Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto
“Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la
salute onlus
INDICE
- Infortuni sul lavoro: in arrivo fino a 18 anni di carcere per i datori che
non rispettano le norme sulla sicurezza
-Lavori usuranti: cosa sono, quando
andare in pensione e come fare domanda
- Il tempo divisa va retribuito con gli arretrati
- Le sentenze riguardanti il rischio da uso dei telefoni per lavoro
- Infortuni professionali: se non si evitano le interferenze
- L’insicurezza sul lavoro degli apprendisti
-------------------------------------------
LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL
LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.21
Nella mia attività di diffusione della cultura della
salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o
associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze”
(ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per
condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi pervengono
non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a
domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently
Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non
creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno
poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda
coinvolti.
************
Ciao,
scusa il disturbo.
A breve dovrò fare il corso di aggiornamento per RLS
di 8 ore (lavorando in azienda con 110 dipendenti), suddivise in 2 giornate da
4 ore.
Il mio orario di lavoro solitamente è dalle 07.00 alle
16.00.
Il corso avverrà in giornata lavorativa dalle 9.00
alle 13.00.
Siccome generalmente cercano di fregarmi, mi hanno
chiesto se ho intenzione di lavorare quelle 3 ore scoperte (cosa impossibile
poiché la scuola dista 20 km dal luogo di lavoro in centro), oppure utilizzare
i miei permessi da RLS.
Ma è possibile che in questi casi debbano coprire le
ore rimanenti scoperte, con ore che esulano da quelle a disposizione del RLS?
Credo di aver letto qualcosa a riguardo, ma non
ricordo dove e a quale articolo faccia riferimento
Grazie mille.
A risentirci.
Ciao,
da quello che mi dici (numero di
lavoratori inferiori a 250), la tua azienda fa parte della “piccola e media
impresa”.
In questo caso si applica (oltre
quanto previsto in maniera generica dal D.Lgs. 81/08) l’Accordo
interconfederale sui rappresentanti dei lavoratori per la salute e sicurezza in
ambito lavorativo e sulla pariteticità (in applicazione al D.Lgs. 81/08), di
cui a seguire ti riporto gli articoli che riguardano il tuo caso, ma che trovi
integralmente al link:
L’Accordo prevede all’articolo 3,
comma 2 (unità produttive con più di 15 lavoratori) che:
“Per
l’espletamento dei compiti previsti dall’articolo 50 del D.Lgs 81/08, ad ogni
RLS vengono riconosciuti permessi retribuiti pari a 40 ore per anno sia nelle
aziende fino a 15 lavoratori che in quelle con più di 15 lavoratori.
[...]
Non vengono imputati a tali permessi le ore utilizzate per l’espletamento
dei compiti istituzionali previsti dall’articolo 50, comma 1, lettere b), c),
d), e), f), g), i), l), n), del D.Lgs. 81/08.
[...]”.
La lettera g) dell’articolo 50,
comma 1 del D.Lgs. 81/08 citata prevede che il RLS “riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella
prevista dall’articolo 37”.
Già quindi questo dettato normativo
dell’Accordo citato prevede che il monte ore di permessi per il RLS non può
comprendere l’attività di formazione speciale prevista dall’articolo 37 e
dall’articolo 50, comma 1, lettera g) del D.Lgs. 81/08.
Inoltre l’Accordo prevede
ulteriormente all’articolo 10, comma 3 che:
“La
formazione degli RLS e degli RLST avviene in collaborazione con gli organismi
paritetici, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a
carico dei rappresentanti”.
Tale dettato normativo prevede la
formazione del RLS durante l’orario di lavoro e in ogni caso che questa
formazione non comporti “oneri economici”
a carico dei RLS.
Ciò conferma quanto precedentemente
affermato, in quanto se il RLS, per poter partecipare ai corsi di formazione,
deve prendere ulteriori permessi, oltre a quelli riconosciuti per la sua
carica, va comunque incontro a un onere economico costituito dalla detrazione
in busta paga per i permessi presi per la formazione.
A disposizione per ulteriori
chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco Spezia
************
Ciao Marco,
domani ho un corso dove mi viene chiesto di presentare
il numero dei lavoratori con ridotte capacita lavorative e ho un lapsus.
Questi sono da intendere come i lavoratori con non
idoneità (temporanea, permanente, con prescrizioni) alla mansione?
Grazie
Ciao,
assolutamente sì,
Qualunque forma di non idoneità alla mansione come
dici tu (sia parziale che totale, sia temporanea che permanente) comporta una
riduzione della capacità lavorativa del dipendente, in quanto sono sempre
presenti prescrizioni o limitazioni da parte del medico competente.
Marco
************
Ciao Marco,
scusa se ti disturbo ma volevo farti una domanda.
Il DVR può essere pubblicato sul sito internet o
intranet di una azienda o di una pubblica amministrazione?
Ho cercato in rete, ma non sono riuscito a trovare una
risposta adeguata.
Grazie!
Ciao,
a norma di legge (articolo 18, comma 1, lettera o) del
D.Lgs. 81/08) il datore di lavoro o il dirigente di un’azienda deve:
“consegnare
tempestivamente al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, su richiesta
di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui
all’articolo 17, comma 1, lettera a) [DVR], anche su supporto
informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5 [...]; il
documento è consultato esclusivamente in azienda”.
La pubblicazione su supporto informatico deve avvenire
secondo i criteri di cui all’articolo 53, comma 2 del Decreto, tra cui, per
quello che interessa, in modo tale che l’accesso alle funzioni del sistema sia
consentito solo ai soggetti a ciò espressamente abilitati dal datore di lavoro
e che la modifica o la validazione delle informazioni inserite siano consentito
solo alle persone responsabili, in funzione della natura dei dati.
Pertanto ogni azienda è libera di pubblicare il DVR
sul proprio sito intranet o internet con le modalità di cui sopra e nel
rispetto della normativa sulla Privacy (D.Lgs. 196/03), ma non è assolutamente
obbligata a farlo.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Buongiorno ingegnere,
ti volevo chiedere un consiglio.
Nella mia amministrazione (pubblica), ci sono state le
domande per gli incentivi economici, ma ci siamo accorti, che tutti hanno un
punteggio molto alto rispetto a noi, perchè tutti hanno fatto i corsi di
sicurezza, pronto intervento, e altri ancora,
Noi invece non abbiamo fatto nessun corso e siamo
abbandonati da tutti e da tutto: siamo proprio isolati.
Quindi ti volevo chiedere come fare richiesta o
ricorso dei corsi non fatti all’amministrazione almeno per la prossima volta.
Grazie e distinti saluti.
Ciao,
devi chiedere semplicemente all’amministrazione di
adempiere agli obblighi di cui agli articoli 36 e 37 del D.Lgs. 81/08 relativi
alla informazione, formazione e addestramento di tutti i lavoratori e, in
particolare di quelli che hanno ruoli particolari sulla sicurezza.
In dettaglio il datore di lavoro deve organizzare (a
sua totale responsabilità e onere di natura economica) i seguenti corsi di
formazione:
-
tutti i
lavoratori: corso di formazione generale di 4 ore;
-
tutti i
lavoratori: corso di formazione sui rischi specifici del settore
produttivo la cui durata varia in funzione del livello di rischio;
-
addetti al
servizio di antincendio e gestione delle emergenze: corso di formazione
specifico la cui durata varia in funzione del livello di rischio;
-
addetti al
servizio di primo soccorso: corso di formazione specifico la cui durata varia
in funzione della tipologia della azienda;
-
rappresentanti
dei lavoratori della sicurezza: corso iniziale di 32 ore in ogni caso e
aggiornamento annuale la cui durata varia in funzione delle dimensioni della azienda;
-
responsabile
del servizio di prevenzione e protezione: corso di formazione e aggiornamento
come stabilito dal D.Lgs. 81/08 e normativa ad esso collegata (è troppo
complesso da sintetizzare);
-
addetto al
servizio di prevenzione e protezione: corso di formazione e aggiornamento come
stabilito dal D.Lgs. 81/08 e normativa ad esso collegata (è troppo complesso da
sintetizzare);
-
lavoratori
addetti all’utilizzo di attrezzature che comportano rischi specifici
particolari (ad esempio carrelli elevatori, mezzi movimentazione terra, ecc.)
corso di formazione e aggiornamento come stabilito dal D.Lgs. 81/0 e normativa
ad esso collegata (è troppo complesso da sintetizzare);
-
lavoratori
che utilizzano attrezzature sorgenti di radiazioni ionizzanti: corso di
formazione e aggiornamento come stabilito dal D.Lgs. 230/95.
Se i corsi di cui sopra non sono stati fatti, è
sufficiente fare una richiesta all’azienda come RLS (ai sensi dell’articolo 50
del D.Lgs. 81/08) di adempimento degli obblighi di formazione sopra richiamati.
Se l’azienda non risponde è necessario contattare gli
Organismi di Vigilanza (ASL Unità Operativa Salute e Sicurezza sul Lavoro) per
chiedere (prima informalmente, poi formalmente con Raccomandata RR o Posta Elettronica
Certificata) un intervento ispettivo.
Spero di essere stato chiaro ed esaustivo.
Fammi sapere se hai bisogno di ulteriori chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco
************
Ciao Marco,
nell’azienda in cui lavoro ho svolto per quasi dieci
anni (dal 2008) il ruolo di caposquadra e in tale ruolo coordinavo una decina
di lavoratori.
L’azienda mi fece presente che questo ruolo comportava
per me essere un preposto e infatti mi consegnò una lettera di nomina a
preposto con tutti gli obblighi a mio carico e mi fece fare anche il corso di
formazione di 8 ore.
Da un anno però, pur lavorando sempre all’interno
della stessa azienda, non svolgo più il ruolo di caposquadra, ma quello di
collaudatore. In tale attività non ho nessun lavoratore a cui dare disposizioni,
in quanto lavoro da solo e in autonomia, riferendo settimanalmente al
caposettore le mie attività.
Ho chiesto all’azienda di scrivermi una lettera in cui
mi si comunichi che non sono più preposto e che quindi mi sollevi dalle
relative responsabilità, ma l’azienda non ne vuole sapere.
Mi puoi consigliare come posso fare?
Grazie.
Ciao,
l’azienda ha torto marcio, in quanto nella tua
attività attuale tu non svolgi certo il ruolo di preposto.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera e) del
D.Lgs. 81/08 preposto è:
“persona che, in
ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla
attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone
la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale
potere di iniziativa”.
E’ evidente che nel tua mansione attuale di
collaudatore, che lavora da solo e senza collaboratori, tu di fatto a oggi non
rivesti più il ruolo di preposto.
Già questo ti mette al riparo di qualunque eventuale
addebito in quanto gli Organi di Vigilanza verificano il ruolo di fatto e non
formale delle varie figure aziendali.
Ti consiglio comunque di scrivere alla tua azienda una
lettera come la seguente, in modo da formalizzare la tua attuale posizione.
Manda la lettera per mail aziendale o, meglio ancora
con Raccomandata RR.
Fammi sapere se hai bisogno di ulteriori chiarimenti.
Marco
======
Spettabile Azienda
Alla cortese attenzione del Datore di Lavoro
Per conoscenza al Responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione
Buongiorno,
la presente per segnalare quanto segue.
Nel 2008 svolgevo la mansione di caposquadra e in tale
ruolo sovraintendevo altri lavoratori nello svolgimento delle loro attività
lavorative.
A seguito di quanto sopra, l’azienda mi comunicò
verbalmente che in tale mansione assumevo il ruolo di “preposto” ai sensi della
definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e) del D.Lgs. 81/08:
“persona che, in
ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla
attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute,
controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un
funzionale potere di iniziativa”.
Di conseguenza ne assumevo anche tutte le
responsabilità derivanti dagli obblighi di cui all’articolo 19 del predetto
Decreto.
A tale riguardo ricevevo la formazione specifica per
preposti di cui all’articolo 37, comma 7 del citato Decreto e di cui
all’Accordo Stato/Regioni del 21/12/11.
A seguito di variazione organizzative, a partire dal
2016, la mia mansione è diventata quella di collaudatore. In tale ruolo non
sovrintendo più nessun altro lavoratore nello svolgimento della sua attività
lavorativa e pertanto, di fatto, non sono più individuabile come “preposto”, ai
sensi della definizione sopra riportata.
In conseguenza di ciò, vi notifico che dal 2016, non
sono più tenuto, in forza di legge, all’adempimenti degli obblighi di cui
all’articolo 19 del Decreto citato.
Cordiali saluti.
Luogo e data
************
Ciao Marco,
io sono RLS presso un azienda, ma il sindacalista di
zona mi dice di chiedere il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) per
guardarlo insieme.
E’ legale questo fatto?
Ciao,
l’articolo 18, comma 1, lettera o) del D.Lgs. 81/08
impone che il datore di lavoro o il dirigente deve:
“consegnare
tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta
di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui
all’articolo 17, comma 1, lettera a) [DVR], anche su supporto
informatico [...]; il documento è consultato esclusivamente in
azienda”.
Pertanto, almeno secondo il Decreto, l’azienda è tenuta
a metterti a disposizione il DVR all’interno dell’azienda (su carta o su PC),
ma effettivamente ti può impedire di portarlo fuori dall’azienda o di
consegnarlo o di farlo vedere ad altri che non sia il RLS.
In realtà esiste una sentenza del Tribunale di Milano
29/01/10 che ha imposto a un’azienda la consegna materiale del DVR su carta al
RLS e quindi la possibilità di portarlo fuori dall’azienda:
Si tratta però di sentenza non passata in giudicato
(cioè in Cassazione) e che quindi non fa giurisprudenza.
L’azienda si potrebbe pertanto rifiutare di darti il
DVR da portare via e o di farlo consultare ad altri che non sia il RLS.
Se l’azienda si rifiuta, puoi comunque provare a
rivolgerti alla ASL competente.
Fammi sapere se hai bisogno di ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Ciao Marco,
a seguire alcuni dubbi che dovresti chiarirmi.
1. Secondo te cosa comporta che l’Organismo di
Vigilanza (di cui non ho chiaro quali siano sue funzioni) abbia inserito tra le
priorità la sicurezza sul lavoro?
2. In una casa di riposo privata l’azienda non passa
le calzature antinfortunistiche. Ci siamo rivolti allo ASL PSAL, ma ha detto
che, se non esiste il rischio sul DVR, loro non possono intervenire. Come
possiamo fare per dimostrare che invece sussiste il rischio di scivolamento,
schiacciamento, ecc. per farlo inserire nel DVR e di conseguenza far passare le
calzature ai lavoratori?
3. Nella nostra azienda (ospedale pediatrico) i
carichi di lavoro vengono calcolati in base al metodo MAPO che, per tale tipo
di attività lavorativa, non rispecchia assolutamente la realtà. Hai qualche
conoscenza di altri ospedali pediatrici dove viene utilizzato altro metodo?
Grazie!
Ciao,
a seguire risposte telegrafiche per le tue domande.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco
1. L’Organo di Vigilanza è un organismo interno o
esterno all’azienda (ma comunque “pagato” dall’azienda), che verifica che siano
stati adempiuti gli obblighi di cui al D.Lgs. 231/01 e s.m.i. sulla
Responsabilità Amministrativa delle imprese.
Tale Decreto fissa delle sanzioni amministrative a
carico delle aziende inadempienti a vari obblighi, tra cui quelli relativi a
salute e sicurezza, come dettati dal D.Lgs. 81/08.
Per la verifica del rispetto (ai soli fini
amministrativi e non penali) il Decreto prevede che l’azienda si avvalga del
cosiddetto Organo di Vigilanza, che deve riferire all’azienda in merito a
eventuali irregolarità, per risolverle, prima che vengano accertate dagli Enti
ispettivi statali.
Per esperienza mia diretta ti posso garantire che sono
più discorsi che fatti...
Se l’Organo di Vigilanza ha però messo come priorità salute
e sicurezza sul lavoro, può essere un fatto positivo: si vede che (forse)
nell’ultimo audit effettuato ha riscontrato qualche difformità. Si spera che
l’intervento dell’azienda che ne deriva sia sostanziale e non meramente
formale.
2. Hai copia del DVR? Hai verificato che sia stata
formalizzata la valutazione che non esiste pericolo di schiacciamento dei
piedi? Con quali criteri?
Effettivamente i DPI sono diretta conseguenza del
contenuto del DVR.
Puoi comunque contestare quanto scritto nel DVR, con
le solite modalità di segnalazione agli Enti pubblici di vigilanza (ASL PSAL).
Se la ASL concorda con il DVR, c’è ben poco da fare.
Altrimenti se la ASL, anche a seguito di sopralluogo
degli ambienti di lavoro, rileva che effettivamente c’è rischio di schiacciamento
dei piedi, l’azienda deve cambiare il DVR e, di conseguenza, i DPI da
utilizzare.
3. Il D.Lgs. 81/08 è abbastanza chiaro a tale
proposito.
Le norme di riferimento per la valutazione del rischio
da movimentazione manuale dei carichi sono quelle della famiglia EN 11228, in
particolare la 1, quella riferita al sollevamento dei carichi, che tra
l’altro è nata anche con riferimento alla movimentazione di pazienti
ospedalieri e di bambini.
Se l’azienda usa il MAPO, deve dimostrare (con
riferimento a letteratura scientifica) che tale metodo è equivalente oppure più
cautelativo rispetto alle norme EN 11228.
Sinceramente non ho però esperienze con ospedali
pediatrici e quindi non ti posso dire che metodologie usino. Vale comunque
quanto detto sopra.
************
NOTA
Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra
riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:
ASL = Azienda Sanitaria Locale
CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI = Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI = Documento Unico di Valutazione dei Rischi da
Interferenza in caso di lavori in appalto
OS = Organizzazioni Sindacali
RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione
ASPP = Assistente al Servizio di Prevenzione e
Protezione
RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA = Rappresentanze Sindacali Aziendali
RSU = Rappresentanze Sindacali Unitarie
D.Lgs. 81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo
n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo
Unico sulla sicurezza sul lavoro”)
-------------------------------------------
INFORTUNI
SUL LAVORO: IN ARRIVO FINO A 18 ANNI DI CARCERE PER I DATORI CHE NON RISPETTANO
LE NORME SULLA SICUREZZA
Da Studio
Cataldi
12/06/17
di Marina
Crisafili
Le novità e
il testo del Disegno di Legge che introduce i reati di omicidio e lesioni sul
lavoro all’esame della Commissione Giustizia del Senato.
Fino a 18
anni di carcere per i datori di lavoro che non rispettano le norme sulla
sicurezza dei dipendenti. E’ quanto prevede il Disegno di Legge presentato nei
mesi scorsi al Senato e ora all’esame della Commissione giustizia in sede
referente.
Il testo che
vede quale primo firmatario il parlamentare Giovanni Barozzino, ha l’obiettivo
di punire più severamente gli infortuni sul lavoro, cagionati per distrazione,
disinteresse, o peggio per un’assoluta noncuranza delle normative.
Da quanto
emerge dai dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna che monitora gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali, solo nel 2016, si legge nella
relazione al testo, “sono morti 641 lavoratori sui luoghi di lavoro e oltre
1.400 se si considerano i morti sulle strade e in itinere (stima minima per
l’impossibilità di conteggiare i morti sulle strade delle partite IVA
individuali e dei morti in nero e di altre innumerevoli posizioni lavorative),
ricordando che solo una parte degli oltre 6 milioni di partite IVA individuali
sono assicurate all’INAIL”.
Si tratta di
dati agghiaccianti che riguardano un po’ tutti i settori, anche se a pagare il
prezzo più elevato è l’agricoltura, con il 31 per cento di tutte le morti per
infortuni sui luoghi di lavoro e, tra queste, ben il 65 per cento sono
provocate dal trattore, ma anche l’edilizia (con il 19.6%), l’autotrasporto
(9,3%), e l’industria (8,2%).
Da qui, il
Disegno di Legge che si propone di modificare il Codice Penale (e di Procedura
Penale), introducendo un identico percorso anche in tema di infortuni sul
lavoro, sulla falsariga dell’omicidio stradale di cui alla Legge 41/16.
Ciò perché,
si legge ancora nella relazione, nonostante il legislatore non sia rimasto
inerte di fronte al fenomeno degli incidenti mortali sul lavoro, non risulta
soddisfatto il bisogno, di una punizione più severa nei confronti di chi sul
lavoro cagiona la morte di vittime innocenti, dimostrando di dare la precedenza
ad altri interessi e valori rispetto alla tutela massima della vita umana in ogni
manifestazione sociale.
Il Disegno
di Legge propone di introdurre il nuovo reato di omicidio sul lavoro (ex
articolo 589-quater del Codice Penale) che attribuisce rilevanza penale a una
serie di condotte, graduate in base al grado di colpa e alle violazioni in tema
di sicurezza. Così, viene punito con la reclusione da 2 a 7 anni l’omicidio
commesso in violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie
professionali, e previsto un aggravamento di pena se il datore non adempie alla
valutazione dei rischi e alla nomina di un responsabile della sicurezza.
Carcere dai
5 ai 10 anni, inoltre, se viene causata la morte del lavoratore per aver messo
a disposizione strumenti non conformi alla normativa nazionale ed europea, che
sale dagli 8 ai 12 anni, nel caso in cui la morte sia provocata dalla
violazione delle norme in materia di sostanze pericolose e agenti biologici.
La pena può
arrivare infine a 18 anni di carcere se è stata cagionata la morte di una o più
persone.
Altro reato
introdotto dal Disegno di Legge, con il nuovo articolo 590-quinquies del Codice
Penale, è quello di “Lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime” che
punisce il datore di lavoro che cagioni al lavoratore una lesione personale con
violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie
professionali con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da
uno a tre anni per le lesioni gravissime.
Analogamente
al reato di omicidio sul lavoro, la pena è aggravata se le lesioni sono causate
per il mancato adempimento da parte del datore della valutazione dei rischi o
della designazione del responsabile della prevenzione: in tal caso, la
reclusione va da 3 a 5 anni per le lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle
gravissime. Infine, pena da 1 anno e mezzo a tre anni di reclusione, per il
datore che fornisce ai dipendenti attrezzature non conformi alle normative
cagionando così lesioni personali gravi (che sale da 2 a 4 per le lesioni
gravissime).
-------------------------------------------
LAVORI
USURANTI: COSA SONO, QUANDO ANDARE IN PENSIONE E COME FARE DOMANDA
Da Studio
Cataldi
12/06/17
di Valeria
Zeppilli
COSA SONO I
LAVORI USURANTI
Si
considerano “usuranti” alcuni lavori, particolarmente faticosi e pesanti, per i
quali l’accesso al pensionamento è subordinato al possesso di requisiti
agevolati rispetto a quelli previsti per la generalità dei lavoratori.
Coloro che
abbiano svolto nella loro vita dei lavori usuranti, infatti, possono andare in
pensione prima degli altri lavoratori.
I REQUISITI
SOGGETTIVI DI ACCESSO AL BENEFICIO
Il predetto
beneficio è subordinato, innanzitutto, al possesso di determinati requisiti
soggettivi.
Fermo
restando il regime di decorrenza del pensionamento vigente, possono infatti
esercitare il diritto di accesso al trattamento pensionistico anticipato coloro
che abbiano un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e che abbiano
svolto determinate tipologie di lavoro dipendente.
Le mansioni
particolarmente usuranti vanno innanzitutto individuate in quelle svolte in
sotterraneo con carattere di prevalenza o continuità (in galleria, cava o
miniera) e in quelle svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e
ornamentale (cave) e dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di
prevalenza e continuità (nelle gallerie).
Sono poi
particolarmente usuranti i lavori in cassoni ad aria compressa, i lavori svolti
dai palombari, i lavori ad alte temperature (quando non sia possibile adottare
misure di prevenzione) e le lavorazioni del vetro cavo eseguito a mano e a
soffio.
Danno poi
accesso al beneficio del pensionamento anticipato i lavori espletati in spazi
ristretti e i lavori di asportazione dell’amianto svolti con carattere di
prevalenza e continuità.
In determinati
casi, anche il lavoro notturno è reputato lavoro usurante.
Ci si
riferisce ai casi di lavoro a turni svolto per almeno sei ore comprendenti
l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per almeno 78 o 64
giorni lavorativi annui a seconda che i requisiti per l’accesso anticipato
siano perfezionati, rispettivamente, nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008
ed il 30 giugno 2009 o dal 1° luglio 2009.
Il lavoro
notturno è considerato usurante anche quando per periodi di lavoro di durata
pari all’intero anno lavorativo i lavoratori prestino la loro attività per
almeno tre ore nell’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino.
Altre
fattispecie di lavoro usurante sono rappresentate dall’adibizione alla
cosiddetta linea catena e dal condurre veicoli pesanti, di capienza di almeno
nove posti compreso il conducente, adibiti a servizi pubblici di trasporto.
I REQUISITI
OGGETTIVI PER IL PENSIONAMENTO ANTICIPATO
Per poter
beneficiare del pensionamento anticipato non è sufficiente il possesso dei soli
requisiti soggettivi, ma è necessario anche che le attività usuranti siano
state svolte per un determinato periodo di tempo.
In
particolare, per le pensioni con decorrenza entro il 31 dicembre 2017 i lavori
usuranti devono essere stati svolti per almeno sette anni anche non
continuativi negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, compreso quello di
maturazione dei requisiti.
Nel
calcolare gli ultimi dieci anni di attività lavorativa si fa una valutazione
per anno solare e se l’attività lavorativa è stata cessata prima della fine
dell’anno di maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento
pensionistico anticipato, si considerano i 10 anni precedenti la data di
cessazione dell’attività lavorativa.
Se invece al
31 dicembre dell’anno di maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento
pensionistico anticipato il richiedente svolge attività lavorativa, si
considerano i 10 anni precedenti la fine dell’anno di maturazione dei
requisiti.
Nei dieci
anni, inoltre, vanno ricompresi i periodi di svolgimento effettivo di attività
lavorativa (in forma sia dipendente che autonoma), desumibile dall’accredito di
contribuzione obbligatoria, mentre sono esclusi i periodi totalmente coperti da
contribuzione figurativa.
Il calcolo
dei sette anni anche non continuativi di svolgimento di attività lavorative
usuranti, invece, va fatto valutando l’anno solare, ricomprendendo i periodi di
svolgimento effettivo di attività lavorativa (solo in forma dipendente)
desumibile dall’accredito di contribuzione obbligatoria ed escludendo i periodi
totalmente coperti da contribuzione figurativa
Le cose
cambieranno per le pensioni con decorrenza dal 1° gennaio 2018: con riferimento
a esse, infatti, i lavori usuranti dovranno essere stati svolti per almeno metà
della vita lavorativa.
L’ETA’
PENSIONABILE PER CHI HA SVOLTO LAVORI USURANTI
Come detto
più volte, il beneficio riservato dal nostro ordinamento a coloro che abbiano
svolto lavori usuranti consiste nell’accesso anticipato alla pensione.
Più nel
dettaglio, a partire dal 1° gennaio 2016 tali lavoratori possono in generale
andare in pensione con una anzianità contributiva minima di 35 anni, una età
minima di 61 anni e 7 mesi ed il perfezionamento contestuale della quota 97,6.
I requisiti
sono parzialmente diversi in caso di lavoro notturno.
Se questo è
svolto per un numero di giorni annui da 64 a 71 l’età anagrafica minima
richiesta è di 63 anni e 7 mesi mentre la quota pensionistica richiesta è di
99,6, se invece il lavoro notturno annuo si è svolto per un numero di giorni da
72 a 77 l’età anagrafica minima richiesta è di 62 anni e 7 mesi mentre la quota
pensionistica richiesta è di 98,6.
LE FINESTRE
MOBILI
Non bisogna
poi dimenticare che, in forza di quanto previsto dall’articolo 24, comma
17-bis, del Decreto Legge 201/11, per i lavoratori assoggettati alla disciplina
in esame trovano ancora applicazione le cosiddette finestre mobili di cui al
Decreto Legge 78/10, con la conseguenza che, dopo che i requisiti anagrafici e
contributivi siano stati perfezionati, per il pagamento del primo rateo di
pensione si dovranno attendere altri 12 mesi.
INCOMPATIBILITA’
Il
pensionamento anticipato per lavoratori usuranti non può essere cumulato con le
norme di miglior favore per l’accesso anticipato al pensionamento rispetto ai
requisiti previsti nell’assicurazione generale obbligatoria né con i benefici
previsti per lavoratori invalidi, non vedenti, sordomuti o comunque affetti da
particolari infermità oggetto di tutela previdenziale.
Può invece
godersi del beneficio in parola anche insieme al beneficio per i lavoratori
esposti all’amianto (pur se solo ai fini della misura del trattamento
pensionistico) e insieme al meccanismo di prolungamento dei periodi lavorativi
previsto per i lavoratori marittimi.
LAVORO
AUTONOMO
Il beneficio
previsto per i lavori usuranti, come accennato, riguarda solo i lavoratori
dipendenti.
Si
sottolinea, tuttavia, che la domanda può essere presentata anche da coloro che
raggiungono il requisito contributivo richiesto solo grazie al cumulo con la
contribuzione versata presso una gestione speciale per i lavoratori autonomi.
L’unica
conseguenza negativa di tale situazione è che sia i requisiti anagrafici
richiesti che le quote sono innalzati di un anno e che la pensione decorre dopo
18 mesi da quando si sono perfezionati i requisiti.
COME FARE
DOMANDA DI RICONOSCIMENTO DELLO SVOLGIMENTO DI LAVORI USURANTI
La domanda
per accedere al beneficio in commento va fatta avvalendosi dell’apposito modulo
disponibile nella sezione modulistica del sito dell’INPS.
Questo, una volta
compilato, va presentato alla struttura territoriale dell’Istituto competente
corredato della relativa documentazione entro il 1° marzo dell’anno di
perfezionamento dei requisiti agevolati, se questi sono maturati a decorrere
dal 1° gennaio 2012.
-------------------------------------------
IL TEMPO
DIVISA VA RETRIBUITO CON GLI ARRETRATI
Da Studio
Cataldi
19/06/17
di Gabriella
Lax
Il Tribunale
di Bari ha condannato l’ASL al pagamento di 165.000 euro nei confronti di
tredici dipendenti riconoscendo il tempo tuta come orario di lavoro.
Anche il
tempo per indossare la divisa (“tempo tuta”) fa parte dell’orario lavorativo e,
per questo, va retribuito. A questa decisione è arrivato il Tribunale di Bari
con una recentissima pronuncia che ha condannato l’ASL al pagamento di 165.000
euro nei confronti di tredici dipendenti.
IL “TEMPO
TUTA” E’ LAVORO E VA RETRIBUITO
Il “tempo
tuta”, ossia quello necessario a indossare e levare la divisa rientra nelle ore
di lavoro e dunque va pagato, secondo i giudici pugliesi. Accanto ai lavoratori
socio sanitari della ASL di Bari, il sindacato USPPI Puglia. “Questo tempo non
era mai stato retribuito dall’amministrazione sanitaria” evidenziano il segretario
nazionale USPPI Nicola Brescia e il segretario provinciale Gianfranco Virgilio
in una nota, ipotizzando una “causa pilota” e annunciando che “da questo
momento molti altri dipendenti vedranno riconosciuto questo diritto comprensivo
del risarcimento retroattivo per gli emolumenti non versati dall’azienda
sanitaria, rispetto all’orario effettivamente realizzato”.
L’azienda,
che pagherà anche le spese processuali, dovrà retribuire ulteriori 20 minuti di
lavoro (dieci minuti prima e altri dieci dopo il turno), per ogni giorno di
servizio effettivo dal 1995 ad oggi.
LA
CASSAZIONE SUL TEMPO TUTA
Dello stesso
avviso, del resto, la Cassazione (vedi, tra le ultime, la Sentenza n.
2965/2017) secondo la quale, il tempo che serve per indossare la divisa
aziendale deve essere retribuito laddove la relativa prestazione, benché
accessoria e strumentale rispetto a quella lavorativa vada eseguita nell’ambito
della disciplina d’impresa e sia esigibile dal datore di lavoro. Nella specie,
la Suprema Corte si era pronunciata sul ricorso di alcuni dipendenti di
un’azienda produttrice di gelati che chiedevano il riconoscimento della
retribuzione per il tempo impiegato per indossare e togliere gli abiti imposti
dal datore di lavoro (tute, copricapi, ecc.).
Accogliendo
in parte i motivi proposti dai lavoratori, gli Ermellini hanno sancito che il
tempo di vestizione necessario per indossare la divisa aziendale rientra
nell’orario di lavoro, e allo stesso quindi deve corrispondere una retribuzione
aggiuntiva, “se è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro;
l’eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa o risultare
implicitamente dalla natura degli indumenti, o dalla specifica funzione che
devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o
utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento”.
-------------------------------------------
LE SENTENZE
RIGUARDANTI IL RISCHIO DA USO DEI TELEFONI PER LAVORO
Da:
PuntoSicuro
06 giugno
2017
Cellulari,
tumori, malattia professionale e danno alla salute: un approfondimento dopo il
clamore mediatico delle sentenze dei tribunali di Ivrea e di Firenze a cura
dell’avvocato Mauro Dalla Chiesa, Consulente Legale ANMIL.
Pubblichiamo
un approfondimento dell’avvocato Mauro Dalla Chiesa, Consulente Legale ANMIL,
circa le sentenze dei tribunali di Ivrea e di Firenze sul tema della malattia
professionale e danno alla salute causate dai telefoni cellulari.
Queste pronunce
avranno una conseguenza immediata soprattutto in relazione ai piani di
valutazione dei rischi delle aziende in quanto si renderanno necessarie delle
norme in materia di prevenzione in base all’articolo 2087 del Codice Civile e
al D.Lgs. 81/08 oltre a una adeguata informazione e formazione dei lavoratori
da parte delle aziende sull’uso dei cellulari e dei cordless e, comunque, di
tutti gli strumenti tecnologici che emanano radiofrequenze.
CELLULARI,
TUMORI, MALATTIA PROFESSIONALE E DANNO ALLA SALUTE
UN
APPROFONDIMENTO DOPO IL CLAMORE MEDIATICO DELLE SENTENZE DEI TRIBUNALI DI IVREA
E DI FIRENZE
I media
hanno dato grande rilievo alle decisioni dei Tribunali di Ivrea e Firenze che
hanno riconosciuto il nesso di causalità tra l’utilizzo di telefoni cellulari
e/o cordless e una particolare patologia tumorale (il neurinoma).
Le sentenze
citate, che fanno seguito alla storica sentenza di Cassazione del 2012 n.
17438, hanno qualificato queste patologie come malattie professionali con
diritto all’indennizzo INAIL per i lavoratori.
In questo
caso si discute delle cosiddette malattie professionali non tabellate (cioè di
quelle patologie per cui non esiste la presunzione di nesso di causalità tra
malattia e mansione lavorativa); si tratta di patologie ad eziologia multifattoriale
per le quali la prova del nesso deve essere valutata in termini di ragionevole
certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità
dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di
un rilevante grado di probabilità.
I tre
precedenti giurisprudenziali riguardano lavoratori che hanno utilizzato
cellulari e cordless in modo intensivo.
Per il caso
di Ivrea la perizia ha accertato un utilizzo medio del cellulare e/o del
cordless per circa 4 ore giornaliere in un arco di quindici anni, quindi, un
uso intensivo e sicuramente superiore a quello della media.
Sul punto
sono in corso iniziative di contrasto al fenomeno da parte di un’associazione
di consumatori che ha promosso in questi giorni una “class action” contro il
Governo, il Ministero della Salute, l’INAIL e le principali case produttrici di
cellulari, ritenendo già provato al di là di ogni ragionevole dubbio, il nesso
di causalità tra i tumori e l’utilizzo dei telefoni cellulari.
Senza voler
entrare nel merito delle iniziative, va effettuata un’analisi di quello che è
lo stato attuale del dibattito scientifico.
Alcuni studi
richiamati anche dal consulente tecnico d’ufficio che si è occupato dei tre
casi indennizzati, avevano evidenziato l’associazione tra l’esposizione ad onde
elettromagnetiche e un particolare tipo di tumore cerebrale chiamato neurinoma
del Ganglio di Gasser che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo
acustico e, più raramente, il nervo cranico trigemino.
Quali
fattori di rischio venivano considerati il tempo di esposizione,
l’ipsilateralità (cioè l’utilizzo del telefono cellulare in una determinata
area dello spazio endocranico) e l’età, con un rischio relativo calcolato molto
significativo.
Altri studi
scientifici condotti, invece, tendevano a escludere un legame netto e univoco
tra l’esposizione alle onde elettromagnetiche e l’insorgenza dei tumori.
La maggior
parte degli studi scientifici condotti al riguardo, comunque, considerano un
rischio l’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche qualificando l’utilizzo
dei cellulari come agente potenzialmente cancerogeno.
L’OMS,
massima autorità mondiale in campo sanitario, qualifica il cellulare come
agente potenzialmente cancerogeno.
L’orientamento
giurisprudenziale richiamato evidenzia due azioni immediate: la prima è quella
di invitare l’INAIL a considerare i tumori collegati all’uso di cellulari e
cordless in caso di intensa esposizione lavorativa, quale malattia
professionale tabellata, nonché, a intraprendere studi e indagini
epidemiologiche tese ad indagare quali siano gli effettivi limiti non nocivi
dell’ esposizione alle radiazioni elettromagnetiche dei cellulari e degli
impianti wi-fi ad alta potenza presenti sui luoghi di lavoro.
La seconda
azione è rivolta, invece, ad una valutazione del rischio nei documenti di
valutazione aziendale previsti dal D.Lgs. 81/08 e successive modifiche.
Va ricordato
che l’articolo 28 di tale Decreto prescrive che il datore di lavoro debba
procedere alla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei
lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a
rischi particolari.
Il nuovo
obbligo di valutazione, introdotto per la prima volta nel 1994 e poi trasposto
nel Testo Unico del 2008, impone un’elaborazione della valutazione stessa a
priori e non sulla base delle esperienze negative passate. Si tratta di una
valutazione di tipo scientifico effettuata al momento dell’avvio dell’attività
aziendale sulla base delle conoscenze tecnologiche acquisite e tendente all’eliminazione
del rischio alla fonte o, quantomeno, alla sua riduzione al minimo.
La
valutazione dovrà riguardare non soltanto i rischi indicati espressamente nei
titoli e nei capi del medesimo D.Lgs. 81/08, ma tutti i rischi direttamente o
indirettamente ricollegabili all’attività lavorativa. Tale necessità, era già
stata stabilità con l’articolo 21, comma 2 della Legge 39/02, che ha modificato
l’articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 626/94 a seguito della sentenza di condanna
dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea del 15 novembre 2001.
E’
necessario pertanto, in attesa di uno studio che risolva in maniera inequivoca
il nesso di causalità tra le patologie tumorali e l’uso dei telefoni cellulari,
utilizzare misure precauzionali che in un’ottica prevenzionale riducano
sensibilmente l’esposizione al rischio patogeno.
In altre
parole, il datore di lavoro dovrà analizzare quale sia l’utilizzo di natura
professionale dei telefoni da parte del dipendente e, qualora lo stesso sia
intensivo, adottare e vigilare sull’adozione di misure di prevenzione, quale ad
esempio l’utilizzo di auricolari o della funzione viva voce, così riducendo
l’esposizione alle onde elettromagnetiche delle aree cerebrali.
avvocato
Mauro Dalla Chiesa
Consulente
Legale ANMIL
-------------------------------------------
Da:
PuntoSicuro
08 giugno
2017
Esempi di
infortuni professionali dovuti ad una cattiva gestione delle interferenze tra i
mezzi operativi e tra i mezzi in fase di movimentazione e le persone a piedi.
Le dinamiche degli infortuni, i fattori che li hanno causati e la prevenzione.
Sono
innumerevoli gli articoli, i documenti, le buone prassi e le norme che ci
mettono in guardia costantemente dalle interferenze che avvengono nei luoghi di
lavoro. Interferenze che possono essere tra attività diverse, per esempio in
relazione alla gestione degli appalti nei luoghi di lavoro, o più semplicemente
interferenze in una stessa attività tra mezzi operativi, tra mezzi e pedoni.
Ed è su
questa seconda categoria di problematiche che ci soffermiamo nella prima tappa
della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata all’analisi degli infortuni
lavorativi, che vuole raccontare il mondo delle pericolose interferenze nei
luoghi di lavoro.
Pericoli
che, in questo ultimo caso, possono anche dipendere da una cattiva gestione
della viabilità aziendale, cioè di quanto (ad esempio con riferimento a
strutture, organizzazione, regole, mezzi, ecc.) è connesso con gli spostamenti
delle persone, dei mezzi di trasporto, delle materie prime e dei prodotti
all’interno degli spazi aziendali.
I casi
presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per
l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi
Il primo
caso riguarda un infortunio avvenuto per mancanza di un’adeguata segregazione
dei luoghi interessati da possibili interferenze.
Un
lavoratore, operaio meccanico, si trova in officina per effettuare lavori di
riparazione sul mozzo ruota sinistra di un camion. Dopo aver sollevato il mezzo
e averlo posizionato su appositi assi in legno inizia le operazioni di lavoro;
mentre è intento a operare il camion si inclina a causa di un contatto tra lo
stesso e un altro mezzo in retromarcia guidato da un altro operatore. Il
lavoratore rimane schiacciato tra il mozzo della ruota e il pavimento
all’altezza dell’emitorace sinistro riportando trauma toracico, fratture
costali multiple, emo-pneumotorace, frattura dello sterno e del corpo scapola
sinistro.
Nel
documento di valutazione dei rischi il datore di lavoro non ha previsto, per le
attività svolte in officina, adeguate misure di prevenzione, quali una adeguata
segnaletica, una adeguata distanza tra i mezzi operativi, una adeguata
segregazione dei luoghi interessati da possibili interferenze.
Il fattore
causale individuato nella scheda indica che la zona dove si operava non era
segnalata e segregata al fine di prevenire interferenze con altri mezzi.
Il secondo
caso riguarda un infortunio dovuto alla cattiva gestione delle interferenze tra
persone a piedi e mezzi in fase di movimentazione.
Un
lavoratore sta attraversando il piazzale della ditta per raggiungere la sua
postazione di lavoro situata nel piazzale, quando viene travolto da una pala
gommata (adibita al trasporto di tronchi di legno) guidata da un altro operaio
specializzato della stessa ditta.
Si segnala
che il piazzale della ditta era adibito allo stoccaggio delle materie prime
(tronchi) e al trasporto degli stessi tra le varie zone di lavorazione.
E per le
operazioni di movimentazione sul piazzale erano utilizzate: tre pale gommate
con accessori per sollevamento tronchi, un caricatore gommato, autotreni o
mezzi per il trasporto delle materie prime e per il carico del materiale
finito.
Tuttavia il
piazzale risultava sprovvisto di idonei percorsi, di segnaletica e di procedure
per evitare il più possibile l’interferenza tra mezzi in fase di movimentazione
e personale a terra.
Dunque
questi sono i fattori causali individuati:
-
il
conduttore di una pala gommata, adibita al trasporto di tronchi di legno,
investiva accidentalmente l’infortunato, anche a causa della scarsa visibilità
dovuta all’attrezzatura di sollevamento tronchi montata sulla stessa pala
gommata;
-
il piazzale
sprovvisto di idonei percorsi e di segnaletica per evitare il più possibile
l’interferenza tra mezzi in fase di movimentazione e personale a terra;
-
l’infortunato
attraversava il piazzale esterno, sprovvisto di segnaletica e percorsi
pedonali, per ritornare alla sua postazione di lavoro.
Quando
parliamo del tema della viabilità aziendale e delle interferenze tra mezzi
facciamo spesso riferimento ad un documento (prodotto in relazione al Piano
Mirato di Prevenzione “Carrelli elevatori e viabilità sicura in azienda” dell’
ATS Brianza) dal titolo “Carrelli elevatori e viabilità sicura in azienda.
Requisiti essenziali per l’uso in sicurezza dei carrelli elevatori”.
Il
documento, al di là dei problemi specifici dei carrelli elevatori, dedica un
capitolo proprio alla viabilità sicura in azienda è ricorda che non si deve
considerare la viabilità generale solo come un problema complementare,
difficilmente gestibile per il suo carattere precario e dinamicamente variabile
in base a diversi fattori contingenti quali le possibili interferenze causate
da ditte esterne, la varietà di percorsi e stazionamenti dei mezzi di
trasporto: bisogna puntare a un organizzazione che consideri importante anche
il problema della viabilità come una possibile causa di gravi incidenti per
investimento nelle aziende.
Oltre ad
invitare i lettori ad affrontare in modo organico il problema della viabilità,
il documento suggerisce di:
-
semplificare
e ridurre il più possibile i flussi dei prodotti, basandosi sul layout
aziendale e limitare al massimo le operazioni di trasporto interno, anche
utilizzando, dove possibile, dei sistemi automatici d’avanzamento dei prodotti,
quali, ad esempio, i nastri trasportatori;
-
riunire in
un unico blocco, se possibile, gli spogliatoi, i servizi igienici, i lavabo, le
docce e i locali di riposo: una razionale dislocazione dei servizi
igienico-assistenziali permette di realizzare delle strutture complete, agevoli
da gestire limitando così le necessità di transito dei pedoni all’esterno dei
fabbricati;
-
qualora vi
fossero due accessi stradali è buona regola optare per il senso unico nei
piazzali esterni dedicando un accesso all’entrata e l’altro all’uscita; in
questo modo si dimezza automaticamente il rischio di investimento da camion e
muletti;
-
dare la
massima diffusione di quanto definito a tutti i lavoratori, fornitori e
visitatori, relativamente a quali siano le regole di viabilità che vigono in
azienda.
Riguardo poi
in particolare ai cantieri, ricordiamo che il D.Lgs. 81/08 all’articolo 108 del
Titolo IV (Cantieri temporanei o mobili) indica che “fermo restando quanto
previsto al punto 1 dell’Allegato XVIII, durante i lavori deve essere
assicurata nei cantieri la viabilità delle persone e dei veicoli”.
Per
concludere riportiamo, a questo proposito, quanto contenuto nel citato punto 1
dell’Allegato XVIII del Testo Unico.
“1.
Viabilità nei cantieri
1.1. Le
rampe di accesso al fondo degli scavi di splateamento o di sbancamento devono
avere una carreggiata solida, atta a resistere al transito dei mezzi di
trasporto di cui è previsto l’impiego, ed una pendenza adeguata alla
possibilità dei mezzi stessi. L’accesso pedonale al fondo dello scavo deve
essere reso indipendente dall’accesso carrabile; solo nel caso in cui non fosse
possibile realizzare tale accesso, la larghezza delle rampe deve essere tale da
consentire un franco di almeno 70 centimetri, oltre la sagoma di ingombro del veicolo.
Qualora nei tratti lunghi il franco venga limitato ad un solo lato, devono
essere realizzate piazzuole o nicchie di rifugio ad intervalli non superiori a
20 metri lungo l’altro lato.
1.2. I
viottoli e le scale con gradini ricavati nel terreno o nella roccia devono
essere provvisti di parapetto nei tratti prospicienti il vuoto quando il
dislivello superi i 2 metri.
1.3. Le
alzate dei gradini ricavati in terreno friabile devono essere sostenute, ove
occorra, con tavole e paletti robusti o altri sistemi che garantiscano idonea
stabilità.
1.4. Alle
vie di accesso ed ai punti pericolosi non proteggibili devono essere apposte
segnalazioni opportune e devono essere adottate le disposizioni necessarie per
evitare la caduta di gravi dal terreno a monte dei posti di lavoro.
1.5. I
luoghi destinati al passaggio e al lavoro non devono presentare buche o
sporgenze pericolose e devono essere in condizioni tali da rendere sicuro il
movimento ed il transito delle persone e dei mezzi di trasporto ed essere
inoltre correttamente aerati ed illuminati.
1.6 Le vie
ed uscite di emergenza devono restare sgombre e consentire di raggiungere il
più rapidamente possibile un luogo sicuro.
1.7 In caso
di pericolo i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in
condizioni di massima sicurezza da parte dei lavoratori.
1.8 Il
numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza
dipendono dall’impiego, dall’attrezzatura e dalle dimensioni del cantiere e dei
locali nonché dal numero massimo di persone che possono esservi presenti.
1.9 Le vie e
le uscite di emergenza che necessitano di illuminazione devono essere dotate di
una illuminazione di emergenza di intensità sufficiente in caso di guasto
all’impianto”.
Il documento
“Carrelli elevatori e viabilità sicura in azienda. Requisiti essenziali per
l’uso in sicurezza dei carrelli elevatori”, prodotto in relazione al Piano
Mirato di Prevenzione “Carrelli elevatori e viabilità sicura in azienda” dell’
ATS Brianza è scaricabile all’indirizzo:
Il sito web
di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 8422 e
3244 è consultabile all’indirizzo:
-------------------------------------------
Da:
PuntoSicuro
15/06/17
Esempi di
infortuni professionali nel lavoro degli apprendisti. Infortuni nella piegatura
di lamierini in acciaio e in attività correlate all’uso di carrelli elevatori.
Le dinamiche degli infortuni, i fattori causali e l’importanza
dell’apprendistato.
Ormai molti
dati relativi a ricerche e studi sugli infortuni nel mondo del lavoro mettono
in rilievo come i giovani lavoratori e gli apprendisti riportino infortuni con
una frequenza decisamente superiore rispetto ai colleghi più anziani.
Per questo
motivo continuiamo il nostro viaggio, attraverso la rubrica “Imparare dagli
errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, per
raccontare gli infortuni che avvengono nel mondo dell’apprendistato.
I casi
presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per
l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi,
Il primo
caso riguarda un infortunio avvenuto a un apprendista nella piegatura di
lamierini in acciaio.
Un
lavoratore apprendista opera a una calandra a due rulli per effettuare la
piegatura di lamierini in acciaio inox destinati alla fabbricazione di canne
fumarie. La macchina è stata predisposta da un lavoratore più anziano (il
tutore) che ha impostato le regolazioni della macchina in modo tale che il
ragazzo debba esclusivamente introdurre manualmente il lamierino e tramite
pedale dare il consenso alla piegatura del lamierino.
Per fare
questo il ragazzo tiene con le mani i lembi del lamierino posti verso di sé,
rimanendo a una certa distanza dai rulli che risultano sprovvisti di
protezione. Un lamierino dopo la piegatura risulta difettoso e pertanto il
collega “anziano” lo restituisce all’infortunato dicendogli di “ricalandrarlo”
(il pezzo avrebbe dovuto invece essere eliminato come scarto).
In questa
operazione essendo il pezzo parzialmente sagomato le mani del ragazzo si
avvicinano pericolosamente ai rulli e restano imprigionate dagli stessi.
Il collega
provvede a liberargli le mani che hanno subito gravissime lesioni: trauma da
schiacciamento mani bilaterali con scuoiamento e amputazione di parti ossee.
Questi i
fattori causali individuati:
-
ordine di
rifare un lavoro inutile;
-
assenza di
protezione contro l’afferramento delle mani tra i rulli.
Il secondo
caso riguarda un infortunio in relazione all’uso di un carrello elevatore.
L’operaio
apprendista, contattato dal preposto/tutor, deve vuotare delle scatole di
cartone piene di sfridi di lavorazione che sono posizionate alla fine di ogni
linea di lavorazione.
Il tutor
alla guida di un muletto, si avvicina alla prima scatola di cartone, abbassa le
forche del carrello e l’operaio solleva leggermente la scatola per permettere
l’aggancio delle forche. Effettuata questa operazione, sale anch’egli sulle
forche del carrello e in questa posizione viene trasferito fino all’esterno del
capannone, ove è presente un cassone metallico per la raccolta degli sfridi,
alto circa 2,30 metri.
Il
preposto/tutor avvicina il muletto al cassone e quando è in posizione solleva
le forche con sopra la scatola di cartone e l’operaio. Arrivati all’altezza di
esercizio l’operaio sulle forche mentre cerca di rovesciare la scatola di
cartone all’interno del cassone metallico per scaricarne all’interno il suo
contenuto, perde l’equilibrio, cade a terra da una altezza di oltre due metri e
riporta fratture in sedi multiple del corpo.
Questi i
fattori causali individuati:
-
l’infortunato
saliva sul carrello elevatore e mentre si faceva trasportare sulle forche
perdeva l’equilibrio;
-
il
conducente del carrello elevatore, tutor dell’infortunato, lo trasportava sulle
forche e lo sollevava con le stesse fino all’altezza di esercizio di circa due
metri.
Gli
apprendisti si infortunano più spesso degli altri lavoratori. Infatti un
giovane su tre ha un incidente sul lavoro durante l’apprendistato ed è quindi
estremamente importante prevenire l’insorgere e il proliferare di questa piaga
che, purtroppo, potrebbe incombere, come una silenziosa spada di Damocle.
A ricordarlo
è un documento dell’INAIL dal titolo “Giovani, formazione e lavoro. Le tue
opportunità, la tua sicurezza”.
Nel
documento, rivolto direttamente ai giovani, si ricorda che il rischio di farsi
male è maggiore per chi non ha esperienza, per chi è alle prese con un nuovo
mestiere e per chi lavora in una nuova impresa.
Le insidie
alla salute di un giovane lavoratore, nell’approccio con una nuova realtà
lavorativa, potrebbero essere costituite dall’immaturità, ad esempio, dal punto
di vista sia fisico sia psicologico, dalla mancanza di competenze e conoscenze,
dalla mancata conoscenza della normativa di sicurezza, dei diritti e delle
responsabilità, dalla non attitudine a confrontarsi con altri lavoratori.
In questo
senso è importante il coinvolgimento di saggi anziani nell’affiancamento di
giovani esuberanti, attraverso tutorship e mentoring per aiutarli a trovare un
significato motivazionale profondo nel lavoro, in quanto la prima buona pratica
alla quale aspirare è proprio l’intelligenza coraggiosa di affrontare la
questione salute sul lavoro. Tuttavia nelle aziende spesso accade che i datori
di lavoro sottovalutino questa vulnerabilità e non forniscano la formazione, la
supervisione e la salvaguardia necessaria.
A questo
proposito il documento, rivolto direttamente ai giovani, sottolinea alcuni
punti:
-
hai il
diritto di lavorare in modo sicuro e sano, di fare domande se qualcosa non ti è
chiaro e di rifiutarti di svolgere eventuali attività pericolose;
-
la prima e
fondamentale disposizione d’animo che devi avere è sicuramente quella
dell’ascolto: devi ascoltare attentamente le istruzioni che ricevi, è poi
importante che tu possa “trovare” il tuo ritmo di lavoro perché l’infortunio
avviene proprio quando si fanno le cose troppo in fretta;
-
non devi
dimenticare che la consapevolezza dei tuoi diritti e dei rischi che devi
affrontare è molto importante: un giovane lavoratore deve aspettare di essere
adeguatamente istruito prima di tuffarsi in qualsiasi attività lavorativa.
Abbiamo
tuttavia visto, con i casi presentati, che purtroppo non sempre i tutori, i
lavoratori più anziani hanno consapevolezza dei rischi lavorativi.
A questo
proposito riprendiamo alcune indicazioni generali sull’uso dei carrelli
elevatori tratte da “Movimentazione merci pericolose. Carico, scarico,
facchinaggio di merci e materiali. Manuale sulla sicurezza destinato agli
addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi”,
pubblicazione realizzata dalla Direzione Centrale Prevenzione dell’INAIL in
collaborazione con Parsifal srl:
-
per evitare
cadute salire e scendere dal carrello utilizzando i gradini e le maniglie
appositamente installate;
-
prima di
partire, occorre regolare la posizione del sedile e degli specchi retrovisori
e, non ultimo, allacciarsi le cinture di sicurezza, come se stessimo guidando
un’automobile;
-
durante la
guida, non si deve sporgere nessuna parte del corpo al di fuori della sagoma
del carrello;
-
è vietato il
trasporto di altre persone, fatto salvo che il carrello sia dotato di un
apposito spazio per il passeggero;
-
la velocità
deve essere adeguata alle condizioni ambientali, del traffico e del fondo
stradale, e bisogna comunque procedere a velocità moderata, a carrello carico;
-
durante gli
spostamenti, è necessario prestare particolare attenzione a macchinari,
strutture o quant’altro contorni il percorso su cui si accinge a transitare e,
soprattutto, all’eventuale presenza di persone o mezzi; in prossimità di curve
brusche, strettoie, incroci, portoni, ecc., occorre segnalare la presenza con
l’avvisatore acustico (clacson);
-
se la
pavimentazione è bagnata, occorre ridurre la velocità e, in presenza di macchie
di olio o sostanze scivolose, bisogna evitare di passare e attivarsi per
eliminarle;
-
durante il
trasporto, il carico va mantenuto il più basso possibile, compatibilmente con
l’andamento del fondo stradale;
-
in caso di
presenza di dossi o cunette pronunciati, occorre accertarsi che l’altezza
minima da terra del carrello permetta di superarli;
-
il carrello
elevatore non deve essere utilizzato per spingere, né tantomeno per sollevare
persone con mezzi di fortuna; è possibile, per operazioni saltuarie di
manutenzione, sollevare persone utilizzando apposite attrezzature (gabbie)
marcate CE;
-
in caso di
rampe di carico, per evitare la caduta dei carrelli, si useranno cunei
fermaruote per garantire che i mezzi da caricare restino nella corretta
posizione;
-
l’ingresso
di carrelli a trazione endotermica all’interno dei magazzini è consentito solo
se vengono garantiti sufficienti ricambi d’aria; in alternativa, occorre
utilizzare carrelli elettrici o altri sistemi di movimentazione.
Il documento
dell’INAIL dal titolo “Giovani, formazione e lavoro. Le tue opportunità, la tua
sicurezza” è scaricabile all’indirizzo:
Il documento
dell’INAIL dal titolo “Movimentazione merci pericolose. Carico, scarico,
facchinaggio di merci e materiali. Manuale sulla sicurezza destinato agli
addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi” è
scaricabile all’indirizzo:
Il sito web
di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 5515 e
2213 è consultabile all’indirizzo:
Nessun commento:
Posta un commento