Nel giorno dell’inaugurazione di Pitti Uomo la denuncia dei lavoratori precari.
Nel giorno dell’inaugurazione dell’edizione invernale di Pitti
uomo, una quarantina di lavoratori precari ferma la ruota panoramica
sotto lo slogan “Fermiamo la ruota dello sfruttamento, non si può
lavorare così!” denunciando contratti truffa, orari di lavoro
estenuanti per paghe insostenibili. La notizia arriva in redazione
dal Collettivo di Fabbrica GKN, mica dalle agenzie di stampa. I
cronisti sono ipnotizzati dalla rutilante giostra dell’evento, dai
gadget e dall’indotto pubblicitario per le rispettive testate, per
cui stanno già scrivendo quanto sarà green, sostenibile e trendy il
made in Italy. E la politica non perde l’occasione di formulare
strofe in cui le parole “speranza” e “ripartenza” possano
fare rima. Ma, mentre i profitti si consolidano, chi lavora lo fa in
condizioni sempre più tossiche.
«Se in un Paese come l’Italia
dove da oltre trent’anni, unico caso in Europa, diminuiscono i
salari, aggiungiamo l’aumento delle bollette e del carovita,
bisogna domandarsi come sia possibile vivere con questi salari da
fame», sottolineano i precari. «Quando va bene siamo assunti con
contratti a chiamata, con nessuna tutela e niente coperture per
infortuni o malattia. Ma la cosa vergognosa è che non è cambiato
nulla: turni sempre più lunghi, fino a 12 ore, e paghe che spesso
non superano i sei euro all’ora. Oggi con due ore di lavoro
possiamo permetterci al massimo un giro di giostra sulla ruota
panoramica», ironizzano i lavoratori.
Stamane
gli ex lavoratori della fiera della moda hanno diffuso la prima parte
di interviste raccolte da lavoratori che da anni prestano servizio
nel più importante evento del fashion in Italia: «Tutto questo
lusso si accompagna alla retorica della ripresa e del rilancio
dell’occupazione. Andrebbe detto, invece, che questi settori si
reggono sulla fatica e su paghe da fame»,
«Quando ci hanno
licenziato, giustamente il territorio è insorto – commentano dal
Collettivo di Fabbrica – ma quando ci hanno mandato la procedura di
licenziamento, avevamo altri 75 giorni di stipendio. Più della
durata di buona parte dei contratti precari. E uno stipendio tra
l’altro superiore a quello di molti di questi precari. In un certo
senso eravamo ancora messi meglio di milioni di persone in questo
paese. Quindi, in verità abbiamo chiesto scusa a tutti i precari del
paese per tutte le volte che non siamo insorti per loro. Il paese si
è assuefatto al lavoro sottopagato e precario, noi invece crediamo
sia l’ora di disintossicarci da questi livelli di sfruttamento. Per
questo siamo sensibili a quanto denunciato dalla campagna
“chelavorodimerda”».
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