INDICE
- Misure di prevenzione e protezione per microclima caldo e esposizione a
raggi solari
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Infortunio sul lavoro: responsabile anche
il collega caposquadra di fatto
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Lavoro: microchip al posto del badge
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Quando ci si infortuna nelle cucine
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Prevenire le collisioni tra macchine e
pedoni
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Movimenti ripetitivi: esposizione,
prevenzione e malattie professionali
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MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER MICROCLIMA CALDO E ESPOSIZIONE A
RAGGI SOLARI
Durante la stagione estiva, molte categorie di
lavoratori che operano all’aperto (in genere lavoratori edili, agricoli, della industria
peschiera, ecc.), si trovano ad affrontare condizioni di alte temperatura e
umidità ed esposizione diretta ai raggi del sole.
Al di là del semplice aspetto di disagio fisico
(accompagnato dal fatto che spesso nel lavoro all’aperto si associa anche
sforzo muscolare), occorre considerare che tali condizioni di lavoro possono
portare a patologie professionali anche gravi e a infortuni derivanti dalle
disagevoli condizioni psicofisiche.
Ricordo infatti, ad esempio, che condizioni di
lavoro termiche estreme calde possono portare a collassi cardiocircolatori,
mentre l’esposizione prolungata ai raggi solari (radiazioni ottiche naturali)
può portare a carcinomi della pelle.
Tutti i rischi correlati al lavoro all’aperto
nella stagione estiva devono essere debitamente considerati nel documento di
valutazione dei rischi.
Infatti tale tipologia di fattori di rischio
rientra tra gli agenti fisici pericolosi per la salute di cui al Titolo VIII
del D.Lgs.81/08, che riguarda appunto gli agenti fisici, così come definiti
dall’articolo 180, comma 1:
“Ai
fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore,
gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi
elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima
e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la
sicurezza dei lavoratori”.
Per tutti tali agenti il datore di lavoro
ha l’obbligo di eseguire una specifica valutazione del rischio, all’interno
della quale definire le misure di prevenzione e protezione per la protezione
della salute dei lavoratori. Tale obbligo è sancito dall’articolo 181 del
Decreto:
“1.
Nell’ambito della valutazione di cui all’articolo 28, il datore di lavoro
valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da
identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con
particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.
2. La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici é
programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale
qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di
specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi é aggiornata ogni
qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero,
quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua
revisione. I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli
di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del
rischio.
3. Il datore di lavoro nella valutazione dei rischi precisa quali misure di
prevenzione e protezione devono essere adottate. La valutazione dei rischi é
riportata sul documento di valutazione di cui all’articolo 28, essa può
includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e
l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più
dettagliata”.
In generale la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181
del Decreto, configurandosi come violazione dell’articolo 29, comma 1, relativo
all’obbligo della redazione della valutazione del rischio è punita,
dall’articolo 55, comma 1, lettera a), con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a
6.400 euro.
Nello specifico poi la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181, comma 2 del
decreto è punita, dall’articolo 219, comma 1, lettera a), con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Oltre agli obblighi
generali di prevenzione e protezione dagli agenti fisici legati al microclima e
alle radiazioni solari, il datore di lavoro e i dirigenti sono obbligati a
fornire ai lavoratori e ai RLS adeguata e specifica informazione e formazione,
come stabilito dall’articolo 184 del Decreto:
“Nell’ambito
degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, il datore di lavoro provvede
affinché i lavoratori esposti a rischi derivanti da agenti fisici sul luogo di
lavoro e i loro rappresentanti vengano informati e formati in relazione al
risultato della valutazione dei rischi con particolare riguardo:
a) alle misure adottate in applicazione del presente titolo;
b) all’entità e al significato dei valori limite di esposizione e dei
valori di azione definiti nei Capi II, III, IV e V, nonché ai potenziali rischi
associati;
c) ai risultati della valutazione, misurazione o calcolo dei livelli di
esposizione ai singoli agenti fisici;
d) alle modalità per individuare e segnalare gli effetti negativi
dell’esposizione per la salute;
e) alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a una
sorveglianza sanitaria e agli obiettivi della stessa;
f) alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo i rischi derivanti
dall’esposizione;
g) all’uso corretto di adeguati dispositivi di protezione individuale e
alle relative indicazioni e controindicazioni sanitarie all’uso”.
La violazione,
da parte del datore di lavoro o dei dirigenti, dell’articolo 184 del Decreto è
punita dall’articolo 219, comma 2, lettera b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro.
Infine i
lavoratori esposti in maniera significativa a microclima caldo e a radiazioni
solari devono essere sottoposti a specifica sorveglianza sanitaria, secondo
quanto disposto dall’articolo 185 del Decreto:
“1.
La sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti agli agenti fisici viene
svolta secondo i principi generali di cui all’articolo 41, ed é effettuata dal
medico competente nelle modalità e nei casi previsti ai rispettivi capi del
presente titolo sulla base dei risultati della valutazione del rischio che gli
sono trasmessi dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione
e protezione.
2. Nel caso in cui la sorveglianza sanitaria riveli in un lavoratore
un’alterazione apprezzabile dello stato di salute correlata ai rischi
lavorativi il medico competente ne informa il lavoratore e, nel rispetto del
segreto professionale, il datore di lavoro, che provvede a:
a) sottoporre a revisione la valutazione dei rischi;
b) sottoporre a revisione le misure predisposte per eliminare o ridurre i
rischi;
c) tenere conto del parere del medico competente nell’attuazione delle
misure necessarie per eliminare o ridurre il rischio”.
La violazione da parte del medico competente
dell’articolo 185 del decreto è punita, dall’articolo
220, con l’arresto fino tre mesi o con
l’ammenda da 400 a 1.600
euro.
Tenendo conto che su questi argomenti (come
d’altro canto su molti altri relativi alla tutela della salute e della
sicurezza) le aziende fanno poco o niente, nel seguito riporto due schede
(estratte dal Piano Operativo di Sicurezza di un’azienda edile) da me redatte
relativamente ai possibili rischi derivanti dal microclima caldo e/o dalle
radiazioni ottiche solari, alle misure di prevenzione e protezione, alle
procedure da adottare per eliminare o ridurre i rischi e infine alla
sorveglianza sanitaria a cui sottoporre i lavoratori esposti.
Ricordo che tutte le misure indicate nelle schede
sono a totale onere e responsabilità del datore di lavoro e/o dei dirigenti e
del medico competente.
Marco Spezia
* * * * *
MICROCLIMA CALDO
POSSIBILI RISCHI
Tenendo conto del periodo temporale in cui
verranno eseguiti i lavori e che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e
in zone non ombreggiate, potranno essere presenti nei luoghi di lavoro
temperature superiore ai 30 °C, accompagnate da tassi di umidità elevati (>
80%) tali da creare condizioni microclimatiche di discomfort termico (ambienti
moderati caldi) o addirittura di stress termico (ambienti estremi caldi).
In tali condizioni i rischi per la salute dei
lavoratori sono, in ordine di gravità:
- disturbi dermatologici sotto forma di eruzioni
cutanee e vescicole;
-
sudorazione
eccessiva con perdita di sali e conseguente spossatezza, vertigini, nausea,
cefalea;
-
sbalzi termici
(soprattutto nel caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto
condizionati o accesso alle baracche di cantiere se condizionate) con
conseguenti disturbi muscolari o del sistema respiratorio;
-
congestioni da
ingestione di bevande molto fredde;
-
modificazioni
delle attività psicosensoriali e psicomotorie, quali affaticamento e
abbassamento del livello di attenzione;
-
crampi muscolari
da calore;
- instabilità del sistema cardiocircolatorio;
-
sincope da
calore con possibile ipossia cerebrale e perdita di coscienza;
-
colpo di calore
con possibile perdita di coscienza, coma.
Tali rischi per la salute, associati ai rischi
specifici di cantiere, possono poi essere fonte di infortuni anche gravi.
A tali rischi si sommano quelli derivanti da
esposizione a radiazioni ottiche naturali (vedi scheda specifica).
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per
limitarne o ridurne gli effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono
a:
- definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o
serale (dalle 18 alle 24);
- programmare le lavorazioni più impegnative fisicamente nelle prime ore
della mattina o nelle ultime ore della sera;
-
prevedere
adeguati periodi di riposo per le lavorazioni più impegnative
fisicamente;
-
evitare
lavorazioni in aree con scarso ricambio di aria;
- predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
- se possibile prevedere l’umidificazione periodica delle pareti e dei
pavimenti in prossimità dei luoghi di lavoro;
- mettere a disposizione adeguati quantitativi di acqua minerale naturale da
bere e di acqua corrente per inumidirsi;
-
fornire ai
lavoratori indumenti di lavoro in tessuto naturale e non sintetico;
- fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in
cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
-
eseguire
manutenzione preventiva dei sistemi di climatizzazione dei mezzi di
sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica
dell’efficienza e pulizia dei filtri.
PROCEDURE DI LAVORO
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per
limitarne o ridurne gli effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:
- evitare l’esposizione prolungata ai raggi solare, alternando lavori al sole
con lavori in zone d’ombra;
-
se molto sudati,
evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate;
-
bere
regolarmente acqua minerale naturale non fredda;
-
asciugarsi
regolarmente il sudore;
-
inumidirsi
regolarmente il capo;
-
se non
obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone
con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
-
in caso di
utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una
temperatura non eccessivamente bassa e prevedere un periodo di acclimatazione
con riduzione graduale della temperatura impostata;
-
mantenere
all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non
inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
-
durante il pasto
evitare l’assunzione di alimenti ricchi di grassi, mentre è consigliabile
l’assunzione di frutta e verdura;
-
in caso di
percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di
concentrazione, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra e
moderatamente ventilata.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per i lavoratori esposti in maniera
significativa a condizioni microclimatiche estreme calde, il medico competente,
sentito il Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente
sorveglianza sanitaria:
-
visita medica obiettiva cardiologica con
cadenza annuale;
-
elettrocardiogramma con cadenza biennale.
Su giudizio del medico competente sono poi
possibili come esami di secondo livello:
-
elettrocardiogramma sotto sforzo;
-
ecocardiografia.
ESPOSIZIONE A RADIAZIONI OTTICHE NATURALI (RAGGI
SOLARI)
POSSIBILI RISCHI
Tenendo conto del periodo temporale in cui
verranno eseguiti i lavori e che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e
in zone non ombreggiate, i lavoratori che non operano all’interno di mezzi di
sollevamento e trasporto potranno essere sottoposti a rischio da esposizione a
radiazioni naturali (raggi solari).
In tali condizioni i rischi per la salute dei
lavoratori per la pelle sono, in ordine di gravità:
-
eritema
(scottatura);
- reazione di fotosensibilità;
- processo accelerato di invecchiamento;
- tumori cutanei;
In tali condizioni i rischi per la salute dei
lavoratori per gli occhi sono, in ordine di gravità:
- fotocheratite;
- fotongiuntivite.
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per
limitarne o ridurne gli effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono
a:
- definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale
(dalle 18 alle 24);
- predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
-
fornire ai
lavoratori indumenti da lavoro a trama fitta in tessuto naturale e non sintetico;
-
fornire ai
lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a
larga falda in paglia);
-
fornire ai
lavoratori creme per la pelle con Fattore di Protezione Solare (FPS) per i
raggi UVB pari almeno a 30 e fattore Persistent Pigment Darkening (PPD) per i
raggi UVA pari almeno a 10;
-
in caso di
lavorazioni con possibilità di riflesso dalla pavimentazione fornire ai
lavoratori occhiali con numero di gradazione per la protezione dalla luce
solare pari almeno a 6-2 secondo UNI EN 172:2003.
PROCEDURE DI LAVORO
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per
limitarne o ridurne gli effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:
- evitare l’esposizione prolungata ai raggi solare, alternando lavori al sole
con lavori in zone d’ombra;
- indossare sempre gli indumenti da lavoro;
-
se non
obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone
con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
-
applicare a
inizio lavorazioni la crema di protezione solare, ripetendo l’applicazione
almeno ogni 3 ore;
-
in caso di
lavorazioni con possibilità di riflesso dalla pavimentazione indossare occhiali
con protezione UV;
-
in caso di
percezione di sintomi quali bruciori della pelle o degli occhi, interrompere le
attività e portarsi in zona all’ombra.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per i lavoratori esposti in maniera
significativa a radiazioni ottiche naturali (raggi solari), il medico
competente, sentito il Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente
sorveglianza sanitaria:
-
visita medica obiettiva dermatologica con
cadenza annuale.
Su giudizio del medico competente sono poi
possibili come esami di secondo livello:
-
visita medica specialistica dermatologica.
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INFORTUNIO SUL LAVORO: RESPONSABILE ANCHE
IL COLLEGA CAPOSQUADRA DI FATTO
Da Studio Cataldi
07/08/17
di Francesco Pandolci
Per la Cassazione chi concorre a determinare
un infortunio sul lavoro ne risponde solidarmente a prescindere dalla specifica
veste professionale.
Chi concorre a determinare un infortunio
sul lavoro ne risponde; non importa che abbia o meno una specifica veste
professionale nell’ambito del rapporto di lavoro instaurato.
Ciò che conta è che abbia in qualche modo,
con azioni, omissioni o inadempimenti, partecipato direttamente o
indirettamente alla serie causale dannosa.
Questo è il principio affermato dalla
Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro nella sentenza n. 19435/17
Un ragazzo, giovane apprendista, muore
folgorato.
Il drammatico evento si verifica mentre
sta effettuando un allacciamento di un impianto telefonico, appoggiandosi al
palo della luce con una scala in alluminio.
Vicino a lui si trova un operaio esperto:
non è il caposquadra e neppure il preposto alla sicurezza, eppure secondo la
Corte risponde in concorso del danno mortale a carico dell’apprendista.
Risponde per un residuo concorso di colpa
in quanto egli, trovandosi nei pressi di una potente linea elettrica e visto
l’avvicinarsi della pioggia, non mette in atto alcuna manovra di cautela o
prudenza per evitare danni al ragazzo neppure diciottenne, senza dire
dell’utilizzo di una scala metallica.
Il succo della decisione sta nella
circostanza che il collega della vittima dell’infortunio ha agito come una
sorta di caposquadra e ne ha assunto di fatto le funzioni.
In pratica l’operaio è, in quella
situazione specifica, un caposquadra di fatto: questo equivale a dire che anche
se non è giuridicamente collocabile all’interno dello schema del caposquadra,
egli ha in concreto svolto quella funzione, ragion per cui è chiamato a
rispondere in concorso di colpa del danno inferto al giovane apprendista.
Come anticipato, si tratta di un residuo
concorso di colpa, che non esclude la colpa prevalente e accertata di altre
figure.
La funzione di guida, sorveglianza e
formazione di un giovane apprendista esigono che anche chi coopera con il
ragazzo nel lavoro, pur senza possedere una determinata qualifica tecnica, è
chiamato a tenere una condotta di spiccata prudenza rispetto a qualsiasi
atteggiamento sulla postazione di lavoro tenuto dal giovane.
In ambito lavorativo occorre quindi
adottare ogni comportamento utile a prevenire i sinistri gravi: tutti i
componenti del team si devono adoperare, ciascuno in relazione alla propria
attitudine e all’attività tecnica svolta in concreto, per tutelare la vita
umana.
Soprattutto quando si tratta di un
ragazzo.
La Sentenza n. 19435/17 della Suprema Corte
di Cassazione Sezione Lavoro è scaricabile all’indirizzo:
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LAVORO: MICROCHIP AL POSTO DEL BADGE
Da Studio Cataldi
07/08/17
di Gabriella Lax
APPLICATO DA UN’AZIENDA STATUNITENSE, MA
CI SONO GIA’ DEI PRECEDENTI IN EUROPA E IN ALTRI PAESI DEGLI STATES
Un microchip nella mano che sostituisce il
badge. E’ la Three Market Square, del Wisconsin, la prima impresa negli Usa che
ha proposto l’inserimento nelle mani dei dipendenti di impianti della grandezza
di un chicco di riso.
Già 50 persone su 85 hanno accettato di
diventare lavoratori-cyborg. Nessuno è obbligato, l’adesione è assolutamente
volontaria. Il microchip, che costa circa 300 dollari, consentirà al lavoratore
di entrare in azienda senza utilizzare il badge, semplicemente avvicinando la
mano ai sensori. Allo stesso modo i dipendenti microchippati potranno
interagire con i computer e comprare cibo e bevande come se si utilizzasse una
carta di credito contactless.
La novità è partita lo scorso 1 agosto. I
chip sono stati inseriti tra il pollice e l’indice della mano con un rapido
intervento nel corso di un “chip party” organizzato dall’azienda nel quartier
generale di River Falls.
Il chip è un dispositivo di
identificazione a radiofrequenza a circuiti integrati o transponder RFID
incapsulati in un involucro di vetro. Nel caso di specie può essere usato per
acquistare i prodotti venduti dai distributori della 32M, ma il suo utilizzo è
potenzialmente illimitato.
Dall’impresa arrivano rassicurazioni per i
dipendenti indecisi: “Non ci consente di seguire i movimenti degli impiegati.
Le informazioni che contiene sono criptate, perciò la privacy è assicurata”.
Infine, chi ci ripensa, potrà comunque farlo rimuovere nel giro di qualche
secondo.
L’idea di un chip al posto del badge in
realtà era partita dal Belgio, dove un’azienda di marketing digitale, la
Newfusion ha fatto impiantare ad alcuni dipendenti il microprocessore con
funzione di badge, per consentire loro di aprire le porte dell’ufficio e
accedere al proprio PC.
Secondo le stime, sarebbero 30-50mila le
persone che hanno installato un chip sottocutaneo a livello mondiale. Il
dispositivo elettronico (brevettato dallo scienziato britannico Warwick alla
fine degli anni ‘90), lungo pochi millimetri e iniettato nei tessuti grassi,
consente di “taggare” l’individuo (attraverso le radiofrequenze, come quelle
utilizzate dagli smartphone), effettuando il suo riconoscimento e
consentendogli così di entrare in un luogo (dall’abitazione all’ufficio al
parcheggio), di accedere a un PC, ecc.
In futuro, tale tecnologia potrebbe avere
anche applicazioni mediche.
Chip sottopelle al posto del tesserino per
aprire le porte o accedere a un computer. Sono solo alcuni dei “vantaggi” per i
lavoratori che hanno accettato di farsi impiantare il dispositivo in Belgio.
L’iniziativa, come riporta il quotidiano francese Le Soir, è partita da
un’azienda di marketing digitale belga, la Newfusion e sta facendo discutere
tutto il web (e non solo), tra chi la approva come ultima frontiera della tecnologia
e chi invece vi vede un’arma di controllo totale sui lavoratori. Per non
parlare delle questioni etiche e di privacy sottese all’uso del corpo umano
come dispositivo o ai rischi per la salute.
Ma aldilà delle polemiche e del caso
specifico, il fenomeno è in piena crescita.
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QUANDO CI SI INFORTUNA NELLE CUCINE
Da: PuntoSicuro
13/07/17
Sappiamo che la cucina, sia negli ambienti
di lavoro che tra le mura domestiche, è un luogo ricco di attrezzature,
sostanze e attività che presentano diversi rischi per gli operatori. Basti
ricordare che è proprio nelle attività di cucina che si può avere a che fare
con gas, fuochi, corrente elettrica e oggetti taglienti. E non bisogna
dimenticare che in ambito lavorativo a volte sono presenti spazi di lavoro non
adeguati e ritmi di lavoro frenetici.
Partendo da questa constatazione
dedichiamo una puntata della rubrica “Imparare dagli errori”, relativa
all’analisi degli infortuni e alla presentazione di eventuali buone prassi per
evitarli, ad alcuni degli infortuni che avvengono in cucina o con attrezzature
per il taglio di prodotti alimentari.
Per la raccolta di informazioni sulla
prevenzione faremo poi riferimento ai suggerimenti tratti da un “Quaderno di
formazione per la sicurezza sul lavoro in cucina a bordo delle navi”, prodotto
da INAIL Settore Navigazione in collaborazione con Confitarma.
I casi di infortunio presentati sono
tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi
qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli
infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio
correlato all’uso di una friggitrice.
La cuoca intorno alle 11.00 ha predisposto
la friggitrice, sita nella cucina, per la preparazione dei cibi, riempiendo una
delle due vasche con circa 15 l di olio di semi. Alle ore 11:30 circa la cuoca
ha provveduto ad accendere il bruciatore della friggitrice e a posizionare la
manopola della temperatura sul minimo (130 - 140 °C). Alle 12:30, dopo avere
pranzato, la cuoca è tornata nella cucina e si è accorta che il livello
dell’olio nella vasca era notevolmente diminuito dal livello iniziale e,
pertanto, ha ispezionato l’interno dove alloggia la vasca di raccolta dell’olio
esausto per una verifica. Nel compiere l’operazione la cuoca ha notato che,
sebbene la valvola di scarico dell’olio fosse in posizione di chiusura, l’olio
mancante era finito nella vasca di raccolta sottostante. A quel punto, nel
tentativo di estrarre la vasca sottostante, è stata investita al braccio da un
getto di olio bollente fuoriuscito dalla valvola di scarico. Nella concitazione
conseguente, l’infortunata è caduta, presumibilmente tirando a sé la vasca di
raccolta, la quale ha rovesciato il suo contenuto di olio bollente sul
pavimento circostante. Una vasta superficie del corpo dell’infortunata è così
venuta in contatto con l’olio bollente procurandole gravi lesioni da ustione
diffusa.
Questi i fattori causali individuati:
-
l’infortunata è caduta tirando a sé la
vasca di raccolta, la quale ha rovesciato il suo contenuto di olio bollente;
-
trafilamento della valvola di scarico
dell’olio in posizione di chiusura.
Il secondo caso riguarda un infortunio che
si verifica durante la pulizia di un’affettatrice.
Una lavoratrice è dipendente di un
supermercato con la mansione di ausiliaria alle vendite presso il banco
gastronomia. Il giorno dell’infortunio, a fine turno, mentre esegue la pulizia
dell’affettatrice accesa, quindi con la lama in movimento, cerca di togliere un
pezzo di carta che è rimasto incastrato tra la lama e la base del taglio della
macchina stessa. Tuttavia la lama aggancia un l’estremità del guanto in lattice
che la commessa indossa, trascinando la mano verso l’apertura di taglio
dell’affettatrice, provocando così un taglio al terzo dito della mano destra
dell’infortunata. Dalle indagini è emerso che l’infortunio è avvenuto a causa
delle modalità errate utilizzate nella pulizia dell’affettatrice, in quanto
l’infortunata non ha provveduto a scollegare l’impianto elettrico della
macchina e inoltre non indossava i guanti antitaglio che gli erano stati
forniti. L’infortunata è stata idoneamente formata informata sulle modalità di
pulizia da effettuare in sicurezza sull’affettatrice e le erano stati forniti i
necessari dispositivi di protezione individuali.
Dunque questi sono i fattori causali
individuati:
-
eseguiva la pulizia dell’affettatrice con
macchina accesa;
-
non indossava i guanti antitaglio che le
erano stati forniti.
Il terzo caso riguarda un infortunio
durante attività con una macchina impastatrice.
Un lavoratore svolge la mansione di
pastaio all’interno di una azienda che si occupa della produzione e vendita di
pasta ad uso alimentare. Il lavoratore sta operando sulla macchina
impastatrice. La macchina è dotata di coperchi trasparenti sulle vasche di
miscelazione su cui sono posizionati dei microinterruttori di sicurezza
magnetici che all’apertura arrestano il moto degli alberi impastatori. Al
momento dell’infortunio la macchina opera con gli sportelli di chiusura della
vasca di miscelazione aperti e il microinterruttore di sicurezza bypassato da
una calamita fornita agli operatori dalla ditta. Durante il controllo dell’impasto
l’arto superiore destro dell’operatore viene a contatto con le palette
metalliche di lavorazione presenti sull’albero di miscelazione. Il contatto
determina il trascinamento dell’infortunato all’interno della vasca. La
macchina viene fermata dall’operatore che, con il piede sinistro, riesce a
premere l’arresto di emergenza. Il contatto con gli organi lavoratori procura
al lavoratore la frattura del braccio destro e un trauma toracico con ferite
penetranti.
Il fattore causale è evidente:
-
l’utilizzo della macchina impastatrice con
protezioni manomesse.
Il già citato “Quaderno di formazione per
la sicurezza sul lavoro in cucina a bordo delle navi” sottolinea che bisogna
rimanere sempre concentrati quando si utilizzano le attrezzature di lavoro. Anche
una piccola distrazione potrebbe avere conseguenze fatali.
Inoltre tutte le attrezzature di lavoro
devono essere dotate di marcatura CE che ne garantisce la rispondenza ad alcuni
requisiti di sicurezza e rende inoltre obbligatorio fornire insieme alla macchina
un libretto d’uso e manutenzione dove è possibile trovare tutte le informazioni
necessarie ad un corretto utilizzo anche durante le operazioni di pulizia e di
manutenzione.
Si indica poi che nelle attrezzature il
cui principio di funzionamento è meccanico, tutte le parti taglienti
raggiungibili dall’utilizzatore durante l’operazione devono essere protette dal
contatto accidentale.
Il documento, che vi invitiamo a
visionare, riporta alcune soluzioni tecniche protettive più comunemente
utilizzate, ad esempio per:
-
affettatrice: il fermacarne sulla slitta
non è staccabile, ma è orientabile; la piastra di protezione è fissata mediante
parti metalliche e dotata di micro interruttore di sicurezza che blocca
l’attrezzatura se si tenta di rimuoverne la protezione durante il
funzionamento; la parete posteriore della slitta, la protezione delle dita, la
protezione coltelli sono dotati di blocco o di micro interruttore per evitare
che sia possibile scoprire la lama durante l’affilatura: Rimuovendolo il motore
si arresta;
-
macina caffé: i macina caffé sono dotati
di griglie protettive che impediscono l’avvicinamento della mano, alle parti in
movimento.
Il documento, che è ricco di immagini
esplicative, si sofferma anche sull’impastatrice, sul tritacarne e sull’uso dei
coltelli.
Concludiamo con alcune informazioni sulle
friggitrici, una delle attrezzature più pericolose, sia per il rischio di
ustioni a cui è esposto il personale di cucina, sia per il rischio di incendio
che potenzialmente può innescare l’olio ad alte temperature.
E’ fondamentale ricordarsi che in nessun
caso va versata acqua o altro liquido nell’olio bollente. Esso diventa,
infatti, istantaneamente vapore che può esplodere violentemente e disperdere
olio bollente in tutte le direzioni. Occorre aggiungere il cibo nella
friggitrice cautamente e con l’ausilio di attrezzatura idonea (pinze). Se
l’olio è troppo caldo o se ci sono delle sacche di liquido nel cibo preparato,
l’olio si vaporizza e si spande ovunque.
Riportiamo infine alcune indicazioni sulla
pulizia e lo svuotamento delle friggitrici.
Il personale di cucina addetto alle
friggitrici deve essere adeguatamente formato sulle modalità di manipolazione
in sicurezza dell’olio bollente. Le friggitrici dovrebbero essere dotate di filtro
automatico o semiautomatico che riducono l’eventualità di un contatto
accidentale con l’olio bollente. Il riempimento manuale e il filtraggio delle
friggitrici deve essere effettuato solamente quando la temperatura dell’olio è
scesa sotto i 40°C. Occorre ricordare che l’olio impiega alcuni minuti per
raggiungere la temperatura di cottura, ma necessita di alcune ore per
raffreddare. Le friggitrici devono essere spente quando non sono direttamente
gestite dal personale addetto.
Qualunque sia il tipo di friggitrice
impiegata, è essenziale che:
-
il personale sia addestrato sulle
procedure di sicurezza per il riempimento e la pulizia;
-
il personale sia provvisto dei DPI
richiesti (occhiali per la protezione degli occhi, guanti resistenti al calore,
grembiuli, ecc.);
-
la friggitrice deve essere sempre
sottoposta ad adeguata manutenzione e qualunque accessorio deve essere adatto
allo scopo, secondo le indicazioni del costruttore;
-
qualsiasi versamento di olio deve essere
pulito immediatamente, assicurandosi che l’area intorno alla friggitrice sia
completamente asciutta e pulita per evitare rischi di caduta.
Concludiamo ricordando che il documento
INAIL riporta ulteriori e dettagliate indicazioni sulle buone prassi da seguire
per lo svuotamento e pulizia delle friggitrici.
Il documento “Quaderno di formazione per
la sicurezza sul lavoro in cucina a bordo delle navi”, prodotto da INAIL
Settore Navigazione in collaborazione con Confitarma è scaricabile
all’indirizzo:
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 3266, 4533 e 5694 è
consultabile all’indirizzo:
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PREVENIRE LE COLLISIONI TRA MACCHINE E
PEDONI
Da: PuntoSicuro
27/07/17
Esempi di infortuni professionali dovuti a
investimenti tra macchine e pedoni. Infortuni in una azienda agricola, in un
garage aziendale e in attività di controllo merce. Le dinamiche degli infortuni
e gli strumenti di rilevazione dei pedoni.
Con la rubrica “Imparare dagli errori”,
dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, abbiamo rilevato
in passato la grande quantità di infortuni dovuti a investimenti che avvengono
tra macchine e pedoni e/o che avvengono quando si entra nel raggio d’azione di
macchine mobili.
E con riferimento anche a quanto riportato
recentemente dalla rubrica sul tema dei rischi relativi alle interferenze,
torniamo oggi a soffermarci ancora sul tema delle “interferenze interne” e in
particolare sulle conseguenze delle collisioni tra macchine e pedoni.
Ricordiamo che i casi di infortunio
presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per
l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio che
avviene nel piazzale di un’azienda agricola.
A fine turno una lavoratrice (dipendente
di un’azienda agricola che comprende un piazzale sul quale transitano i camion
per il carico e lo scarico della merce e che è anche utilizzato dai dipendenti
come parcheggio auto) attraversa il piazzale mentre un mezzo pesante, che ha
terminato le operazioni di carico, riparte, attraversandolo.
Il conducente non vede la lavoratrice
poiché la sua visibilità è scarsa in corrispondenza del montante di destra
della cabina (“zona d’ombra”) e la investe con la ruota destra procurandole
lesioni multiple con fratture da schiacciamento.
Nel piazzale non erano segnalate né
segregate vie di circolazione per mezzi e pedoni, né la circolazione
contemporanea era stata regolamentata in maniera sicura. I vigili urbani hanno
valutato il piazzale adeguatamente illuminato.
Questi i fattori causali rilevati nella
scheda:
-
il conducente del mezzo pesante procedeva
con visuale limitata;
-
non erano presenti percorsi pedonali
segnalati e/o protetti.
Il secondo caso riguarda un infortunio con
un trattore agricolo.
Un lavoratore, mentre attraversa il garage
aziendale, viene urtato da un trattore agricolo, di tipo medio utilizzato per i
lavori di giardinaggio, che procede in retromarcia.
A causa dell’urto il pedone viene
scaraventato a terra e batte il braccio sinistro riportando la frattura dello
stesso. Il conducente del mezzo non si avvedeva di aver invaso la corsia
destinata ai pedoni.
Il terzo caso riguarda un infortunio che
avviene durante l’attività di controllo della merce.
Mentre un lavoratore sta effettuando il
controllo di merce depositata su bancali viene investito (con conseguente
contusione alla gamba destra) da un carrello elevatore che procede in
retromarcia.
Il guidatore del carrello stava effettuando
il caricamento di un camion e per verificare la stabilità della merce
trasportata non verificava la presenza di ostacoli sul suo percorso. Il
carrello elevatore non era dotato di segnalatore acustico di retromarcia e a
causa di ciò l’infortunato non avvertiva il sopraggiungere del carrello.
Non erano definiti percorsi per mezzi e
pedoni.
Questi i fattori causali rilevati nella
scheda:
-
mancano percorsi definiti per mezzi e
pedoni;
-
l’operatore alla guida di un carrello elevatore
non verificava la presenza di ostacoli sul percorso mentre procedeva in
retromarcia;
-
carrello elevatore privo di segnalatore
acustico di retromarcia.
Se riguardo al rischio di investimento
uomo/macchina molti articoli di PuntoSicuro hanno parlato dell’importanza di
idonei piani di viabilità, ci soffermiamo oggi sulla possibilità di ridurre il
numero di infortuni attraverso strumenti di rilevazione dei pedoni.
In particolare nel documento “Prevenire le
collisioni macchine-pedoni (dispositivi d’aiuto alla conduzione dei mezzi)”,
prodotto dal INRS (Istituto Nazionale di Ricerca e di Sicurezza francese), si
indica che la prevenzione delle collisioni macchine-pedoni può essere
realizzata in primo luogo con misure organizzative e con il miglioramento della
visibilità. Tuttavia se queste misure sono insufficienti per garantire la
sicurezza delle persone possono rendersi necessarie delle misure tecniche
complementari come l’installazione di rilevatori di persone.
A questo proposito si segnala che nel
campo dei dispositivi di rilevazione di persone che hanno l’obiettivo di
prevenire i rischi di collisione tra mezzi e persone, per sistema d’aiuto alla
guida si intende un sistema tecnico che permette di rilevare delle persone in
zone in cui il conducente ha una visibilità limitata, dovuta al compito che sta
svolgendo o alla presenza di angoli morti. Il conducente è informato da un
segnale d’allarme della presenza di persone in situazione di pericolo nella
zona di rilevazione sorvegliata; questo segnale può essere sonoro e/o visivo e
deve essere percepito nell’ambito di lavoro del conducente. Tuttavia il
conducente mantiene la completa gestione dei movimenti delle macchine. Il
rilevatore non agisce automaticamente sui freni, è compito del conducente arrestare
immediatamente la macchina in caso di allarme.
Si ricorda tuttavia che questi dispositivi
hanno delle limitazioni d’uso che possono impedire di rispondere efficacemente
in tutte le situazioni. Attualmente non c’è una soluzione universale che
permetta di rispondere all’insieme delle situazioni di rischio.
E nel documento si sottolinea che ogni
azienda deve definire il bisogno di questi sistemi di rilevazione prima della
loro installazione e solo dopo una ricerca delle misure organizzative o delle
misure destinate a migliorare la visibilità.
In particolare è necessario:
-
identificare ogni situazione di rischio
intorno al veicolo (movimenti della macchina che presentano dei rischi
significativi per le persone, fasi particolari dei movimenti che presentano dei
rischi, zona a rischio attorno alla macchina dove circolano o stazionano
persone);
-
stimare il livello di rischio di ogni
situazione rischiosa (frequenza e durata dell’esposizione delle persone a
rischio, possibilità di evitare o limitare i danni, ecc.);
-
studiare le possibilità di ricorrere a un
dispositivo di segnalazione delle persone;
-
specificare tecnicamente la/le
caratteristiche della segnalazione (bisogna ad esempio specificare la taglia
dell’oggetto più piccolo da intercettare, la distanza di intercettazione, la
dimensione e la localizzazione della/e zone da segnalare, i tempi di risposta
richiesti, ecc.);
-
scegliere e mettere in pratica una
soluzione tecnica;
-
valutare le misure installate (si dovrà
anche considerare il punto di vista delle diverse persone coinvolte, con
l’obiettivo di conoscere il loro grado di soddisfazione rispetto al dispositivo
installato).
Il documento “Prevenire le collisioni
macchine-pedoni (dispositivi d’aiuto alla conduzione dei mezzi)”, prodotto dal
INRS (Istituto Nazionale di Ricerca e di Sicurezza francese), è scaricabile
all’indirizzo:
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 8265, 2814 e 5599 è
consultabile all’indirizzo:
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MOVIMENTI RIPETITIVI: ESPOSIZIONE,
PREVENZIONE E MALATTIE PROFESSIONALI
Da: PuntoSicuro
28/07/17
Alcuni interventi si soffermano sul
sovraccarico biomeccanico degli arti superiori. Il rischio di sovraccarico,
l’attenzione nelle aziende e le modalità di trattazione delle denunce di
malattie professionali degli arti superiori.
In relazione alla diffusione del rischio
legato ai movimenti ripetuti degli arti superiori nel mondo del lavoro e alla
sua incidenza nelle denunce di malattie professionali, l’ATS Brianza e i
Comitati di Coordinamento Provinciali di Monza Brianza e Lecco hanno promosso
nel 2016 uno specifico Piano Mirato di Prevenzione (PMP) dal titolo “Il
sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: un rischio sottovalutato”.
Di questo piano di prevenzione, che fa
riferimento anche ad alcuni Decreti Regionali emanati in materia dalla Regione
Lombardia, abbiamo già parlato in diversi articoli di PuntoSicuro presentando
alcuni utili documenti di supporto per le aziende.
Ci soffermiamo, invece, oggi sugli atti di
un incontro pubblico, correlato al piano di prevenzione, che si è tenuto presso
l’ATS Brianza il 23 novembre 2016.
Ad esempio riprendiamo alcune battute
dall’intervento “SBAS Sovraccarico Biomeccanico degli arti superiori”, a cura della
dottoressa Silvia Negri (API Lecco, Servizio Ambiente e Sicurezza), che, dopo
aver espresso gli apprezzamenti e le preoccupazioni per queste nuove
metodologie degli enti di controllo, fa il punto sul rischio SBAS.
Il rischio di sovraccarico biomeccanico
degli arti superiori è stato finora sottovalutato?
La relatrice risponde: “probabilmente sì,
non tutti coloro che ho avuto modo di sentire sul tema ne erano consapevoli”.
Tuttavia nelle PMI “i lavoratori esposti a questo rischio potrebbero non essere
molti”.
Questi sono, ad esempio, alcuni gruppi di
lavoratori più esposti:
-
addetti all’assemblaggio, alla cernita
manuale, al confezionamento;
-
addetti alla levigatura manuale o al
carico/ scarico linea;
-
addetti alle pulizie.
In particolare del PMP viene apprezzato
l’approccio step by step, con domande chiave (key enter), che non coinvolgono
subito necessariamente un consulente esperto.
E viene espresso un timore, relativamente
alla valutazione del rischio di sovraccarico, di un eccessivo tecnicismo.
Potrebbe offuscare l’obiettivo, che dovrebbe rimanere uno solo: quello di
garantire la salute del lavoratore, attuale e futura. Sarebbe un peccato che un
obiettivo così condivisibile e significativo venisse offuscato da aspetti tecnici
che spostassero eccessivamente l’attenzione.
Infine una considerazione finale per le
aziende.
E’ importante ricordare che prevenzione
è... investire qualche risorsa in più nella progettazione del luogo di lavoro e
nello studio di una buona organizzazione dei compiti, anziché destinarle alla
misura puntigliosa del rischio specifico.
Chiaramente un altro tema importante in
merito a questa tipologia di rischio è quello relativo al riconoscimento delle
malattie professionali.
A questo proposito riprendiamo alcune
indicazioni tratte dall’intervento “Le modalità di trattazione delle denunce di
malattie professionali degli arti superiori”, a cura della dottoressa Claudia
Sferra (INAIL Monza).
La relazione parte innanzitutto con la
distinzione tra:
-
malattia tabellata: compresa in elenco
D.M. 9 aprile 2008 per la quale c’è una presunzione legale di origine;
-
malattia non tabellata: malattia per la
quale il lavoratore dimostri l’origine professionale.
Il documento si sofferma sul tema
dell’onere della prova e ricorda alcune Sentenze della Corte Costituzionale
(179 e 206 del 1988).
Onere della prova per il quale non è
agevole:
-
identificare fra i diversi antecedenti
concausali il possibile ruolo giocato dal lavoro;
-
stabilire se a questo possa attribuirsi un
valore di concausa giuridicamente rilevante.
E quale valore occorre attribuire al
lavoro affinché questo possa, nell’ambito di tutti i fattori concausali che
partecipano insieme ciascuno con peculiare efficienza al determinismo della
malattia, essere riconosciuto causa?
La relazione, che vi invitiamo a leggere
integralmente, riporta un breve excursus commentato di alcune importanti
sentenze e circolari INAIL in materia, precedenti o successive al Decreto del 9
aprile 2008 contenente le “Nuove tabelle delle malattie professionali
nell’industria e nell’agricoltura”, ad esempio con riferimento a:
-
Sentenza della Corte Costituzionale 179/88
sulle malattie professionali non tabellate;
-
Circolare INAIL 35/92;
-
Circolare INAIL 81/00 “Malattie da
sovraccarico biomeccanico posture incongrue e microtraumi ripetuti. Modalita di
trattazione delle pratiche”;
-
Circolare INAIL 25/04: “Malattie del
rachide da sovraccarico biomeccanico. Modalità di trattazione delle pratiche”.
Viene poi riportato un estratto del
Decreto del 9 aprile 2008 con le indicazioni relative alle malattie
professionali correlate al sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore nel
comparto industria e con riferimento (ultima colonna) al periodo massimo di
indennizzabilità dalla cessazione della lavorazione.
Dopo aver riportato, nella relazione anche
alcune malattie tabellate in ambito agricolo (tendinite della spalla, del
gomito, del polso, della mano; sindrome del tunnel carpale; altre malattie da
sovraccarico biomeccanico degli arti superiori), si indica che molte delle
patologie che nella tabella previgente erano solo indicate con la definizione
generica “malattia da...” sono state, in relazione all’evoluzione delle conoscenze
scientifiche, specificate in modo dettagliato con la denominazione della
patologia tabellata. La tipizzazione delle patologie nel senso sopra
specificato rende più efficace l’operatività della presunzione legale di
origine. Tuttavia ci si poteva attendere l’indicazione delle lavorazioni e ci
si poteva attendere l’indicazione dei limiti di rischio.
Uniche indicazioni vengono della Circolare
INAIL 47/08 la presunzione legale opera quando l’adibizione alle lavorazioni
indicate avviene in maniera non occasionale, quando costituisca una componente
abituale e sistematica dell’attività professionale dell’assicurato, quando sia
dunque intrinseca alle mansioni.
Si ricorda poi la lettera circolare INAIL
del 16 febbraio 2006.
Nel caso di concorrenza di fattori professionali
con fattori extraprofessionali trovano applicazione i principi di cui agli
articoli 40 e 41 del Codice Penale (“il concorso di cause preesistenti o
simultanee o sopravvenute non esclude il rapporto di causalità”). Le cause
sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole
sufficienti a determinare l’evento; una volta accertata la nocività dei fattori
di rischio lavorativi, si potrà passare alla valutazione del nesso di causalità
tra detti fattori di rischio e la patologia denunciata come malattia
professionale.
Si indica poi che l’impossibilità di
raggiungere una assoluta certezza scientifica in ordine alla sussistenza del
suddetto nesso causale non costituisce motivo sufficiente per escludere il
riconoscimento della eziologia professionale. A questo fine, infatti, la
giurisprudenza consolidata e concorde della Corte di Cassazione ritiene
sufficiente la ragionevole certezza della genesi professionale della malattia.
Tale ragionevole certezza, che non può certamente consistere in semplici
presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, deve ritenersi
sussistente in presenza di un elevato grado di probabilità dell’etiopatogenesi
professionale, desumibile anche da dati epidemiologici e dalla letteratura
scientifica.
Si ricorda, infine, che la criteriologia
di accertamento della nocività è poi stata confermata e meglio chiarita dalla
Circolare INAIL 47/08 quando spiega la voce tabellare “altre malattie causate
dalla esposizione” inserita, per alcuni agenti patogeni, accanto alle patologie
tipizzate, allo scopo di non produrre un arretramento del livello di tutela. In
questo senso la prova della derivazione eziologica della malattia dall’agente
tabellato deve ritenersi raggiunta in presenza di un elevato grado di probabilità
dell’idoneità causale della sostanza indicata in tabella rispetto alla
patologia denunciata, per come desumibile anche dai dati epidemiologici e dalla
letteratura scientifica.
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