Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto
“Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
---------------------
INDICE
Clash City Workers cityworkers@gmail.com
PREMIO, TURNI,
INTERINALI: MESI DI AGITAZIONE IN BUSITALIA
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
IL LAVORO AL
TEMPO DEI ROBOT
Unione
Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
INTRODUZIONE AL
VERBALE DELLA COMMISSIONE SANITA’: LEGGETELO NE VALE LA PENA!!!
Carlo Soricelli
carlo.soricelli@gmail.com
BASTA BALLE:
MAI TANTI MORTI SUL LAVORO COME NEL 2016 E 2017!!!
Patria
Indipendente redazione@patriaindipendente.it
L’ANGOSCIA DEL
PRECARIO DEL XXI SECOLO
Luca Nanfria
Unione Sindacale di Base l.nanfria@usb.it
LO SPALLANZANI
VUOLE LICENZIARE DUE LAVORATORI: FERMIAMOLI
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
DISOCCUPAZIONE
E PRECARIETA’, MA TRANQUILLI VA TUTTO BENE!
PCarc Sezione
Massa carcsezionemassa@gmail.com
APPELLO DEL
COMITATO FAMILIARI LAVORATORI RATIONAL!
---------------------
From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
July 02, 2017 10:12 PM
Subject:
PREMIO, TURNI, INTERINALI: MESI DI AGITAZIONE IN BUSITALIA
Premio di
risultato in cambio di turni più lunghi? Licenziare i lavoratori interinali? I
dipendenti di BusItalia Veneto non ci stanno.
Da anni ormai
prosegue la battaglia dei lavoratori del trasporto pubblico urbano di Padova e
provincia contro BusItalia, l’azienda (a capitale pubblico) che ha preso in
gestione (privatistica e quindi volta a generare profitto) di una grande parte
del trasporto pubblico locale in tutta Italia.
A partire da
Firenze, dove l’ex premier ed ex sindaco Renzi ha affidato a BusItalia il
trasporto locale, provocando un peggioramento delle condizioni di lavoro e del
servizio che sono sulla bocca di tutti e che sono resi pubblici durante gli
scioperi, ma che lui non vuole vedere, contento com’è di aver messo a gara (e
quindi privatizzato) il servizio fiorentino.
La gestione di
BusItalia Veneto, che comprende anche il trasporto extraurbano di Padova e
Rovigo, ha comportato un livellamento al ribasso del servizio (ultimo ad
esempio l’orario estivo del 2017 in cui 70 comuni della provincia rimangono
senza collegamenti nei festivi) e delle condizioni di lavoro: nastri lavorativi
fino a tredici ore, turni spezzati e tempi morti non pagati.
Il problema
della rappresentatività dei lavoratori si è imposto prepotentemente in questi
anni.
Da una parte i
lavoratori, in gran parte iscritti e organizzati con le sigle di base (ADL
Cobas, SLS, SGB, SUL, delle quali le prime due raccolgono la maggior parte dei
lavoratori dell’urbano), dall’altra l’azienda e i sindacati confederali che si
ostinano a non voler riconoscere la volontà dei lavoratori. Le elezioni delle
RSU a Padova non si svolgono da quando l’azienda si chiamava ancora APS, e ai
tavoli di trattativa ci vanno ancora segretari provinciali di sindacati che nel
trasporto pubblico locale hanno anche meno di 10 iscritti.
C’è poi il
contenuto di accordi e trattative: negli ultimi mesi si è parlato di Premio di
Risultato, una parte del salario che dovrebbe dipendere dal raggiungimento di
alcuni (appunto) risultati a livello individuale, che spesso va a sostituire
altri mancati aumenti collettivi. BusItalia Veneto, dice, vuole legare il
Premio di Risultato a parametri “oggettivi”, parametri però spesso stranamente
oggettivi, come la valutazione del servizio da parte dei clienti. Clienti
sempre più indispettiti della qualità del servizio, questa sì fortemente
peggiorata in maniera oggettiva negli ultimi anni, non certo a causa degli
autisti, che svolgono il loro lavoro con lo stesso impegno, ma da tagli alle
corse, esternalizzazione di alcune linee a cooperative, mancata manutenzione
dei mezzi.
Vi sono inoltre
una serie di parametri individuali basati sui giorni di malattia, incidenti e
numero di biglietti venduti a bordo.
Insomma un
misto di criteri (ir)razionali che vogliono individuare una produttività
individuale per un servizio il cui risultato dipende invece dalla cooperazione
di tutti i lavoratori e dalla direzione.
La produttività
risulta concetto strano in un'azienda che dovrebbe fornire un servizio
pubblico, considerando che molti dei soldi incamerati vengono da rimborsi della
Regione per la garanzia del servizio.
I parametri del
Premio di Risultato e il concetto di produttività applicato al lavoratore si
scontrano con la realtà di un servizio in cui le malattie professionali sono
all'ordine del giorno a causa delle lunghe ore alla guida, delle vibrazioni,
dello stress e che infine dovrebbe continuare a essere considerato un servizio
pubblico al cittadino.
L'accordo per
il premio, su cui i lavoratori sono stati chiamati a votare nelle scorse settimane,
era una catena di complicate regole collettive e individuali che rendevano
difficilmente quantificabile il Premio di Risultato. Un' unica cosa era certa:
l’ammontare totale bassissimo (600 mila euro all'anno) in cambio di
un’ulteriore sforamento nei turni in deroga, quelli più massacranti perché con
i nastri lavorativi più lunghi.
La maggioranza
dei lavoratori si è rifiutata di legittimare quella che hanno considerato una
farsa, nonostante la minaccia di non ricevere neppure quei pochi soldi promessi.
Con il 55% di astensione ragionata e un'ulteriore percentuale di voti
esplicitamente contrari, i lavoratori organizzati dai sindacati di base (quelli
davvero rappresentativi) vogliono mettere l’azienda davanti ai propri bisogni:
servono più soldi anche per integrare il Premio di Risultato che i lavoratori
dell’extraurbano non ricevono da troppi anni; più chiarezza e regole
comprensibili, che incentivino realmente i comportamenti virtuosi e il
riconoscimento della rappresentanza reale.
Ma il vero
cambiamento che vogliono lavoratori e lavoratrici è quello per cui al centro
dell’operato dell’azienda ci sia la qualità del servizio e la qualità del
lavoro, non l’utile economico e la propaganda. Proprio sull'utilizzo di
cooperative esterne e lavoratori interinali, da lasciare a casa appena può far
risparmiare qualcosa o quando iniziano a chiedere qualche diritto, è iniziato
un nuovo stato di agitazione con lo slogan che abbiamo imparato a conoscere nel
settore dei magazzini “Tocca uno, tocca tutti”. Otto lavoratori non hanno visto
riconfermato il loro contratto e i motivi non sono chiari. E’ chiaro invece che
la Solidarietà è ancora lo strumento fondamentale per lavoratrici e lavoratori
per tornare a pretendere il rispetto dei diritti e la dignità.
---------------------
From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
July 03, 2017 8:25 PM
Subject: IL
LAVORO AL TEMPO DEI ROBOT
A Pontedera si
è discusso del piano nazionale Industria 4.0, ovvero quando i lavoratori
finanziano il proprio licenziamento.
La robotica
gode dell'appoggio pressoché incondizionato del governo, delle amministrazioni
locali e dei maggiori gruppi industriali. In particolare il governo italiano,
così come quelli tedesco, francese, olandese e britannico, ha varato il Piano
nazionale Industria 4.0 al fine di “favorire gli investimenti per l’innovazione
e per la competitività”.
Il termine
“Industria 4.0” allude a una sorta di “quarta rivoluzione industriale” legata
alla disponibilità di connessioni e a un impiego esteso di tecnologie
informatiche, tali da interconnettere sistemi e automatizzare le produzioni. Il
piano italiano investe tutti gli aspetti del ciclo di vita delle imprese che
vogliono aumentare competitività, agevolando gli investimenti in ricerca,
sviluppo e innovazione (RS&I), sia con ingenti benefici finanziari che con
azioni di supporto. Il tutto finanziato con la fiscalità generale, cioè
soprattutto dai lavoratori dipendenti.
In Toscana, la
Regione ha stanziato oltre 5 milioni di euro e il presidente della Piaggio
Roberto Colaninno ha già annunciato di voler arrivare a oltre 40 milioni di
euro in spese per l'automazione.
Il circolo di
Rifondazione Comunista Karl Marx di Pontedera, per discutere di questi
problemi, ha avviato un percorso di riflessione e di elaborazione di proposte
politiche. Il primo appuntamento di questo percorso è stato l'evento del 23
giugno dal titolo “Industria 4.0: Il lavoro al tempo dei robot”.
Macchine e
robot (afferma il PRC nell'avviso di convocazione) non mangiano, non chiedono
ferie, hanno un costo iniziale noto a chi investe e che si può tranquillamente
ammortizzare. Sono ben spesi i soldi alle imprese per l'automazione? Quali
effetti avranno sull'occupazione e sulla vita dei lavoratori? Il nuovo
paradigma di industria 4.0 (prosegue la nota) potrebbe sfociare nel paradosso
per cui lavoratrici e lavoratori con le loro tasse... finanziano il proprio
licenziamento”.
Ha coordinato i
lavori Paolo Sarti, consigliere di “Sì Toscana a Sinistra”.
La prima
relazione è stata quella di Simone d'Alessandro, economista dell'Università di
Pisa. Esordendo con un video ha mostrato come le tecnologie cambiano la nostra
vita quotidiana e come il loro impiego consenta di sfruttare perfino le
attività del tempo libero, catturando preziose informazioni personali. Grazie a
questi nuovi dispositivi, dal punto di vista economico tutti siamo produttori,
quantomeno di informazioni. Dopo aver sommariamente illustrato i diversi
approcci al progresso tecnologico da parte degli economisti classici (ci è
parso di capire che abbia accomunato in questa categoria sia i classici veri e
propri che i cosiddetti neoclassici, come è consuetudine in certi ambiti
accademici), secondo cui la disoccupazione inizialmente provocata è destinata
ad essere riassorbita in tempi ragionevoli, e i keynesiani, secondo cui è
invece necessaria una redistribuzione di redditi e orari di lavoro per tale
riassorbimento.
Dato che le
macchine sono in grado di gestire da sé i processi, riducendo il contributo del
lavoro, è destinata a diminuire drasticamente l'occupazione e anche,
significativamente, la quota del salario sul prodotto, aumentando le
disuguaglianze a tutti i livelli. La sua simpatia per i keynesiani emerge dall
proposte: il problema di fondo è redistributivo. Manifestando contrarietà alla
detassazione, definita “assurda”, ha avallato invece il noto suggerimento di
Bill Gates di tassare i robot per finanziare interventi di sollievo alla
disoccupazione.
Il relatore ha
dedicato l'analisi anche alla collocazione dell'Italia nella divisione del
lavoro in ambito europeo. Pur essendo il nostro paese, insieme alla Germania,
fra quelli in cui è maggiore l'incidenza del manifatturiero, patisce, a
differenza del colosso tedesco, di una troppo ridotta percentuale di lavoratori
addetti ai settori tecnologicamente avanzati e quindi non è in grado di
affrontare agevolmente le trasformazioni indotte dalle nuove tecnologie.
E’ intervenuta
quindi Roberta Fantozzi, della segreteria nazionale PRC la quale, nell'aver
sottolineato il fortissimo sviluppo della produttività nell'industria nel
nostro paese dal dopoguerra fino ai giorni nostri, ha asserito che, tuttavia,
oggi le società crescono sempre meno, sia nei paesi più sviluppati dell'OCSE,
sia nella stessa Cina. Lo sbocco delle merci è sempre più difficile e tutti
cercano di compensare le difficoltà interne con le esportazioni esasperando la
competizione. Nella stessa Germania, ben piazzata nella competizione, ci sono
forme barbariche di sfruttamento. L'Italia, seconda nazione manifatturiera
dell'Unione Europea, è spinta verso il basso nella divisione internazionale del
lavoro. Spendiamo meno in tecnologie e sviluppo.
L'intervento
del governo, che elargisce soldi per introdurre automazione, non è un
intervento valido di politica industriale perché le tecnologie che verranno
introdotte grazie a questi incentivi saranno acquistate all'estero, dato che
noi non siamo in grado di produrle. Una vera politica industriale deve invece
porsi il problema di realizzare produzioni tecnologicamente avanzate,
investendo nel comparto del risparmio energetico, delle energie alternative,
dell'ambiente, ecc. dove attualmente compriamo tutto dall'estero. Deve anche
essere invertita la tendenza a fare della ricerca di base la cenerentola delle
nostre attenzioni.
Il piano
governativo prevede che per ogni investimento di 1 milione ci siano riduzioni
di prelievo fiscale di 350 mila euro. I soli 40 milioni di euro di investimenti
indicati da di Colaninno danno pertanto 14 milioni di riduzione di imposte.
Dopo aver
affermato che la soluzione alla disoccupazione tecnologica è la riduzione
dell'orario di lavoro a 32 ore settimanali, ha proposto che una quota di
risorse pubbliche di entità commisurabile a quelle date alle imprese per
l'innovazione, venga utilizzata per rendere possibile questa riduzione,
compensando la perdita di ore di lavoro retribuite. Infatti al Cassa
Integrazione Guadagni copre solo il 60 per cento del salario perduto. Se viene
attivato il contratto di solidarietà difensivo senza crisi aziendale, si
annulla anche questa copertura. È evidente che nessun lavoratore accetterebbe
questa riduzione salariale. La riduzione dell'orario di lavoro deve essere
invece a parità di salario.
Si potrebbe
intanto partire con una sperimentazione, facendo intervenire anche la Regione e
dando per esempio a Colaninno i 14 milioni di sgravi solo se davvero si attiva
il finanziamento della riduzione di orario (che, essendo coperto dal pubblico),
non incide sulla competitività dell'azienda. Ancora più agevole sarebbe la
fattibilità di simili misure se le si attuassero su scala europea.
Proponiamo
quindi un piano del lavoro, un'azione organica per uscire dalle politiche di
questi ultimi anni, per rovesciare una situazione e mettere in discussione le
politiche europee e la follia del fiscal compact. Anche all'interno dei vincoli
esistenti, che pure vogliamo scardinare, possiamo finanziare gli interventi con
l'introduzione dell'imposta patrimoniale, con il ripristino di una maggiore
progressività delle imposte, con una vera lotta all'evasione.
L'ultima
relazione è stata di Tommaso Fattori, presidente gruppo regionale “Sì Toscana a
Sinistra”, sostenuto anche da Rifondazione, il quale ha escluso che i paradigmi
del passato possano aiutarci in questa nuova situazione, visti i salti
incommensurabili fra la classica meccanizzazione e l'odierna intelligenza
artificiale. I processi in atto si governano mettendo a disposizione della
collettività la ricchezza prodotta dalle macchine, mettendo al centro la riduzione
dell'orario di lavoro a parità di salario. La quarta rivoluzione produrrà
plusvalore, profitti, ricchezza. Chi se ne appropria non vorrà redistribuire
“gratis et amore dei”, volontariamente. Spetta a noi costruire la società a
bassa intensità di lavoro, invertire la tendenza del capitalismo a polarizzare
la ricchezza.
Se il digitale
decuplica i profitti, dobbiamo trovare forme efficaci per tassare tutti i
patrimoni e tutti i profitti, anche quelli delle multinazionali che fin qui non
stanno pagando le tasse. Fattori non considera contrapposte le strategie della
riduzione di orario e quella di salario minimo garantito.
Le prime
macchine sostituivano i cavalli, oggi sostituiscono anche il lavoro cognitivo,
estendendo tendenzialmente a tutti gli ambiti il processo di sostituzione del
lavoro vivo col lavoro morto. Occorre almeno ridurre l'orario di lavoro,
prendere la ricchezza dov'è, cambiare i rapporti di forza fra le classi.
Attualmente la
Piaggio assembla pezzi fatti altrove. Col paradigma 4.0 potrebbe reinternalizzare,
ma non aumentando l'occupazione, bensì facendo fare tutto ai robot che costano
meno dei lavoratori sottopagati del terzo mondo.
È evidente
l'impatto sulle vite individuali. I vecchi lavoratori possono essere mandati a
casa assumendo ragazzi che hanno dimestichezza con le tecnologie e costano
meno. Accanto a loro continueranno a esistere i raccoglitori di pomodori, i
lavoratori dei subappalti e altre categorie sottopagate. La politica deve porsi
nella complessità di questo tema.
Non possiamo
permettere che anche la logistica venga automatizzata con i nostri soldi.
Dobbiamo prevenire il danno complessivo all'occupazione e al welfare, dare
qualche piccola risposta, inserire qualche granello di sabbia nel meccanismo.
Per esempio abbiamo depositato una nostra proposta di legge regionale per
finalizzare i finanziamenti, mettere dei paletti, impedire i comportamenti
predatori. Fin qui la politica non è stata capace di attivare i contrappesi di
un processo non ineluttabile.
Si è aperto
quindi il dibattito che ha visto fra l'altro l'intervento di Sandro Giacomelli,
delegato Cobas alla DNA, azienda che gestisce in subappalto la logistica della
Piaggio, il quale è stato licenziato per motivi politici circa un anno e mezzo
fa. Egli ha annunciato che in sede di gara per l'imminente rinnovo dell'appalto
sono stati programmati altri 80 esuberi, mentre la politica è dormiente e non
interviene in questi processi.
Molto
applaudito è stato l'intervento di Andrea Corti, della segreteria provinciale
del PRC, il quale ha denunciato alcune dichiarazioni del Prof. Paolo Dario
della Scuola Superiore Sant’Anna, che se corrispondenti alle trascrizioni
giornalistiche, enfatizzano l'introduzione della robotica anche per rendere più
puliti gli ambienti di lavoro. Come a dire che se gli operai sporcano troppo,
meglio i robot!
La sua
formazione di docente, come quella dell'altro suo collega intervistato, gli ha
impedito di intuire le questioni sociali e del mondo del lavoro che potrebbero
essere determinate da questo “cambiamento epocale”. Se è auspicabile la
necessità di figure altamente professionalizzate, si dovrebbero considerare
anche gli effetti a carico degli “esclusi” dalla nuova “rivoluzione
industriale” targata Industria 4.0. Essa è già in atto e tale sviluppo tecnologico
non è stato di tanto aiuto per le classi lavoratrici. Sembra invece aver
prodotto una ulteriore e intollerabile divaricazione tra gli stessi lavoratori.
Una dicotomia tra pochi fortunati altamente remunerati in grado di svolgere
mansioni altrettanto soddisfacenti e una massa di lavoratori e lavoratrici
sottopagati, costretti a lavori usuranti, accanto ad una platea immensa di
disoccupati e “saltuari”. Ricordiamo gli immigrati che a pochi euro il giorno
lavorano nei campi di pomodori, o le lavoratrici e i lavoratori degli appalti
dei servizi, o chi, in conseguenza della perdita del proprio posto di lavoro, è
costretto alla diffusione porta a porta di materiale pubblicitario con il solo
ausilio di un poco tecnologico carrellino per la spesa.
“Siamo comunisti”
(ha concluso Corti) “e per questo vorremmo che la politica assuma anche aspetti
ideologici, che l’utilizzo delle ingenti risorse pubbliche che passeranno
attraverso i programmi di Industria 4.0 siano almeno subordinate a una
valutazione delle ricadute socio-economiche sui territori e sulle nuove e
vecchie disuguaglianze”.
Nelle
conclusioni, Roberta Fantozzi ha ribadito che il nostro fare deve essere
innervato dall'idea che la crisi non è il prodotto di una scarsità, ma dalla
necessità di redistribuire il prodotto del lavoro. Ha quindi proposto:
- un osservatorio permanente a livello generale per lo studio dell'impatto
delle tecnologie;
- un esperimento di riduzione dell'orario di lavoro partendo dai contratti di
solidarietà e con la compensazione con soldi pubblici delle perdite salariali;
- vertenze a livello locale e unificazione delle diverse figure del lavoro;
- rimettere in campo i referendum sull'articolo 18 e sulla legge Fornero.
I soldi ci
sono, non devono essere impiegati per licenziare.
Fin qui abbiamo
cercato di riportare più fedelmente possibile il dibattito. Vorremmo brevemente
concludere riferendo la presenza di questo giornale all'iniziativa con una
modestissima tiratura di una rassegna di articoli sull'argomento, andata presto
esaurita e che i compagni pisani di Rifondazione hanno promesso di ristampare
per diffonderla alla loro festa provinciale. Alcuni articoli riportati
contestavano il mito della fine del lavoro, sottolineando come il lavoro sia ancora,
a differenza della macchina e dei robot, l'elemento attivo del processo
produttivo e della creazione di valore e come il processo tecnologico comporti
una caduta del saggio generale del profitto, generando una contraddizione fra
la tendenza a risparmiare lavoro e la necessità di sfruttare il lavoro stesso,
unica fonte dei profitti. Da qui anche la spiegazione del perché
all'automazione dei processi produttivi non è seguita la riduzione dell'orario
di lavoro. In sostanza la quarta rivoluzione industriale non cancella i limiti
e le contraddizioni del capitalismo. La lente di Marx, ci pare quindi sia
ancora utile per leggere i processi in corso e ci è dispiaciuto che sia stata
la grande assente del dibattito, fatti salvi alcuni spunti ad essa ammiccanti.
---------------------
From: Unione
Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Monday,
July 03, 2017 10:18 PM
Subject:
INTRODUZIONE AL VERBALE DELLA COMMISSIONE SANITA’: LEGGETELO NE VALE LA PENA!!!
USB OSPEDALE
GASLINI: INTRODUZIONE ALLA LETTURA DEL VERBALE COMMISSIONE SANITA’ 11 MAGGIO
2017 SU INCONTRO USB SANITA’ E DIRIGENZA IRCCS GASLINI
Genova
3 luglio 2017
Tramite questo
verbale possiamo dimostrare quanto sia negativa per la forza lavoro e utenza
che usufruisce della sanità pubblica la commistione tra dirigenza della
Pubblica Amministrazione e politica.
Durante un
incontro con i consiglieri regionali era stato proposto di incontrare i vertici
del Gaslini in Commissione Sanità. Infatti precedentemente avevamo portato
diverse serie problematiche che riguardavano l’Istituto pediatrico e alcuni
consiglieri sembravano convenire sulla loro gravità.
Non avevamo
aspettative sulle risposte che ci sarebbero state date dalla dirigenza avendo
constatato da tempo il mancato rispetto di accordi verbali e accordi scritti e
il negare continuamente qualsiasi problematica, ma sicuramente non ci
aspettavamo una reazione simile dagli stessi politici con cui era stato
organizzato l’incontro.
Incontro che
non aveva precedenti anche per le altre aziende e che poteva rivelarsi
interessante e costruttivo, ma che evidentemente non era supportato dalla buona
fede di tutti gli interlocutori.
L’introduzione
è stata di livello politico con l’intervento di un membro del Nazionale USB
Pubblico Impiego. Immediata è stata la reazione del Consigliere Ferrando. La
nostra opinione è infatti che qualunque problematica, anche apparentemente
“piccola” sia da collegare a macroquestioni che nel caso del Gaslini sono
palesi.
Dalla
finanziaria 2012 (Governo Berlusconi con voti Lega Nord) infatti, la differenza
delle erogazioni al Bambin Gesù (ricordiamo ospedale del Vaticano) rispetto a
quelle del Gaslini è esorbitante.
Pertanto la
maggior parte delle problematiche (prima fra tutti la carenza di organico) sono
dovute a un ben preciso progetto politico di “smantellamento” del Gaslini di
cui è responsabile la politica del “centrodestra” e dell’attuale “centrosinistra”,
che non ci risulti abbia cambiato rotta.
Inoltre vi è
una continua privatizzazione dei settori della Sanità Pubblica. Dopo la cucina
ora sarà privatizzata la sterilizzazione e vedremo quale sarà il prossimo
settore.
Il fatto che
poi un esponente politico si permetta di tentare di zittire una Organizzazione
Sindacale aiuta a comprendere quale sia il livello di ascolto delle istanze dei
lavoratori.
Ed Alice
Salvatore e Marco De Ferrari lo fanno notare.
Successivamente
e non solo in quella sede, il Consigliere Ferrando riporta che le problematiche
da noi riportate siano gravissime e preoccupanti, ma non ci risulta, a oggi,
che qualche esponente politico le abbia volute approfondire.
Partiamo dal
presupposto e dalla certezza che il Gaslini sia un’eccellenza e che sia un
meraviglioso ospedale dove ogni giorno centinaia di piccoli vengono curati con
dedizione ed impegno. Non vi è differenza di visione in questo tra noi e la
dirigenza, ma vi è assolutamente su chi si deve ringraziare di questo e per noi
la risposta è una sola: le lavoratrici e i lavoratori del Gaslini. E pertanto
meritano rispetto, trasparenza e diritti.
Non crediamo
che parte di questa dirigenza e di questa politica stia facendo gli interessi
di questo Istituto e se non fossimo stati interrotti avremmo potuto discutere
dei vari punti.
Riguardo la
trasparenza ne è palese la mancanza dall’ultimo avviso di mobilità interna in
cui non sono stati rispettati gli accordi e che è stata portata avanti senza
permettere alle lavoratrici/lavoratori di sapere quali fossero i posti vacanti.
Per questo abbiamo chiesto l’intervento del responsabile anticorruzione e
responsabile trasparenza dell’Istituto senza avere risposte (il tutto è
avvenuto con il tacito assenso delle altre Organizzazioni Sindacali poiché la
mobilità interna fa parte di un “pacchetto di servizi” che una certa politica
sindacale, avendo dismesso il ruolo originale, gestisce da anni (in questa
“Introduzione alla lettura del verbale...” mostriamo dal punto di vista dei
lavoratori il nostro pensiero sulla triade sindacale e invitiamo a leggere un
interessante articolo della rivista Contropiano diffuso da diversi media del
Web dal titolo “Confindustria e Papa bastonano CGIL, CISL, UIL: inutili e
corrotti”).
Sempre sulla
trasparenza, diversi sono i dati sia sui posti letto che sul personale e non si
riesce a comprendere bene dove sia dislocato.
Il fatto che il
personale sia costretto a effettuare i corsi nel giorno di riposo lo riteniamo
gravissimo anche senza il rischio di ricorrere in sanzioni poiché il
professionista ha diritto a continuare a formarsi e contemporaneamente ad avere
una vita propria.
Siamo sempre in
attesa che l’Assessore Viale rispetti gli impegni presi tramite IRI del
Movimento 5 Stelle inerente posti letto per adolescenti psichiatrici in fase di
acuzie. Nulla è stato fatto e continuano gli infortuni per il personale del
Gaslini
Sul tema degli
appalti continuiamo a chiedere i capitolati e successive integrazioni poiché
queste ultime non sono presenti sul sito di Alisa.
Non
comprendiamo infatti perchè l’Istituto debba spendere soldi in divise e
coprimaterassi monouso quando le soluzioni potrebbero essere altre.
Oppure perchè
vengano tolte centinaia di ore al mese all’assistenza per prenotare i pasti
tramite un software che riteniamo non adeguato. Concordiamo con l’Istituto sul
fatto che siano gli operatori interni a occuparsi dell’organizzazione e
controllo delle diete e dei pasti in generale, ma che non debba essere il
personale pagato con soldi pubblici a riportare questi dati su un software di
una ditta privata.
La stessa ditta
che, ricordiamo, non ha rispettato gli accordi sull’assorbimento del personale
interinale quando vi è stata la gara di appalto.
Sulla sicurezza
vi è da fare una profonda riflessione e dovrebbe esserci una sintonia di
intenti tra datore di lavoro e lavoratori. Questo al Gaslini non succede
poiché, malgrado le rassicurazioni e gli accordi verbali del Direttore
Generale, recentemente ad un nostro Rappresentante della Sicurezza dei
Lavoratori è stata inoltrata contestazione di addebito con accuse che saranno
affrontate nelle sedi opportune e che comporteranno ulteriore spreco di soldi
pubblici. Inoltre non gli sono stati forniti gli strumenti minimi, a distanza
di mesi, per svolgere adeguatamente il suo compito. Contrariamente al parere
dell’Ufficio Accesso Atti Amministrativi della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, non è stata fornita copia del Documento di Valutazione dei Rischi
alla nostra Federazione
Inoltre non si
comprende bene quali siano le direttive dello PSAL che più volte è stato
chiamato in causa senza, a nostro avviso, portare adeguate risposte alle nostre
istanze.
Riteniamo
inconcepibile, e su questo siamo d’accordo con la dirigenza del Gaslini che la
concessione dei nullaosta per la mobilità esterna sia legata alla non
sostituzione del personale stesso (in pratica è come se l’Azienda, concedendo
il nulla osta, non avendo la possibilità di sostituire il lavoratore, riducesse
l’organico e quindi è costretta a non concederlo).
Mantenere
precari i ricercatori per decenni costringendoli ad andare altrove,
ingannandoli su accordi ridicoli e neanche rispettati con la complicità di
qualche sindacato, riteniamo sia sintomo di incapacità gestionale.
Se la Consigliera
Paita non avesse interrotto il nostro rappresentante sarebbe stato chiaro che
il caso da lui riportato era ipotetico e non esisteva ed era solo un esempio di
come situazioni poco chiare ricadano poi sull’assistenza
Abbiamo
attenzionato la Commissione sulla questione dei lavoratori in somministrazione
chiedendo di esprimere un parere alla Giunta sulla richiesta di invitare le
aziende a favorire accordi interni per la tutela della maternità di queste
lavoratrici. Infatti, a causa del CCNL somministrazione firmato da CGIL, CISL,
UIL, la lavoratrice in missione sulle 24 ore è costretta a scegliere tra
maternità e lavoro mentre dovrebbe esserle data la possibilità di lavorare in
turno sulle 12 ore.
Abbiamo da
tempo chiesto all’Assessore Viale quali siano i motivi, visto anche il parere
della DPL, per cui è stata eliminata la possibilità di usufruire dei permessi
ex articolo 21 al personale in somministrazione a nostro avviso un abuso e un
risparmio su lavoratori privi di difese
Abbiamo anche
interpellato l’Assessore Viale su quali siano i criteri delle terapie
subintensive nelle Aziende Ospedaliere, IRCCS, ecc. che darebbero la
possibilità per il personale sanitario di veder erogata la relativa indennità
ma non è stata data risposta.
Infine, come
effettuato in altre regioni, la creazione di un tavolo in funzione della
questione amianto e relativa creazione dell’albo ex esposti. Tema molto
complesso, ma che deve assolutamente essere affrontato
Ribadiamo la
nostra richiesta di insignire il personale del Gaslini, sia strutturato che
precario, della Croce di San Giorgio poiché, nonostante questo tipo di
politica, riesce a continuare a fornire un’eccellente assistenza.
Tuttavia
crediamo che la strada sia questa poiché sembra che qualcosa stia cominciando a
muoversi sul tema del controllo degli appalti, gli allievi OSS non vengono
utilizzati per coprire mancanze di organico, è stato inserita la dicitura
“rispetto del microclima per gli operatori” nel prossimo capitolato
dell’appalto calore delle aziende sanitarie liguri, sono stati stanziati
finanziamenti per la manutenzione di diversi ascensori, sistemata una
problematica del centralino CUP, presentato un piano per la climatizzazione
dell’Istituto, collocati diversi punti luce nei viali esterni ed è stata presa
in carico la questione del tragitto sporco-pulito.
Tutto questo
non sarà mai né smentito né confermato a causa della mancanza di trasparenza.
Non siamo così
ingenui da credere che la realtà attuale sia questa, ma un incontro tra
politici (pagati con soldi pubblici), dirigenti (pagati con soldi pubblici) e
lavoratori (pagati con soldi pubblici) per migliorare le attuali condizioni
lavorative che si riflettono sui cittadini sia in futuro sempre più
auspicabile. Certamente affinché funzioni, le varie parti devono avere lo
stesso interesse ovvero la “Res Publica”. In questa situazione, da questo
verbale, è ampiamente dimostrato che gli interessi non fossero gli stessi e
siamo noi ad aver provato un forte disagio e imbarazzo negli interventi di
esponenti del “centrodestra” e del “centrosinistra”, sicuramente un chiaro
sintomo dei motivi che han portato l’allontanamento dei cittadini da questa
politica.
Siamo
disponibili comunque alla eventuale volontà di approfondire le nostre istanze
che, in base alle varie dichiarazioni d’intenti apparse in Commissione, non
siamo i soli a considerarle meritevoli d’attenzione.
Buona lettura
del verbale, scaricabile al link:
USB Gaslini
---------------------
From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Thursday,
July 06, 2017 10:26 AM
Subject: BASTA
BALLE: MAI TANTI MORTI SUL LAVORO COME NEL 2016 E 2017!!!
BASTA BALLE.
MAI TANTI MORTI SUL LAVORO COME NEL 2016 E 2017. ALTRO CHE CALI. CONTINUA LA
STRAGE DI AGRICOLTORI E EDILI
Chi riceve
questa mail e legge questo post deve sapere che non c’è stato nessun calo dei
morti sul lavoro nel 2016 e che da quando è stato aperto l’Osservatorio
Indipendente di Bologna morti sul lavoro il 1° gennaio 2008 i morti non sono
mai calati. Noi registriamo tutti i morti sul lavoro e non solo gli assicurati
INAIL.
Nel 2016 sono
stati oltre 1.400 se si prendono in considerazione tutti i morti sul lavoro.
Solo sui luoghi di lavoro ne abbiamo registrati 641, l’ultimo del 2016 Diego
Capelli, morto il 29 dicembre in provincia di Novara.
Nel 2016
l’INAIL ha ricevuto 1.104 denunce di lavoratori morti sul lavoro, ma ne ha
riconosciuti come tali 612. E gli altri sono resuscitati?
Sappiano i
cittadini che ricevano questa mail che i rapporti come questi sono mandati a
innumerevoli politici del Governo e dell’opposizione, ma che a nessuno di loro
interessa approfondire. Questo perché a “loro” la vita di chi lavora non
interessa. Se avessimo in parlamento persone serie salterebbero sulla sedia
(meglio dire sulla poltrona) e andrebbero a verificare questa incongruenza sul
reale numero di morti sul lavoro. Ma per loro la vita di chi lavora è un
argomento poco importante. Davvero desolante essere nelle loro mani.
Anche ieri sono
tre gli agricoltori morti schiacciati dal trattore, arriviamo a contarne già 78
dall’inizio dell’anno morti in modo così orribile e 489 da quando abbiamo come
Ministro delle Politiche Agricole Martina. Ma anche qui senti le opposizioni
“abbaiare” su tutto, ma su questa carneficina nessuno che chiede a questo
Ministro cosa stia facendo per questa autentica piaga, dovuta soprattutto alla
loro indifferenza.
Pochi mesi fa è
stata rinviata per l’ennesima volta una Legge Europea per l’obbligo di un
patentino per questo mezzo mortale. E’ stata approvata in tutta Europa e la
legge è del 2003.
Nelle ultime 24
ore altri cinque lavoratori hanno perso la vita sui luoghi di lavoro. Oltre i
tre agricoltori, sono morti anche un polacco di 45 anni Krzysztof Boguslaw
Kurpan, morto tra atroci sofferenze dopo che tre mesi fa era stato ustionato in
un’azienda della provincia di Pisa. In provincia di Catania è morto schiacciato
da una betoniera Daniele Cristaldi.
Carlo Soricelli
Curatore
dell'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
---------------------
From: Patria
Indipendente redazione@patriaindipendente.it
To:
Sent: Thursday,
July 06, 2017 5:45 PM
Subject:
L’ANGOSCIA DEL PRECARIO DEL XXI SECOLO
La perdita
della speranza è la causa che spinge una percentuale elevatissima di giovani
italiani in possesso di alte qualificazioni e titoli di studio ad accettare
lavori a un livello assai più basso di quello che potrebbero svolgere.
Nel 2010, un
dottorando di Palermo si suicidò gettandosi dal settimo piano dell’edificio
della sua università, poco prima della discussione della tesi, perché aveva
capito che, finito il dottorato, non ci sarebbe stato per lui un lavoro adatto
alle competenze che aveva acquisito in tanti anni di studio.
All’inizio di
questo anno, un giovane precario di Udine, un grafico trentenne a giudicare da
quanto scrive, si suicida inviando una lettera aperta e denunciando il fatto
che la società lo ha rifiutato e tradito.
Sono certamente
gesti estremi, originati da una situazione lavorativa insostenibile o di
mancanza di lavoro, situazioni che ormai accomunano la grande maggioranza dei
giovani. Essi sono però frutto anche di problemi che vanno al di là di quelli
economici. La lettera di addio del giovane di Udine dimostra infatti lo stato
di frustrazione e di solitudine di una intera generazione, soprattutto nella
sua parte più acculturata: quello che colpisce in questa lettera è la totale
mancanza di speranze in un futuro migliore. E questo non è un caso isolato.
Infatti, anche
quando, per fortuna, non arriva a far rifiutare la vita, la perdita della
speranza è la causa che spinge una percentuale elevatissima di giovani italiani
in possesso di alte qualificazioni e titoli di studio ad accettare lavori ad un
livello assai più basso di quello che potrebbero svolgere. A volte, questa
mancanza di speranze comincia già prima di finire gli studi, portando anche ad
abbandonarli o a considerarli solo come un periodo di transizione da una
giovinezza più o meno spensierata a una vita di lavoro inevitabilmente dura e
priva di soddisfazioni: ricordo uno studente di astrofisica che, quando gli
feci notare che l’argomento della tesi che chiedeva non gli avrebbe dato alcuna
possibilità di lavoro, mi rispose che non importava, tanto lo sapeva che in
ogni caso sarebbe andato a lavorare in un call center (incidentalmente, gli
diedi ugualmente un’altra tesi, con maggiori possibilità di sbocco
professionale, ma non l’ho più rivisto dopo la laurea).
Il pensare a
tutti questi ragazzi e ragazze che ormai non si aspettano nulla di buono dalla
vita è una delle cose che mi rattrista di più. Quello però che mi turba maggiormente
è il fatto che questa generazione sembra aver perso completamente la speranza
di poter cambiare lo “stato delle cose esistenti” organizzandosi e facendo un
fronte comune contro chi, per usare una frase assai frequente tra i giovani,
vuole rubare loro il futuro.
Questo
atteggiamento è comune nella larga maggioranza dei giovani, sia tra quelli che
si arrendono (dal caso estremo dei suicidi a chi accetta un lavoro poco
qualificato), sia tra quanti resistono per anni ed anni in situazioni di
precariato cercando di trovare un lavoro all’altezza delle proprie aspettative,
a volte anche riuscendovi, ma sempre contando solo sulle proprie forze e sulle
proprie capacità.
Limitandomi al
settore accademico, l’unico del quale posso parlare per esperienza personale,
non posso non notare le differenze tra questa generazione di precari e quelle
precedenti che ho conosciuto in quasi mezzo secolo di lavoro nella ricerca.
Quando, tra la
fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70, ero precario al CNR, ci organizzammo in
un Comitato, costringemmo i Sindacati a occuparsi del nostro problema,
occupammo i nostri Istituti per tre mesi consecutivi e non smettemmo finché
l’ultimo tra noi non fu assunto a tempo indeterminato: sono molto fiero ancora
oggi del fatto di avere avuto il posto non grazie all’interessamento di un
“barone”, ma con una vertenza sindacale! Non molto dissimile fu il
comportamento dei precari tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, i
quali, con una forte mobilitazione di massa (alla quale partecipai come Delegato
sindacale), portò a molte assunzioni negli Enti Pubblici di Ricerca, anche di
chi era precario da più di un decennio, e alla Legge 382/82 nell’università:
un’ottima legge, che prevedeva anche concorsi a scadenza biennale per
l’assunzione di nuovi docenti, unico mezzo per far fronte all’aumento delle
iscrizioni universitarie a quei tempi in forte crescita grazie all’aumento
della scolarizzazione nel decennio precedente, ma che non fu mai praticata.
Proprio con gli
anni ‘80 però, con il diffondersi del pensiero unico neoliberista e il
progressivo collasso delle forze politiche di massa che erano state il motore e
lo strumento dell’organizzazione giovanile, l’atteggiamento cominciò a
cambiare: si incominciò a criticare le “sanatorie” del precariato, a idolatrare
il “riconoscimento del merito individuale” e la “selezione dei migliori” e a
criticare la Legge 382/82 che avrebbe “saturato gli organici degli atenei”.
Ovviamente, era vero che il rinnovo dei quadri accademici non doveva continuare
con decenni di precariato seguiti da assunzioni in massa, che il merito
individuale va riconosciuto, che un paio d’anni di prova sono necessari per
capire (anche da parte dell’interessato) se si è veramente portati alla
ricerca. Però, non erano assolutamente vere le conseguenze che si traevano da
queste ovvietà: gli organici delle università e degli enti di ricerca non erano
“saturi”, anzi già da allora erano largamente insufficienti, l’introduzione del
Dottorato di Ricerca introduceva un periodo di prova più che sufficiente, i
“meccanismi per il riconoscimento del merito” introdotti dalle varie riforme di
università ed enti di ricerca non selezionano affatto i “migliori”, ma i più
furbi, capaci di muoversi, con gli aiuti giusti, attraverso regole spesso
stravaganti e largamente discrezionali.
I precari degli
anni ‘90 spesso non volevano neppure essere chiamati “precari”, ma “liberi
professionisti della ricerca” e si ritenevano capaci di poter continuare per
tutta la vita passando da un progetto a un altro, conquistato con le sole
proprie capacità e rifuggendo dal famigerato “posto fisso”, che nella ricerca
avrebbe prodotto solo appiattimento su una “scienza ordinaria”, ripetitiva e
incapace di innovazione. Chi non reggeva alla competizione, era giusto che
andasse a fare un altro mestiere.
Gli stessi
Sindacati dell’università e della ricerca caddero in questa trappola, chiedendo
non più il lavoro stabile, ma regole di gestione del lavoro precario e per la
“competizione per merito”. Questo atteggiamento fece venire meno la ragion
d’essere dei Sindacati che ovviamente devono difendere gli interessi dei
lavoratori, non gestire la competizione tra loro.
Oggi, è ormai
evidente che quello dei “liberi professionisti della ricerca” era uno dei tanti
sogni nati dalla convinzione che il “libero mercato” sarebbe stato la fine
della storia e il paradiso in terra. Con il nuovo millennio, i precari
dell’università e della ricerca hanno ricominciato a considerarsi tali e a
desiderare il “posto fisso”, riconoscendo che solo questo avrebbe dato loro la
serenità e il tempo per una vera attività scientifica, senza bisogno di seguire
mode e contatti politici per elemosinare un contratto a termine.
Ma il danno
ormai era fatto: venuta a mancare la fiducia nei Sindacati, svaniti i partiti
di massa che portavano le istanze dei movimenti nelle istituzioni, i precari
del XXI secolo hanno cercato di organizzarsi da soli in movimenti e
associazioni, ma queste strutture di base, spesso piccole, ma a volte anche
grandi, senza una sponda politica non riescono a ottenere risultati e, a
seguito delle sconfitte, scompaiono senza lasciare traccia dopo una breve vita,
lasciando i precari ancora di più senza speranze.
Vito Francesco
Polcaro
Scienziato
dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di
Astrofisica) e membro del Centro per l’Astronomia e l’Eredità culturale
dell’Università di Ferrara
---------------------
From: Luca
Nanfria Unione Sindacale di Base l.nanfria@usb.it
To:
Sent: Friday, July
07, 2017 4:49 PM
Subject: LO
SPALLANZANI VUOLE LICENZIARE DUE LAVORATORI: FERMIAMOLI
PETIZIONE
Alessia e
Lorenzo sono due infermieri che svolgono attività sindacale all'interno
dell'Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma.
Subiranno il
18/07/17 un consiglio disciplinare da parte dell'azienda e rischiano il
licenziamento.
La dirigenza li
accusa di aver denunciato pubblicamente, tramite un’intervista a una radio, le
condizioni di lavoro del proprio ospedale. Sono accusati di aver detto che gli
infermieri da anni sono costretti a fare i doppi turni per mancanza di
organico, che gli straordinari non vengono quasi mai retribuiti, che la
Direttrice Generale ha cambiato, contro il parere della maggioranza dei
lavoratori, l'orario di lavoro, costringendo gli infermieri a fare turni anche
di 12 ore.
Alessia e
Lorenzo sono di fatto accusati di difendere i lavoratori.
Il 18 luglio si
terrà il consiglio disciplinare.
Firmiamo la
petizione in massa per bloccare la dirigenza dello Spallanzani.
Firmiamo in
massa contro il ricatto dei licenziamenti disciplinari e contro il tentativo di
fermare la voce dei lavoratori.
Firmiamo in
massa perchè denunciare lo sfruttamento non può essere reato
Firmate la
petizione al link:
---------------------
From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
July 10, 2017 10:30 PM
Subject:
DISOCCUPAZIONE E PRECARIETA’, MA TRANQUILLI VA TUTTO BENE!
CRESCE LA
DISOCCUPAZIONE, MA CI DICONO CHE VA TUTTO BENE. IL PADRONATO E’ D’ACCORDO,
PERCHÉ INTANTO ACCUMULA PIÙ FACILI PROFITTI.
di Carmine
Tomeo
09/07/17
Va tutto bene!
Aumentano i disoccupati, ma va tutto bene!
Lo dicono anche
esponenti del governo; lo affermano alte cariche del Partito Democratico. A
maggio rispetto ad aprile si sono persi 51.000 posti di lavoro, ma non c’è da
preoccuparsi, lascia intendere il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, dal
momento che “dopo il forte aumento registrato ad aprile, la diminuzione degli
occupati registrata a maggio non muta le tendenze di medio-lungo periodo
dell’occupazione”. Sulla stessa lunghezza d’onda tutto il PD, che esprime
coralmente lo stesso ottimismo di Poletti, sia pure con toni differenti: un po’
smorzato quello di Cesare Damiano, per il quale “I dati vanno valutati nel medio-lungo
periodo. Saranno importanti le scelte del Governo nella prossima legge di
Bilancio sul tema del lavoro”; addirittura entusiasta quello espresso dalla
vicepresidente del gruppo PD alla Camera, Alessia Morani: “Io direi che per
valutare davvero la bontà o il fallimento di una scelta politica sia più utile
giudicare i risultati anno su anno. Oggi siamo comunque a più 800.000 posti di
lavoro rispetto al 2014”.
Peccato che
posti di lavoro non sia sinonimo di occupati (basti pensare che nel 2016 i
9.434.743 rapporti di lavoro attivati hanno interessato 5,5 milioni di
lavoratori) e peccato che se l’Italia non è il fanalino di coda dell’Europa è
solo perché sul tasso di disoccupazione Spagna e Grecia fanno peggio di noi.
Dati Eurostat alla mano, il nostro Paese, con un tasso di disoccupazione salito
all’11,3% è ben oltre quello registrato per la zona euro (stabile al 9,3%) e
nella UE (stabile al 7,8%). A peggiorare il quadro, l’ultima Nota mensile
sull’andamento dell’economia dell’ISTAT segnala che “Nell’Area euro si
consolida la crescita”, per l’Italia si parla solo di “una tendenza di fondo
positiva” ma “in presenza di una pausa nella crescita nel settore
manifatturiero, negli investimenti e nell’occupazione”. Si dirà che però
l’economia italiana ha segnalato nel primo trimestre 2017 un tasso di crescita
tendenziale dell’1,2%. Ma intanto, tocca leggere nella Nota trimestrale sulle
tendenze dell’occupazione riferita al primo trimestre 2017 pubblicata
congiuntamente da ISTAT, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, INPS e
INAIL, che “l’input di lavoro misurato in termini di ULA (Unità di lavoro
equivalenti a tempo pieno) mostra una dinamica più lenta di quella del PIL
(+0,2% sotto il profilo congiunturale e +0,8% in termini tendenziali)
segnalando una tendenza alla crescita della produttività del lavoro”. Quale
tipo di lavoro ha permesso una crescita del PIL? Dalle rilevazioni disponibili
non certo il lavoro buono, cioè non certo quello stabile, ben pagato e
garantito nei diritti dei lavoratori.
L’ISTAT, nella
sua nota di maggio sull’occupazione, evidenzia che “diminuisce il numero di
lavoratori indipendenti e dipendenti a tempo indeterminato mentre aumentano i
dipendenti a termine”. Tant’è che “Nel mese di maggio 2017” “Tra i dipendenti
il calo è determinato dai lavoratori permanenti (-0,2%, -23 mila) a fronte di
un leggero aumento di quelli a termine (+0,4%, +10 mila)”. Da questo punto di
vista, per quanto ne dicano dalle parti del governo e da quelle del PD, anche
se su base annua si nota un risibile (un misero 0,6%) aumento degli occupati,
questi riguardano in misura marginale i permanenti (+0,8%), mentre i contratti
a termine crescono dell’8,2%.
Più nel
dettaglio, i voucher continuano ad essere utilizzati (nel primo trimestre 2017
hanno visto una riduzione solo del 2,1%) anche per l’incetta fatta dalle
aziende in vista della loro abolizione. Un’abolizione che si è rivelata essere
truffaldina, ma intanto le imprese si sono date da fare ricorrendo a contratti
di lavoro a termine, intermittente e di somministrazione, che dai dati INPS
risultano essere in “forte aumento”; una crescita, continua l’INPS, da mettere
“in relazione alla chiusura della possibilità di acquistare voucher per
remunerare i prestatori di lavoro occasionale”. E così, risulta dalla citata nota
trimestrale che il numero dei lavoratori a chiamata o intermittenti “dopo 4
anni di progressiva riduzione tendenziale, interrotta solo dal leggero rimbalzo
del quarto trimestre 2016 (+2,5%), nel primo trimestre 2017 subisce un notevole
incremento (+13,1%)”. Una enormità di contratti a termine, considerando pure
che il contratto a Tempo Determinato si conferma contratto prevalente e si
attesta al 70% del totale attivazioni dell’anno”.
Di cosa
parliamo, fuori dalla freddezza dei numeri? Parliamo di centinaia e centinaia
di migliaia di lavoratrici e lavoratori che oggi sono occupati e domani no (a
proposito, si consideri che l’ISTAT considera occupato chi nella settimana di
riferimento abbia svolto almeno un’ora di lavoro, anche non retribuito).
Giovani e meno giovani, donne e uomini, che si vedono attivare un contratto di
lavoro che nel caso di contratti di somministrazione quasi sicuramente (oltre
il 99% dei casi) durerà meno di un anno; molto probabilmente durerà meno di un
mese (per il 74,8% dei casi) o addirittura un solo giorno (il 28,5% dei
contratti di somministrazione). Come a dire che quell’aumento di PIL che tanto
ha fatto gioire anche gli industriali, si basa per molta parte sul lavoro
precario, sempre più precario, con sempre meno diritti a tutela dei lavoratori,
con un salario sempre più basso. Un lavoro che determina quella miserabile
accumulazione portata avanti a forza di aumenti della produttività che si
reggono sull’impoverimento dei lavoratori.
D’altronde è
passato poco più di un anno da quando l’allora presidente di Confindustria,
Giorgio Squinzi, parlando dei rinnovi contrattuali, affermava candidamente che
“La quota del valore aggiunto che va al lavoro è ai massimi storici, mentre la
redditività delle imprese è ai minimi, con un impatto negativo sulla dinamica
degli investimenti e sulla crescita, anche futura”. Come a dire “Cari
lavoratori, guadagnate troppo! E quando voi, cari lavoratori, guadagnate
troppo, siete causa di una forte erosione dei margini di profitto” e questa
situazione “scoraggia gli investimenti, il cui minor livello indebolisce la
crescita, anche futura”. Ed ecco che i nuovi contratti garantiscono ai
metalmeccanici aumenti salariali per miserabili 80 centesimi al terzo livello
(non è un errore: 80 centesimi!) e ai chimici toglie 22 euro dei 35 previsti.
Tutto bene,
quindi, ma solo per i padroni, che sfoggiano all’occorrenza sorrisetti alla
Farinetti e sostengono e ripetono come un mantra che l’Italia per salvarsi deve
raddoppiare turismo ed esportazioni, quindi, per dirla con il fondatore di
Eataly, che ci si salva solo se “riusciamo a raddoppiare i volumi non solo
quantitativi, ma anche di prezzo medio sulle nostre vocazioni”. E per far
questo occorrono lavoratori a basso costo, che producano merci da vendere
all’estero; lavori che si facciano un mazzo così con la spada di Damocle della
disoccupazione sulla testa; lavoratori precari, quindi, o a tempo indeterminato
ma ricattabili con il licenziamento e a cui togliere progressivamente ogni
diritto: dall’articolo 18 alla possibilità di scioperare.
E’ il
capitalismo, bellezza. Che della crisi ha approfittato per frantumare
ulteriormente il lavoro, anche attraverso la scomposizione del ciclo produttivo
in una miriade di appalti e contratti di esternalizzazione, per garantirsi profitti
da far pagare ai lavoratori. E mentre i camerieri del padronato ci invitano a
non guardare ai dati congiunturali, è stata posta quella frammentazione come
base strutturale della produzione di valore. Nel frattempo, noi guardavamo,
colpevolmente, con troppa attenzione a sempre nuovi e troppo uguali soggetti
unitari della sinistra; noi stavamo, colpevolmente, troppo spesso nei teatri e
troppo poco impegnati nella “unione sempre più estesa” dei lavoratori.
Sarà il caso di
cambiare strategia, facendo irrompere il conflitto nella realtà, ridandogli
protagonismo nei luoghi dello sfruttamento. E sarà il caso di farlo
velocemente.
---------------------
From: PCarc
Sezione Massa carcsezionemassa@gmail.com
To:
Sent:
Wednesday, July 12, 2017 5:44 PM
Subject:
APPELLO DEL COMITATO FAMILIARI LAVORATORI RATIONAL!
Cogliamo e
rilanciamo l'Appello del Comitato Familiari Lavoratori Rational a sostenere la
lotta dei Lavoratori Rational, per la costruzione di una Cassa di Resistenza!
Arrivare fino
in fondo significa difendere i posti di lavoro e crearne di nuovi, si può fare,
si deve fare!
***
APPELLO DEL
COMITATO FAMILIARI LAVORATORI RATIONAL A SOSTENERE LA LOTTA DEI LAVORATORI
RATIONAL.
COSTRUIAMO LA
CASSA DI RESISTENZA!
Martedì 4
luglio si è costituito il Comitato Familiari Lavoratori Rational: un comitato
formato da mogli, compagne, figli e genitori degli operai Rational che darà
sostegno agli operai in lotta per la difesa e la creazione di nuovi posti di
lavoro. Per portare avanti il Progetto di Cooperativa dei lavoratori che non
solo ha l’obiettivo di difendere i posti di lavoro, ma anche di crearne di
nuovi coinvolgendo disoccupati e precari del territorio.
La nostra
volontà è quella di mettere in campo una serie di iniziative mirate a riportare
l’attenzione sulla vertenza Rational e anche a fornire un sostegno più
concreto.
120 giorni di
lotta sono tanti e difficili, soprattutto se alla stanchezza si aggiunge la
mancanza di uno stipendio. Ma a fianco dei Lavoratori decisi a vincere, ci
siamo anche noi, i familiari.
Per questo
lanciamo l’appello, affinché questa lotta possa proseguire per giungere alla
piena vittoria (la realizzazione della Cooperativa di lavoratori), a sostenere
economicamente gli operai.
Non cerchiamo
elemosina o carità, cerchiamo sostegno affinché la lotta possa andare avanti!
Chiediamo
dunque a Partiti politici, associazioni e organismi che nel periodo estivo
terranno feste di Partito e sagre a devolvere una percentuale del loro incasso
alla LOTTA, una lotta decisiva per il nostro territorio, che se riuscirà a
raggiungere l’obiettivo della Cooperativa di lavoratori, aprirà davvero una
strada contro disoccupazione e precarietà sul nostro territorio, un territorio
da anni martoriato. Sarà un nuovo punto di partenza per dare forza a tutti
coloro che oggi quotidianamente combattono contro lo stato di emergenza sociale
in cui siamo, dimostrerà che vincere è possibile!
VINCERE ALLA
RATIONAL PER APRIRE UNA STRADA!
CREIAMO UNA
CASSA DI RESISTENZA!
Comitato
Familiari Lavoratori Rational
Nessun commento:
Posta un commento