lunedì 20 luglio 2020

21 luglio - da tarantocontro: Capristo - La denuncia del suo insediamento e azioni "inquinanti" e la protesta dello Slai Cobas e lavoratori parti civili al processo Ilva


Dall'articolo del dicembre 2016
Con il cambiamento della Procura al processo sono apparsi nuovi scenari, il cui protagonista essenziale è il nuovo procuratore, Capristo, che ha cominciato a dichiarare che questo processo era da ridimensionare; a cui si è aggiunta la gravità assoluta, e poco stigmatizzata, di dare voce e credibilità in occasione dell'ultimo giovane operaio morto per mano dei commissari governativi che gestiscono l'azienda all'ipotesi che questa morte fosse addebitabile ad un ipotetico “sabotaggio”; fino alle ultime vicende del processo, dove si sono sentiti in tribunale PM che invece di fare il loro mestiere hanno elogiato l'azione dei commissari governativi, sotto la cui egida abbiamo lo stesso numero di morti del periodo Riva, una situazione di insicurezza in fabbrica peggiore dei tempi di Riva, per non parlare degli effetti inquinanti della fabbrica…
Poi è cominciata giorni fa una pantomima di accordi segreti di scambio tra le Procure di Milano e Taranto e tra gli avvocati dei Riva e i commissari Ilva, lanciati proprio poco prima del referendum in un twitter da Renzi, in base ai quali, il miliardo in Svizzera dei Riva (sempre quello, usato per ogni ipotesi di piano di bonifica, già impegnato come garanzia per i prestiti bancari di 800 milioni) tornerebbe in Italia, e in cambio passerebbe nel processo il patteggiamento delle società dei Riva, Ilva, Riva Forni Elettrici e l’ex Riva Fire, che così uscirebbero subito dal processo, con le parti civili non risarcite, al massimo solo rimborsate per le spese legali.
Questi fatti sono calati pesantemente nell'udienza del 6 dicembre come una cappa soffocante che ha visto la sua sintesi nell'intervento personale del procuratore Capristo, che, come scrive il Sole 24 Ore, come un neo gestore dell'acciaieria, della città, “ritiene necessario il patteggiamento se si vuole far avanzare il risanamento dell'acciaieria mettendola in sicurezza”, dichiarando: “servono ulteriori flussi di risorse rispetto a quelli che lo Stato può garantire e questi possono derivare dal patteggiamento”.
E sempre nel processo del 6 viene fatta la comunicazione che la sera prima, il 5 dicembre, vi era stato un nuovo incontro presso il Mise (il cui comitato di sorveglianza aveva dato già il via libera al patteggiamento per Ilva e Riva Forni Elettrici), a seguito del quale vi è stato un altro decreto per cui una delle società, Riva Fire, cambia denominazione in Riva «Partecipazioni Industriali», la società viene posta in Amministrazione straordinaria, con la nomina a suoi commissari degli stessi tre commissari dell'Ilva. La nuova società indica a questo punto un nuovo avvocato di Roma che chiede termini, un tempo lungo, per leggersi tutti gli atti e presentare istanza di patteggiamento.
E' evidente che tutti questi fatti hanno anche un chiaro scopo ostruzionista.
Il Presidente della Corte d'Assise, quindi, accoglie la proposta, suggerita anche dal Procuratore, di un congruo rinvio al 17 gennaio delle udienze...

A questo punto, quando l'udienza è chiusa. Ma operai Ilva, lavoratori, donne facenti parte delle parti civili autorganizzate, sostenuti dai dirigenti dello Slai cobas, anch'esso parte civile, hanno fatto con forza sentire la loro protesta, facendosi interpreti anche di tanti lavoratori, cittadini non presenti, dell'insieme delle parti civili umiliate da questo sviluppo processuale e dando voce ai senza voce nella città che non stanno ancora partecipando direttamente al processo.
C'è stata rabbia, ma anche ferma determinazione a non accettare questo andamento lento e pilotato.
La madre di tutti i processi non può diventare la madre del più vergognoso inciucio, patteggiamento, compromesso.

I legami-interessi Capristo/Ilva - Lo Slai Cobas sc fin dal suo insediamento li ha denuciati, organizzato l'unica vera protesta nel processo 'ambiente svenduto', fatto esposti

ORA VIA VIA STA VENENDO FUORI CHE LO SLAI COBAS AVEVA PIENAMENTE RAGIONE. 
LO SLAI COBAS CI HA MESSO LA FACCIA, NONOSTANTE INTIMIDAZIONI.
MENTRE I SINDACATI CONFEDERALI, TUTTI GLI ESPONENTI POLITICI DI TARANTO, I COSIDDETTI DEMOCRATICI, BUONA PARTE DELLE FORZE AMBIENTALISTE NON DICEVANO NULLA.
In questo articolo pubblichiamo, utilizzando la stampa, il vero marcio che sta emergendo dall'inchiesta di Potenza sul ex Procuratore Capristo: perchè e come è venuto a Taranto, i suoi legami con i commissari Ilva, i suoi continui tentativi di favoreggiamento, di mettere le mani nel processo "Ambiente svenduto" 
per frenarlo, deviarlo, attutirne i suoi effetti verso i Riva, i suoi interventi per stoppare ordinanze nei confronti dell'Ilva, e altro. Via via poi pubblicheremo le denunce, gli esposti, le azioni fatte dallo Slai Cobas sc, perchè per primi gli operai Ilva e appalto, le masse dei quartieri di Taranto si rendano conto.

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La procura di Potenza è impegnata a capire come l’indagine sull’ex Ilva sia stata condotta con l’arrivo alla guida dell’ufficio inquirente di Carlo Maria Capristo, agli arresti domiciliari per le presunte pressioni su una magistrata. Ma quando Capristo fu arrestato – insieme a un poliziotto suo autista – si comprese che l’inchiesta da quel singolo episodio poteva portare più lontano, in acque ancora più torbide. Il punto è anche dipanare la tela di imprenditori e politici stavano tessendo per entrare e gestire i circa 3 miliardi che i vari governi avevano annunciato sarebbero stati messi a disposizione per l’ambientalizzazione e la bonifica del siderurgico e la riqualificazione della città martoriata, soprattutto per quanto riguarda il quartiere Tamburi dalle polveri. Il primo passo è stato cercare di chiarire i rapporti che Capristo ha intrattenuto con i commissari nominati dal governo prima della cessione del ramo di azienda ad Arcelor Mittal. Ma soprattutto con un consulente scelto dai commissari: non uno qualsiasi ma l’avvocato Pietro Amara, condannato per corruzione in atti giudiziari e coinvolto in diverse indagini.
Nei giorni scorsi il fascicolo di Potenza ha cominciato a diventare più corposo con i verbali raccolti dagli investigatori. Uno di questi è quello dell’ex commissario Enrico Laghi, sentito come testimone, a cui è stato chiesto se la Procura di Taranto avesse sponsorizzato mai alcuni consulenti. E se avesse chiesto di accelerare pagamenti a determinati imprenditori. Ma Laghi – secondo quanto riportano Repubblica e Gazzetta del Mezzogiorno – ha negato. L’altro verbale racconto è quello di una magistrata che si era opposta, per prima, al dissequestro dell’altoforno che poi invece fu disposto.
Un faro è puntato anche sul patteggiamento che fu rigettato il 30 giugno 2017 perché le pene ritenute inadeguate rispetto alla gravità dei reati. Proprio Piero Amara – di cui alcuni documenti sono stati trovati sotto l’auto di scorta della macchina di Capristo – era arrivato nel Palazzo di giustizia di Taranto come consulente della struttura legale di Ilva in As per partecipare alla cosiddetta “trattativa” con la procura per raggiungere quel patteggiamento che qualche anno prima, il pool di magistrati guidati allora da Franco Sebastio, aveva respinto. Lo staff legale dell’Ilva alza la posta offrendo il pagamento di una sanzione pecuniaria di 3 milioni di euro, 8 mesi di commissariamento giudiziale e 241 milioni di euro di confisca (invece dei 9 proposti nella prima istanza) come profitto del reato da destinare alla bonifica dello stabilimento siderurgico di Taranto. A queste riunoni partecipava anche l’avvocato Piero Amara coinvolto nel processo Eni. Ma i giudici della Corte d’assise ritengono “le pene concordate con i rappresentati della pubblica accusa” sono “sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.
Agli atti ci sono poi le dichiarazioni – rilasciate nelle inchieste di Milano e di Perugia, sul caso Palamara – dall’avvocato Giuseppe Calafiore, socio proprio di Amara. Ci sarebbe stato un forte interessamento di Amara, che però nega, perché Capristo riuscisse ad agguantare la poltrona di capo. A questo si aggiunge che a marzo 2017, due società, la “Dagi” e la “Entropia Energy”, di cui Amara è amministratore di fatto, si erano domiciliate a Martina Franca, in provincia di Taranto: l’ipotesi è che il legale puntasse ai lavori.
Piero Amara a proposito di Carlo Capristo ha detto: «“Io l’ho convinto a fare la domanda per Taranto, anche perché a me serve a Taranto in quanto io a Taranto ho interessi con l’Ilva”».
Al centro oggi del lavoro investigativo c’è un imprenditore del Barese, storico fornitore dell’ex Ilva, che si sarebbe rivolto all’allora procuratore Capristo per chiedere l’apertura di un canale con la società commissariata con l’obiettivo di ottenere la liquidazione dei suoi credit/
...Già nelle scorse settimane l’inchiesta di Potenza si era avvicinata all’ex Ilva, approfondendo l’incarico di difesa affidato all’avvocato molfettese Giacomo Ragno, 72 anni, condannato a Lecce nell’ambito del processo in abbreviato sulla giustizia truccata a Trani e ritenuto dai testimoni un «fedelissimo» di Capristo.

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