Lo
Slai Cobas per il sindacato di classe - coordinamento nazionale -
aderisce alla lettera - info slaicobasta@gmail.com
https://lavoratoriautoconvocati.wordpress.com/2018/10/17/lettera-aperta-liberta-di-opinione-contro-i-ricatti-aziendali/
Vi
chiediamo di aderire (individualmente o collettivamente) e di
diffondere questa lettera contro i licenziamenti politici e i
ricatti delle aziende contro delegati sindacali, lavoratori e
precari in lotta. Per la libertà di opinione e organizzazione nei
posti di lavoro e ovunque. Per costruire una rete di solidarietà
mutualistica a sostegno di delegati e precari che si mobilitano
sotto il ricatto aziendale.
Augustin
Breda, operaio Electrolux RSU; Riccardo De Angelis, RSU TIM
spa; Dante De Angelis, Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza Ferrovie; Gian Paolo Adrian, Rsu operaio Fincantieri.
Per
adesioni via mail: lavoratoriautoconvocati@gmail.com
Sono
sempre più frequenti i provvedimenti disciplinari da parte delle
aziende contro lavoratori/trici e delegati sindacali che esprimono
opinioni pubbliche dentro e fuori i luoghi di lavoro che concernono
le condizioni lavorative, le vertenze le ristrutturazioni o sui
problemi di sicurezza e appalti.
Diventano più frequenti anche le
sentenze con cui la magistratura conferma la legittimità del
cosiddetto “obbligo di fedeltà” nei confronti dell’azienda.
L’articolo del codice civile che ne parla è il 2105. Il titolo di
questo articolo è infatti proprio “Obbligo
di fedeltà”.
Il testo dell’articolo però elenca precisamente i casi in cui
varrebbe questo obbligo. Infatti, esso così recita: “Il
prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di
terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie
attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione
dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa
pregiudizio”.
Questo
articolo, tante volte richiamato per giustificare licenziamenti
individuali di lavoratori, non impone un generico dovere di fedeltà
verso il datore di lavoro, ma si limita a stabilire per i lavoratori
e le lavoratrici il divieto di concorrenza ed il divieto di
divulgazione delle notizie riguardo l’organizzazione dell’impresa.
Ossia vieta comportamenti che possono pregiudicare la competitività
dell’azienda sul mercato a vantaggio del lavoratore stesso o di una
specifica impresa concorrente. Non c’è traccia di limitazione
della libertà di opinione né tanto meno di quella sindacale
(garantite tra l’altro dalla Costituzione). E’ evidente quindi
come la stragrande maggioranza dei licenziamenti che si appellano al
presunto “obbligo di fedeltà” siano licenziamenti politici e
atti di intimidazione contro chi intendesse mobilitarsi attivamente
contro lo strapotere aziendale.
DA
PARTE DELLA CASSAZIONE VI E’ STATA QUINDI UNA INGIUSTA E IMMOTIVATA
INTERPRETAZIONE ESTENSIVA DI QUESTA NORMA CHE AUSPICHIAMO SIA AL PIU’
PRESTO SOTTOPOSTA AL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE.
Il
metodo del defunto Marchionne, santificato solo poche settimane fa,
non ha lasciato solo schemi organizzativi di produzione che “portano
a valore” anche i tempi perduti per i bisogni fisiologici, ma la
totale supremazia degli interessi del profitto, perfino sul pensiero
di chi lavora.
L’OBBIETTIVO
SEMBRA ESSERE QUELLO DI STERILIZZARE ANCHE LE CAPACITA’ DI
RIFLESSIONE, DI ELABORAZIONE CRITICA DEI MODELLI PRODUTTIVI E
FINANCHE LA POSSIBILITA’ DI DISCUSSIONE TRA I LAVORATORI.
L’idea
che si esca dalla “crisi”, dando mano libera agli interessi di
impresa, è il presupposto per cui tutto deve contribuire agli utili.
Tutto, compreso il “welfare”, deve portare profitto alla stessa.
La motivazione che viene anche usata come giusta causa nei
provvedimenti disciplinari, è che niente deve disturbare la
creazione del profitto, nulla deve nuocere. Denunciare
l’organizzazione del lavoro di una azienda che si ingegna ogni
giorno per strappare quote sempre più marginali di profitto tanto da
compromettere la salute dei dipendenti è quindi …lesiva! Criticare
a torto o a ragione le condizioni in cui versano i lavoratori è
“denigratorio e lesivo dell’immagine aziendale”, mentre risulta
sempre più accettabile che si possa sottopagare un lavoro, non
applicare i contratti, appaltare e sub appaltare, non rispettare le
leggi su sicurezza igiene negli ambienti di lavoro ecc… Il fine
ultimo non è il benessere dei cittadini (come hanno tentato di farci
credere per anni con la formuletta profitto=sviluppo=benessere) bensì
prima gli utili…altro che prima gli italiani! Perciò, in questo
schema autoritario, un dipendente, in quanto tale non può esprimere
la sua opinione se non VUOLE incappare sempre più spesso nella
repressione padronale, volta non solo a tacitare la voce stonata CON
ATTI SANZIONATORI ma ‘PIEGARE’ E SOTTOMETTERE ANCHE SOTTO IL
PROFILO PSICOLOGICO QUALSIASI ESPRESSIONE, PENSIERO O COMPORTAMENTO
RITENUTO OSTILE ALLE ASPETTATIVE AZIENDALI. E’ PARADOSSALE CHE IN
TEMA DI LIBERTA’ FONDAMENTALI, QUALI QUELLO DI PENSIERO E DI
PAROLA, IL CITTADINO ‘DIPENDENTE’ SIA SOTTOPOSTO A UN REGIME
RIDOTTO – BEN OLTRE IL CONTENUTO DELL’ARTICOLO 2105 – RISPETTO
AI DIRITTI RICONOSCIUTI ALLA GENERALITA’ DEI CITTADINI.
Viceversa
anche quando il tema sono i morti sul lavoro: si può far esprimere
liberamente nelle interviste dei TG nazionali un padrone, o un
caporale, i quali ci spiegano perché “siano costretti” ad
avvalersi di lavoro nero, sottopagato e senza alcuna tutela immediata
e posticipata, in quanto altrimenti non avrebbero abbastanza margine
per essi stessi, se a parlare e denunciare è il lavoratore allora è
leso l’obbligo di fedeltà. Questa è la sintesi di una dicotomia
che si espande in ogni ambito nella società con il principio “prima
di tutto i profitti”. Chi come noi invece denuncia da tempo la
sottovalutazione delle conseguenze di tale principio, non si RASSEGNA
ALLA strage perpetua DEI 13.000 morti sul lavoro in 10 anni, ai
disastri ferroviari, ai ponti che cadono, ai tetti delle scuole o
delle chiese che crollano MA VUOLE INCIDERE SULLA REALTA’
ANCHE CON LA VOCE CHE ARRIVA DIRETTAMENTE DAI LUOGHI DI
LAVORO perché SIAMO PIENAMENTE CONSAPEVOLI E viviamo
tutti i giorni questa politica in cui non si investe sulla sicurezza,
sul benessere, sulla salute delle persone SE NON dove si possa
attendere una remunerazione e UN PROFITTO. Questa non è una
qualsivoglia società civile, ma barbarie!
Per
chi come noi ha saggiato la rancorosa reazione padronale per
essere riottosi all’obbligo di fedeltà verso i datori di
lavoro, ma molto più propensi alla fedeltà verso i nostri colleghi,
ai mandati di salvaguardia di diritti, salario, salute e sicurezza
che essi ci consegnano in qualità di delegati o attivisti sindacali,
è naturale aderire alla campagna contro i licenziamenti di opinione
a partire dai 5 operai di Pomigliano che sono solo la punta di
iceberg ben più profondo e pericoloso, innanzitutto per la
democrazia in questo paese. La democrazia nei luoghi di lavoro è
fondamento per uno stato di diritto e che si voglia in qualsiasi
accezione democratico, la libertà di parola in ogni forma è
precondizione necessaria in uno stato di diritto, tutto il resto è
tirannia da combattere. Non a caso il ripristino di garanzie
nell’occupazione cozza con i piani di precarietà e supremazia del
profitto di chi ci vuole fedeli solo al nostro sfruttamento più
sfrenato.
Mentre
anche negli ordinamenti militari si riconosce la possibilità di non
obbedire ad un ordine ritenuto sbagliato, un datore di lavoro
vorrebbe la totale accondiscendenza dei suoi dipendenti sull’altare
del profitto. Crediamo che uniti possiamo opporci e invertire questa
tendenza alla barbarie e a partire dai luoghi di lavoro ricostruire
una società degna di essere vissuta. Fatta di solidarietà,
attenzione al più debole, possibilità di un futuro. Contrapposta
alla giungla di sopraffazione odio e guerra al più povero. A partire
da noi auspichiamo alla creazione di una rete di supporto,
solidarietà e cooperazione per difendere la libertà di opinione
contro l’obbligo di fedeltà.
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