A
Taranto, come già annunciato, spalmeremo la mobilitazione in due giorni.
Al
centro la questione del diritto d'asilo e permessi e documenti per tutti i
migranti; contro il piano Minniti; contro la repressione dei migranti che
lottano.
(Naturalmente
restano i problemi della invivibilità dei centri di accoglienza e dell'azione
di speculazione, controllo, ricatto delle Associazioni - su questo già nelle
scorse settimane ci sono state altre iniziative di lotta che hanno portato a
dei parziali risultati, da un lato a trasferire i migranti del campo sofia
(Talsano-TA) in un centro/albergo decente (come da noi richiesto) e dall'altro
ad un intervento diretto della Procura su problemi di mancanza di assistenza
medica al centro Bel Sit).
Il primo giorno faremo soprattutto informazione alla città, chiamando soprattutto i lavoratori, i giovani, le donne alla solidarietà verso i migranti e le loro lotte: con le parole d'ordini: "La città deve sapere"; "i loro nemici sono i nostri".
Il primo giorno faremo soprattutto informazione alla città, chiamando soprattutto i lavoratori, i giovani, le donne alla solidarietà verso i migranti e le loro lotte: con le parole d'ordini: "La città deve sapere"; "i loro nemici sono i nostri".
Il
secondo giorno: manifestazione alla prefettura e andata (non annunciata)
all'hotspot soprattutto per prendere contatti con i migranti, perchè anche in
questo luogo/lager germogli la protesta (su questo ricordiamo che abbiamo
presentato un esposto alla Procura sulle violenze-torture e le deportazioni).
Slai Cobas per il sindacato di classe – Taranto
Slai Cobas per il sindacato di classe – Taranto
slaicobasta@gmail.com 347-5301704
migranti autorganizzati
migranti autorganizzati
Il
31/01/2017 21.10, Campagne in Lotta ha scritto:
Contro
confini e sfruttamento, si riparte con le lotte!
Il 12
novembre 2016 lavoratrici e lavoratori, disoccupati e precarie, stranieri e
italiani, dalle campagne e dai magazzini della logistica, dalle occupazioni di
case e dai centri d'accoglienza, sono scesi in piazza a Roma per dire no ad un
regime di controllo della mobilità che crea sfruttamento e segregazione. Mai
come oggi, dopo le ultime scellerate proposte del nuovo Ministro dell'Interno,
Marco Minniti, ma anche in ragione dell'orientamento dell'Unione Europea nel suo
complesso in materia di immigrazione, e visti gli inquietanti scenari
internazionali apertisi con l'elezione di Trump negli Stati Uniti e la Brexit,
quelle rivendicazioni e alleanze appaiono necessarie.
D'altra
parte, questi eventi e i soggetti che ne sono protagonisti sono parte di uno
scenario molto più ampio e di lunga durata. E certo non ci fidiamo dei
proclami: riteniamo quelle di Minniti parole dettate dalle necessità
populistiche di propaganda pre-elettorale, tutta improntata su un discorso securitario
volto a 'tranquillizzare' l'opinione pubblica dopo gli attentati di Berlino.
Molte delle misure annunciate – dagli accordi bilaterali con la Libia alle
deportazioni di massa – sono peraltro ritenute inapplicabili da diversi
esponenti delle istituzioni stesse, in Italia e fuori. Ma le prospettive, come
del resto l'attuale stato di cose, non lasciano dubbi. I rimpatri forzati e gli
accordi bilaterali, la detenzione amministrativa di chi è stato privato dei
documenti o il lavoro gratuito per i richiedenti asilo non sono realtà di là da
venire, ma pratiche assolutamente all'ordine del giorno in questo paese.
Semmai, il problema politico-amministrativo attuale appare essere quello di
intensificarle e renderle più efficienti, essendo al momento ben al di sotto
delle soglie a cui auspicano, a parole, non soltanto il governo italiano e la
quasi totalità dei partiti politici, ma in primis quella Unione Europea che più
o meno efficacemente detta le politiche migratorie a tutti gli stati membri. D'altra
parte, è ben chiaro al capitale come a chi governa che, nonostante i discorsi
securitari, i migranti sono una fonte di profitto di cui non si può fare a
meno: come (s)oggetti dell'apparato militare-umanitario, dagli hotspot agli
hub, dai centri d'accoglienza ai CIE, da una parte, e dall'altra come
forza-lavoro a bassissimo costo e con pochi, anzi spesso nessun diritto,
necessaria alla riproduzione di un continente 'vecchio' in tutti i sensi. Si
tratta, a ben vedere, di due facce della stessa medaglia. Rimane quindi vero,
come lo è sempre stato, che le politiche migratorie improntate sulla
criminalizzazione e la chiusura sono funzionali più a rendere i e le migranti
ricattabili, e contemporaneamente a regolarne l'intensità dei flussi a seconda
del fabbisogno, che non a tenerli fuori dai confini europei tout court. È
altrettanto vero, però, che l'inefficacia delle politiche di contenimento e
respingimento è principalmente da imputarsi alle lotte portate avanti da chi ne
ha subito gli effetti sulla propria pelle. È questo ci che ci interessa e che
ci muove, ed è questo che fa paura alla controparte. Le politiche repressive,
specchio proprio di questa paura, appaiono sempre più generalizzate, attraverso
l'applicazione e l'affinazione di strumenti via via più invasivi e subdoli
contro le classi subalterne e contro chi lotta. D'altronde, Minniti stesso ha
espressamente legato l'ampliamento dell'“arcipelago CIE” al contenimento della
pericolosità sociale, estendendo ulteriormente il principio per cui si possa
esercitare un controllo arbitrariamente repressivo attraverso formule
amministrative che fanno dell'eccezione la regola. Da quel 12 novembre,
continuiamo a chiedere conto al ministero di quanto promesso in sede di
incontro, consapevoli che soltanto con le lotte potremo ottenere reali
cambiamenti. Ci prenderemo quello che ci spetta, e non ci faremo intimidire
mai. Ci vediamo nelle strade, nelle piazze, nei quartieri e nei ghetti, fuori
da qualsiasi prigione o ghetto!
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