Il fatto quotidiano
Avevano da
poco ottenuto un contratto migliore, quello dell’industria alimentare,
dove veniva riconosciuto il loro lavoro, uno stipendio più alto e i buoni
pasto. Ma nemmeno il tempo di vedere la prima busta paga che si sono
ritrovati licenziati. La storia arriva da Spilamberto, uno dei centri
del distretto modenese delle carni. Qui, dal 10 novembre, alcuni lavoratori
della Global carni, assunti da una cooperativa esterna alla quale
l’azienda aveva affidato parte della macellazione, stanno protestando davanti
ai cancelli. La Global infatti non ha riconfermato l’appalto con la coop, la
Alba service, e così 55 di loro sono stati lasciati a casa. Il sit-in sta
andando avanti da giorni. E non sono mancati momenti di tensione con la
polizia. L’ultimo martedì 29 novembre, quando le forze dell’ordine in
assetto antisommossa hanno sgomberato il picchetto iniziato all’alba e
hanno allontanato gli operai che cercavano di bloccare i camion,
mettendosi davanti ai mezzi. Nei giorni scorsi alcuni camionisti hanno anche
provato a forzare il blocco, pigiando il piede sull’acceleratore.
La trattativa per ora ha portato alla riduzione
degli esuberi (inizialmente erano circa 80), ma il dialogo ora sembra
interrotto e il sindacato dei Cobas, che sta seguendo la vertenza, ha
promesso una mobilitazione continua fino al reintegro di tutti i
lavoratori. Una manifestazione nazionale è già stata programmata a Modena,
sabato 3 dicembre. Anche la Cgil martedì 29 novembre ha organizzato un
presidio sotto la prefettura di Modena, “per denunciare ancora una volta
che il sistema degli appalti nel distretto agroalimentare modenese è al di
fuori delle regole, insostenibile, produce sfruttamento del lavoro e
crea terreno fertile per infiltrazioni illegali e malavitose”.
La vicenda degli operai della Global carni, di
proprietà della famiglia di imprenditori Levoni (che non ha niente a che
vedere con quella dei salumi di Mantova) non è un caso isolato, e ha aperto una
finestra sulla situazione dei lavoratori della filiera delle carni e dei salumi
modenese. Un comparto che, stando ai dati della Cgil, solo nella
provincia muove 3 miliardi di euro, e dove quasi un terzo dei lavoratori
è in appalto a cooperative che hanno una vita media di pochi anni. I
sindacati non esitano a definirli “schiavi” e parlano di “moderno caporalato”
basato su un sistema di “false cooperative”, dove chi chiede diritti e protesta
viene punito e licenziato.
“Questo
distretto – spiega Umberto Franciosi, segretario generale della Flai-Cgil
– è uno dei più importanti italiani, perché tutti i grandi marchi di salumi
vengono a prendere le materie prime qui. I salumifici stabiliscono il prezzo e
la concorrenza è spietata. Così le cooperative che forniscono manodopera per
aggiudicarsi gli appalti abbattono il costo del lavoro: da 24 euro lordi
all’ora si arriva a un costo del lavoro che non supera i 13 o i 14 euro
all’ora”.
I racconti che arrivano dall’interno degli stabilimenti
dipingono un quadro da secolo scorso. I lavoratori sono in larga parte
stranieri, provengono dal Ghana, dall’Albania, dal Marocco e dalla Tunisia.
“Vengono fittiziamente inquadrati come soci delle cooperative – spiega
ancora Franciosi – ma questi non sanno nemmeno che cos’è una società
cooperativa”. La paga non supera i 7 o gli 8 euro all’ora. Quasi tutti sono
assunti come facchini, nonostante facciano i macellai. Quindi con meno
tutele anche dal punto di vista degli infortuni, che purtroppo usando coltelli,
ganci e seghe elettriche sono frequenti. “Disossiamo prosciutti per 10,
12 o anche 16 ore al giorno”, racconta Mohamed. Alcuni di loro lo fanno da
oltre quindici anni, e sono passati da una decina di cooperative. “Cambiavano
il nome ma il lavoro era sempre lo stesso”.
Modena, scontri al sit-in dei
lavoratori licenziati: cariche della polizia per far passare i camion
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