I nostri avvocati di Torino e Taranto e lo Slai Cobas abbiamo ritenuto che è giusto fare ogni passo possibile per evitare l'annullamento totale del processo di 1° grado, il trasferimento e soprattutto di iniziare da zero, con le prevedibili prescrizioni; questo lo dobbiamo alle parti civili. La nostra impressione è che la Corte d'appello abbia voluto "lavarsi le mani", dando ragione a dei cavilli e a una loro interpretazione giuridica sfavorevole. Quindi, questo non può passare impunemente. Probabilmente non ci riusciremo, ma è necessario mettere delle "zeppe" e mostrare agli operai, ai lavoratori tutti, ai cittadini dei quartieri inquinati che noi non ce ne stiamo fermi comunque; perchè noi e gli avvocati non durante questi anni di processo non hanno mai fatto interventi puramente di articoli di legge, ma hanno posto problemi di giustizia dei lavoratori. Questa differenza, anche con gli altri avvocati delle parti civili continua anche in questa fase.
ISTANZA PRESENTATA ALLA PROCURA GENERALE DI TARANTO
L'istanza integrale si può richiedere allo Slai Cobas WA 3519575628
ALLA PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA DI TARANTO
ISTANZA EX ART. 572 C.P.P.
Gli scriverti avvocati Sergio Bonetto
del Foro di Torino, Fabrizio Lamanna del Foro di Taranto, Enzo
Pellegrin del Foro di Torino, Antonietta Ricci del Foro di
Taranto,Gianluca Vitale del Foro di Torino... chiedono con la
presente ai sensi dell'art. 572 c.p.p. che codesta Procura Generale
presso la Corte di Appello di Taranto voglia proporre ricorso per
Cassazione avverso la sentenza n. 6/2024 della Corte di Assise di
Appello di Taranto del 13 settembre 2024, con la quale è stata
annullata la sentenza della Corte di Assise di Taranto n. 1/2021 del
31.05.2021 e ordinata la trasmissione degli atti alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Potenza.
IN PUNTO RICORRIBILITA' PER CASSAZIONE
Con la sentenza avverso la quale si chiede che codesta Procura Generale voglia proporre ricorso per Cassazione la Corte di Assise di Appello di Taranto ha accolto il motivo di appello proposto dalle difese degli imputati e relativo alla nullità delle ordinanze con le quali era stata rigettata l'eccezione di incompetenza ex an. 11 c.p.p., con conseguente annullamento della sentenza di primo grado e ordine di trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il giudice tabellarmente competente (la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza). Il primo quesito da risolvere è se tale pronunzia sia definitiva (come annotato in calce dal Direttore, che indica la data di passaggio in giudicato in relazione agli artt. 568 n. 2 e 11 cpp nella data del deposito) ovvero se essa possa essere oggetto di ricorso per Cassazione. La soluzione di tale quesito - che solo in apparenza si presenta come univoca - non è priva di conseguenze sull'iter procedimentale: nel primo caso una eventuale impugnazione rimetterebbe immediatamente la decisione (definitiva) sulla competenza alla Suprema Corte; nel secondo il processo (rectius: il procedimento, essendo stati gli atti trasmessi, come insegnato dalle Corte Costituzionale, alla Procura della Repubblica presso il giudice ritenuto competente) riprenderebbe avanti l'autorità giudiziaria indicata oggi come tabellarmente competente ma la questione rimarrebbe “aperta” potendo essere riproposta avanti a1“nuovo” giudice di merito (ed, eventualmente, riproposta nei successivi gradi di giudizio ove da questi rigettata). E, infatti, ben potrebbe il GUP di Potenza sollevare conflitto di competenza e rimettere, solo in quella nuova fase processuale, gli atti alla Suprema Corte per la decisione in merito a tale eccezione.
Tale ipotesi non potrebbe che dilatare i tempi del processo, oltre a rendere oscura la sorte del processo come sin qui tenutosi: la sentenza della Corte di Assise di Appello di Taranto, pur pronunziandosi unicamente sulla eccezione di incompetenza ex art. 11 cpp, ha annullato la sentenza di primo grado (null'altro statuendo); essa dovrebbe (o potrebbe?), però, “rivivere” ove il GUP di Potenza dovesse sollevare conflitto, e ove la Corte di Cassazione dovesse ritenere di riconoscere la competenza del giudice tarantino? e quale sorte avrebbe il “primo” processo tenutosi avanti la Corte di Assise di Taranto nel caso in cui una eventuale eccezione di incompetenza, non ritenuta fondata dal “primo” giudice del capoluogo lucano, fosse successivamente riproposta e in ipotesi accolta solo in un (nuovo) giudizio di appello o in Cassazione? potrebbe o dovrebbe comunque rivivere, essendo comunque l'odierno annullamento relativo alla sentenza senza altra specificazione ma intervenuto solo in punto competenza? Non è questa la sede per risolvere tali quesiti, ma essi devono essere tenuti ben presenti nella risoluzione del quesito che si è inteso proporre in merito alla ricorribilità per Cassazione della sentenza della Corte di Assise di Appello di Taranto.
Ad una prima lettura tale quesito appare, invero,
di facile soluzione: l'art. 568 c. 2 c.p.p. non include tra le
sentenze sempre ricorribili per Cassazione le sentenze in punto
competenza che possano dar luogo ad un conflitto ex art. 28 cpp.
L'interpretazione prevalente che a tale norma è stata data —
invero al di là del suo stretto significato letterale, come si avrà
modo di precisare - è che essa comporti che sono sempre non
ricorribili per Cassazione tali sentenze. La giurisprudenza, inoltre,
pare attestata nel ritenere inammissibili i ricorsi per Cassazione
avverso i provvedimenti che si pronunzino sullà competenza. Pare
opportuno, però, esaminare le ragioni di tali decisioni.
La
Suprema Corte ha, così, evidenziato come “non essendo previsto
alcun meno preventivo per regolare la competenza mediante intervento
immediato della Suprema Corte, questa potrà essere chiamata a
pronunciarsi sulla medesima solo in esito a conftino (Sez. 5, n. 6347
del 25711/1998 - dep. 17/02/1999, Salamone, Rv. 21251201)”. E,
ancora, “è stato, invero, condivisibilmente osservato che le
sentenze relative alla competenza sono sottratte alla regola della
generale impugnabilità per cassazione dall'art. 568 c.p.p. comma 2
in ragione sia della tutela del principio per cui ciascun giudice è
giudice della propria competenza, con l'unico rimedio della
disciplina del conflitto, sia della mancanza di defìnitività della
pronuncia relativa alla competenza, che ha natura meramente
processuale (Cass., 31 ottobre 1990, Canipagnino, in Riv. Pen., 1991,
951; Cass., 18 aprile 1990, Ninivaggi, ibid, 204; vedi, anche, Sez.
1, n. 15792 del 17/01/2011 - dep. 20/04/2011, Campanella, Rv.
24996201)” . Quando al riferimento alla mancata definitività, si
rimanda a quanto sopra evidenziato in merito alla “sorte” che
avrebbe una sentenza sulla quale sia intervenuto un annullamento
(tale è, radicalmente, nel dispositivo), ove venga successivamente
sollevato e accolto un conflitto. Inoltre, se è vero che la
pronunzia non radica definitivamente la competenza nel “nuovo
giudice”, ma si “limita” a negare la propria, non si vede
perchè già tale decisione non debba poter essere immediatamente
giustiziabile; in altre parole, non è la “nuova” attribuzione
che deve poter essere contestata, ma l'affermazione di chi nega la
propria competenza. Inoltre, come si avrà modo di precisare, il
procedimento delineato dalla richiamata pronunzia della Suprema Corte
ha rilevanti conseguenze sulla durata (che ben rischia di divenire
diviene irragionevole) del processo
Quanto alla prima delle
argomentazioni della richiamata sentenza, ovvero l'assenza nel nostro
sistema processuale di un meccanismo di preventivo regolamento di
competenza, deve subito evidenziarsi come tale situazione sia stata
dallo stesso legislatore ritenuta patologica (e lesiva proprio del
principio di ragionevole durata del processo), tanto da imporre di
novellare la materia (e dunque di introdurre quel regolamento
preventivo che non esisteva nel 2019).
Così, l'art. 4, co. 1,
D.Lgs. 150/2022 ha introdotto nel codice di rito l'art. 24 bis, che
prevede il rinvio pregiudiziale, anche d'ufficio, alla Corte di
Cassazione delle questioni concernenti la competenza per territorio,
anticipando il momento in cui la Suprema Corte può e deve essere
investita della risoluzione delle controversie in tema di competenza.
La ratio di tale novella è chiaramente indicata nella Relazione
Finale del 24.5.2021 della Commissione Lattanzi2. A proposito del
rinvio pregiudiziale per la definizione tempestiva delle questioni di
competenza si legge: “Decisamente innovativo è poi il criterio di
delega che propone l'inserimento nel codice di rito penale di un
meccanismo incidentale di rinvio alla Corte per definire questioni
sulla competenza per territorio. Si ritiene che questo rinvio possa
evitare casi, che si sono verificati, in cui l'incompetenza,
tempestivamente eccepita, è stata riconosciuta fondata solo in
Cassazione, con conseguente necessità di dover iniziare da capo il
processo. L’introduzione di un istituto che consente alla Corte di
risolvere in via definitiva la questione relativa alla
competenza,
Così Cassazione, Sez. Il Penale, Sentenza (data ud.
01/02/2019) 01/04/2019, n. 14094.
'La Commissione di studio per
elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema
sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato,
attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C.
2435, recante Delega al Governo per 1’efficienza del processo
penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti
giudiziari pendenti presso le corti d'appello, istituita con D.M.
24.3.21, dal cui lavoro sono nate le disposizioni del D.Lgs. 1f0/22 e
della Riforma Cartabia. mettendo così il processo “in sicurezza”,
risponde evidentemente anche al principio costituzionale
dell'efficienza e della ragionevole durata del processo. Peraltro. al
fine di responsabilizzare il giudice di merito ed evitare potenziali
usi strumentali dell’istituto, si propone che possa operare solo al
cospetto di questioni di una certa serietà”. E' proprio in tale
necessità, lucidamente indicata quale criterio ispiratore della
novella, che deve
individuarsi la possibile soluzione del
quesito sopra posto. Efficienza del processo e ragionevole durata
dello stesso sono, infatti, principi costituzionali strettamente
legati al superiore principio del giusto processo, e come tali devono
necessariamente orientare l'interprete. Giusto processo e ragionevole
durata dello stesso che ricevono, anche, consacrazione e tutela nelle
disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (in
particolare all'art. 6, par. 1).
Il sistema processuale, in tale ottica, non può tollerare una situazione quale quella sopra ipotizzata, ovvero di trovarsi di fronte ad un procedimento che possa rischiare di essere azzerato per possibili questioni afferenti la competenza dopo vari gradi di giudizio (proprio la situazione che la Commissione che ha elaborato la riforma ha descritto come condizione evidentemente patologica e stridente col dettato costituzionale). Da ciò discende che anche la questione di competenza risolta dal giudice di merito (tanto più se tale decisione intervenga, come nel caso di specie, non nella prima fase del procedimento ma in grado di appello, dopo un lungo processo di primo grado) deve poter essere subito portata all'attenzione della Suprema Corte3 che possa, così, definitivamente essere chiamata a risolverla; solo così si possono prevenire ulteriori e gravi lesioni del superiore principio costituzionale di ragionevole durata del processo (che nel presente procedimento ha già subito un grave vulnus, vista la regressione alla fase delle indagini preliminari, rendendo vano un primo giudizio che ha preso le mosse, con la prima udienza preliminare, nel lontano 2016), e non vi sarà il rischio che la ripartenza del processo in alta sede {rectius: del procedimento, atteso che la sentenza rinvia, come corretto che sia, non al Tribunale ma alla Procura presso il Tribunale ritenuto competente) e le possibili “nuove” censure che sollevino il conflitto di competenza determinino il decorso di ulteriori periodi di tempo (si pensi a cosa accadrebbe, come già evidenziato, ove solo nei gradi successivi venga accolta la richiesta di sollevare il conflitto). Il processo non solo può, con una subitanea decisione della Suprema Corte, ma deve essere “messo in sicurezza” per utilizzare le chiarissime parole della Commissione Lattanzi.
' Ove non condivisa da una delle parti processuali, come nel caso che ci occupa è per le parti private odieme istanti — cui è negata, però, la facoltà di direttamente adire la Suprema Corte non essendosi pronunciata la Corte di Assise di Appello sulle statuizioni civili - e, ciò che più rileva e si auspica, è per la parte pubblica, Nè potrebbe ritenersi chc, a tal fine, la soluzione possa essere che la parte che riticne violate, dalla decisione della Corte di Assise di Appello, le regole della competenza e erroneamente applicato l'art. 11 c.p.p. obliteri le proprie censure; in gioco vi è, infatti, un altro fondamentale principio costituzionale, ovvero quello in base al quale a decidere debba sempre essere il giudice naturale precostituito per legge (giudice che è quello del fatto, e che nel caso di specie solo per accidenti successivi — la ritenuta assunzione della qualifica di danneggiato in capo a due magistrati onorari tarantini — dovrebbe subire una eccezione. La competenza del foro tarantino, in altre parole, era sorta e si era radicata con i1faffo di reato, e dunque il giudice naturale predeterminato era quello di Taranto; solo la successiva assunzione, o rivendicazione, da parte di due giudici onorari della qualifica di danneggiato avrebbe determinato la deroga, o meglio l'eccezionale spostamento di competenza dal giudice naturale). Sono, tutti quelli richiamati, principi costituzionali che impongono di ritenere che, già sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della vigente normativa e di una lettura coordinata delle disposizioni alla luce della novella, deve essere consentito di proporre ricorso per Cassazione anche contro la sentenza che annulli quella di primo grado unicamente in punto competenza territoriale.
La lettera de11'art. 568, co. 2, c.p.p., d'altra
parte ben può consentire tale interpretazione adeguatrice e
costituzionalmente orientata, che tenga conto della centralità che
il principio costituzionale e convenzionale di ragionevole durata dcl
processo ha sempre più assunto nel nostro sistema processuale (tanto
da essere il principale faro della recente novella). E, infatti, la
norma, al primo comma, sancisce il principio di legalità e
tassatività delle impugnazioni, disponendo che sia la legge a
stabilire i casi in cui il provvedimento sia soggetto ad impugnazione
e a determinare i tnezzi di impugnazione.
Orbene, l'art. 606
c.p.p., lettera c), ricomprende tra i nioti›'1 di ricorso per
Cassazione quelli attinenti l'inosservanza delle norme processuali
stabilite a pena di nullità; rientrano tra le disposizioni la cui
inosservanza è sanzionata da nullità quelle attinenti le
coiidi-iolii di capacità dei giudice (dalle quali sono escluse
quelle sulle assegnazioni a sezioni, collegi, e giudici, e tra le
quali sono dunque a conti ario da ricomprendere quelle sulla
competenza; d'altra parte proprio la iiullità delle ordinaria-e, con
le quali erano state rigettate le eccezionl di incompetenza, era
stata eccepita con i motivi di appello poi accolti dalla Corte di
Assise di Appello). Regola generale è, dunque, la ricorribilità per
Cassazione in caso di inosservanza di tali disposizioni. Guardando al
suo tenore letterale, allora, il disposto dell'art. 568, co. 2,
c.p.p. non esclude “sempre” la ricorribilità per Cassazione
delle sentenze sulla competenza clie possano dare luogo a conflitti
di
competenza, ma afferma che tali sentenze siano “sempre”
ricorribili (non deroga “sempre” alla regola generale dell'art.
606).
E, allora, tale disposizione deve essere letta
(quanto meno “oggi”, all'esito della riforma del codice di cui
alle disposizioni del D.Lgs. 150/2022 e dunque della necessità di
una lettura coordinata delle disposizioni del codice processuale nel
suo complesso — tutte o molte ispirate all'efficienza e ragionevole
durata del processo, ed in particolare quella di cui a11'art. 24 bis,
che come sopra ricordato introduce un regolamento preventivo di
competenza 4 - e in considerazione del rilievo che la costituzione
vivente sempre più riconosce al principio della ragionevole durata
del processo) non nel senso che nessuna sentenza in tema di
competenza possa essere impugnata ove possa dar luogo a conflitto di
competenza, ma nel senso che che non tutte le sentenze in tema di
competenza possano essere impugnate con ricorso per Cassazione5, e
che debbano comunque poter essere impugnate quelle il cui passaggio
in giudicato sul punto si porrebbe in radicale contrasto con il
principio di ragionevole durata del processo. Così può escludersi
l'impugnabilità che intervenga in sede di udienza preliminare,
quando l'attività processuale è stata significativamente scarsa (in
ossequio al disposto dell'art. 568 co. 2, alcune sentenze in punto
competenza non sono, dunque, ricorribili), ma non può escludersi la
ricorribilità per Cassazione quando l'annullamento della sentenza
intervenga in grado di appello, così comportando una regressione ad
un primo grado già conclusosi; in altre parole, ciò che l'art. 568
c.p.p. può escludere è la possibilità che sia proposto un ricorso
per Cassazione per saltum di cui all'art. 569 c.p.p. (la cui
proposizione per i motivi di cui a11'art. 606 lettera c non sarebbe
altrimenti esclusa), ma non che, secondo le regole ordinarie, la
sentenza di annullamento pronunziata in grado di appello possa essere
impugnata per Cassazione.
La giurisprudenza sopra richiamata,
infatti, interveniva su una complessiva normativa significativamente
diversa, e prendeva infatti le mosse proprio dall'assenza (in allora)
di un mezzo preventivo di regolamento di competenza; mezzo che oggi è
stato introdotto proprio per garantire al sistema efficienza e
ragionevole durata. Ancora, la giurisprudenza prendeva le mosse
dall'assenza di definitività delle sentenze in punto competenza, in
quanto non attributive di competenza ad altro giudice ma solo idonee
a declinare la propria competenza, ma non può essere applicata al
caso di specie, in cui non è dato pienamente comprendere quale
sarebbe la sorte della sentenza oggi annullata ove sia in futuro
sollevato conflitto e tale conflitto sia deciso in favore del giudice
tarantino.
’Laddove, come sopra ricordato, la Suprema Corte
aveva ritenuto l'inammissibilità del ricorso per Cassazione avverso
una sentenza di annullamento per incompetenza proprio in ragione
della generale assenza di un regolamento preventivo di competenza e
in quanto unico rimedio era ritenuto, in allora, il conflitto ex
art5. 28. ’Questo è, d'altra parte, il significato, secondo la
loro connessione, delle parole “sono sempre soggette a ricorso per
Cassazione le sentenze salvo quelle sulla competenza che possano dal
luogo a un conflitto”. Ben può, allora, ritenersi che la sentenza
Gon la quale la Corte di Assise di Appello ha annullato la sentenza
della Corte di Assise di Tarahto, accogliendo le eccezioni di nullità
delle ordinanze con le quali era stata rigettata la questione di
incompetenza ex art. 11 c.p.p., sia ricorribile per Cassazione.
Impugnazione che ai sensi dell'art. 572 c.p.p. gli odierni istanti
chiedono venga proposta da codesta 111.ma Procura Generale.
Diversamente, ove si ritenga che il dettato
dell'art. 568, co. 2, c.p.p., non consenta tale interpretazione
costituzionalmente orientata, non resterebbe che sollevare questione
di legittimità costituzionale del disposto dell'art. 568, co. 2,
c.p.p., nella parte in cui esclude(rebbe) dalla ricorribilità per
Cassazione le sentenze sulla competenza che possono dare luogo a
conflitto di competenza, per violazione dei principi del giusto
processo e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111,
co. 2, Costituzione e 6, par. 2, CEDU (con conseguente violazione
dell'art. 117 Costituzione).
IN PUNTO COMPETENZA
Quanto alla questione relativa alla competenza del territorio, gli odierni istanti ritengono che questa fosse stata correttamente ab origine radicata nel foro tarantino, e che non sono intervenuti successivamente mutamenti della parti processuali o procedurali tali da imporre l'applicazione del disposto di cui all'art. 11 c.p.p. Le considerazioni a sostegno di tale tesi sono quelle già svolte dalla Procura Generale nel corso del procedimento (in particolare all'udienza del 21.06.24) e dalle parti civili, per cui pare sufficiente operare quanto ad esse, un integrale richiamo. Alcune considerazioni possono, comunque, essere svolte con riferimento alla motivazione della sentenza avverso la quale si chiede venga proposto ricorso.
La Corte di Assise di Appello, ne11'accog1iere l'eccezione, ha fatto riferimento alla posizione di due soggetti, l'avv. Giacovelli, che aveva esercitato le funzioni di Giudice di Pace dal 1994 al 2015, e si era costituito parte civile all'udienza de1 17.5.2016 (avendo successivamente revocato la sua costituzione), e a quella del dr. Cassetta, che aveva ricoperto la funzione di componente esperto della sezione agraria dal 1981 al 2005, e si era costituito alla medesima udienza del dr Giacovelli. La Corte di Assise di Appello ha, inoltre, ritenuto di conferire rilievo anche ad un atto di diffida e messa in mora del 21.10.2010 con il quale l'avv. Giacovelli aveva chiesto ad Ilva il risarcimento del danno ai suoi terreni conseguente alle immissioni nell'aria di inquinanti (sarebbe, dunque, con tale atto che l'avv. Giacovelli avrebbe assunto la qualità di danneggiato). La Corte ha, al contrario, ritenuto infondate le ulteriori censure svolte negli atti di appello (e relative alla posizione di un altro giudice di pace, il dr. Russo, e — semplificando le argomentazioni, che sono state comunque rigettate - della generalità dei “magistrati tarantini”, che avrebbero assunto il ruolo di danneggiati per il solo fatto di essere residenti e di svolgere attività lavorativa a Taranto), il che esime gli odierni istanti dal dover entrare nel merito di tali ulteriori argomentazioni.
La Corte di Assise di Appello ha innanzi tutto, condivisivamente, ritenuto di dover qualificare sia il Giacovelli che il Cassetta danneggiati, e non persone offese, da1 reato, qualità che essi hanno assunto con la rivendicazione del danno in occasione della costituzione di parte civile (tale è l'interpretazione che la stessa Corte afferma di condividere). Il Giacovelli, inoltre, avrebbe assunto tale qualità già con l'atto di diffida e messa in mora, avendo con quel1'atto formalmente avanzato la richiesta di risarcimento.
A parere della Corte, dunque, ciò che rileva è la qualifica di magistrato, in capo al danneggiato, al momento del fatto, tale essendo il momento determinante ai fini dell'attribuzione della competenza. Tale soluzione, inoltre, ancorerebbe la determinazione della competenza a criteri oggettivi di tempo e di luogo, sottraendola a comportamenti o accidenti successivi al fatto.
A sostegno delle conclusioni cui ritiene di dover
giungere la Corte di Assise di Appello richiama Cass. Pen., Sez.I
Penale, sent. 16.6.2009, dep. 15.07.2009, n. 28889, in cui si legge
che “Assolutamente irrilevante, ai fìni della determinazione della
competenza (...) è dunque la circostanza che all'atto della
declaratoria di incompetenza avesse dismesso tali funzioni, giacché.
da un lato, la regola di determinazione della competenza è
originaria, e lla riguardo perció all'esercizio dell'azione penale e
alla instaurazione del procedimento; dall’altro, come appare palese
dal coordinamento logico del comma 1 con l'art. 11 c.p., comma 2, è
sufficiente a determinare lo spostamento di competenza il fatto che
la parte venga ad esercitare le funzioni di magistrato nel medesimo
ufficio giudiziario in un qualsiasi momento successivo al fatto per
cui si procede”. A ben vedere, e a leggere l'interapronunzia, si
versava in una situazione affatto diversa da quella che ci occupa: la
vicenda era, infatti, relativa ad un giudice di pace persona offesa
(e non mero danneggiato). che aveva cessato le sue funzioni dopo il
fatto. Orbene, la sua qualità processuale era evidentemente già
sussistente e non meramente ipotetica; dunque ben poteva ab origine
individuarsi il giudice competente anche in forza dell'art. 11 c.p.p.
Un sacrificio del principio del giudice naturale / giudice del fatto
che ben avrebbe potuto e dovuto immediatamente realizzarsi senza
ledere il principio di ragionevole durata del processo; la necessaria
terzietà sostanziale e formale del giudicante ben poteva
giustificare l'eccezione. Diversa è, però, la situazione nella
quale il soggetto si appalesi ed assuma la qualità (non di persona
offesa, ma) di mero danneggiato solo a distanza di tempo del fatto e
quando ha cessato le sue funzioni. Qui, infatti, la deroga al
principio de1 giudice naturale precostituito opera non solo a
distanza temporale dal dal fatto, ma anche e necessariamente a
processo iniziato (tanto più trattandosi di normativa previgente
alla riforma Cartabia, che ha anticipato all'inizio dell'udienza
preliminare il termine per la costituzione di parte civile; in
precedenza, infatti, la costituzione poteva legittimamente
intervenire dopo l'udienza preliminare6).
Quando (come nella
fattispecie risolta dalla sentenza del 2009) si tratta di magistrato
persona offesa, al contrario, egli tale era (parte procedurale) sin
dalla commissione del fatto, già individuata ed inviduabile;
dunque,la regola di cui all'art. 11 era ab origine applicabile; può
ritenersi che “precostituito per legge” fosse già il diverso
giudice. Al contrario, non può ritenersi irrilevante se la
costituzione come parte civile della persona danneggiata (tanto più,
come riconosciuto dalla stessa Corte di Appello, in un reato
ambientale nel quale il “danneggiato” vi è solo se ed in quanto
si palesi partecipando al procedimento) intervenga quando il soggetto
è “ancora” un magistrato ovvero quando ha definitivamente
cessato tale funzione (in ipotesi anche da molto tempo, come ad
esempio nel caso che ci occupa il dr. Cassetta, e dunque quando non
sarebbe ragionevole ritenere che la sua presenza come danneggiato
possa realisticamente interferire con la terzietà del giudice); ciò
che occorre adeguatamente considerare è, infatti, che solo in quel
momento egli assume la qualità di danneggiato (rectius: vanta tale
qualifica, con la costituzione di parte civile avendo così assunto
la relativa qualità processua1e)7. Infatti, una siffatta conclusione
comporterebbe un irragionevole sacriEcio del principio di efficienza
e di ragionevole durata del processo, in ragione di una (ormai)
insussistente motivo di cautela. La Suprema Corte, proprio con
riferimento al caso di specie, con la sentenza n. 50848/2018
(richiamata nella stessa sentenza della Corte di Assise di Appello
avverso la quale si chiede venga proposto ricorso per Cassazione), ha
chiarito che l'attribuzione della qualifica di soggetto danneggiato
deve necessariamente acquistare “una qualche valenza processuale:
ciò che può verificarsi attraverso la domanda risarcitoria
formulata da chi assuma di aver patito un danno, che nel processo
penale si.
Ben avrebbe potuto un ex magistrato onorario
costituirsi solo in dibattimento, e dunque solo in tale fase far
insorgere la possibile questione in tema di competenza. 7A nulla
rileva, in tal senso, che il secondo comma dell'art. 11 estenda
l'incompatibilità al caso del magistrato che venga ad esercitare le
funzioni nel distretto determinato ai sensi del primo comma
successivamente al fatto; in questa ipotesi, infatti, ad avere
precipuo rilievo è proprio che egli sia “ancora” magistrato
quando esercitando le funzioni nella nuova sede. Tale disposizioni,
dunque, conferma la rilevanza della perdurante appartenenza,
successivamente al fatto, alla magistratura. realizza con la
costituzione di parte civile, ovvero attra›!ei› o mia de•sci
i-torre del fatto, attra›!ei‘so l'editto imptitativO, C/ie
configni i la possibile lesione di mia posizione giuridica riferibile
ad nn determinato soggetto”. Escluso che con riferimento ai yavi
delitti ambientali oggetto del presente
procedimento vi siano
soggetti privati che assumano necessariamente la qualifica di persone
offese,
la Corte ci ricorda, in altre parole, che ciò che
rileva é l'assunzione della qualifica di danneggiato che possa
essere riconosciuta nel processo feriale, il che avviene con la
costituzione di parte civile.
Vero è che la disposizione di cui
all'art. 11 c.p.p. fa riferimento sia al magistrato persona offesa
che al magistrato danneggiato dal reato, ma presupposto é pur sempre
che egli abbia nel procedimento “assunto la qualità”. Al fine di
individuare il corretto perimetro di applicazione della predetta
normativa, occorre, allora, far ricorso ai caratteri fondamentali e
distintivi delle due figure (persona offesa e danneggiato) e alle
caratteristiche della loro presenza nel procedimento, ovvero del
momento in cui essi “assumono” la qualità richiesta. Se al
momento di assumere la qualifica processuale essi sono magistrati,
dovrà ritenersi operativa l'eccezione di cui all'art. 11; in caso
contrario non vi è ragione di derogare al principio costituzionale
del giudice naturale precostituito'.
E, infatti, come
lucidamente chiarito dalla Suprema Corte “la persona offesa dal
reato non si identifica con quella danneggiata dal reato, in quanto
la prima costituisce iiii elemento che appartieiie alla sti uttui a
del i cato, mentre il da/ii7eggia/o è poi tatore di interessi
connessi alle conseguen -e Qt i›!atisticl e dell'illecita penale”
(Cass. Pen. 43131/2019). La persona offesa, dunque, assume tale
qualifica nel momento stesso in cui viene commesso il reato (nel
momento in cui viene leso l'interesse di cui é portatrice con la
commissione del reato); si potrebbe in altre parole affermare che la
persona offesa è sogqetto immanente al procedimento (nel senso che
tale parte sorge con la commissione del fatto così come descritto
con la stessa formulazione dell'ipotesi di lesione del bene).
Diversamente, la figura del danneggiato — come sopra ricordato —
è tutt'altro che immanente, e sussiste nel procedimento (assume tale
qualifica) solo nel momento in cui nel procedimento penale si palesi.
Solo con la rivendicazione, nel processo penale, del danno il
soggetto assunte la qualifica processuale (rectius: procedurale) di
danneggiato del reato così come descritto ne1l'editto imputati o. Il
riferimento, nell'art. 11 c.p.p., al magistrato “persona offesa o
danneggiato”, dunque, non può valere a superare quella necessaria
differenziazione del danneggiato “c/ie abbia assunto tale
qualifica” nel.
Anzi, come sopra ipotizzato, la diversa competenza somme, nel caso di magistrato persona offesa, sin dal fatto, e l applicazione dell'art. 11 non determina uno spostamento “successi o” di competenza, che si dovrebbe subito radicare nella sede tabellarmente determinata; nel caso di magistrato danneggiato (tanto più per reati quali quelli che ci occupano, nei quali come precisato dalla giurisprudenza non è possibile predeterminare quali siano i danneggiati essendo necessaria una loro rivendicazione processuale di tale qualità, al contrario, la successiva assunzione da parte sua della qualità di danneggiato determina una effettiva dcropa successi a e spostaiiiento successi o alla regola costituzionale.
procedimento e chi abbia genericamente potuto
subire o abbia in ipotesi subito un danno dal medesimo fatto (ciò
che la stessa Corte di Assise di Appello esclude per i “magistrati
tarantini”). E, allora, quel richiamo vale a riconoscere la
necessità di porre una eccezione alla regola della competenza quando
il magistrato non, genericamente, abbia subito un danno o possa
vantare di averlo subito, ma solo quando egli, nel processo penale e
mediante la costituzione di parte civile, abbia dichiarato di volerlo
vedere risarcito. In altre parole, il riferimento nella disposizione
dell'art. 11 alle due figure (persona offesa e danneggiato) consente
a chi debba decidere se applicare il disposto dell'art. 11 di
superare la necessità (che altrimenti ci sarebbe stata) di
verificare, a fronte di una costituzione di parte civile, se il
soggetto si costituisca in quanto persona offesa o in quanto
danneggiato (è sufficiente, per l'operatività de1l'art. 11, che
egli sia parte civile). Così la persona offesa è tale
indipendentemente dalla sua effettiva partecipazione al procedimento
ed è tale anche nella fase delle indagini preliminari; il
danneggiato, proprio in quanto non immanente, esiste (assume tale
qualità) nel procedimento solo nella sua fase processuale, con la
costituzione di parte civile.
Quanto sopra consente di affermare
che né il l'avv. Giacovelli né il dr. Cassetta erano magistrati al
momento in cui si sono costituiti e dunque nel momento in cui hanno
“assunto” la qualità processuale di danneggiati, con la
conseguenza che non può in ragione della loro costituzione il
criterio di cui all'art. 11 c.p.p.
Con riferimento alla posizione de11'avv.
Giacovelli, invero, la Corte di Assise di Appello valorizza anche il
pregresso atto di diffida e messa in mora inviato a Ilva; tale atto
consentirebbe di far “retroagire” a tale momento l'assunzione
della qualità di danneggiato, con conseguente operatività della
disposizione di cui all'art. 11 (atteso che all'epoca egli era
“ancora” magistrato).
In primo luogo tale conclusione pare
del tutto estranea alla previsione normativa, che richiede comunque
che la qualità di danneggiato venga comunque “assunta”,
evidentemente nel procedimento penale (il cui perimetro, inoltre, è
quello determinato dal capo di incolpazione provvisorio prima e di
imputazione dopo; egli deve essere danneggiato nel
procedimento/processo, per per il fatto di reato così come
contestato, e non di danni in ipotesi anche diversamente descritti e
qualificati). Ma, in ogni caso, deve rammentarsi che l'avv.
Giacovelli ha revocato successivamente la costituzione di parte
civile, perdendo nel procedimento penale quella qualità di
danneggiato che aveva assunto con la costituzione. E, deve rilevarsi,
gli odierni istanti ritengono — contrariamente a quanto osservato
dalla Corte di Assise di Appello, cfr. p. 229 — che a nulla rilevi
che con la revoca delle costituzione di parte civile il Giacovelli
non abbia (anche) rinunciato al diritto sostanziale sotteso; ciò che
rileva non può essere, infatti, l'ipotetica possibilità che il
soggetto/magistrato possa in futuro invocare il diritto, q›aanto
piuttosto che egli nel processo penale eserciti tale
diritto.
Diversamente argomentando dovrebbe concludersi che la
mera esistenza di ipotetici magistrati/danneggiati (lo si ripetete
nuovamente: diverso sarebbe nel caso di persona offesa) i quali
possano astrattamente in futuro esercitare l'azione (i “magistrati
tarantini”, nel caso di specie, che potrebbero in futuro
rivendicare risarcimenti) imporrebbe l'applicazione dell'art. 11 (ma
è ciò che la stessa Corte di Assise di Appello ha radicalmente
escluso), a meno che essi (e ognuno di essi) non abbia espressamente
rinunciato ad ogni azione risarcitoria’. Ci si allontanerebbe,
così, da tutti quei principi che appaiono essere consolidati nel
perimetrare l'applicabilità della deroga al principio
costituzionale.
E' proprio il caso dell'avv. Giacovelli a
dimostrare, al contrario, che ciò che rileva è se il soggetto fosse
magistrato al momento in cui ha assunto la qualità di danneggiato, e
che tale qualità egli rivesta formalmente nel processo penale, a
nulla rilevando se egli potrà in futuro vantare (che non è averne
diritto) risarcimenti del danno.
A parere degli scriventi, dunque, ben può
ritenersi che in violazione di quanto disposto dall'art. 11
c.p.p.
la Corte di Assise di Appello abbia ritenuto l'incompetenza della
Corte di Assise di Taranto e ordinato la trasmissione alla Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Potenza.
Per tutti i
suesposti motivi, ritenendo la ricorribilità in Cassazione della
sentenza n. 6/2024 della Corte di Assise di Appello di Taranto da
parte della Procura Generale della Repubblica di Taranto, e fondate
le argomentazioni svolte quanto alla competenza del foro di Taranto e
della insussistenza dei motivi per la declaratoria di incompetenza di
cui all'art. 11 c.p.p., gli scriventi chiedono che codesta 111.ma
Procura Generale della Repubblica voglia proporre ricorso per
Cassazione.
Torino-Taranto, li 14 ottobre 2024.
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