Gli interventi dalle assemblea donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 5 - Le lavoratrici della sanità: "Le donne sono sempre le più provate"
Lavoratrice sanità Milano
In questi mesi di lockdown al lavoro dovevo comunque andare perché bisogna dare assistenza agli ammalati e quindi nella sanità non si può chiaramente usufruire del lavoro smart working e cose varie. La mia bambina, essendo che le scuole erano chiuse, è dovuta rimanere a casa da sola anche perché siamo soltanto io e lei; la mia vicina di casa non se l’è sentita più di prendersi cura della bambina perché ha detto chiaramente: guarda tu lavorando a Milano sei a rischio noi siamo anziani mio marito ha pluri patologie, e quindi non me la sento di tenere la bambina perché puoi portare il virus. E quindi la bambina si è gestita da sola in casa a fare i compiti e inviarli agli insegnanti. Ha fatto tutto lei. Ma la questione non è finita qui, perché ci sarà l’altra ondata sicuramente e non siamo tranquilli per niente
Purtroppo non c’è stata la possibilità di unità con le altre lavoratrici per cercare di difendersi da questa situazione e prendere delle iniziative a tutela della nostra condizione.
Infermiera Milano
Sono infermiera e lavoro a Milano. In ambito sanitario questa emergenza qui nella nostra città ha stravolto le nostre vite dal punto sociale e lavorativo etc. Io lavoro in un ospedale. Inizialmente non si capiva bene l’importanza di questo fenomeno e per cui era stato quasi vietato tutto, perché nessuno si rendeva conto ai piani alti della pericolosità di questa pandemia. Quando si è capita la pericolosità abbiamo iniziato a usare le mascherine, i dispositivi di protezione individuale. Da quel momento ci sono stati grosse carenze sia per quanto riguarda l’approvvigionamento dei materiali sia per quanto riguardava le carenze di organico. Carico di lavoro aumentato le direttive che continuavano a mutare, a cambiare la confusione etc Io sono stata fortunata perché non sono mai stata contagiata, molti miei colleghi si sono ammalati, tantissimi sono guariti, la cronaca la conosciamo tutti, molti sono deceduti in seguito a questo virus. Le donne sono state sempre le più provate dal punto del carico lavorativo. I congedi parentali li prende sempre la donna con il 50% della retribuzione che vivendo a Milano vuol dire fare la fame. Ci siamo trovate tutte con i bambini a casa con la scuola on line e vari disagi.
Lavoratrice sanità Lazio
Come operatrice sanitaria, io, come anche altri lavoratori della sanità pubblica, abbiamo subito una vera e propria sospensione dei diritti, in quanto sia durante il periodo di lockdown che anche dopo per un lungo periodo, sono state sospese le ferie, sia quelle maturate che quelle dell'anno precedente. Questo perché manca sempre, endemicamente questo personale; per cui tra chi si ammalava, il marasma generale che comunque c'era in quel momento e il grande bisogno di personale che c'era, sono state revocate le ferie. Le condizioni di lavoro erano a dir poco allucinanti. Al clima di incertezza e opacità dell’informazione - non si sapeva bene quello che si stava affrontando, non si sapeva bene il tipo di diffusione del virus e quant'altro - si è aggiunta la mancanza e inadeguatezza di presidi. Potete immaginare quindi all'interno dell'ospedale quello che si subiva!
Invece che le mascherine a noi sono stati forniti gli Swiffer, i panni da spolvero, che assolutamente non erano adeguati a fermare il virus. Però intanto dovevamo lavorare con queste cose. Io a un certo punto mi sono dovuta comprare le mascherine da sola, le ffp3, proprio per evitare sia di trasmettere il virus che di prenderlo. Ma soprattutto di diffonderlo, perché era quella la condizione. Siamo arrivati a fare delle cose paradossali in quel periodo e probabilmente anche noi, personale, abbiamo diffuso il virus, perché non c'era possibilità di avere altro personale e anche se eravamo potenzialmente infetti, dovevamo continuare a lavorare! E questo è proprio da criminali. Io sono stata attenta, mi sono bardata. Ho cercato di stare meno a contatto coi pazienti fragili e di andare selezionate. Anche perché poi ci siamo organizzati. Ovviamente tra noi, senza che poi l'amministrazione sapesse. Nella mia esperienza personale, ho deciso un isolamento volontario prima che ci fosse la chiusura generale, molti altri operatori e operatrici hanno deciso di non tornare a casa per evitare di contagiare i familiari. Io sono stata fortunata, si fa per dire, perché il mio compagno mi ha ceduto il suo appartamento che è molto vicino all'ospedale e ho evitato bus e metropolitane, tanti e tante invece preferivano restare in ospedale piuttosto che tornare a casa col dubbio di portare l'infezione. Abbiamo vissuto così per circa due mesi, le videochiamate sono stati i nostri unici contatti, con la consapevolezza da parte mia che per quel giorno c'eravamo ed eravamo in salute, ma in qualsiasi momento una situazione così precaria, così ai limiti della sopravvivenza poteva cambiare e non li avrei più rivisti neanche per un ultimo abbraccio come purtroppo è successo a tante altre colleghe. Il covid è riconosciuto tra le malattie professionali se il tuo lavoro prevede il contatto diretto o indiretto coi malati, c'è la copertura Inail anche in itinere in quanto ti puoi infettare sui mezzi di trasporto e in sanità. Un nostro infermiere però, pur presentando tutti sintomi, compresa la polmonite bilaterale, non è riuscito a dimostrare la malattia professionale perché sia il tampone che l'esame sierologico erano negativi. Ma il dato interessante è che il 75% dei contagi in sanità riguarda le donne, e in ordine statistico infermiere, fisiorerapiste, operatrici sociosanitarie, ausiliarie e addette alle pulizie. Il personale degli ambulatori, dei day hospital, dei servizi che sono stati soppressi durante il lockdown, è stato smistato verso il centralino di assistenza dedicata al covid dopo un corso di formazione irrisorio, con uno o due giorni di corso di addestramento, per rispondere sia ai pazienti che ai familiari. E voi immaginate con quale stato d'animo e con quale condizione psicologica potevano rispondere al telefono a persone che poi sapevano che comunque non potevano essere seguite in ospedale, che comunque non potevano ricevere cure adeguate, gente che magari poi è deceduta dentro casa! C'è poi tutto il resto contingente al non covid. Cioè le persone che non accedono ai servizi perché i servizi sono sospesi; le persone che magari rinunciano ad andare al pronto soccorso perché hanno paura di ammalarsi, o che non vengono prese in considerazione se non ammalate. E quindi assolutamente per l'utente è una sospensione di quasi tutti i servizi. Ci sono ambulatori che visitano attualmente solo due persone. Come riabilitazione a noi il day hospital non è stato ancora aperto. Quindi ci sono tutta una serie di persone che hanno bisogno di fare la fisioterapia, persone che sono paraplegiche e tetraplegiche, che hanno problematiche abbastanza complesse e gravose che non possono accedere al servizio. Per non parlare che tutto l'accesso dei familiari verso il malato è ancora negato! Ci sono pazienti che stanno 6-7 mesi ricoverati in ospedale, magari perché le condizioni sono complesse: il familiare lo vedrà quando uscirà, fra 6-7 mesi! Quando poi la presenza del familiare, l'addestramento del familiare e la vicinanza del familiare, è parte integrante anche della terapia e della ripresa del paziente; perché voi immaginate gli eventi scioccanti, drammatici, pensate alle persone con neoplasie, oppure che sono state operate per cose abbastanza complesse, ebbene, ancora adesso non gli è possibile, non gli è consentito vedere familiari! Sappiamo che ci dobbiamo convivere con questa cosa, ma ci stiamo rimettendo, veramente, più di quanto non ci ha fatto rimettere il virus. Noi abbiamo fatto molti esposti e anche molte proposte: facciamo una stanza isolata, con dei parapetti in plexiglass, però fateglielo vedere il paziente; o mettiamoci anche a disposizione per portare i pazienti in un posto, magari all'aperto, quando era d'estate, però niente, l'amministrazione è sorda, per lo meno la mia azienda, e l'effetto di questa causa è più deleterio della causa che lo ha provocato.
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