Due
anni fa lanciammo una mobilitazione contro il licenziamento di cinque
operai cassintegrati della Fiat di Pomigliano “colpevoli” di aver
espresso il dolore e la rabbia per il suicidio di tre compagni di
fabbrica, privati – non diversamente da loro – di ogni
prospettiva di occupazione. Ci parve che gli amministratori della
giustizia avessero rimesso il mondo sul suo asse, perché la Corte
d’appello, smentendo il Tribunale del lavoro, diede ragione a Mimmo
Mignano e ai suoi quattro coraggiosi compagni, ordinando alla Fiat
Chrysler Automobiles il pieno reintegro. Cosa che però la FCA non
fece, limitandosi a versare il salario senza permettere ai cinque di
varcare i cancelli della fabbrica, quasi fossero pericolosi
criminali, mentre invece portò la vicenda in Cassazione.
Dopo
un tempo lunghissimo – due anni, che i cinque hanno trascorso in
attesa e sospensione nel vuoto – il 6 giugno 2018 la Cassazione ha
reso nota la sentenza con cui accoglieva il punto di vista aziendale,
sancendo l’obbligo di “fedeltà” all’azienda fuori
dall’orario di lavoro.
Secondo
i giudici di Cassazione, i cinque avrebbero posto in essere
«comportamenti che compromettevano sul piano morale l’immagine del
datore di lavoro», venendo meno all’«obbligo di fedeltà a carico
del lavoratore subordinato» richiamato dall’articolo 2105 del
Codice civile. Questo a dispetto del fatto che l’articolo in
questione dispone – semplicemente – che «il prestatore di lavoro
non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti
all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o
farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio».
Stiamo
parlando di una norma studiata per salvaguardare gli interessi
dell’azienda rispetto ad eventuali competitori, che vieta al
dipendente di mettersi in concorrenza con il proprio datore di
lavoro, legandolo alla riservatezza sui segreti aziendali. Come può
una simile disposizione essere indirizzata a operai che, con mansioni
esecutive spesso limitate a una sola linea di produzione, o al
massimo a un reparto, nemmeno lontanamente possono «trattare affari
per conto proprio o di terzi», né tantomeno conoscere «notizie
attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione»?
La
sentenza ratifica una ratio secondo cui non conta la sofferenza dei
deboli ma l’immagine pubblica del padrone; in cui non si protegge
l’onorabilità dei suicidi ma quella della controparte,
indipendentemente dall’immane disparità del rapporto di forza.
Anno
dopo anno, in Italia è stata intaccata la fondamentale funzione
esercitata dalla disciplina del diritto del lavoro, diretta a
bilanciare lo squilibrio nel rapporto di forza fra imprenditore e
dipendente.
Privati persino del diritto di protestare, di gridare il proprio dolore e offesa, cosa lo Stato intende lasciare ai suoi cittadini cassintegrati, licenziati, disoccupati, oltre all’abisso di gesti autolesivi?
Privati persino del diritto di protestare, di gridare il proprio dolore e offesa, cosa lo Stato intende lasciare ai suoi cittadini cassintegrati, licenziati, disoccupati, oltre all’abisso di gesti autolesivi?
Contro
questa sentenza, che apre pericolose contraddizioni
sull’interpretazione dell’obbligo di fedeltà cui sarebbero
assurdamente sottoposti i dipendenti aziendali, intendiamo sostenere
non solo Mimmo Mignano e i suoi compagni, ma i numerosi lavoratori
licenziati per aver espresso pubblicamente opinioni critiche sulle
scelte del proprio datore di lavoro, benché fuori dall’orario e
dalle sedi di impiego.
Una
simile interpretazione adatta ai casi concreti i principi generali
della fedeltà e dell’auto-dominio, e così facendo sancisce
l’asservimento dei lavoratori, li condanna al silenzio, li rende
ricattabili nella sfera pubblica, riduce la persona umana al mero
scambio lavorativo appropriandosi anche della parte di esistenza che
è fuori dall’orario di lavoro, disconosce la tutela della dignità
dell’uomo sancita dalla Costituzione.
Le
recenti riforme del lavoro hanno modificato le relazioni tra
lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a
favore dei secondi. Quanto sta accadendo non è solo il risultato di
cambiamenti normativi ma l’indice di una profonda involuzione
culturale, politica e umana, che minaccia lo stesso sistema
democratico del nostro Paese.
La
sentenza contro i cinque della FCA segna un salto simbolico al quale
intendiamo opporci, perché va a colpire operai che hanno attuato una
protesta sindacale utilizzando espressioni satiriche, per quanto
aspre, all’unico scopo di dar voce all’angoscia esistenziale che
nasce dalla precarietà del lavoro, dall’umiliazione dell’essere
considerati scarti dell’umanità, dal dolore per i numerosi
compagni che negli anni, alla Fiat e in tutta Italia, si sono
suicidati per la perdita del lavoro.
Anche
noi crediamo nell’obbligo di fedeltà: quello alla dignità di chi
si oppone, e quello alla memoria di chi soccombe. Per questo lanciamo
una campagna con la quale chiediamo al Legislatore di regolamentare
la normativa sull’obbligo di fedeltà limitandone l’interpretazione
a ciò che effettivamente dice, cioé la difesa dell’azienda
rispetto alla concorrenza, e chiediamo alla Cassazione di revocare e
correggere l’attuale interpretazione.
Per
sottoscrivere l’appello vai
a: https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com/
Oppure invia mail di adesione a: ellugio@tin.it
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PRIMI
FIRMATARI
Andrea Vitale, maestro, pubblicista
Daniela Padoan, scrittrice
Alessandro Arienzo, Università di Napoli “Federico II”
Franco Rossi, docente e pubblicista
Guido Viale, economista
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, presidente Attuare la Costituzione
Erri De Luca, scrittore
Massimo Cacciari, filosofo
Marco Travaglio, giornalista, direttore de Il Fatto Quotidiano
Luigi De Magistris, sindaco di Napoli
Moni Ovadia, attore
Ascanio Celestini, attore e regista
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano
Massimo Villone, costituzionalista, professore emerito di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Napoli
Lorenza Carlassare, giurista e costituzionalista
Luigi Ferrajoli, giurista, professore di filosofia del diritto all’Università di Camerino
Riccardo Petrella, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio)
Giuseppe Del Bene, già magistrato del lavoro
Alessandra Ballerini, avvocato
Giuseppe De Marzo, responsabile politiche sociali di Libera
Eleonora Forenza, parlamentare europea, Gruppo GUE/NGL
Luigi De Giacomo, fondatore “Attuare la Costituzione”
Don Peppino Gambardella, parroco di Pomigliano
Francesco Pallante, professore di diritto costituzionale all’Università di Torino
Annamaria Rivera, antropologa
Maria Grazia Meriggi, docente di storia delle culture politiche e dei movimenti sociali europei all’Università di Bergamo
Barbara Pezzini, ordinaria di diritto costituzionale, prorettrice con delega alle politiche di equità e diversità dell’Università di Bergamo
Giuseppe Marziale, avvocato
Giuseppe Antonio Di Marco, Università di Napoli “Federico II”
Valeria Parrella, scrittrice
Francesca Fornario, giornalista e scrittrice
Franco Lorenzoni, maestro
Riccardo Bellofiore, professore di economia politica all’Università di Bergamo
Piero Bevilacqua, storico
Gruppo musicale Lo Stato sociale
Giuseppe Aragno, storico
Donato Auria, operaio indotto FCA Melfi
Domenico De Stradis, operaio FCA Melfi
Andrea Di Paolo, operaio FCA Termoli
Piero Azzoli, operaio FCA Cassino
Teresa Elefante, operaio FCA Mirafiori
Rosario Monda, operaio FCA Pomigliano, reparto logistico Nola
Andrea Tortora, operaio FCA Pomigliano, reparto logistico Nola
Giorgio Cremaschi, Piattaforma Sociale Eurostop
Mario Agostinelli, Energia Felice, già segretario generale della CGIL Lombardia
Piero Basso, presidente Costituzione Beni Comuni
Emilio Molinari, Comitato Acqua Pubblica, già parlamentare europeo
Franco Calamida, già deputato del Parlamento italiano
Vittorio Agnoletto, medico, già parlamentare europeo
Giuseppe Cacciatore, professore emerito Università Napoli, Accademico dei Lincei
Maria Rosaria Marella, docente Diritto Costituzionale, Università di Perugia
Nicola Magliulo, docente e pubblicista
Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC
Giovanni Russo Spena, dirigente nazionale PRC
Gianluca Carmosino, redazione Comune-info.net
Alessandro Portelli, storico
Damiano Colletta, sindaco di Latina
Claudio Serpico, docente Università Federico II Napoli
Michele Tripodi, sindaco di Polistena
Giovanna Vertova, docente di economia politica
Marco D’Isanto, commercialista e pubblicista
Giovanni De Stefanis, Assoc. Libertà e Giustizia, Circolo di Napoli
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Nicola Magliulo, docente e pubblicista
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Gianluca Carmosino, redazione Comune-info.net
Alessandro Portelli, storico
Damiano Colletta, sindaco di Latina
Claudio Serpico, docente Università Federico II Napoli
Michele Tripodi, sindaco di Polistena
Giovanna Vertova, docente di economia politica
Marco D’Isanto, commercialista e pubblicista
Giovanni De Stefanis, Assoc. Libertà e Giustizia, Circolo di Napoli
(*)
testo ripreso – con l’immagine – da
https://nolicenziamentiopinione.wordpress.com
«Il
fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato apertamente a fare
guerra agli umani; non più solo alle possibilità della loro vita,
ma anche a quelle della sopravvivenza». Guy
Ernest Debord –
scrittore, regista e filosofo francese – in “La
società dello spettacolo”
(1967), un’opera profetica che varrebbe la pena rileggere o leggere
per la prima volta.
(*)
Chief Joseph è stato una guida (militare e spirituale) dei Nasi
Forati, un popolo nativo americano. Si chiamava in realtà Hinmaton
Yalaktit,
che in lingua
niimiipuutímt significa Tuono
che rotola dalla montagna.
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