Quando
fui convocata informalmente al Campidoglio mi fu detto :” firma
questo foglio e ti salviamo il posto di lavoro”. “Cosa c’è
scritto su questo foglio?” Chiesi. Dovevo chiedere scusa, senza
entrare nel merito della errata modalità con cui avevo fatto le
denunce. E questo mi sembrò un compromesso accettabile. Gli
altri due punti invece mi fecero contrarre lo stomaco: chiedi tu una
aspettativa non retribuita fino a settembre ( oggi atac non ti manda
in aspettativa nemmeno per problematiche concrete) e chiedi un cambio
mansione come agente di stazione ( qualunque autista avrebbe pagato
per scendere dal bus). “Devi cospargerti il capo di cenere” mi
disse l’uomo onesto e maltrattato ma che aveva accettato l’attacco
violento pur di non lasciare tutto… La mia pancia lanciò segnali
inequivocabili. Massimo diceva sempre “ fidati delle tue
sensazioni. Non sbagliano mai”.
Ero allo stremo. Confusa. Stanca.
Impaurita da una situazione economica che rischiava di arrivare al
collasso. Stavo per firmare. Poi accadde una cosa. Chi oggi se ne
lava le mani dicendo che la questione sia solo aziendale telefonava
ai miei interlocutori incessantemente. Continuamente. “Quintavalle
ha firmato?” Voleva sapere. No... troppe cose stonavano. Ho preso
tempo spiazzando chi avevo davanti. Sono uscita dal Campidoglio. Ho
fatto tre telefonate raccontando L’ accaduto. Queste le risposte.
Tutte e tre legittime. “Ho due figli. Io accetterei e continuerei a
combattere da dentro” mi disse il mio braccio destro del sindacato.
“ non mi piace. È una resa incondizionata. Puzza di bruciato. Ma
la decisione è tua” suggerì con calma il mio avvocato.
Riservai
la terza telefonata a mio padre. A quell’uomo cui raccontai della
nostra protesta sindacale solo il giorno prima che fu messa in atto.
A quell’uomo che mi comunica da sempre ciò che reputa giusto o
sbagliato ma che da sempre mi dice “dissento ma mi adeguo”
rispettando ogni scelta che in quasi 38 anni ho fatto. Con la sua
calma elefantiaca ( ovviamente è un eufemismo) comincio ad urlare:”
ma che è sto Schifo. Ma che è sto ricatto. Mandali al diavolo. Non
avrebbero mai dovuto proporti questo”. Dovetti bloccarlo. L’
angoscia ormai era fuori controllo. Dissi solo:” grazie Gaeta ‘
per il consiglio. Ci penso. E misi giù il telefono”. Camminai sola
per il centro storico. Camminai tante ore. È più passava il tempo,
più recuperavo la calma più quella proposta mi sembro’ un attacco
frontale finalizzato all’annientamento della mia persona. La sabbia
non era più negli occhi e fu facile vedere.
RIFIUTAI.
E FIRMAI LA MIA CONDANNA A MORTE.
No.
I sindacati con la frase ripetuta a iosa ci dicono da sempre “ringrazia dio che lavori”. No.
I padroni si sentono potenti solo perché ci danno un lavoro. Fottendosene di bisogni diritti ed esigenze dell’essere umano. Io sono un’altra storia. Da quando è iniziato tutto ho rifiutato proposte televisive, promozioni, candidature, soldi di chi mi voleva nel partito perché ero “una trascinatrice di popoli ed un animale politico”. Guardai negli occhi chi in mano mi aveva messo un assegno da 150.000 euro e restituendolo dissi: “Anche il posto di amministratore delegato o di presidente del consiglio sarebbe invalidante per una che vuole curare e guarire la gente”. Amavo il mio lavoro. Ho perso tutto in nome di un bene superiore che si chiama interesse collettivo. No non mi pento. Di accettare compromessi non sono mai stata in grado. Forse è per questo che sola ci sono nata. Sola ci sono cresciuta. Sola mi ci sono sempre sentita. Anche nel pieno di una storia. Il futuro non mi spaventa. E le critiche non costruttive mi scivolano dal corpo come acqua fredda. Vorrei solo avervi lasciato con questa immensa e splendida battaglia solo una eredità imperitura: il senso di dignità che deve tornare parte integrante della vostra persona.
I sindacati con la frase ripetuta a iosa ci dicono da sempre “ringrazia dio che lavori”. No.
I padroni si sentono potenti solo perché ci danno un lavoro. Fottendosene di bisogni diritti ed esigenze dell’essere umano. Io sono un’altra storia. Da quando è iniziato tutto ho rifiutato proposte televisive, promozioni, candidature, soldi di chi mi voleva nel partito perché ero “una trascinatrice di popoli ed un animale politico”. Guardai negli occhi chi in mano mi aveva messo un assegno da 150.000 euro e restituendolo dissi: “Anche il posto di amministratore delegato o di presidente del consiglio sarebbe invalidante per una che vuole curare e guarire la gente”. Amavo il mio lavoro. Ho perso tutto in nome di un bene superiore che si chiama interesse collettivo. No non mi pento. Di accettare compromessi non sono mai stata in grado. Forse è per questo che sola ci sono nata. Sola ci sono cresciuta. Sola mi ci sono sempre sentita. Anche nel pieno di una storia. Il futuro non mi spaventa. E le critiche non costruttive mi scivolano dal corpo come acqua fredda. Vorrei solo avervi lasciato con questa immensa e splendida battaglia solo una eredità imperitura: il senso di dignità che deve tornare parte integrante della vostra persona.
Nessun commento:
Posta un commento