Ripresa e Resilienza “al contrario”
I dati sono inequivocabili e ci presentano un quadro scoraggiante, se non addirittura drammatico. Si sono tagliati miliardi per le Rinnovabili e il PNRR si è trasformato, con i “provvedimenti Fitto”, quindi con la completa responsabilità del governo Meloni, in un pannicello caldo, oltretutto per metà da ripagare, ammesso che si riescano a concretizzare i progetti .E il triste, da quanto si evince dal pezzo dell’amica Patrizia Allara che riportiamo qui sotto nella seconda parte dell’Editoriale, è che molti di questi “progetti”, molti dei “compitini ” che ci sono stati chiesti dalla UE per giustificare gli esborsi, sono già ad un buon punto nell’iter realizzativo, a volte solo più con il “via ai lavori” finali, già progettati, autorizzati e cantierati. E invece no. L’impuntatura del Governo, che sta portando scompiglio un po’ ovunque, tanto da far sbottare il presidente il presidente dell’associazione dei Comuni italiani (il sindaco DeCaro) con un roboante…”non ce ne andremo da questa assemblea – una delle molte di questi giorni, avvenuta il 13 agosto presso il Senato – fino a quando avremo risposte chiare e definitive”. Di chiaro e definitivo, in realtà, c’è solo un impegno (a voce) per una copertura extra PNRR dei lavori già progettati e delle opere in cantiere con “altri fondi” da determinare. L’impegno è del ministro Fitto con parte dello stesso Consiglio dei Ministri completamente allo scuro dei dettagli dell’eventuale impegno. Quello con i dettagli finanziari, cioè quelli più rilevanti. L’attacco, come ben ci racconta la dott.ssa Allara, è “ad angolo giro”, dalle rinnovabili non più adeguatamente sostenute, alle energie di fonte fossile non solo confermate ma, addirittura, con stanziamenti superiori a quelli anteCovid. Con penalizzazione delle “ciclabili” e dei sistemi di trasporto pubblico, giustificati con il refrain solito. “Non si può fare diversamente” o, “i cittadini italiani sono abituati così (con l’automobile attaccata come una canottiera), quindi meglio non disturbarli”. Il tutto con l’obiettivo di convogliare centinaia di miliardi su opere di immagine, di grande impatto mediatico ma scarsa utilità, se non addirittura pericolose, come il ponte sullo Stretto di Messina, mega impianti di rigassificazione, nuove impattanti strutture portuali asservite ai colossi della Logistica mondiale…a cui aggiungere inceneritori/termovalorizzatori e grandi strutture per “circhi mediatici moderni” come sono diventate le varie “Olimpiadi” siano esse invernali, estive o per settori sportivi e parasportivi particolari.
Cosa prevedeva il PNRR all’inizio?
Come è noto, in ballo c’erano (e,
ufficialmente, ci sono ancora) più di 220 miliardi di euro che per
circa un quarto sono realmente già arrivati in cassa alle
amministrazioni pubbliche o agli uffici commerciali di grandi e
piccole aziende private. Tutto iniziò con il Governo Draghi ….e
come primo punto venne segnalata la necessità dell’acquisto di 500
nuovi treni per pendolari per trasporto regionale, comprensiva della
sostituzione totale dei 256 treni diesel ancora circolanti. Gli
attuali 456 treni circolanti hanno, infatti, un’età media di
circa 30 anni: costo 6,25 miliardi di euro. L’attuale
proposta di PNRR prevede, invece, l’acquisto di 80 treni per
un costo di 1 miliardo di euro. Come secondo punto qualificante
veniva preso in considerazione l’cquisto di 15.000 nuovi
autobus: costo 9 miliardi di euro. Si ricorda che il
parco autobus italiano per il trasporto pubblico locale è composto
da 42.000 veicoli, di cui quasi il 90 % a benzina, diesel e a doppia
alimentazione e più del 40 % veicoli ad alte emissioni (ad esempio
Euro 0, Euro 1, Euro 2, Euro 3, Euro 4). La fonte è, ovviamente,
dello stesso Ministro dei Trasporti. Inoltre, ma era prevedibile
immaginarlo, la flotta italiana di autobus per il trasporto pubblico
presenta un’età media notevolmente superiore alle omologhe
dell’UE: ossia 10.5 anni contro 7 anni in media per gli altri ed è
quindi caratterizzata da un elevato consumo di carburante e da costi
di manutenzione rilevanti. L’attuale proposta di PNRR prevede
l’acquisto di meno di 5.000 nuovi autobus. La commissione
competente, ai tempi, ormai circa un anno fa, si espresse per la
costruzione di 300 km di nuova rete attrezzata per i servizi di
trasporto rapido di massa come tram e filobus: costo 4
miliardi di euro. A che punto siamo? Già prima si
arrancava, con il ministro Fitto si è definitivamente messo una
pietra tombale sul provvedimento. Sempre nella stessa parte di
documentazione inviata a Bruxelles a firma pluriministeriale e con
l’avallo del presidente Draghi prima e di Giorgia Meloni poi,
si stabiliva di realizzare 2.000 km di vie ciclabili nelle aree
urbane e 3.500 km di piste ciclabili turistiche. Le piste
ciclabili urbane e metropolitane dovevano (secondo la prima stesura)
essere sviluppate nelle 40 città che ospitano le principali
università, scuole secondarie ed in prossimità di uffici pubblici,
centri direzionali e commerciali in modo da essere collegate a nodi
ferroviari o metropolitani. Anche per queste iniziative vi era una
indicazione di spesa precisa: costo 2,4 miliardi di euro.
Non
solo…il lungo elenco, fatto di lettere di accompagnamento, “files
excel” e questionari interattivi, ufficializzava anche l’acquisto
di unità navali veloci, di traghetti, con alimentazioni
innovative anche ad idrogeno, adibite al servizio trasporto
merci e ferroviario per realizzare quelle che vengono definite
“autostrade del mare”: costo 1,1 miliardi di euro.
Sempre
nelle cinque spedizioni succedutesi a tamburo battente nei mesi
precedenti e successivi al cambio di Governo, si faceva
riferimento a provvedimenti atti a limitare (o interrompere) le
autorizzazioni comportanti il consumo suolo o l’uso di motori o
caldaie alimentate a diesel, benzina e simili. Non solo, nella parte
di scheda riguardante la mobilità si affermava ” …con i
seguenti impegni di legge: a)divieto di immatricolazione di auto
diesel e benzina a partire dal 2035. Legge sul consumo di suolo sul
tipo della “Strategia dell’UE per il suolo per il 2030”
(comprendente, tra l’altro, il seguente illuminante, passaggio
“Investire nella prevenzione e nel ripristino dei suoli
degradati è un’azione sensata anche dal punto di vista economico.
Essendo il più vasto ecosistema terrestre dell’UE, un suolo sano
sostiene molti settori dell’economia, mentre il suo degrado costa
all’UE decine di miliardi di euro ogni anno . Le pratiche di
gestione che sostengono e migliorano la salute del suolo e la
biodiversità sono più efficienti in termini di costi e riducono la
necessità di elementi esterni (ossia i pesticidi e fertilizzanti)
per mantenere invariati i rendimenti. Arrestare e invertire l’attuale
tendenza di degrado potrebbe generare fino a 1 200 miliardi di
EUR di benefici economici a livello mondiale ogni anno. Il costo
dell’inazione rispetto a questo fenomeno, che in Europa supera di
almeno sei volte il costo dell’azione , va ben oltre il calcolo
economico: non solo porterebbe a una perdita di fertilità a
discapito della sicurezza alimentare mondiale, ma avrebbe anche un
impatto sulla qualità e sul valore nutrizionale dei prodotti”.
Nell’ultima scheda inviata, (quella dei 52 impegni su cui l’Italia
è chiamata ad impegnarsi, coperta per circa un terzo e con
finanziamenti già acquisiti per un quarto) campeggiano a chiare
lettere obiettivi inequivocabili: “ Reperire i fondi,
condurre e portare a termine le bonifiche dei SIN” (Siti inquinati
di primo livello). Con un riferimento chiaro alle popolazioni:
“Sei milioni di persone vivono in siti altamente inquinati come
Taranto, Priolo, Gela, Milazzo, Brescia, Porto Torres, e altri
territori non bonificati come la Terra dei fuochi, Valle del Sacco,
Val d’Agri, e le falde inquinate del Veneto e del Piemonte da PFAS”
. Con il sottinteso impegno a fare di tutto per trovare
soluzioni adeguate. E poi ancora, nelle prime due spedizioni,
“Tutelare e valorizzare la Natura d’Italia e fermare la
perdita della biodiversità finanziando un programma
di investimenti nelle 6 aree strategiche per la riconnessione
ecologica del Paese: Alpi, Corridoio Alpi-Appennino, Valle del Po,
Appennino Umbro-Marchigiano, Appennino Campano Centrale, Valle del
Crati – Presila Cosentina, realizzando progetti per il risanamento
naturale e idrogeologico ed estendere questi inteventi anche
alle aree costiere e marine in corrispondenza delle zone a
maggiore biodiversità e a maggiore rischio per le pressioni
antropiche”. Le precedenti richieste di vari
“portatori di interessi” erano state accolte mentre furono
cassate le seguenti: “ Nella versione definitiva del
PNRR, chiediamo sia inserito un esplicito
riferimento al raggiungimento degli obiettivi delle Strategie UE
“Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” indicando la priorità
dell’incremento della superficie agricola certificata in
agricoltura biologica, lo sviluppo di filiere del “Made in Italy”
biologiche e la creazione dei biodistretti, con priorità nelle aree
naturali protette. Vanno individuate risorse e percorsi condivisi per
ridurre l’uso sistematico di fertilizzanti chimici e pesticidi”
*. Come, allo stesso modo, venne ammacquato – è proprio
il caso di dirlo – il seguente pressante allarme che, in una
Nazione colabrodo come la nostra, dovrebbe trovare facili
rispondenze…”Ogni secondo in Italia si perdono 104 mila
litri di acqua potabile a causa della rete idrica obsoleta.
La nostra rete idrica perde il 41% mentre il PNRR prevede un
investimento di 2,36 mld di euro con cui si dichiara di voler
intervenire su 25.000 km di rete di distribuzione idrica con una
riduzione delle perdite del 15%. Proponiamo che la riduzione delle
perdite sia portata al 30%. ” Non solo non furono prese in
considerazione ma, di fatto, assistiamo in questi ultimi mesi ad una
serie di dietrofront preoccupanti. E sdi questo ci parla Allara **
Una pioggia di denaro malgestito
Di fatto il PNRR piove come una pioggia attesa da tempo ma senza avere avuto la previsione dell’ombrello. In Italia, come ben sanno un po’ tutti, investitori stranieri inclusi, non cambia mai praticamente nulla. Fra le “difficoltà” che si frappongono, vere o false che siano, di sicuro c’è la mancanza di organizzazione ex ante per la decisione strategica di opere e di infrastrutture. I fondi europei serviranno, al più, per avviare e concludere progetti in cantiere già previsti da decenni. Invece dovremmo chiederci se i progetti sono veramente necessari. Esistono molte infrastrutture fantasma, abbandonate da prima dei fondi PNRR, molto prima dell’ondata della transizione verde. Quindi che farne? Una semplice analisi economica non servirebbe sempre a dimostrare la reale fattibilità. Se ad esempio ci focalizziamo sulla strada Pontina (giusto per uscire dalle solite cosette di casa nostra), ci si rende conto che la sua storia è alquanto amara e rispecchia un’Italia che non è per nulla cambiata negli ultimi 30 anni. L’Italia è un Paese pieno di opere incompiute, …. col passare del tempo, modificano le leggi, ma il gioco resta sempre uguale. Il dibattito sulle infrastrutture si accende ad ogni tornata politica (ricordiamoci la Legge Obiettivo). Oggi, ci ritroviamo con i fondi dell’Europa che sono sicuramente una grande fonte di rilancio per infrastrutture in difficoltà o da realizzare. Ciò che manca, è un’assegnazione razionale dei fondi in base alle esigenze territoriali. Ma come possiamo constatare, le amministrazioni all’arrivo dei fondi si sono fatte trovare impreparate. Progetti, oltretutto, che – a monte – sono soggetti a giochini di cambio gestione aziendale o scioglimento delle stesse imprese. E questo Fitto lo sa bene e su questo ha innestato la più grande delle retromarce. Insomma, piuttosto che seguire il beneficio collettivo seguiamo il valzer dei cantieri. In tutto ciò, rimangono i disservizi e le infinite attese di portare il livello della qualità della vita a standard europei. Da notare che gran parte dei fondi per le infrastrutture sono destinati a RFI. Altro dato interessante, rilevabile dall’ultimo invio delle schede di impegno, è che il Mezzogiorno riceverà circa il 40 % complessivo delle risorse “territorializzabili” (cfr. Osservatorio CPI) con, in teoria, un possibile adeguamento di mobilità e vivibilità relativa. L’unico ostacolo da superare dovrebbe essere l’accelerazione dei processi amministrativi di Enti e Aziende che ne richiedono l’utilizzo ma non è così automatico.
La situazione post “interventi Fitto”
La revisione del Pnrr e del capitolo Repower Eu taglia interventi e risorse per la decarbonizzazione e rallenta la transizione ecologica. Tagli, tagli e ancora tagli. La revisione del Pnrr presentata dal governo alla Commissione europea, in cui si riscrivono 144 misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per il capitolo ambiente definanzia anziché potenziare le risorse per la decarbonizzazione, toglie invece di implementare la progettualità per la transizione ecologica, diminuisce anziché aumentare l’impegno per raggiungere gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Nonostante le rassicurazioni che il ministro Fitto si è premurato di dare a Regioni, Comuni, Città metropolitane e Province, turbati dalle incertezze create dai suoi annunci, confermando l’innocuità della partita di giro dei fondi da lui prospettata, le sottrazioni ci sono, eccome.
Azzerato l’eolico offshore
“Tanto per cominciare, per quanto attiene alla Missione 2 le modifiche più rilevanti riguardano il definanziamento delle misure che hanno lo scopo di introdurre produzione di energia rinnovabile da fonti più innovative (capitolo M2C2)”, dichiara Simona Fabiani, responsabile Cgil nazionale Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione: “675 milioni di euro tolti agli impianti innovativi, inclusi l’eolico offshore (in mare aperto, ndr). Il motivo? L’incompatibilità dell’iter autorizzativo con i tempi di realizzazione del Piano. Eppure sono già presenti circa 70 progetti per la realizzazione di impianti di eolico offshore”. Poi c’è l’impiego dell’idrogeno nei siti industriali cosiddetti hard to abate, cioè dove è difficile abbattere le emissioni di Co2 nell’atmosfera, in questo caso nella produzione dell’acciaio: il finanziamento viene ridotto di 1 miliardo, con l’impegno molto generico di proseguire il progetto con altre risorse nazionali, senza specificare quali sono. Per ora di sicuro c’è il taglio.
Rigenerazione, dove sei?
Altri capitoli fortemente penalizzati sono quelli dei progetti di rigenerazione urbana, i piani urbani integrati, gli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio, l’efficienza energetica dei Comuni. Per questa ultima voce, 6 miliardi di euro distribuiti per l’efficientamento energetico, la messa in sicurezza anche antisismica del territorio e degli edifici, il miglioramento dei sistemi di illuminazione pubblica. “Stiamo parlando di ben 39.900 piccoli e 7.200 medi lavori pubblici, di cui i primi mille andavano completati entro dicembre di quest’anno e gli altri per marzo 2026″, prosegue Fabiani: “Anche in questo caso viene segnalata la possibilità di ricorrere a fonti di finanziamento nazionali, e anche in questo caso le fonti non sono indicate. Quindi, l’unica cosa certa a oggi è il taglio”. Le criticità che vengono indicate riguardano tra l’altro la fase attuativa, a dimostrazione del fatto che si tratta d’interventi già finanziati e cantierizzati, con appalti aggiudicati e progettazione in corso.
Alluvione, come se niente fosse successo
La revisione del Pnrr presentata dall’esecutivo propone anche il definanziamento dell’investimento sulle misure per la riduzione e la gestione del rischio di alluvione, nonostante che la Commissione europea abbia espressamente richiamato il nostro Paese nelle sue raccomandazioni ad agire per combattere il dissesto idrogeologico, anche in riferimento alle alluvioni devastanti di maggio scorso. Rimodulazioni sono previste inoltre per gli investimenti per il trasporto rapido di massa, per il supporto alla filiera dei bus elettrici, alle infrastrutture per la mobilità sostenibile.
Capitolo Repower EU
“Come se non bastasse, oltre ai tagli alle rinnovabili e all’efficientamento contenuti nella rimodulazione del Piano – conclude Fabiani -, le nuove misure proposte per il RepowerEu (il piano europeo per risparmiare, produrre energia pulita e diversificare il nostro approvvigionamento, ndr) puntano anche a nuove infrastrutture per il gas. In pratica, anziché dare un’accelerata alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica in tutti i settori economici, anziché spingere sul risparmio e l’efficienza, investire sulla prevenzione, l’adattamento al cambiamento climatico, la tutela degli ecosistemi, stiamo andando nella direzione opposta”. Questo governo, quindi, è ancora ostinatamente e fortemente orientato verso le fossili e non verso le energie alternative. Un’ulteriore dimostrazione? Mentre mancano il decreto per l’individuazione delle aree idonee per le rinnovabili e quello attuativo sulle comunità energetiche, è stato varato il decreto per i rigassificatori, che prevede tutte infrastrutture e le opere ritenute di interesse strategico. La priorità data alle fonti che inquinano non è un’opinione, ma un dato di fatto.
…
(*)“Lettera a Mario Draghi. Il PNRR una occasione da non perdere“. https://www.ivg.it/2021/04/una-lettera-aperta-dai-verdi-italiani-a-mario-draghi/?output=pdf
(**)Patrizia Allara. 10.08.2023. https://www.collettiva.it/copertine/ambiente/2023/08/10/news/pnrr-revisione-fonti-fossili-rinnovabili-ambiente-transizione-3319829/
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