Sono
sempre più frequenti i provvedimenti disciplinari da parte delle
aziende contro lavoratori/trici e delegati sindacali che esprimono
opinioni pubbliche dentro e fuori i luoghi di lavoro che concernono
le condizioni lavorative, le vertenze le ristrutturazioni o sui
problemi di sicurezza e appalti. Diventano più frequenti anche le
sentenze con cui la magistratura conferma la legittimità del
cosiddetto “obbligo di fedeltà” nei confronti dell'azienda.
L’articolo
del codice civile che ne parla è il 2105. Il titolo di questo
articolo è infatti proprio “Obbligo di fedeltà”. Il testo
dell’articolo però elenca precisamente i casi in cui varrebbe
questo obbligo. Infatti, esso così recita: “Il prestatore di
lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti
all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o
farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
Questo
articolo, tante volte richiamato per giustificare licenziamenti
individuali di lavoratori, non impone un generico dovere di fedeltà
verso il datore di lavoro, ma si limita a stabilire per i lavoratori
e le lavoratrici il divieto di concorrenza ed il divieto di
divulgazione delle notizie riguardo l’organizzazione dell’impresa.
Ossia vieta comportamenti che possono pregiudicare la competitività
dell’azienda sul mercato a vantaggio del lavoratore stesso o di una
specifica impresa concorrente. Non c’è traccia di limitazione
della libertà di opinione né tanto meno di quella sindacale
(garantite tra l'altro dalla Costituzione). E' evidente quindi come
la stragrande maggioranza dei licenziamenti che si appellano al
presunto "obbligo di fedeltà" siano licenziamenti politici
e atti di intimidazione contro chi intendesse mobilitarsi attivamente
contro lo strapotere aziendale.
DA
PARTE DELLA CASSAZIONE VI E’ STATA QUINDI UNA INGIUSTA E IMMOTIVATA
INTERPRETAZIONE ESTENSIVA DI QUESTA NORMA CHE AUSPICHIAMO SIA AL PIU’
PRESTO SOTTOPOSTA AL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE.
Il
metodo del defunto Marchionne, santificato solo poche settimane fa,
non ha lasciato solo schemi organizzativi di produzione che “portano
a valore” anche i tempi perduti per i bisogni fisiologici, ma la
totale supremazia degli interessi del profitto, perfino sul pensiero
di chi lavora.
L’OBBIETTIVO
SEMBRA ESSERE QUELLO DI STERILIZZARE ANCHE LE CAPACITA’ DI
RIFLESSIONE, DI ELABORAZIONE CRITICA DEI MODELLI PRODUTTIVI E
FINANCHE LA POSSIBILITA’ DI DISCUSSIONE TRA I LAVORATORI.
L’idea
che si esca dalla “crisi”, dando mano libera agli interessi di
impresa, è il presupposto per cui tutto deve contribuire agli utili.
Tutto, compreso il “welfare”, deve portare profitto alla stessa.
La motivazione che viene anche usata come giusta causa nei
provvedimenti disciplinari, è che niente deve disturbare la
creazione del profitto, nulla deve nuocere. Denunciare
l’organizzazione del lavoro di una azienda che si ingegna ogni
giorno per strappare quote sempre più marginali di profitto tanto da
compromettere la salute dei dipendenti è quindi ...lesiva! Criticare
a torto o a ragione le condizioni in cui versano i lavoratori è
“denigratorio e lesivo dell’immagine aziendale”, mentre risulta
sempre più accettabile che si possa sottopagare un lavoro, non
applicare i contratti, appaltare e sub appaltare, non rispettare le
leggi su sicurezza igiene negli ambienti di lavoro ecc... Il fine
ultimo non è il benessere dei cittadini (come hanno tentato di farci
credere per anni con la formuletta profitto=sviluppo=benessere) bensì
prima gli utili…altro che prima gli italiani!
Perciò,
in questo schema autoritario, un dipendente, in quanto tale non può
esprimere la sua opinione se non VUOLE incappare sempre più spesso
nella repressione padronale, volta non solo a tacitare la voce
stonata CON ATTI SANZIONATORI ma ‘PIEGARE’ E SOTTOMETTERE ANCHE
SOTTO IL PROFILO PSICOLOGICO QUALSIASI ESPRESSIONE, PENSIERO O
COMPORTAMENTO RITENUTO OSTILE ALLE ASPETTATIVE AZIENDALI. E’
PARADOSSALE CHE IN TEMA DI LIBERTA’ FONDAMENTALI, QUALI QUELLO DI
PENSIERO E DI PAROLA, IL CITTADINO ‘DIPENDENTE’ SIA SOTTOPOSTO A
UN REGIME RIDOTTO – BEN OLTRE IL CONTENUTO DELL’ARTICOLO 2105 –
RISPETTO AI DIRITTI RICONOSCIUTI ALLA GENERALITA’ DEI CITTADINI.
Viceversa
anche quando il tema sono i morti sul lavoro: si può far esprimere
liberamente nelle interviste dei TG nazionali un padrone, o un
caporale, i quali ci spiegano perché “siano costretti” ad
avvalersi di lavoro nero, sottopagato e senza alcuna tutela immediata
e posticipata, in quanto altrimenti non avrebbero abbastanza margine
per essi stessi, se a parlare e denunciare è il lavoratore allora è
leso l'obbligo di fedeltà. Questa è la sintesi di una dicotomia che
si espande in ogni ambito nella società con il principio “prima di
tutto i profitti”. Chi come noi invece denuncia da tempo la
sottovalutazione delle conseguenze di tale principio, non si RASSEGNA
ALLA strage perpetua DEI 13.000 morti sul lavoro in 10 anni, ai
disastri ferroviari, ai ponti che cadono, ai tetti delle scuole o
delle chiese che crollano MA VUOLE INCIDERE SULLA REALTA’ ANCHE CON
LA VOCE CHE ARRIVA DIRETTAMENTE DAI LUOGHI DI LAVORO perché SIAMO
PIENAMENTE CONSAPEVOLI E viviamo tutti i giorni questa politica in
cui non si investe sulla sicurezza, sul benessere, sulla salute delle
persone SE NON dove si possa attendere una remunerazione e UN
PROFITTO.
Questa
non è una qualsivoglia società civile, ma barbarie!
Per
chi come noi ha saggiato la rancorosa reazione padronale per essere
riottosi all’obbligo di fedeltà verso i datori di lavoro, ma molto
più propensi alla fedeltà verso i nostri colleghi, ai mandati di
salvaguardia di diritti, salario, salute e sicurezza che essi ci
consegnano in qualità di delegati o attivisti sindacali, è naturale
aderire alla campagna contro i licenziamenti di opinione a partire
dai 5 operai di Pomigliano che sono solo la punta di iceberg ben più
profondo e pericoloso, innanzitutto per la democrazia in questo
paese. La democrazia nei luoghi di lavoro è fondamento per uno stato
di diritto e che si voglia in qualsiasi accezione democratico, la
libertà di parola in ogni forma è precondizione necessaria in uno
stato di diritto, tutto il resto è tirannia da combattere. Non a
caso il ripristino di garanzie nell’occupazione cozza con i piani
di precarietà e supremazia del profitto di chi ci vuole fedeli solo
al nostro sfruttamento più sfrenato. Mentre anche negli ordinamenti
militari si riconosce la possibilità di non obbedire ad un ordine
ritenuto sbagliato, un datore di lavoro vorrebbe la totale
accondiscendenza dei suoi dipendenti sull’altare del profitto.
Crediamo che uniti possiamo opporci e invertire questa tendenza alla
barbarie e a partire dai luoghi di lavoro ricostruire una società
degna di essere vissuta. Fatta di solidarietà, attenzione al più
debole, possibilità di un futuro. Contrapposta alla giungla di
sopraffazione odio e guerra al più povero. A partire da noi
auspichiamo alla creazione di una rete di supporto, solidarietà e
cooperazione per difendere la libertà di opinione contro l’obbligo
di fedeltà.
Ottobre
2018
Augustin
Breda - operaio Electrolux RSU licenziato e reintegrato
Riccardo
De Angelis – RSU TIM spa
Dante
De Angelis - Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Ferrovie
Gian
Paolo Adrian – Rsu operaio Fincantieri
++++++
Augustin
Breda: operaio RSU licenziato dall’Electrolux nel giugno 2017 per
la sua attività sindacale utilizzando un pretesto da parte
dell’azienda che ha anche assoldato un detective privato per
seguirlo e cercare appigli al licenziamento per uso “scorretto”
dei permessi. Appigli inesistenti tanto è che dopo una battaglia
legale e sindacale è stato riammesso in fabbrica dal Tribunale di
Pordenone, e alle elezioni dei nuovi delegati RSU ha stravinto con
140 preferenze.
Riccardo
De Angelis: RSU per cui la Tim aveva chiesto il licenziamento per
presunte dichiarazioni “lesive” dell’azienda durante una
audizione parlamentare per colpire la vertenza aziendale condotta dal
CLAT (comitato lavoratori autoconvocati telecomunicazioni) che andava
avanti da 8 mesi: grazie ad una campagna portata avanti insieme da
tanti lavoratrici e lavoratori, anche di altre vertenze, l’azienda
è stata costretta a retrocedere mantenendo però una sospensione
disciplinare.
Dante
De Angelis: RLS macchinista in forza al deposito locomotive di Roma
S. Lorenzo due volte licenziato per aver esercitato il diritto di
critica come rappresentante della sicurezza sul lavoro e due volte
reintegrato a seguito di mobilitazioni e campagne pubbliche di
solidarietà visto il suo impegno contro possibili disastri
ferroviari.
Gian
Paolo Adrian: RSU di Fincantieri di Monfalcone licenziato “per
motivi disciplinari” contestandogli un uso “scorretto” dei
permessi.
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