Processo
Ilva - Riportiamo la lunga testimonianza fatta il 9 gennaio da
Marescotti Pres. di PeaceLink, richiestagli dallo Slai Cobas sc -
essa è importante perchè ripercorre vari passaggi che hanno
contribuito all'inchiesta giudiziaria. Marescotti nelle sue
dichiarazioni riconosce, pur nelle differenze, il ruolo dello Slai
Cobas: "SLAI Cobas è stata una delle organizzazioni più attive
in questo settore perché ha cercato fin da subito di coinvolgere i
lavoratori..."
DEPOSIZIONE
DEL TESTIMONE MARESCOTTI ALESSANDRO
TESTE
A. MARESCOTTI - Sono Presidente dell’associazione PeaceLink che è
un’associazione di volontariato che si occupa di pace, diritti
umani, tutela della legalità, difesa ambientale e cittadinanza
attiva.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Nell’ambito di queste sue varie finalità, vorrei
che descrivesse brevemente i vari settori in cui la sua associazione
si è occupata della situazione ambientale di Taranto. Poi, se è il
caso, mi riservo degli approfondimenti specifici in ordine a ciascun
settore.
TESTE
A. MARESCOTTI - PeaceLink ha una caratteristica particolare, cioè è
un’associazione di volontariato che è nata su rete telematica nel
1991. La rete ha svolto un ruolo chiave perché nel 2005, in maniera
assolutamente casuale, scopriamo - attraverso la rete - che a Taranto
c’è la diossina. E lo scopriamo andando a consultare dei registri,
dei database europei e nazionali nei quali venivano indicate le
emissioni o le stime delle emissioni dei grandi impianti industriali.
Nel 2005, con sommo stupore, scopriamo che c’è la sigla
“PCDD/PCDF” (policlorodibenzodiossina, policlorodibenzofurani)
espresso in grammi a Taranto. In un primo tempo pensavo che, siccome
fosse espresso in grammi, la cosa era irrilevante. Parlando con un
chimico, questo mi disse: «Attenzione, forse hai sbagliato a
leggere. Non c’è scritto “grammi”: c’è scritto
“nanogrammi”». «No, c’è scritto “grammi”». Erano un po’
più di settanta grammi… un’informazione nuova che non era mai
stata data a Taranto... E questo lo posso dire con la massima
certezza e consapevolezza perché andammo a cercare all’interno del
sito della Regione, del sito della Provincia, del sito del Comune se
ci fosse la parola “diossina”, “diossine”, “PCDD”,
“poriclodibenzo...”. Niente!
E
incominciammo a informarci sul perché tutto questo non fosse
avvenuto. La cosa che incominciammo a scoprire, sempre attraverso la
rete, fu un documento della Commissione delle Comunità Europee
datato 24 ottobre 2001, intitolato “Strategia comunitaria sulle
diossine, i furani e i bifenili policlorulati”. Questo documento
non parla mai di Taranto ma parla di una cosa che riguarda
Taranto.
Perché questo documento dice in sostanza “Attenzione che la
diossina è una grave emergenza a livello europeo. E’ una grave
emergenza perché l’esposizione a diossine e policloro bifenili
supera la dose tollerabile settimanale e la dose tollerabile
giornaliera. Pertanto,
indicava quali potevano essere le fonti di diossina. Sintetizzando,
dice: “Un tempo si poneva grande attenzione agli inceneritori. Però
attenzione che una delle più importanti fonti di diossina sono gli
impianti di sinterizzazione”. Il più grande impianto di
sinterizzazione in Europa era quello di Taranto, dentro l’Ilva. E
noi, molto probabilmente, avevamo a Taranto la fonte emissiva più
importante a livello europeo per quanto riguardava la diossina.
Quindi già dal 2001 si sarebbe potuto sapere che a Taranto c’era
la diossina. E diceva la Commissione Europea: “Occorre altresì
informare l’opinione pubblica...”. È importante anche consentire
un’autoidentificazione dei gruppi a rischio”. La Commissione
Europea indica i criteri per la gestione del rischio; le misure
preventive; il controllo delle emissioni; parla di riduzione delle
emissioni e che occorreva avere un’adeguata strategia di
comunicazione del rischio e che non bastava l’informazione della
popolazione ma occorreva l’educazione dell’opinione pubblica.
Quello che è avvenuto a Taranto è che invece nessuno ha fatto
questo.
La
comunicazione che demmo nel 2005 fu che a Taranto c’era l’8,8% di
tutta la diossina industriale europea inventariata nei registri e nel
registro EPER. Grossomodo, a livello europeo venivano conteggiati nei
grandi impianti di emissione circa 800 grammi di diossina; a Taranto
ne venivano stimati 72/73, quindi l’8,8%. Il giorno dopo della mia
comunicazione non ci fu nessuna reazione da parte di nessuna
istituzione, di nessun partito politico e di nessun sindacato. Tanto
è vero che questo silenzio - che percepimmo come un silenzio ambiguo
allora - ci spinse a continuare e a fare due domande. La prima
domanda che ponemmo è: “Ma se a Taranto c’è tanta diossina,
abbiamo uno strumento per misurare la diossina?”. E scoprimmo che a
Taranto non c’era nessuno strumento per misurare la diossina. Tanto
è vero che le prime misurazioni vennero fatte nel 2007, dopo un
nostro dossier estremamente corposo che irritò qualcuno ma che
comunque spinse l’ARPA ad ingaggiare una società specializzata ad
arrampicarsi sul camino a fare queste misurazioni. Ma la seconda
domanda che ponemmo era questa: “Ma se la diossina può entrare
nella catena alimentare, come mai fino ad ora non è stato mai fatto
nessun controllo?”. In realtà dei controlli sugli alimenti a
Taranto per verificare la presenza di diossina erano stati fatti,
settantadue controlli, dal 2002 al 2007 e tutti i controlli dettero
esito conforme, ossia la diossina non aveva superato il limite di
Legge.
Nel
2008 decidemmo di far fare un’analisi grazie a Piero Mottolese che
conosceva il territorio, conosceva i pastori, conosceva le masserie.
Chiediamo a Piero di acquisire un pezzo di pecorino perché il
pecorino poteva essere un indicatore. Lo facciamo analizzare in un
laboratorio specializzato e viene fuori che PCB e diossine arrivavano
a 19,5 picogrammi per grammo di grasso, superando di circa tre volte
il limite di Legge. Quindi mentre erano state fatte settantadue
analisi tranquillizzanti dagli organi competenti tra il 2002 e il
2007 che non avevano dato nessun risultato di superamento, bastò
un’analisi commissionata da noi per indicare il superamento della
diossina e di PCB nel pecorino. A quel punto inizia per noi una
strada obbligata: quella di comunicare alla Procura l’esito di
queste analisi…
Anche
su mitili il risultato (dei controlli 2002/2007) fu quello di avere
un panorama di mancanza di pericolo.
La
questione che poi abbiamo incominciato ad affrontare dopo la diossina
è stata quella del benzoapirene. Scoprimmo una cosa incredibile,
cioè che il benzoapirene - il benzoapirene è cancerogeno, è
mutageno, è una delle sostanze più pericolose che possa esserci e
che è emesso in buona parte anche dalla cokeria - aveva un limite e
che era scattato a partire dal primo gennaio 1999, quindi noi avevamo
un limite a Taranto che doveva essere rispettato. Ma l’ARPA aveva
erroneamente comunicato agli organi competente - tra cui anche al
Comune - che questo limite sarebbe scattato a partire dal 31 di
dicembre del 2012. A maggio ricevemmo un fax ufficiale da parte
dell’ARPA in cui sostanzialmente si diceva: “Avete ragione voi.
Esiste un limite a partire dal primo gennaio 1999”. A questo punto,
la prima cosa che facciamo è darne comunicazione alla stampa e darne
comunicazione al Sindaco Ippazio Stefàno il quale sostanzialmente ci
dice: “Guardate, questa cosa vi è stata comunicata ma, finché io
non ricevo una comunicazione da parte dell’ARPA, io mi attengo alla
precedente comunicazione”. Quindi per tutto il 2010, per diverse
settimane, siamo stati in presenza di questo grave equivoco. Tuttavia
noi avevamo il fax di conferma da parte dell’ARPA che questo limite
era in vigore. Noi percepimmo che questo aveva notevolmente
innervosito l’Ilva, aveva notevolmente innervosito la politica. La
seconda cosa che fece esplodere - diciamo - il nervosismo fu il fatto
che dopo la comunicazione - nel 2010 - che nel 2009 erano stati
superati i limiti per il benzoapirene, nei primi cinque mesi del 2010
questo limite era stato superato di tre volte. Anche se l’Ilva
avesse emesso zero benzoapirene, quello bastava per superare la media
annua. A questo punto, noi chiedevamo questi dati e questi dati non
uscivano fuori. Divenne un motivo di attrito fra noi e le istituzioni
avere i dati dei primi cinque mesi. I dati vengono fuori dopo maggio.
E c’è l’irritazione - raccontata da Archinà nelle
intercettazioni telefoniche - di Vendola. Per cui la politica
percepisce che è a un momento di svolta. E’ a un momento di svolta
perché occorre applicare quello che prevede la Legge, non bastano
più i tavoli tecnici ma bisogna applicare la Legge. Un’altra cosa
che posso affermare è che la nostra azione nei confronti delle
istituzioni è stata un’azione collaborativa. Ricordo a tutti che
l’Autorizzazione Integrata Ambientale ha un aspetto importante
partecipativo in quanto possono partecipare anche i cittadini., per
poter fare in modo che nell’Autorizzazione Integrata Ambientale -
che fu rilasciata poi nel 2011 - venissero inserite delle
prescrizioni. La cosa che determinò la rottura fra il movimento
ambientalista a Taranto e il Sindaco derivò dal fatto che il
Ministro Prestigiacomo scrive nell’Autorizzazione Integrata
Ambientale che viene rilasciata nel 2011: “Non è arrivata nessuna
prescrizione da parte del Sindaco, ai sensi del Regio Decreto 1265
del 1934. Il Sindaco non si avvale delle prerogative”… ci fu
anche un rapporto, da parte dell’ARPA, di stima che attribuiva alla
cokeria il 98% del benzoapirene. Questo avrebbe dovuto spingere il
Sindaco di Taranto ad inserire all’interno dell’Autorizzazione
Integrata Ambientale delle prescrizioni proprio perché c’era
questo problema. Invece il Sindaco di Taranto non inserì nessuna
prescrizione, non una! Ma la cosa che ci irritò fu che noi avevamo
messo a disposizione del Sindaco le nostre competenze, le competenze
dei nostri tecnici. Io qui ho una e-mail (che posso anche fornire)
che scrivo all’allora Assessore Sebastiano Romeo, Assessore
all’Ambiente. In questa e-mail chiedo sostanzialmente che venga
inserito il Dottor Giua nel gruppo istruttore dell’AIA. Sebastiano
Romeo mi disse: “Sai, Archinà non vuole che venga messo Giua”…
Non venne inserita nessuna prescrizioni.
Il
Sindaco era una di quelle persone che non diceva mai di no ma non
diceva mai di no a nessuno. In particolare, una delle cose che
determinò anche la nostra rottura nei confronti del Sindaco fu
quando il Sindaco dichiarò alla rivista dell’Ilva (“Il Ponte”)
che la situazione epidemiologica a Taranto stava migliorando e
dichiara: “Mi complimento per gli sforzi e i risultati ottenuti
dall’Ilva. Attraverso i recenti dati clinici che ci giungono dalle
A.S.L. territoriali emergono dati confortanti in relazione alle
malattie più gravi, patologie che non risultano in aumento anche
grazie al miglioramento dell’ambiente e della qualità dell’aria”.
Eppure il Sindaco stesso era stato colui il quale l’anno precedente
aveva fatto un esposto alla Procura della Repubblica dicendo che
c’erano dati allarmanti. La percezione che noi avevamo era che il
Sindaco non volesse allarmare la popolazione. Però questa
dichiarazione “Mi complimento” era una dichiarazione che poi
sarebbe entrata in contraddizione con la perizia del Dottor
Forastiere presentata l’anno successivo, nel 2016 alla Regione, che
indica una situazione abbastanza preoccupante, con dati che arrivano
fino al 2014. Noi vorremmo che venisse acquisita anche una indagine
epidemiologica presentata nel 2018 sui sei quartieri di Taranto, in
cui risulta che nei tre quartieri più vicini - ossia Tamburi, Paolo
VI e Borgo - vi è un eccesso di mortalità medio di settantotto
unità l’anno. Questa indagine è un’indagine che arriva fino al
31 dicembre 2017 e parte dal 2010.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Vi siete occupati di esposizione dei lavoratori e di
documenti che riguardano l’esposizione dei lavoratori?
TESTE
A. MARESCOTTI - Sì, ci siamo occupati della esposizione dei
lavoratori anche per fugare il dubbio che noi fossimo contro i
lavoratori. In particolare, durante l’incidente probatorio sono
state acquisite le schede di esposizione alle sostanze cancerogene
per i lavoratori considerati esposti al rischio di sostanze
cancerogene dentro l’Ilva. Questo è il modello di Legge in base al
quale il lavoratore esposto ad agenti cancerogeni viene catalogato.
Noi, in teoria, potremmo avere una possibilità di seguire tutte
queste persone per vedere se muoiono prima, se si ammalano, se
rimangono in buona salute, se devono essere monitorate. Secondo
motivo per cui è importante questo registro degli esposti alle
sostanze cancerogene è il dato individuale, ossia che ogni
lavoratore può sapere se è esposto o no a sostanze cancerogene.
Nella mia esperienza personale, quando ho chiesto a un lavoratore
dell’Ilva “Ma tu sai se sei esposto a sostanze cancerogene e a
quali sostanze e a quali valori e per quanto tempo?”, mi hanno
sempre risposto “Non lo so”. Io ho potuto consultare qualche
scheda. Mi risulta che siano essenzialmente i lavoratori della
cokeria e che le due sostanze a cui risultano essere esposti
sarebbero IPA e benzene. Tutte queste schede non riportano il valore
di esposizione e la durata dell’esposizione. Quindi è chiaro che
abbiamo una situazione di informazione incompleta da parte
dell’azienda e non fornita al lavoratore. Per cui questo aspetto
della tutela del lavoratore è un aspetto che ci ha particolarmente -
allora - preoccupati. Anche perché poi ogni lavoratore della
cokeria, ad esempio, doveva fare la cosiddetta “analisi
dell’idrossipirene urinario”. L’idrossipirene urinario è
un’analisi che viene fatta sul lavoratore per cui si controlla
prima dell’inizio del turno di lavoro e alla fine e si vede nelle
urine se vengono espulse delle sostanze che costituiscono diciamo la
metabolizzazione degli agenti cancerogeni, degli IPA. La cosa che ho
scoperto, parlando con diversi lavoratori della cokeria, è che
questi lavoratori non sapevano quali erano i valori che non dovevano
essere superati. Abbiamo visto in sostanza che loro facevano la
domanda “Vanno bene?”, “Sì, vanno bene”. Mentre abbiamo
potuto consultare che alcune di queste schede non riportavano valori
tranquillizzanti. Poi c’è da dire un’altra cosa: che i medici di
famiglia, in generale, non sono in grado di leggere questi dati
perché non hanno fatto studi di Medicina del Lavoro. Quindi ci
troviamo davanti a una situazione in cui i lavoratori non riescono ad
avere una chiara percezione del pericolo. Racconto una cosa molto
molto veloce. Ho avuto un diverbio molto forte su Facebook con un
lavoratore della cokeria dell’Ilva che mi diceva: “Tu non capisci
niente, tu non sei in grado di capire”, eccetera. E io dicevo: “Ma
tu ti sei fatto mai le analisi dell’idrossipirene urinario? Ci vuoi
dire quali sono questi valori?”. E lui rispondeva sempre: “Io
sono sano come un pesce. L’Ilva mi fa le analisi ogni anno, me le
fa tutte. Sono a posto. Non mi fare più queste domande”. Finché
un giorno si è fatto un selfie che era in trasfusione e diceva:
“Pregate per me. Ho preso il cancro”.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Con riferimento alla situazione dei lavoratori del
cimitero di San Brunone, lei è in grado di dire se la sua
associazione ha fatto delle attività o se è in grado di dire di
aver acquisito informazioni su quella situazione ambientale di
lavoro?
TESTE
A. MARESCOTTI - Per quanto riguarda il cimitero di San Brunone,
ricordo benissimo che cercammo di dare massima informazione proprio
alla vigilia di una delle manifestazioni che avevamo organizzato.
Perché veniva riscontrata la presenza di diossina e di altre
sostanze pericolose sul terreno, per cui furono bloccate le attività
cimiteriali. Dovevano indossare delle tute protettive. Noi ci
occupammo di questo problema perché ci chiedemmo: ma se queste cose
delle tute protettive riguardano i lavoratori del cimitero, non
dovrebbero riguardare anche i contadini? Ci occupammo in particolare
dei guanti in nitrile. Poi vennero date delle indicazioni ai
lavoratori - di prendere delle protezioni - ma dietro una campagna di
sensibilizzazione molto forte in cui i lavoratori furono parte
diligente in questa storia di denunce del rischio.
Noi
cominciammo, partendo proprio dall’esperienza del cimitero, a fare
pressione sugli organi competenti: perché le stesse persone a casa
che avevano contatto con quelle polveri, facessero la pulizia della
casa non toccandole più. Perché - questa fu un’esperienza mia
personale - toccando quelle polveri, tornando a casa, non riuscivo
più a lavarmi le mani, il normale sapone non è in grado più di
detergere le mani e rimane uno strato oleoso per cui occorre un
detergente di carattere industriale proprio perché sono polveri
particolari. Per questo motivo facemmo pressione. Facemmo anche una
conferenza stampa al quartiere Tamburi perché le autorità
competenti distribuissero alla popolazione del quartiere Tamburi
guanti in nitrile, guanti che preservassero le persone dal rischio
chimico. Quindi la lotta dei lavoratori ci consentì, in un certo
senso, di aprire un fronte di informazioni e di pressione perché ci
fossero delle misure a protezione dei lavoratori e della popolazione.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Con riferimento alla situazione invece dei lavoratori
dei magazzini del terzo sporgente del porto, avete avuto attività in
questo campo, in questo settore?
TESTE
A. MARESCOTTI - Sì, nel senso che quella era un’attività che noi
chiedevamo che venisse realizzata con dei sistemi sigillati, non con
delle benne. Perché attraverso le benne, facendo cadere o
trasportando o per perdita o perché, quando si apre la benna si fa
cadere giù il materiale, si creano delle polveri molto evidenti.
Tutto questo noi ritenevamo che dovesse essere eliminato attraverso
un sistema - e ci sono nel mondo - di trasporto attraverso dei tapis
roulant (dalla nave verso il porto) che evitassero la dispersone
delle polveri. Poi l’Ilva ha adottato dei sistemi che abbiamo
contestato - che comunque sono le cosiddette “benne ecologiche” -
che dovrebbero essere un po’ più sigillate. Noi chiedevamo che ci
fossero dei sistemi più protettivi. Noi avevamo contatto con il
rappresentante della Marina Militare Ciavarelli che era fortemente
preoccupato, come rappresentante dei militari, per la salute.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Avete proceduto per caso - come associazione - a dei
rilevamenti diretti di sostanze inquinanti?
TESTE
A. MARESCOTTI - Sì. Abbiamo, attraverso una donazione, ricevuto uno
strumento - che era uguale a quello dell’ARPA - che permetteva di
misurare l’inquinamento da idrocarburi policiclici aromatici. Lo
strumento si chiama “EcoChem PAS 2000 CE”. Noi però cercavamo di
essere molto accorti. Perché quando - attraverso queste misurazioni
- venivano fuori dei picchi molto elevati e li comunicavamo su
Facebook, potevamo ingenerare allarme nell’opinione pubblica.
Infatti le persone erano allarmate quando si vedeva che nelle
misurazioni gli IPA addirittura superavano quelli del tubo di
scappamento di un’automobile. Quando dicevamo “Guardate, ci sono
100 nanogrammi a metro cubo in questo momento. Un’automobile arriva
a 80 nanogrammi a metro cubo”, questo voleva dire che la
popolazione in quei momenti, che potevano durare anche lassi di tempo
piuttosto prolungati, era esposta a IPA cancerogeni, a IPA che erano
genotossici. Siccome l’ARPA aveva il nostro stesso strumento, noi
periodicamente chiedevamo - ad esempio - all’ARPA di confermare se
i dati rilevati da noi risultavano anche nei loro strumenti - perché
loro li davano sempre il giorno dopo - in quelle ore, in quei
momenti. L’ARPA ci confermava, anzi i valori dell’ARPA erano
leggermente superiori in genere.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Questi rilevamenti diretti li avete fatti anche nei
quartieri di Tamburi e Paolo VI? E, più o meno, che risultati hanno
dato?
TESTE
A. MARESCOTTI - Nei quartieri più vicini, i valori erano superiori.
La nostra intenzione era quella di prendere spunto da queste
misurazioni, soprattutto nei quartieri più vicini, per spingere
l’ARPA a fare delle misurazioni puntuali. Da questo punto di vista,
questo valse anche un’accusa da parte di Archinà nei confronti di
Assennato. Archinà disse “Assennato sta chattando con gli
ambientalisti”. In particolare, chiedevamo delle analisi
vento-selettive. Le analisi vento-selettive consentivano di vedere
non solamente l’inquinamento ma da dove provenisse.
Da
questo punto di vista, tutta la nostra attività... prima nel 2005,
fornendo i dati sulla diossina; poi nel 2008, fornendo i dati del
pecorino; poi nel 2011, in collaborazione con il Fondo Antidiossina
di Matacchiera, fornendo i dati delle cozze. Tutte queste tappe che
abbiamo fatto sono state tappe di forte confronto con le istituzioni
e le istituzioni sistematicamente ci hanno dato ragione, anche se
sotto stimolo costante, sì.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Senta, avete svolto attività anche insieme
all’associazione sindacale SLAI Cobas? Che tipo di attività avete
svolto?
TESTE
A. MARESCOTTI - Lo SLAI Cobas è stata una delle organizzazioni più
attive in questo settore perché ha cercato fin da subito di
coinvolgere i lavoratori. Faceva un’azione interessante perché,
oltre a coinvolgere i lavoratori, cercava di coinvolgere anche
PeaceLink. Avevamo posizioni - diciamo - non convergenti su diversi
aspetti. Però erano fortemente interessanti le iniziative che
svolgeva lo SLAI Cobas perché era un punto, un polo di riferimento,
di dibattito, di confronto e soprattutto un tentativo - da parte
dello SLAI Cobas - di coinvolgere i lavoratori sulle grandi tematiche
dell’ambiente, della salute e ci convocava per dare il nostro
contributo in termini di competenza, insomma per quello che potevamo
fare.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Senta, nell’ambito della rete nazionale della
sicurezza avete svolto attività?
TESTE
A. MARESCOTTI - La rete nazionale svolse un’attività interessante.
In particolare ci fu un corteo che attraversò tutta la città
vecchia. Questa rete ha svolto un ruolo importante nella
sensibilizzazione e nella manifestazione di uno stato di forte
critica a come venivano gestite le fabbriche. Del resto, le cose che
ho detto prima evidenziano molto bene che il problema fondamentale
era che l’esposizione dei lavoratori a rischio era una esposizione
elevata a cui, purtroppo, non corrispondeva - dai dati in nostro
possesso - una adeguata informazione.
AVVOCATO
E. PELLEGRIN - Avete svolto dell’attività o comunque è a
conoscenza della vicenda di Alessandro Rebuzzi.
TESTE
A. MARESCOTTI - Ho avuto modo di conoscere il papà di Alessandro
Rebuzzi. Alessandro Rebuzzi era un ragazzo che non ho mai conosciuto.
È morto a sedici anni. Aveva una malattia polmonare che poteva
essere esacerbata dall’inquinamento e dalle polveri sottili e che
poteva essere invece curata in un ambiente più salubre. Alessandro
Rebuzzi è stato un ragazzo che ha coniugato la sua esperienza
personale esistenziale a un impegno attivo nella scuola. È stato tra
i ragazzi che hanno partecipato al sit-in davanti al Tribunale,
quando furono presentate le prime perizie. Io, a questo punto,
conoscendo il padre ho potuto vedere come c’erano situazioni molto
critiche che riguardavano proprio l’esperienza personale. Il papà
mi raccontò la sua storia. Il ragazzo aspettava un trapianto di
polmoni. Il ragazzo sperava nel fermo degli impianti dell’Ilva. Il
trapianto di polmoni non è arrivato in tempo, sono arrivati invece
in tempo i decreti del Governo “salva Ilva”. La storia di
Alessandro Rebuzzi è anche la storia di tanti ragazzi, bambini che a
Taranto non sono certamente stati favoriti da una situazione di
inquinamento. Vorrei anche ricordare che Alessandro Rebuzzi non era
affetto da neoplasia ma comunque è stata una persona malata. Altri
bambini malati a Taranto si sono ammalati di cancro e le indagini
epidemiologiche danno un più 54% di bambini col cancro a Taranto
rispetto al dato regionale. Per cui questa storia di Alessandro
Rebuzzi ha costituito per me personalmente - ma anche per altre
persone a Taranto - un motivo di impegno che va ben oltre l’impegno
di ecologista: è diventato un impegno morale.
DOMANDE
DEL PRESIDENTE
PRESIDENTE
S. D’ERRICO - Ho visto i capitoli di prova: si parla della
popolazione delle aree del quartiere Tamburi e Paolo VI del Comune di
Taranto. In relazione agli abitanti di queste zone, avete assunto
delle particolari iniziative? Mi riferisco in particolare agli
ambienti scolastici.
TESTE
A. MARESCOTTI - Sì, è nato un progetto nelle scuole che si chiama
“Ecodidattica”. Io sono il coordinatore di questo progetto.
Adesso parlo in veste di insegnante. C’è stata un’attività
formativa di circa cento docenti i quali hanno frequentato dei corsi
di ecologia della vita quotidiana, di comprensione... ad esempio che
cosa sono le polveri sottili, che cosa è la diossina, qual è il
tipo di alimentazione che consente di minimizzare l’ingestione
della diossina, quali sono le precauzioni da prendere quando si fa la
pulizia in casa. Abbiamo avuto un contatto, oltre che con le scuole,
anche con le mamme dei bambini in maniera tale che fossero aiutate a
comprendere la problematica e a valutare e a percepire in maniera
scientifica - in maniera oggettiva - i rischi, come intervenire e
soprattutto - sotto il profilo della cittadinanza attiva - come
attivarsi per segnalare situazioni anche alla Magistratura, come fare
un esposto, come acquisire informazioni, come realizzare un dossier.
La nostra azione è stata un’azione pedagogica educativa che ha
cercato di fare in modo che Taranto fosse un laboratorio nel quale,
accanto al problema, venisse anche studiata la soluzione.
PRESIDENTE
S. D’ERRICO - Per quanto riguarda i rapporti suoi e della
associazione con i mezzi di informazione, avete trovato un riscontro
nei mezzi di informazione o delle resistenze?
TESTE
A. MARESCOTTI - Allora, per quanto riguarda i mezzi di informazione,
noi abbiamo avuto una discreta accoglienza dopo una prima fase di
freddezza. Nel senso che noi ci rendevamo conto che stavamo tirando
fuori dei dati che le istituzioni non avevano tirato fuori. Quindi
abbiamo dovuto superare una certa resistenza perché le cose che
dicevamo sembravano incredibili. La percezione che i giornalisti
hanno avuto dopo questa prima fase quasi incredula, è stata quella
di darci invece credito: perché ogni cosa che dicevamo la
documentavamo, ci confrontavamo con i dati dell’ARPA, ci
documentavamo con dati scientifici. La risposta da parte dei mezzi di
comunicazione - quelli locali ma soprattutto quelli nazionali - è
stata una risposta che è servita ad amplificare notevolmente la
risonanza del problema Taranto. Non solo, ma noi attraverso i mezzi
di informazione abbiamo fatto in modo che l’Ilva stessa fosse
costretta a rispondere: o rispondere attraverso un comunicato o
rispondere attraverso un’azione. Devo dire la verità: in un primo
tempo, mi sono anche confrontato con il responsabile dell’Ilva che
si occupava della comunicazione esterna, Cattaneo. Cattaneo
incominciò ad avere un atteggiamento molto amichevole nei nostri
confronti e cercava di fare in modo che noi non avessimo posizioni -
tra virgolette - estreme . Io rimasi stupito di questo cambio di
posizione dell’Ilva che sembrava un cambio sostanziale.
...lui
diceva: “Non fate sempre i comunicati stampa”. Io dicevo: “Ma
se noi vediamo una cosa, sappiamo una cosa... Facciamo così: voi ci
dite quello che dobbiamo fare e noi lo facciamo sostanzialmente”.
Quindi incominciò un rapporto - il nuovo corso dell’Ilva - di
confronto. Io, siccome sono un ingenuo e sono una persona in
buonafede telefonavo a Cattaneo dicendo “Guarda, c’è stato uno
slopping oggi”, “Oggi ce ne sono stati due”, e gli segnalavo
tutte le criticità che oggettivamente erano state riprese. Io
credevo in effetti che, siccome lui aveva dato la sua disponibilità
a risolvere il problema, il problema si sarebbe risolto. Questo
rapporto positivo con Cattaneo si è poi interrotto nel momento in
cui i problemi noi li segnalavamo e gli slopping continuavano. Poi la
definitiva rottura è avvenuta quando il giornalista andò a chiedere
del benzoapirene a Riva e gli fu tolto il microfono. L’Ilva temeva
i nostri comunicati perché avevano risonanza. A questo punto,
abbiamo continuato a fare i comunicati come prima. Riuscimmo a
convincere la Rai e le altre televisioni a venire a Taranto. Tutto
questo serviva al Professor Assennato a rafforzare la sua posizione.
Perché lui credeva in una governance in cui c’era l’Ilva,
c’erano gli ambientalisti. Un movimento ambientalista che avesse
avuto forte risonanza sui giornali e sui mezzi di comunicazione
avrebbe, nella visione del Professor Assennato, costretto l’Ilva -
una sorta di moral suasion - ad adottare comportamenti che non
facessero perdere la faccia. Quindi questa situazione di
bilanciamento ci portava - a noi - a chiedere sempre più dati al
Professor Assennato che ce li forniva puntualmente. Quindi, da questo
punto di vista, il rapporto con la stampa è stato - dopo un certo
periodo di diffidenza - molto positivo, perché noi avevamo i dati e
quindi i giornalisti ci telefonavano ancora prima del comunicato
stampa per avere i dati in anticipo. Questa cosa, siccome non è
corretta, non la facevamo.
PRESIDENTE
S. D’ERRICO - Avete assunto iniziative giudiziarie davanti alla
Giustizia Europea?
TESTE
A. MARESCOTTI - Fra poco dovrebbe uscire un pronunciamento da parte
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Questa iniziativa non è
stata svolta da noi ma vi abbiamo collaborato. Questa è una
iniziativa che è stata svolta dalla Dottoressa Daniela Spera e dalla
Professoressa Lina Ambrogi Melle. In ambito internazionale abbiamo
collaborato con la Federazione Internazionale dei Diritti Umani che
ha realizzato proprio recentemente un report e, probabilmente, questa
cosa verrà portata all’attenzione degli organismi internazionali e
anche dell’ONU. In questo report della Federazione Internazionale
dei Diritti Umani c’è il nostro contributo. Ma la cosa che abbiamo
fatto in maniera diretta per cui siamo, come associazione PeaceLink,
inseriti nel registro europeo per la trasparenza, è stata
fondamentale per far avviare due procedure di infrazione: una,
relativa alla normativa relativa alle emissioni industriali e
un’altra relativa al principio “Chi inquina paga”. A Taranto
non è stato applicato il principio “Chi inquina paga” e poi,
siccome l’Autorizzazione Integrata Ambientale non è stata
rispettata nei tempi e nei modi, questa è una chiara violazione di
un principio fondamentale. La Direttiva 75/2010 ha unificato il
principio “Chi inquina paga” con il principio delle emissioni
industriali e adesso c’è un’unica procedura di infrazione ancora
pendente. Ci sono dei tempi piuttosto lunghi, anche perché l’Europa
sta attraversando un periodo molto critico da un punto di vista
politico e poi anche perché è subentrata Arcelor Mittal, quindi è
una situazione ancora di stallo. Piccola considerazione personale:
abbiamo avuto, da parte della Commissione Europea, dei riscontri...
nel senso che, quando tu mandi una e-mail alla Commissione Europea,
ti rispondono dopo due tre giorni; tu mandi una e-mail invece a certe
istituzioni e non ti rispondono mai.
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