manutenzione.
L’amianto
compatto invece per sua natura non tende a liberare fibre (il pericolo sussiste
solo se segato, abraso o deteriorato).
QUALI
SONO LE PATOLOGIE LEGATE ALL’AMIANTO?
L’esposizione
alle fibre di amianto è associata a malattie dell’apparato respiratorio
(asbestosi, carcinoma polmonare) e delle membrane sierose, principalmente la
pleura (mesoteliomi).
L’asbestosi
è una grave malattia respiratoria che per prima è stata correlata all’inalazione
di fibre d’amianto, caratterizzata da fibrosi polmonare a progressivo
aggravamento che conduce a insufficienza respiratoria con complicanze
cardiocircolatorie.
Il
carcinoma polmonare, che è il tumore maligno più frequente, si verifica anche
per esposizioni a basse dosi. Il fumo favorisce di molto la probabilità di
contrarre la malattia.
Il
mesotelioma della pleura è un tumore altamente maligno della membrana di
rivestimento del polmone (pleura) che è fortemente associato alla esposizione a
fibre di amianto anche per basse dosi.
DOVE
E’ STATO UTILIZZATO L’AMIANTO?
Le
caratteristiche proprie del materiale e il costo contenuto ne hanno favorito un
ampio utilizzo industriale. Pertanto per anni è stato considerato un materiale
estremamente versatile a basso costo. Esso è stato utilizzato in modo massiccio
nel passato per le sue ottime proprietà tecnologiche e per la sua economicità.
Tra
gli innumerevoli prodotti contenenti amianto si ricordano, solo per citarne
alcuni:
-
corde,
nastri e guaine per la coibentazione di tubazioni, di cavi elettrici vicini a sorgenti
di calore intenso come forni, caldaie, ecc.;
-
tessuti
per il confezionamento di tute protettive antifuoco, coperte spegnifiamma,
ecc.;
-
carta
e cartoni utilizzati come barriere antifiamma, ecc.;
-
pannelli
di fibre grezze compresse impiegati per la coibentazione di tubazioni;
-
filtri
costruiti con carta di amianto, o semplicemente con polvere compressa,
utilizzati nell’industria chimica e alimentare.
Inoltre,
dall’impasto con altri materiali si ottenevano l’amianto a spruzzo, utilizzato:
-
come
isolante termico nei cicli industriali con alte temperature (ad esempio
centrali termiche e termoelettriche, industria chimica, siderurgica, vetraria,
ceramica e laterizi, alimentare, distillerie, zuccherifici, fonderie);
-
come
isolante termico nei cicli industriali con basse temperature (ad esempio
impianti frigoriferi, impianti di condizionamento);
-
come
isolante termico e barriera antifiamma nelle condotte per impianti elettrici.
E’
stato impiegato, inoltre, nel settore dei trasporti per la coibentazione di
carrozze ferroviarie, di navi, di autobus, ecc.
COME
È POSSIBILE ACCERTARE SE UN MATERIALE CONTIENE AMIANTO?
L’accertamento
può essere eseguito in base all’aspetto del materiale, all’eventuale marchiatura,
alle conoscenze tecniche di chi esegue l’accertamento oppure può essere
eseguito da un laboratorio opportunamente ed adeguatamente attrezzato.
E’
ANCORA POSSIBILE UTILIZZARE L’AMIANTO?
Dal
1994 sono vietate l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di
prodotti contenenti amianto.
CHI
HA L’OBBLIGO DI COMUNICARE LA
PRESENZA DELL’AMIANTO?
Ai
sensi dell’articolo 12, comma 5 della Legge 257/92, presso le unità sanitarie
locali (ASL) è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione
dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici.
I
proprietari degli immobili devono comunicare alle unità sanitarie locali i dati
relativi alla presenza di tali materiali. Anche l’Ente pubblico deve provvedere
all’individuazione della presenza di amianto relativamente alle strutture di
propria competenza e presentare l’autonotifica.
COME
VENGONO CLASSIFICATI I MATERIALI CONTENENTI AMIANTO PRESENTI IN EDIFICI?
Ai
fini pratici, i materiali contenenti amianto presenti negli edifici possono
essere divisi in tre grandi categorie:
-
materiali
che rivestono superfici applicati a spruzzo o a cazzuola;
-
rivestimenti
isolanti di tubi e caldaie;
-
una
miscellanea di altri materiali comprendente, in particolare, pannelli ad alta
densità (cemento-amianto), pannelli a bassa densità (cartoni) e prodotti
tessili.
I
materiali in cemento-amianto, soprattutto sotto forma di lastre di copertura,
sono quelli maggiormente diffusi. (D.M. 06/09/94).
QUALI
OPERAZIONI OCCORRE ESEGUIRE PER L’ACCERTAMENTO DELLA PRESENZA DI AMIANTO?
Una
volta individuate le strutture edilizie su cui intervenire, sarà opportuno,
prima di procedere al campionamento dei materiali, articolare un finalizzato
programma di ispezione, che si può così riassumere:
-
ricerca
e verifica della documentazione tecnica disponibile sull’edificio, per
accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua costruzione, e per
rintracciare, ove possibile, l’impresa edile appaltatrice;
-
ispezione
diretta dei materiali per identificare quelli friabili e potenzialmente
contenenti fibre di amianto;
-
verifica
dello stato di conservazione dei materiali friabili, per fornire una prima
valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio di fibre nell’ambiente;
-
campionamento
dei materiali friabili sospetti, e invio presso un centro attrezzato, per la
conferma analitica della presenza e del contenuto di amianto;
-
mappatura
delle zone in cui sono presenti materiali contenenti amianto;
-
registrazione
di tutte le informazioni raccolte in apposite schede (D.M. 06/09/94).
QUANTO
COSTA ACCERTARE LA
PRESENZA DI AMIANTO?
Dipende
dalle modalità di accertamento.
Nel
caso di accertamento mediante richiesta di specifiche dei materiali al
produttore o all’installatore, o non vi sono costi o questi sono limitati alle
spese vive.
Se
l’accertamento viene eseguito da tecnici competenti con o senza l’ausilio di
eventuali analisi di laboratorio, i costi sono quelli derivanti da tali
consulenze o prestazioni.
A
CHI CI SI PUO’ RIVOLGERE PER ACCERTARE LA PRESENZA DI AMIANTO?
Ci
si può rivolgere a un Tecnico Competente che sia anche un Coordinatore Amianto,
abilitato ai sensi dell’articolo 10 della Legge n. 257/92 e dell’articolo 10
del D.P.R. 08/08/94, ovvero in possesso di titolo di abilitazione rilasciato da
parte delle Regioni o Province autonome, attestante la partecipazione ad un
corso specifico e superamento della verifica finale.
Tale
corso, di livello gestionale, è rivolto a chi dirige le attività di rimozione,
smaltimento e bonifica dell’amianto.
L’AZIENDA
SANITARIA LOCALE EFFETTUA SOPRALLUOGHI PER ACCERTARE L’AMIANTO IN EDIFICI?
L’ASL
effettua i sopralluoghi soltanto nell’ambito delle attività di accertamento e
controllo di propria competenza.
A
CHI RIVOLGERSI PER CHIARIMENTI E INFORMAZIONI PER LA VERIFICA DELLA
NECESSITA’ DI INTERVENTO?
Le
Aziende Sanitarie Locali forniscono informazioni generali sulla problematica
amianto.
Al
fine di approfondire aspetti specifici o particolari occorre eventualmente
rivolgersi a un Tecnico Competente che accerti e indichi gli eventuali interventi
da adottare.
QUALI
OPERAZIONI TECNICHE OCCORRE ESEGUIRE IN CASO DI ACCERTATA PRESENZA DI AMIANTO?
Una
volta individuate le strutture edilizie su cui intervenire, sarà opportuno,
prima di procedere al campionamento dei materiali, articolare un finalizzato
programma di ispezione, che si può così riassumere:
-
ricerca
e verifica della documentazione tecnica disponibile sull’edificio, per
accertarsi dei vari tipi di materiali usati nella sua costruzione, e per
rintracciare, ove possibile, l’impresa edile appaltatrice;
-
ispezione
diretta dei materiali per identificare quelli friabili e potenzialmente
contenenti fibre di amianto;
-
verifica
dello stato di conservazione dei materiali friabili, per fornire una prima
valutazione approssimativa sul potenziale di rilascio di fibre nell’ambiente;
-
campionamento
dei materiali friabili sospetti, e invio presso un centro attrezzato, per la
conferma analitica della presenza e del contenuto di amianto;
-
mappatura
delle zone in cui sono presenti materiali contenenti amianto;
-
registrazione
di tutte le informazioni raccolte in apposite schede (Allegato 5 del D.M.
06/09/94), da conservare come documentazione e da rilasciare anche ai
responsabili dell’edificio.
IL
CENSIMENTO DEGLI EDIFICI HA CARATTERE OBBLIGATORIO?
Ai
sensi dell’articolo 12. del D.P.R. 08/08/94, il censimento degli edifici nei
quali sono presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice
friabile ha carattere obbligatorio e vincolante per gli edifici pubblici, per i
locali aperti al pubblico e di utilizzazione collettiva e per i blocchi di
appartamenti.
A
tal fine i rispettivi proprietari sono chiamati a fornire almeno i seguenti
elementi informativi:
-
dati
relativi al proprietario dell’edificio: cognome e nome, data e luogo di nascita,
residenza, telefono, denominazione della società (per le società indicare i
dati del legale rappresentante, per i condomini indicare i dati dell’amministratore),
sede, partita IVA, telefono, telefax, codice fiscale;
-
dati
relativi all’edificio: indirizzo, uso a cui è adibito, tipo di fabbricato (prefabbricato,
parzialmente prefabbricato, tradizionale. interamente metallico, in metallo e
cemento, in amianto-cemento, non metallico), data di costruzione, area totale in
metri quadri, numero piani, numero locali, ditta costruttrice (denominazione, indirizzo,
telefono), numero occupanti, ditta incaricata della manutenzione;
-
dati
relativi ai materiali contenenti amianto (indicare il tipo di materiale e l’estensione):
materiali che rivestono superfici applicati a spruzzo o a cazzuola,
rivestimenti isolanti di tubi e caldaie, pannelli interni altri materiali.
Il
censimento, almeno nella prima fase, ha carattere facoltativo per le singole
unità abitative private per le quali, ove ne ricorrano i presupposti, i
relativi proprietari potranno essere invitati a fornire gli elementi
informativi in loro possesso.
Anche
sulla base delle risposte ricevute, le unità sanitarie locali potranno
riconsiderare opportunamente il contenuto e le modalità di tale parte del
censimento.
QUALI
EDIFICI DEVONO ESSERE CENSITI?
Tutti
gli edifici nei quali è accertata la presenza di amianto devono essere censiti
a prescindere dalla tipologia di attività ivi svolta.
QUALI
SONO GLI OBBLIGHI ED I COMPITI DI UN PROPRIETARIO DI UN EDIFICIO A USO COLLETTIVO?
Ai
fini della responsabilità generale sul problema amianto, compete l’obbligo di
gestione del rischio a tutti i proprietari di immobili e cose contenenti
amianto (anche cemento amianto) in quanto responsabili di eventuali danni
causati o provocati dalla dispersione di fibre di amianto.
In
particolare per l’amianto friabile compete l’obbligo di comunicarne la presenza
alle ASL competenti per territorio e di attuare una serie di azioni in tempi
brevi che consentano di accedere e di stazionare nei locali in sicurezza.
In
caso di presenza di manufatti o prodotti contenenti amianto (specialmente se di
tipo friabile) deve essere eseguita anche una valutazione del rischio mirata
alla scelta del possibile metodo di bonifica più efficace (da adottare all’occorrenza)
al fine di eliminare o comunque minimizzare la esposizione degli occupanti
siano essi lavoratori o cittadini.
QUALI
SONO LE TECNICHE D’INTERVENTO PER I MATERIALI CONTENENTI AMIANTO?
Le
tecniche d’intervento per i materiali contenenti amianto sono tre e
precisamente: rimozione, incapsulamento e confinamento.
La
rimozione elimina ogni potenziale fonte di esposizione e ogni necessità di
attuare specifiche cautele per le attività che si svolgono nell’edificio. In
genere richiede l’applicazione di un nuovo materiale, in sostituzione dell’amianto
rimosso.
L’incapsulamento
è un trattamento dell’amianto con prodotti penetranti o ricoprenti che (a seconda
del tipo di prodotto usato) tendono ad inglobare le fibre di amianto, a
ripristinare l’aderenza al supporto, a costituire una pellicola di protezione
sulla superficie esposta. Con tale intervento il materiale contenente amianto
permane nell’edificio e pertanto è necessario i mantenere un programma di
controllo e manutenzione.
Il
confinamento consiste nell’installazione di una barriera a tenuta che separi l’amianto
dalle aree occupate dell’edificio. Se non viene associato ad un trattamento
incapsulante, il rilascio di fibre continua all’interno del confinamento.
Occorre sempre un programma di controllo e manutenzione, in quanto l’amianto
rimane nell’edificio.
La
scelta tra queste tipologie d’intervento è legata al tipo ed alle condizioni
del materiale, alla sua ubicazione, alla volontà della proprietà di eliminare
alla radice il rischio o mantenerlo in modo controllato (attività di controllo
e manutenzione).
DOVE
E’ POSSIBILE EFFETTURE LO SMALTIMENTO DELL’AMIANTO?
Lo
smaltimento deve avvenire in una discarica autorizzata specificatamente per la
tipologia del rifiuto prodotto.
Ulteriori
notizie e informazioni relative alle operazioni di smaltimento possono essere
chieste al Settore Ambiente della Provincia territorialmente competente avendo
l’Ente la competenza diretta sulla materia.
A
CHI CI SI PUO’ RIVOLGERE PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI DI RIMOZIONE, SMALTIMENTO
E BONIFICA DELL’AMIANTO?
Occorre
interpellare imprese abilitate iscritte all’Albo Gestori Ambientali nella
categoria 10 (sottocategorie 10a e 10b).
Il
personale di tali imprese deve essere abilitato ai sensi dell’articolo 10 della
Legge n. 257/92 e articolo 10 del D.P.R. 08/08/94, ovvero in possesso di titoli
di abilitazione rilasciati da parte delle Regioni o Province autonome
attestanti la partecipazione a corsi specifici e superamento della verifica
finale.
Tali
corsi sono a livello:
-
operativo,
rivolto ai lavoratori addetti alle attività di rimozione, smaltimento e
bonifica;
-
gestionale,
rivolto a chi dirige sul posto le attività di rimozione, smaltimento e
bonifica.
QUANDO
UNA COPERTURA IN CEMENTO-AMIANTO (ETERNIT) DEVE ESSERE RIMOSSA?
Non
sussiste alcun obbligo per la rimozione delle coperture in cemento-amianto
(Eternit o altra marca analoga) purché lo stato in cui si trova non sia fonte
di rischio.
Potrebbe
invece essere obbligatorio procedere a uno degli interventi previsti dalla
legge (incapsulamento, sovracopertura e rimozione), nel caso in cui questo
risultasse friabile (con conseguente rilascio di fibre d’amianto) a causa di un
accentuato stato di degrado.
QUALI
SONO I RISCHI ED I PERICOLI DELL’AMIANTO CONFINATO?
L’amianto
o i prodotti contenenti amianto sono pericolosi solamente per gli operatori che
effettuano la manutenzione di impianti e strutture all’interno del confinamento
oppure nel caso di danneggiamento dello stesso.
L’OBBLIGO DI
VIGILANZA DEL DATORE DI LAVORO SULL’OPERATO DEI LAVORATORI
Da:
PuntoSicuro
30
maggio 2016
di
Gerardo Porreca
La
semplicità delle operazioni di lavoro non giustifica l’attenuazione
dell’obbligo di vigilanza atteso che il grado di complessità del lavoro da
espletare non è in rapporto di proporzionalità diretto con il rischio da
proteggere.
Fa
riferimento la Corte
di Cassazione Civile Sezione Lavoro, nella Sentenza n. 5233 del 16 marzo 2016,
all’obbligo di cui all’articolo, 4 lettera c) del D.P.R. 547/55, vigente al
momento dell’evento infortunistico di cui alla Sentenza in esame, in base al
quale il datore di lavoro, il dirigente e il preposto devono disporre ed
esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i
mezzi di protezione messi a loro disposizione, (attuale articolo 18, comma 1,
lettera f) del D.Lgs. 81/08 secondo il quale il datore di lavoro e i dirigenti
devono richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme
vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di
igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi
di protezione individuali messi a loro disposizione).
La
semplicità delle operazioni di lavoro, ha sostenuto la suprema Corte in questa
Sentenza, non giustifica l’attenuazione dell’obbligo di vigilanza atteso che il
maggiore o minore grado di complessità del lavoro da espletare non è in
rapporto di proporzionalità diretto con il rischio da proteggere, potendo
essere delle lavorazioni complesse, ma non pericolose e, per converso, altre
lavorazioni anche semplici, ma con elevato livello di pericolosità.
Il
Tribunale ha condannato una società a pagare ad un lavoratore dipendente, a
titolo risarcitorio dei danni derivatigli da un infortunio sul lavoro
occorsogli, la somma di euro 105.000,00 per danno esistenziale e biologico e
quella di euro 23.000,00 per danno morale, il tutto oltre interessi.
La Corte di Appello
competente ha ridotto successivamente a complessivi euro 105.000,00 il risarcimento
dovuto al lavoratore, confermando nel resto le statuizioni del Tribunale. I
giudici di merito avevano accertato che il lavoratore, nell’eseguire le
operazioni di revisione di un gruppo leveraggio cambio di un automezzo
aziendale, era stato colpito da un bullone che si accingeva a estrarre,
riportando una cecità assoluta all’occhio sinistro e uno stress cronico moderato
post-traumatico, con conseguente inabilità permanente del 37%.
La
società ha presentato ricorso per Cassazione al quale il lavoratore ha
resistito con un controricorso. Come principale motivazione la società
ricorrente ha avuto a lamentarsi in quanto la sentenza impugnata aveva
ravvisata la sua responsabilità pur essendo stato accertato che l’infortunio si
era verificato solo perché il lavoratore, operaio tecnico, non aveva inforcato
gli occhiali protettivi regolarmente fornitigli dall’azienda. Ha obiettato
quindi la ricorrente di aver adottato tutte le dovute cautele e cioè di aver
formato professionalmente il lavoratore e di averlo informato circa i rischi
del lavoro svolto, munendolo di occhiali protettivi e di lampade mobili, così
rispettando sotto ogni aspetto il debito di sicurezza di cui all’articolo 2087
del Codice Civile, sostenendo altresì che nell’occasione non era necessaria una
particolare vigilanza del lavoratore essendo l’operazione svolta (lo svitamento
d’un bullone) di estrema semplicità.
Le
motivazioni addotte dalla ricorrente sono state ritenute infondate dalla Corte
di Cassazione.
Secondo
la stessa, infatti, giustamente i giudici di merito avevano ravvisato a carico
della società una violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile perché
l’ambiente di lavoro era scarsamente illuminato e perché l’azienda non aveva
vigilato affinché i dipendenti utilizzassero gli occhiali protettivi e i
sistemi di illuminazione mobili messi a loro disposizione. In merito
all’obbligo di vigilanza, poi, la
Corte suprema ha fatto osservare che la sorveglianza dovuta
dai datori di lavoro, dai dirigenti e dai preposti non deve essere ininterrotta
e con costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può
anche sostanziarsi in una discreta, seppure continua e efficace, vigilanza
generica, intesa ad assicurarsi, nei limiti dell’umana efficienza, che i
lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite e utilizzino gli
strumenti di protezione prescritti.
Tale
obbligo di vigilanza, ha quindi proseguito la Sezione Lavoro,
subisce un’ulteriore attenuazione, in base a un principio di ragionevole
affidamento nelle accertate qualità del dipendente, in ipotesi di provetta
specializzazione dell’operaio munito di approfondita conoscenza d’una determinata
lavorazione cui sia addetto da lungo tempo. Nondimeno però tale mera attenuazione,
che comunque è configurabile solo in ipotesi di lavoratore esperto, già
adeguatamente formato professionalmente e informato dei rischi connessi alle
mansioni assegnategli, non si identifica con la totale omissione di controllo,
ravvisata nel caso in esame dai giudici di merito, circa l’uso di lampade
mobili e occhiali protettivi, controllo ancor più necessario viste le condizioni
di insufficiente illuminazione dell’ambiente di lavoro.
“Né
esime da tale obbligo” - ha così proseguito la Corte di Cassazione - “la
semplicità dell’operazione lavorativa, atteso che il grado maggiore o minore di
complessità del lavoro da espletare non è in rapporto di proporzionalità
diretta con il rischio protetto, ben potendosi dare lavorazioni complesse, ma
non pericolose e, per converso, altre anche semplici, ma con elevato livello di
pericolosità”.
In
conclusione, ha così sentenziato la
Corte suprema, il ricorso è da rigettare.
I RISCHI PER LA
SALUTE NEL SETTORE TESSILE
Da:
PuntoSicuro
31
maggio 2016
I
fattori di rischio e patologie lavorative dei vari cicli lavorativi di una
industria tessile: rischio ergonomico, chimico e allergie professionali.
In
relazione ai rischi per la salute nel settore tessile, riportiamo
l’approfondimento dal titolo “I rischi per la salute nel settore tessile”
pubblicato sulla Newsletter dell’Inca CGIL, Numero 18/16.
L’industria
tessile può manifestare le seguenti patologie di rischio:
-
disturbi
muscoloscheletrici;
-
esposizione
ad agenti fisici;
-
esposizione
a rischio chimico;
-
esposizione
a polveri e fibre;
-
esposizione
ad agenti biologici:
-
stress
lavoro correlato.
Il
ciclo lavorativo di una industria tessile si caratterizza per le seguenti fasi:
-
magazzino
dove avviene il ricevimento dei filati;
-
preparazione
tessuti;
-
orditura;
-
tessitura;
-
imballaggio
e spedizione;
-
operazioni
di manutenzione e pulizia presenti nelle diverse fasi.
I
filati pervengono in industria sotto forma di fusi mentre nelle successive fasi
sono utilizzati in forma di rocche. La trama di ordito viene invece trasferita
su subbi.
La
movimentazione dei filati e dei supporti avviene, in genere, con l’ausilio di
mezzi meccanici, in particolare di carrelli elevatori ad alimentazione
elettrica.
Il
filato durante la fase della tessitura può essere oggetto di due diverse
lavorazioni a seconda che sia destinato a divenire “trama” o “ordito”.
L’orditura
serve a preparare i subbi di ordito per il telaio. La tela di ordito può essere
sottoposta a trattamenti finalizzati ad aumentarne la resistenza o a ridurre la
produzione di peluria superficiale, nella successiva fase di tessitura.
Tali
trattamenti possono essere di varia natura: si può avere l’applicazione di cere
a freddo, negli stessi locali dell’orditura, durante la fase di riavvolgimento
sul subbio oppure il trattamento di “bozzima” classica che applica degli
addensanti in soluzione acquosa a cui sono aggiunte sostanze ammorbidenti e
antischiumogene.
Si
tratta in genere di prodotti costituiti da alcooli polivinilici, forniti in
granuli, e polimeri naturali e sintetici. Successivamente viene effettuata
l’asciugatura con una temperatura costante di circa 150°.
La
movimentazione dei subbi dall’orditoio alle zone di stoccaggio e da queste ai
mezzi di trasporto avviene, in genere, con l’ausilio di carrelli elevatori.
La
tecnica della tessitura non è sostanzialmente variata dalle origini, mentre la
tecnologia si è evoluta portando dai vecchi telai a navetta, con velocità di
100 colpi/minuto a telai diversi (con trasporto della trama a proiettile, a
nastro, a pinza) con velocità molto superiori.
Nelle
aree di tessitura sono presenti livelli elevati di rumore e condizioni
microclimatiche sfavorevoli.
In
genere i telai lavorano in continuo, almeno di giorno, questo richiede una
organizzazione del lavoro che prevede dei turni, talora anche notturni.
Nella
fase di controllo dei tessuti, imballaggio e spedizione, la verifica di
eventuali difetti del tessuto si effettua tramite un controllo visivo facendo
scorrere le pezze su tavoli appositamente illuminati dal basso (specchio o
tribunale) con l’ausilio di lampade poste sopra ai tavoli.
Il
controllo comporta la permanenza dell’addetto in posizione eretta davanti alla
macchina specchio e richiede un intenso impegno visivo.
Per
la manutenzione e la pulizia dei locali e delle macchine vengono usati
aspirapolveri e anche sistemi ad aria compressa. Quando si avvia una nuova tela
si effettua sempre una pulizia del telaio, pulizia che ha una durata di circa
15 minuti.
I
fattori di rischio ergonomico per gli addetti alle macchine per cucire sono
principalmente correlati a posture incongrue, movimenti ripetitivi a carico
dell’arto superiore, stress occupazionale, affaticamento visivo e microclima.
Indagini
epidemiologiche condotte in Toscana hanno confermato nei lavoratori di questo
settore una frequenza elevata di disturbi a carico dell’arto superiore (come la
sindrome del tunnel carpale) e del rachide (cervicalgie e lombalgie),
Le
cause sono state individuate, oltre che nel tipo di organizzazione tipica di
tali lavorazioni nella configurazione della postazione di lavoro che spesso non
rispetta i principi ergonomici.
Frequentemente
la postazione è composta da arredi non regolabili e pertanto non adattabili alle
caratteristiche antropometriche individuali.
Inoltre
gli arti superiori e, in particolare, le mani sono spesso impegnati in azioni
di tipo ripetitivo, caratterizzate da sforzo muscolare ed atteggiamenti
posturali incongrui
Inoltre
il lavoro nell’industria tessile comporta la movimentazione di oggetti pesanti
oltre al mantenimento di carichi statici (mantenimento di posture fisse, spesso
in posizioni scomode) con i muscoli che rimangono in contrazione per periodi
prolungati.
Altri
fattori di rischio associati alla postura di lavoro, alle richieste del compito
e alla capacità individuale di adattarsi alle richieste del lavoro, che
contribuiscono all’insorgenza di patologie muscolo-scheletriche e di stress
sono l’adozione di posture di lavoro incongrue e fisse dovute a una scorretta
configurazione dimensionale del posto di lavoro e al design delle attrezzature,
che causano un sovraccarico biomeccanico delle articolazioni ed affaticamento
muscolare.
Gli
addetti alla cucitura tendono a lavorare in una postura caratterizzata dal
tronco in un costante atteggiamento di flessione. Questa posizione è
conseguente alla necessità di avere un buon angolo di visione ma dipende anche
dalle dimensioni e dalla disposizione della postazione di lavoro e, se il
lavoro è svolto in posizione seduta, dalle caratteristiche non ergonomiche della
seduta.
Altri
fattori di rischio sono dati da:
-
gli
scarsi contenuti e la monotonia del lavoro che aumentano lo sforzo di mantenere
la concentrazione e l’attenzione;
-
i
ritmi di lavoro ad alta ripetitività;
-
la
mancanza di autonomia decisionale nel proprio lavoro;
-
il
sovraccarico biomeccanico dell’articolazione con tempo di recupero inadeguati;
-
il
livello inadeguato di formazione per quanto riguarda i compiti e la sicurezza
del lavoro;
-
l’alto
tasso di azioni richiedenti sforzo fisico e/o torsioni del tronco;
-
le
sedute di lavoro inadeguate per il tipo di compiti richiesti e per gli effetti
sulla postura, specialmente per quanto riguarda la posizione del rachide,
spalle e arti superiori;
-
i
fattori ambientali (microclima e illuminazione);
-
la
richiesta di sollevamento e spostamento manuale di carichi anche in postura
assisa.
Le
patologie muscolo-scheletriche che si riscontrano più frequentemente riguardano
le spalle e il collo a causa delle posture incongrue, l’avambraccio e la mano
(a causa delle azioni ripetitive e richiedenti sforzo muscolare), il tratto
lombare (soprattutto per posture incongrue e movimentazione manuale di
carichi).
In
merito al rischio chimico, in ambito tessile le più note sostanze soggette a
restrizione (secondo il regolamento REACH-CLP) sono le ammine aromatiche
cancerogene rilasciate dai coloranti azoici oltre ad altri gruppi quali:
-
composti
organo-stannici (TBT, TPhT, DBT, DOT) ossia biocidi e catalizzatori di sintesi
nella produzione di poliuretani;
-
ftalati
(DEHP, DBP, BBP, DINP, DIDP, DNOP), plastificanti molto utilizzati nel PVC;
-
nichel
e cadmio presenti negli accessori metallici;
-
perfluoro
ottano solfonati (PFOS), idro/oleo repellenti e additivi utilizzati nella
lavorazione del cuoio;
-
alcuni
ritardanti di fiamma.
Tra
le sostanze soggette ad autorizzazione (secondo il regolamento REACH-CLP) in
ambito tessile sono particolarmente significativi:
-
i
composti del cromo, utilizzati in alcuni processi di concia e tintura;
-
le
paraffine clorurate a catena corta, utilizzate per trattamenti ignifughi,
-
gli
ftalati per i quali è prevedibile il passaggio da regime di restrizione a
regime di autorizzazione.
Inoltre
le singole fibre possono determinare patologia allergica cutanea con sporadici
e differenti quadri clinici:
-
la
lana causa irritazione acuta o cronica, aggrava la dermatite atopica ed induce
DAC ed orticaria da contatto;
-
la
seta è in grado di aggravare una dermatite atopica e raramente induce orticaria
da contatto;
-
il
nylon può causare DAC e orticaria da contatto;
-
lo
Spandex (utilizzato nella lingerie) determina soltanto DAC;
-
la
gomma contenuta in numerosi prodotti determina allergia.
Le
manifestazioni dermatologiche causate da contatto con gli indumenti sono
generalmente attribuite a sostanze chimiche e coloranti che vengono aggiunti
alle fibre tessili durante la loro manifattura e assemblaggio in indumenti.
In
particolare gli agenti responsabili sono rappresentati da prodotti per le
tinture e per il finissaggio, i metalli, la gomma e le colle. Occasionalmente
anche gli sbiancanti ottici, i biocidi, i materiali ignifughi e altre sostanze
chimiche aggiunte sono responsabili dell’insorgenza del quadro clinico cutaneo.
I
coloranti sono le sostanze chimiche più usate e possono essere classificate in
acidi, diretti, reattivi, dispersi: vengono legati al mordente per diffondere
più facilmente fra le fibre. Dal punto di vista della classe chimica il 40% dei
coloranti tessili sono azoici ma non tutti sono altamente allergizzanti. Tra
questi coloranti quelli che più facilmente determinano sensibilizzazioni
appartengono al gruppo dei dispersi: questi formano legami stabili con le fibre
naturali mentre si legano meno stabilmente con le fibre sintetiche. Sono
composti liposolubili e per questa caratteristica penetrano bene attraverso la
cute.
Altro
gruppo responsabile di allergie sono le resine, usate per dare certe proprietà
specifiche ai tessuti come sofficità, resistenza ai colori, ecc.
Come
mordente il più impiegato è il bicromato di potassio e con analoga funzione
vengono impiegati coloranti metallo complessi che contengono cobalto o nichel
all’interno della molecola.
La
causa dei problemi professionali della cute è il contatto con talune sostanze
durante il lavoro. Essi interessano le mani e gli avambracci (preferibilmente)
ossia le parti del corpo che con più probabilità vengono a contatto con la
sostanza, ma possono estendersi ad altre parti.
La
rapidità di reazione della cute dipende dalla concentrazione o dalla potenza
della sostanza nonché dalla durata e dalla frequenza del contatto di questa con
la pelle.
In
taluni casi gli allergeni possono causare sintomi a livello cutaneo se inalati
o ingeriti. Può anche accadere che il contatto della pelle con sostanze
chimiche provochi sintomi allergici all’apparato respiratorio.
Il
documento “I rischi per la salute nel settore tessile” è pubblicato sulla
Newsletter dell’Inca CGIL nel numero 18/16, visionabile al link:
I DPI DA UTILIZZARE
IN POZZI, FOSSE E CANALIZZAZIONI
Da:
PuntoSicuro
31
maggio 2016
di
Tiziano Menduto
Un
documento di Suva si sofferma sulla sicurezza nei lavori all’interno di pozzi,
fosse e canalizzazioni.
Focus
sui dispositivi di protezione individuale con particolare riferimento al
pericolo di atmosfere pericolose.
Nei
molti articoli dedicati in questi anni agli spazi confinati, abbiamo più volte
ricordato come spesso nei pozzi, fosse e canalizzazioni possa verificarsi una
carenza di ossigeno.
E
le sostanze nocive, quando penetrano o si formano in ambienti
insufficientemente ventilati, possono raggiungere in breve tempo concentrazioni
elevate e mettere in pericolo le persone che entrano o si soffermano
all’interno di tali ambienti.
A
raccontarlo è una pubblicazione di Suva (Istituto svizzero per l'assicurazione
e la prevenzione degli infortuni), dal titolo “Sicurezza nei lavori all’interno
di pozzi, fosse e canalizzazioni”.
Spesso
le conseguenze degli infortuni nei lavori all’interno di pozzi, fosse e
canalizzazioni sono molto gravi e generalmente la causa degli infortuni gravi
va ricercata nella presenza di un’atmosfera pericolosa. Inoltre contrariamente
alla maggior parte degli altri rischi professionali, la messa in pericolo non
si limita a spazi ristretti, ma può senz’altro estendersi su tutta la zona di
pozzi, fosse e canalizzazioni. Sono quindi esposti allo stesso rischio non solo
gli infortunati ma anche i soccorritori.
E
l’esperienza dimostra ripetutamente che in pozzi, fosse e canalizzazioni
accadono gravi infortuni perché nessuno ha individuato l’atmosfera pericolosa e
il pericolo è stato sottovalutato.
Il
documento, che riporta diverse indicazioni per la prevenzione degli infortuni,
si sofferma anche su un aspetto importante relativo alle attività negli spazi
confinati: l’utilizzo di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).
Segnalando
che il materiale e l’equipaggiamento da utilizzare dipendono dai pericoli, dal
tipo di impianto in cui si svolge il lavoro e dalle misure di protezione da
adottare, si indica che i lavoratori e il gruppo di lavoro devono poter
disporre del seguente equipaggiamento:
-
respiratori
indipendenti dall’aria circostante per la sosta in atmosfera pericolosa e per
gli interventi di salvataggio: sono adatti gli apparecchi che alimentano
l’utilizzatore con aria non proveniente dall’atmosfera circostante, ossia
apparecchi non autonomi (respiratori a presa d’aria esterna assistiti e quelli
ad aria compressa alimentati dalla linea) oppure apparecchi autonomi
(autorespiratori a circuito aperto e autorespiratori a rigenerazione); per gli interventi in canalizzazioni si
raccomanda di mettere a disposizioni apparecchi autonomi (ossia apparecchi
alimentati con bombole): lavorando in canalizzazioni tortuose o usando tubi di
presa d’aria o di alimentazione lunghi esiste altrimenti il pericolo che il
tubo rimanga impigliato;
-
autorespiratori
d’emergenza (autosalvatori) per il salvataggio e la fuga (apparecchi a circuito
aperto ad aria compressa e apparecchi a rigenerazione) per sostare in
canalizzazioni e per prestare il primo soccorso sul posto: gli autorespiratori
d’emergenza (autosalvatori) sono concepiti esclusivamente per un’immediata
evasione da zone pericolose e per la prestazione dei primi soccorsi sul posto e
non è consentito usarli per lavorare; apparecchi adatti sono quelli che
funzionano in modo indipendente dall’aria circostante e hanno un’autonomia da 15 a 30 minuti; non è ammesso
l’uso di maschere a filtro;
-
cintura
di salvataggio o indumento di sicurezza provvisto di occhiello incorporato
all’altezza della nuca: gli indumenti di sicurezza con occhiello incorporato
all’altezza della nuca sono indicati esclusivamente come un mezzo di
salvataggio; nei casi d’intervento, la fune di salvataggio viene agganciata
nell’occhiello dell’indumento di sicurezza e il sollevamento dell’infortunato
avviene, per esempio, con un apposito elevatore provvisto di dispositivo di
blocco dello scarrucolamento automatico; queste apparecchiature possono essere
usate anche per entrare in ambienti ristretti;
-
indumenti
da lavoro appropriati: gli indumenti da lavoro allacciati evitano di sporcarsi
e di riportare possibili infezioni; per rendersi ben visibile agli utenti della
strada è bene indossare indumenti di colore vistoso;
-
scarpe
appropriate: le scarpe di sicurezza devono offrire una buona stabilità ed
essere impermeabili (per esempio stivali di gomma);
-
guanti:
guanti appropriati servono a proteggere le mani da ferite e dal contatto con
sostanze nocive e acque inquinate;
-
casco
di protezione: il casco protegge la testa contro specifici pericoli, ad
esempio, per caduta di materiale oppure per contatto o urto con elementi fissi od
oggetti;
-
protezione
degli occhi: quando si è esposti al pericolo di lesioni agli occhi da schegge,
spruzzi di sostanze pericolose, ecc., occorre proteggere gli organi della
vista;
-
protezione
dell’udito: quando si è esposti a rumore pericoloso per l’udito occorre usare
protettori auricolari appropriati, per esempio cuffie antirumore.
Senza
dimenticare, infine, di poter utilizzare illuminazione indipendente dalla rete
elettrica, per esempio lampade portatili a prova di spruzzi d’acqua o lampade
fissate al casco.
Il
documento di Suva “Sicurezza nei lavori all’interno di pozzi, fosse e
canalizzazioni” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131118_suva_sicurezza_pozzi_fosse_canalizzazioni.pdf
IMPARARE DAGLI
ERRORI: QUANDO NON SI METTE IL CARICO IN SICUREZZA
Da:
PuntoSicuro
01
giugno 2016
di
Tiziano Menduto
Esempi
di infortuni tratti da Suva: un infortunio avvenuto durante lo scarico di
alcune lastre di marmo. Un lavoratore rimane schiacciato da una lastra di tre
tonnellate. La dinamica dell’incidente, le riflessioni sulle cause e le regole
di prevenzione.
Molti
degli incidenti raccolti dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e
gravi e correlati all’uso di veicoli pesanti riguardano le problematiche
connesse con lo scarico e carico delle merci. E “Imparare dagli errori”, la
rubrica di PuntoSicuro dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni
lavorativi, si è soffermata più volte sui rischi correlati al carico, scarico e
trasporto delle merci.
Oggi
si soffermiamo ancora su questo tema, ma con riferimento a una scheda di un
infortunio, dal titolo “Schiacciato da una lastra di marmo”, pubblicata sul
sito di Suva (Istituto svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli
infortuni) e correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite”. La scheda
racconta di un infortunio mortale avvenuto durante lo scarico di alcune lastre
di marmo: un lavoratore perde la vita perché schiacciato da una lastra pesante
3 tonnellate.
Nel
caso in questione, due autotrasportatori stanno trasportando con un
semirimorchio alcune lastre di marmo a una ditta che lavora materiali lapidei.
Parcheggiano il veicolo davanti alla ditta, salgono sul pianale di carico e
allentano le catene con le quali sono fissate le lastre sulla rastrelliera.
Per
prima cosa scaricano le lastre a sinistra della rastrelliera e per scaricare le
altre devono girare il semirimorchio. Il primo autotrasportatore sale sul
pianale di carico.
Durante
la manovra il camion si sposta dalla piazzola antistante alla strada e sale su
un marciapiede in forte pendenza. La ruota posteriore destra si abbassa di 25
cm e questo fa rovesciare il carico. L’autotrasportatore sul pianale di carico
non ha via di scampo e rimane schiacciato da una lastra di marmo di tre
tonnellate.
Perché
l’incidente è avvenuto?
La
scheda di Suva indica che:
-
le
catene che tenevano ferme le lastre non sono state tese nuovamente prima della
manovra;
-
il
carico non è stato messo in sicurezza prima di girare il semirimorchio: in
questa situazione tutte le persone coinvolte avrebbero dovuto fermare subito i
lavori;
-
contro
ogni regola l’autotrasportatore sale sul pianale di carico (zona pericolosa);
-
prima
della manovra l’autista non verifica se le lastre sono in condizioni di
sicurezza.
Dunque,
riepilogando, questi sono i principali fattori causali dell’infortunio:
-
il
carico non è in condizioni di sicurezza durante la manovra del camion;
-
un
autotrasportatore sale sul pianale di carico e si trova nella zona di pericolo.
Per
favorire la prevenzione degli infortuni correlati all’attività degli
autotrasportatori, con particolare riferimento al carico e scarico della merce,
la scheda propone degli approfondimenti tratti dal documento “Sette regole
vitali per gli autotrasportatori”.
Ricordiamo
brevemente le regole:
-
rispettare
le regole della circolazione e le pause;
-
bloccare
le ruote del veicolo;
-
agganciare
e sganciare il carico in sicurezza;
-
fissare
correttamente il carico (regola rilevante per il caso in questione);
-
proteggersi
dalle cadute dall’alto;
-
utilizzare
correttamente le attrezzature;
-
utilizzare
i dispositivi di protezione.
Riguardo
alla quarta regola, regola rilevante in questo caso, riprendiamo brevemente
alcuni suggerimenti, come contenuti nel documento “Sette regole vitali per gli
autotrasportatori. Vademecum”.
La
quarta regola impone di mettere sempre in sicurezza il carico in modo che non
possa cadere, ribaltarsi o scivolare:
-
il
lavoratore mette in sicurezza il carico durante le fasi di carico, trasporto e
scarico;
-
il
superiore stabilisce regole chiare su come il carico deve essere messo in
sicurezza durante le fasi di carico, trasporto e scarico e fornisce le
attrezzature di lavoro necessarie.
La
scheda indica che se la merce non è messa in sicurezza, c’è il rischio che
l’intero carico o parti di esso possano spostarsi improvvisamente. Il pericolo
è che qualcuno venga travolto o seppellito dalla merce. Ma i lavoratori hanno
conoscenze sufficienti sulla messa in sicurezza del carico? E si dispone di
materiale sufficiente e integro per la messa in sicurezza del carico?
Si
sottolinea che bisogna prestare la massima attenzione al controllo e alla
manutenzione degli accessori di aggancio e degli altri ausili. Garantirne la
manutenzione stabilendo un apposito piano.
Oltre
al controllo dell’integrità delle attrezzature di lavoro è poi necessario
operare da una postazione sicura.
Infatti
durante le operazioni di carico e scarico delle merci bisogna sempre scegliere
una postazione sicura. E durante i lavori in quota i dipendenti devono essere
equipaggiati contro le cadute dall’alto. I dipendenti non devono essere colpiti
dalla caduta, dal ribaltamento o dallo spostamento accidentale dei carichi.
Riportiamo
infine alcune indicazioni relative ai dispositivi di protezione individuale:
-
l’uso
dei guanti è obbligatorio durante le operazioni di carico e scarico, durante l’imbracatura
dei carichi e il fissaggio e l’allentamento dei dispositivi di sicurezza del
carico;
-
se
per le attività di carico e scarico si impiega una gru, bisogna anche indossare
il casco di protezione;
-
se
si prevede la presenza di altri veicoli, bisogna indossare gli indumenti ad
alta visibilità (minimo un gilet).
Il
documento di Suva “Schiacciato da una lastra di marmo”, dinamica di un
incidente correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite” è scaricabile
all’indirizzo:
Il
documento di Suva, “Sette regole vitali per gli autotrasportatori. Vademecum” dell’aprile
2014 è scaricabile all’indirizzo:
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