SLAI COBAS SC introduz
Questa
bella e significativa struttura è la location esatta per l'assemblea
proletaria anticapitalista. Il senso dell'assemblea acquista tutta
un'altra veste in una realtà come questa conquistata con
l'occupazione. Per questo ringraziamo veramente i compagni di darci
questa ospitalità e di permettere alla nostra assemblea di avere un
valore aggiunto. Questa è “un'assemblea di lavoro”, un'assemblea
poco incline alla retorica, alla sola denuncia, a raccontarci cose
che già sappiamo, ma che cerca il bando della matassa per tradurre
le parole in fatti, perché le parole senza i fatti valgono davvero
nulla a fronte di questo governo, di questo Stato, di questo sistema.
Questa assemblea è la prima in presenza che facciamo dopo averne
fatte alcune durante i mesi scorsi, in particolare quando la pandemia
non permetteva di fare assemblee in presenza, ne abbiamo fatte tre
significative con l'area dei compagni qui presenti. Le abbiamo fatte
per una ragione molto semplice. Noi insieme ai compagni di Roma e
Viterbo abbiamo fatto parte del ‘Patto d'azione per un fronte unico
di classe’ che è durato per più di due anni e ha realizzato
alcune iniziative importanti, alcuni scioperi generali, pur di
minoranza ma di indirizzo e di contenuti condivisi, un patto d'azione
che è stato anche un luogo di dibattito in certi momenti anche di
scontro sia di posizioni sia alla ricerca di soluzioni; un patto
d'azione che aveva dato la parola innanzitutto ai proletari in lotta,
e anche chi faceva parte di organizzazioni sindacali ben definite o
di organizzazioni sociali e politiche è stato chiamato
essenzialmente a esprimersi senza la “casacca” ma portando il
contributo necessario alle lotte e a l’elevamento politico e
sociale di queste lotte; una realtà che non accettava non la
differenza che obiettiva è scientifica e necessaria tra lotta
economica e lotta politica quanto la distinzione/separazione della
lotta economica e della lotta politica, per unire ciò che si doveva
unire, per contribuire a un fronte unico di classe necessario
all’opposizione al fronte unico dei padroni. Questo ‘Patto
d’azione’ è stato una buona cosa per diversi mesi, e noi vi
abbiamo partecipato nelle forme in cui le nostre forze ci
permettevano, e con le nostre posizioni che chiaramente, come ogni
organizzazione di tipo nazionale, sono dipendenti sia dalle posizioni
politiche ideologiche presenti, sia dalla natura delle lotte, sia
dalle differenze territoriali. Ritrovarci nel ‘Patto d'azione’ ci
sembrava comunque una buona cosa. E questa doveva andare avanti,
doveva allargarsi intorno alla piattaforma che si era definita col
dibattito innanzitutto tra i lavoratori impegnati nelle lotte; questa
piattaforma doveva trovare una sintesi in una forma organizzativa che
permettesse al Patto di non esistere solo in forme assembleare,
prevalentemente anche lì telematiche, ma esistere come struttura
organizzata che capitalizzasse, unisse le lotte e le facesse in
qualche maniera contaminare e crescere. Ma il ‘Patto d'azione’ a
un certo punto è stato sostanzialmente sciolto, dismesso
dall'organizzazione principale che l'aveva promosso, il Si.cobas,
senza dibattito, senza alcuna motivazione. Chiaramente questa cosa
non andava bene, non poteva andare bene; perlomeno ci fosse stato un
dibattito, perlomeno ci si fosse confrontati sul come perseguire. Ma
invece questo scioglimento è stato fatto con una logica burocratica,
da parte di chi si dice “non burocratico”, una logica puramente
egemonista, da chi si dice “non è egemonista”; e quindi questo
non poteva essere accettato. Non è stato accettato da noi come da
altri compagni, che evidentemente hanno ripreso per ritessere il filo
del patto d'azione. Questo ripresa l'abbiamo definita “Assemblea
proprietaria anticapitalista”, che è una forma per realizzare
quella unità di azione, di lotta e di dibattito, di prospettiva
politica e perfino strategica rispetto all'avversario di classe; una
forma che abbiamo ritenuto in qualche maniera adatta alla fase:
‘assemblea’, perché oggi pensare che si possano prendere
decisioni collettive di realtà di lotte differenti senza i momenti
assembleari, evidentemente è una pura velleità. C'è da dire che
spesso nelle assemblee le cose non vanno in forma orizzontali come è
necessario e quindi non sono vere assemblee, in questo senso la
sottolineatura “proletaria” è perché vuole mettere in luce che
troviamo un'unità se prendiamo a base le lotte dei proletari e su
queste ci ragioniamo, ci scontriamo, decidiamo come unirci o come
dividerci. Se non prendiamo a base le lotte proletarie scadiamo
nell'intersindacale, che in tutta sincerità, a parte qualche buon
impegno per scioperi generali che sono stati lanciati e a cui anche
noi abbiamo partecipato, non ci sempre la forma adatta a realizzare
l'unità di classe, l'unità delle lotte, per cui invece occorre
intraprendere una marcia in avanti rispetto allo stato delle cose
esistente. In questo senso l’Assemblea proletaria è
“anticapitalista”, perché il cemento che ci unisce e
l'anticapitalismo ma non un generico anticapitalismo ma quello di
ritenere che il modo di produzione capitalista sia alla base di
tutto, dello sfruttamento come della repressione, della devastazione
ambientale, delle guerre, sia base di tutto ciò che opprime i
lavoratori e le masse popolari, e che fa da freno dello sviluppo
stesso delle forze produttive e della trasformazione in senso
socialista della realtà non solo del nostro paese ma di tutto i
paesi del mondo. Quindi siamo ripartiti da questo. Abbiamo fatto,
come dicevamo, già delle assemblee telematiche, le più
significative sono state quelle che hanno permesso di mettere in
collegamento alcune realtà di lotta, ino ad allora separate, come i
lavoratori della Tessitura Albini di Mottola impegnati contro un
processo di delocalizzazione che produce chiusure di fabbriche e
fonte di sofferenze e difficoltà per i lavoratori e le loro
famiglie; ma anche perché sono state il luogo dove abbiamo discusso
insieme i problemi della pandemia della guerra, trovando una base di
unità, di impostazione. Abbiamo partecipato insieme, come Assemblea
proletaria anticapitalista alla manifestazione importante di Firenze
del 26 Marzo promossa dalla GKN che al di là del dell'essere una
grossa manifestazione a sostegno della lotta della Gkn, è risultata
essere la prima grossa manifestazione organizzata dagli operai, anche
se non erano certo solo i proletari a parteciparvi, contro la guerra
e il governo italiano guerrafondaio; una manifestazione fuori da
un'unità autoreferenziale di gruppi politici che pure fanno parte
del nostro campo. Lo striscione portato dall’Assemblea proletari
anticapitalista racchiudeva in un certo senso il messaggio forte che
può venire dai proletari avanzati rispetto alla guerra imperialista
in corso, rispetto al nostro governo, e poneva la forma con cui
opporsi alla guerra imperialista, che non è il pacifismo ma
l'insurrezione per il “potere operaio”, che è l'obiettivo
necessario perchè, come l'ottobre rosso ci ha insegnato, solo il
potere operaio, solo una rivoluzione proletaria è in grado di
fermare le guerre. Un messaggio universale e permanente a cui ogni
proletario al di là del suo livello di coscienza non può non
riferirsi se vuole effettivamente opporsi alla guerra e a chi gliela
scarica addosso e lavorare per costruire un mondo senza guerre che
sono davvero la barbarie del sistema sociale in cui viviamo. Dopo
queste iniziative il problema era riuscire a trovare le forme per cui
queste assemblee telematiche non siano un parlarsi addosso ma la
possibilità di riunirsi realmente e fare dei passi in avanti,
piccoli ma determinati e soprattutto non autoreferenziali, perché
l'importante dell'assemblea proletaria anticapitalista è di non
dover diventare autoreferenziale, un altro gruppo che aumenta i mini
raggruppamenti rispetto ai raggruppamenti più grandi; noi non siamo
l'ombelico del mondo, ne dipende dall'assemblea l'avanzata delle
lotte proletarie e la creazione di un fronte unico di classe
necessario per affrontare insieme lo stato di cose presenti. Noi
dobbiamo fare la nostra parte, cioè contribuire perché tutte le
forze sindacali e politiche che sono nel campo del fronte proletario
e popolare possano unirsi, non solo nelle scadenze - perché questa
maniera di riunirsi solo per lo sciopero generale, la manifestazione
a Roma, punto e basta non è servita, non è servita a realizzare
l'unità sindacale di classe, non è servita a mettere in discussione
i governi, ecc. Abbiamo bisogno di qualcos'altro che non sia l'auto
indizione di uno sciopero generale, che non sia una rituale
manifestazione. Abbiamo bisogno della guerra di classe, della guerra
sociale, del conflitto diffuso, di trasformare ogni vertenza in ogni
angolo di questo paese, grande o piccola che sia, in una vertenza
generale nazionale che si oppone al governo; abbiamo bisogno di
tirare fuori da ogni lotta quello che c'è di particolare che va ad
arricchire il generale e a darci la possibilità di costruire una
piattaforma comune che non sia un elenco della spesa o di buone
intenzioni, ma sia un movimento reale di un esercito proletario che
intorno alle sue rivendicazioni costruisce anche la sua forza. Questo
vogliamo fare. Dovevamo riunirci subito, la prima domenica possibile
il primo sabato possibile di settembre, proprio perché dobbiamo
lavorare insieme in tutto ciò che verrà dopo il 17 settembre,
dall'assemblea dei lavoratori combattivi organizzata dal Si.cobas per
il 18/9 al calendario di scadenze lanciate dalla Gkn, di cui alcune
condividiamo altre un pò meno, al movimento del sindacalismo di base
e di classe che cerca la “quadra” per dichiarare un nuovo
sciopero generale, ecc.; così come dobbiamo guardare alle lotte
operaie, perché la mancanza del peso delle lotte operaie nel quadro
generale del lavoro comune del sindacalismo di base di classe ha
pesato tantissimo. Senza le fabbriche, e i compagni che hanno una
visione classista scientifica per non dire banale della realtà, del
conflitto di classe lo sanno bene, non potremmo costruire una forza
materiale in grado di rendere la vita ai governi prima difficile poi
impossibile.
Noi
dobbiamo e vogliamo “stare bene” in questo autunno - ne caldo ne
freddo. Ogni anno si annuncia un “autunno caldo”, ma chi
l'autunno caldo l’ha vissuto realmente sa bene che l'autunno calda
è un'altra cosa di quello che viene annunciato; non si tratta di
eventi annunciati ma di movimenti che realmente mettono in
discussione lo stato di cose esistente, e sono brodo di coltura e
punto d'impatto che cova nella società capitalistica e domanda il
momento, i canali perché possa esplodere e possa trasformare lo
scontro di classe in lotta rivoluzionaria per il potere. Questo è
l’”autunno caldo” da ripetere, in condizioni chiaramente
diverse. Però, chi l'ha vissuto sa bene che due anni prima
dell'autunno non sembrava affatto che ci sarebbe stata
quell’esplosione. Anche oggi non ci fidiamo della mera fotografia
dello stato di cose esistenti ma lavoriamo sul profondo di una
società che brulica di tensioni, esigenze che non trovano ancora il
canale organizzativo politico per esplodere, poi una volta che
esplode “chi ha filo tesse”. Noi siamo per il partito comunista
rivoluzionario, ma non pensiamo che debba nascere prima il partito e
poi ci sarà il movimento, poi ci sarà la rivoluzione. Questa è una
visione assolutamente cattedratica, mai realizzatesi effettivamente
nella storia del movimento operaio. Noi siamo per la rivoluzione qui
ed ora, siamo per l’insorgenza, siamo perché le lotte si
trasformino... e poi e poi; siamo perché dentro questa via, nel
fuoco della lotta di classe in stretto legame con le masse, nasca lo
stato maggiore delle lotte prodotto dai proletari legati alla storia
e al pensiero storico del movimento operaio, che trovi il punto di
incontro tra socialismo e movimento operaio e si trasformi in quel
processo virtuoso verso l'insurrezione attraverso la via della guerra
di popolo rivoluzionaria, intesa come guerra in cui le masse sono
protagoniste. L’assemblea è dentro questa dimensione, guardando in
alto ma avendo cura dei piccoli passi; perché oggi è tempo di
piccoli passi e perfino di piccoli gruppi. E’ sbagliato quando
questi piccoli passi vengono già vantati come i grandi passi, quando
uno sciopero economico viene già chiamato sciopero politico, perché
quando si dice questo non si lavora per trasformare lo sciopero
economico in sciopero politico, che è quello che mette in
discussione il potere dell'avversario. Noi dobbiamo occuparci “del
grano e del sale”, come ci diceva, occuparci delle lotte minime
perché solo attraverso esse oggi troviamo un legame reale con i
proletari che si trovano in una congiuntura storica oggettiva e
soggettiva difficile. Mettere insieme le lotte significa dare a
ciascuna di esse valore; ma non metterle tutte insieme come se
fossero un tutto unico, perché questo tipo di collegamento non ha
mai funzionato e resta un'intenzione, ma costruire su ogni lotta una
battaglia nazionale. Questo è quanto già avviene, anche se nelle
forme non proprio ideali come vorremmo, come è la GK, ma anche come
è avvenuto con le lotte del Si.cobas e anche come è avvenuto sul
terreno della repressione. E’ questa la marcia a cui teniamo e in
cui la forma del fronte unito di classe del patto d'azione ci
sembrava opportuna, pur tra realtà ideologicamente e perfino con
riferimenti storici molto diversi (evidentemente ognuno difende il
suo di riferimento, ma non si può usare un riferimento storico per
contrastare il movimento reale che vuole l'unità delle lotte in
funzione della messa in discussione sia gli attacchi di padrone e
governo, sia più in generale l'intero sistema sociale che questi
padroni e governo gestiscono in nome dei profitti, dello
sfruttamento). in questo senso questa assemblea vede il lavoro da
fare. I compagni che sono qui conducono delle lotte e in queste lotte
cercano di portarci qualcosa in più, di farle uscire dal limite
della lotta stessa, e in questo si uniscono, bisogna unirsi, a tutti
coloro che si muovono nella stessa direzione; e nel muoversi nella
stessa direzione dobbiamo fare la corsa a chi fa meglio e non la
corsa a chi divide di più, a chi si auto identifica di più. Questa
Assemblea proletaria anticapitalista è un processo in movimento.
Oggi non c'è nessuna assemblea per quando iper preparata che possa
realmente rappresentare il magma delle lotte, dei problemi, delle
difficoltà, delle contraddizioni che sono presenti; quindi non
stiamo tanto a dire chi siamo e chi non siamo, quanti siamo e quanto
non siamo, facciamo il nostro, facciamo dei passi in avanti,
individuiamo anche nel corpo di questa assemblea alcune proposte sia
da praticare sia per portarle nell'insieme generale del movimento.
Questo lavoro si deve verificare lungo la strada, non si tratta di
parole d'ordine eterne, sono parole d'ordini di fase che se sono
giuste contengono in sé i passaggi successivi che ne faranno parole
d’ordini di una fase più generale.
SLAI
COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE conclusioni
L'assemblea
è andata un pò oltre, questo è un fatto positivo innanzitutto,
cioè l’appello è stato raccolto, la partecipazione è stata
veramente più ampia e più articolata. Non possiamo fare le
conclusioni in questa assemblea perché dobbiamo tirare le fila degli
interventi fatti e avremo bisogno di un piano d'azione, però dentro
quella logica che avevamo detto all'inizio. Non stiamo facendo
l'intersindacale, non stiamo collegando le lotte sindacali, sarebbe
da un lato una presunzione, dall'altro troppo o troppo poco. Stiamo
costruendo il lavoro per un fronte unico di classe, estendendolo a
tutte le realtà che con cui intendiamo farlo; nello stesso tempo
vogliamo scagliare ogni singola vertenza nella battaglia generale,
contro il nuovo governo, dal discorso della delocalizzazione al
discorso dei migranti. Vogliamo immettere le realtà di intellettuali
che si pongono al servizio dei lavoratori con la formazione, perché
dobbiamo far fare il salto di qualità all’intera realtà in cui
operiamo. Se noi non lo facciamo, in questo senso ci manca qualcosa,
ci manca il lavoro giusto per mettere insieme questi aspetti. Domani
l'assemblea del Si.Cobas deciderà per lo sciopero generale e una
manifestazione a Roma. Ma gli ultimi scioperi generali indetti in
questa maniera non sono serviti a niente; una manifestazione a Roma
che non raccoglie le lotte che sono state messe in movimento e si
sono già scontrate col governo non è ciò che ci serve, non è con
questa strada che noi riusciremo ad intercettare il possibile
cambiamento necessario. La strada tracciata in questa assemblea la
dobbiamo percorrere, non abbiamo alternative, non ce la caviamo
dichiarando uno sciopero generale nell’assemblea domani o
nell'intersindacale. L'ultimo sciopero generale è stato peggiore di
quelli precedenti, rendiamocene conto. E questo non vuol dire che i
proletari si sono stancati di lottare ma che dobbiamo cambiare il
metodo con cui stiamo parlando dell'unità delle lotte, della
crescita della coscienza operaia e nello stesso tempo impattare il
problema dei problemi che è la guerra, e noi siamo d'accordo coi
primi interventi, serve la campagna contro la guerra che significa la
campagna contro la guerra e contro il carovita, significa la
costruzione di un movimento reale che non parta dalla fine, lo
sciopero generale, ma parte dalla guerra quotidiana che dobbiamo
aprire, e la guerra quotidiana si alimenta delle questioni
economiche, e non perché si è economicisti ma perché chiaramente
le questioni immediate queste sono, non è che ce le dobbiamo
inventare, e sappiamo che durante una fase di preparazione della
guerra ogni contraddizione sociale economica all'interno diventa una
mina per i governi, per sabotare il governo che invece vuole marciare
ancora di più per la guerra.
PROLETARI
COMUNISTI
E’
stata un'assemblea importante, un'assemblea che avrebbe richiesto
un’intera giornata. Ma abbiamo cominciato in presenza, e
questo non è da poco, e, poi, continueremo. Ma non è un continuare
le assemblee, è continuare il discorso delle lotte, dell'unità
delle lotte, dell’autonomia politica, teorica della classe operaia.
Quindi non è da assemblea ad assemblea. C’è l‘assemblea, le
lotte, c'è la marcia che dobbiamo fare insieme. Noi non partiamo da
zero, ed sta in questo senso la questione posta anche in alcuni
interventi di guardare anche agli errori che si sono fatti. Per
esempio, parlare di fronte unico è il minimo essenziale o il massimo
essenziale, però poi dobbiamo entrare nel merito. Per noi il fronte
unico vede la classe operaia come classe centrale, che deve dirigere.
Attualmente ci sono problemi, ci sono problemi di autonomia della
classe operaia, sul fronte delle lotte perchè siano guidate sempre
da una linea di classe, sul fronte politico, sul fronte teorico e
ideologico, sul fronte dell’azione cosciente, del sentirsi forti,
non succubi di tutto quello che sta intorno. Se facciamo questo, è
vero che ci sono i problemi soggettivi, come diceva il compagno del
Si.cobas, ma se noi partiamo e poi invece di andare avanti,
approfondire, porre al centro il problema delle fabbriche, non
comprendiamo l’importanza delle grandi fabbriche, allora non
poniamo la rotta giusta per dare risoluzione a una parte importante
di quei problemi soggettivi. C'è Acciaierie d’Italia, la più
grande fabbrica siderurgica d'Italia, e non solo, su cui noi sono
anni che ci sbattiamo come si dice le corna ma alla fine ce la faremo
anche là. C'è la Stellantis, uno dei cuori storici e attuali, dal
nord al sud, della classe operaia, per citare le più importanti dal
punto di vista oggettivo e della classe. Allora, non si può dire ci
sono problemi e non c'entrare quali sono i problemi. Per esempio, la
Gkn il bandolo della matassa non lo deve perdere sulla battaglia
centrale sulla delocalizzazione/chiusura di fabbriche, perché non è
solo il problema della delocalizzazione, è il problema di affermare
che la battaglia contro i padroni, contro il capitale, contro il
governo deve vedere al centro gli operai. Se gli operai partono e
poi, per una discorso anche buono - però fino a un certo punto - si
estendono e vanno dovunque, non consolidano la loro unità, la loro
autonomia, si rischia di perdere quel bandolo della matassa di
classe. Sono andati quelli del PD a Mirafiori, a farsi la propaganda
elettorale e gli operai hanno detto “noi non votiamo”... ma noi
diciamo a questi operai: non basta non votare, non basta astenersi,
il problema è che occorre costruire, darsi strumenti organizzativi,
politici per la propria autonomia, pechè la classe operaia non si
confonde con le altre classi, ma abbia la forza per unire intorno a
sé le altre classi, gli altri settori che vengono attaccati,
impoveriti, che vogliono lottare, che stanno lottando, dai giovani,
in primo luogo gli studenti, a tutti gli altri settori in movimento.
Allora affrontiamo questi problemi, ma non solo a parole; per esempio
alla Stellantis bisogna andarci, stabiliamo un periodo in cui in
tutte le fabbriche Stellantis ci stiamo, da Melfi a Torino; ad
Acciaierie d'Italia dobbiamo riuscire a costruire una mobilitazione
nazionale - è possibile che andiamo dovunque e in questo gli operai
del collettivo Gkn sono molto bravi, vanno dovunque, ma quando si
viene a Taranto non si va ad Acciaierie/ex Ilva? - certo, in questa
fabbrica c'è da "impazzire", perché vai, gli operai ti
danno ragione, il 6 maggio hanno fatto un grande sciopero e protesta,
ma dopo di allora dovresti aspettare l'altro “6 maggio”, e
chiaramente non è bello; però una fabbrica così non vediamo la sua
importanza, la sua centralità? Perchè se si muove quella classe
operaia, se si muovono le grandi fabbriche, beh, allora fatevi le
vostre elezioni che noi ci prepariamo, che noi facciamo il nostro
lavoro.