da ORE12/Controinformazione rossoperaia del 19.11.25
Dal 19 novembre si stanno facendo assemblee e scioperi all'interno dell'intero gruppo ex ILVA come risposta dei sindacati, tutti, al fallimento dell'ulteriore incontro convocato dal governo per la giornata del 18/11. Qui il governo non ha portato nulla di nuovo, se non aver accolto, a suo modo, la richiesta dei sindacati di non estendere la cassa integrazione. Il governo ha detto che i numeri della cassa integrazione potrebbero rimanere gli stessi fino a febbraio, mentre i soldi risparmiati con l'ulteriore cassa integrazione verrebbero investiti in corsi di riqualificazione di 60 ore. Chiaramente si tratta di un palliativo, di un rinvio di ciò che doveva cominciare a succedere da oggi a febbraio, e su questo i sindacati tutti presenti al tavolo hanno detto di NO. Così come il governo ha cercato ulteriormente di allettare, facendo balenare come sempre l'esistenza di un ulteriore possibile compratore, in questo caso si è passati dal Qatar agli Emirati Arabi come dicono le indiscrezioni, e di un possibile inserimento nella nuova società risultante da questo passaggio di Arvedi. Naturalmente si tratta pur sempre di voci fondate sull'interlocuzione che il governo sta procedendo, visto la sostanziale inaccettabilità dei piani presentati dal fondo di investimento americano. I sindacati hanno fatto la voce grossa in questa occasione, hanno parlato di rottura e hanno indetto 24 ore di sciopero che a Genova cominciano con un'assemblea. Anche noi siamo d'accordo che si vada allo sciopero generale in tutti gli stabilimenti, siamo d'accordo che si parta con assemblee che diventino già forme di lotta e che al blocco della produzione in tutti gli stabilimenti seguano il blocco di strade, di città, per rendere sempre più chiara l'emergenza che colpisce i lavoratori di tutti gli stabilimenti e di conseguenza le ditte dell'appalto e l'indotto di tutta l'intera ex ILVA. Così come siamo d'accordo sullo sciopero, però continuiamo a non essere d'accordo sul fatto che l’ILVA venga svenduta o regalata ai patroni privati, americani, fondi arabi che siano o produttori italiani che entrino e nello stesso tempo questa venga in un piano di sostanziale trasformazione progressiva di una sorta di cassa integrazione permanente in esuberi strutturali che possono arrivare a seconda il tipo di situazione fino a 5.000 operai e, soprattutto, che colpisca in forma decisiva lo stabilimento di Taranto. Riteniamo che a questo bisogna opporre una piattaforma operaia, che i sindacati faticano a raccogliere come indicazione e a realizzare con le assemblee dei lavoratori, che abbia come punti fermi: nessun esubero e l'utilizzo degli operai che non possono rientrare immediatamente nella produzione, nel lavoro delle bonifiche dello stabilimento e dell'area. Non ci sono alternative a questa proposta e neanche i sindacati le devono fare sia agitando, come complemento degli ammortizzatori sociali, gli esodi incentivati, i pensionamenti che sono forme mascherate, in realtà, di accettazione di un massiccio esubero, queste forme sarebbero attenuative di questo piano di esuberi. Così non ci stiamo al gioco della cosiddetta “trasformazione” dell'ILVA in forni elettrici, DRI e alimentazione a gas perché in ogni caso questa soluzione produce esuberi, in ogni caso il transito a questa soluzione passa a una cassa integrazione più o meno permanente e in ogni caso queste soluzioni non garantiscono né il futuro degli operai, né la loro stabilizzazione in termini di lavoro, salario, né l'effettiva verifica se queste soluzioni producono realmente migliori condizioni di sicurezza in fabbrica e minor inquinamento per la città. Dietro queste cose c'è la logica della corsa al massimo profitto che si basa sempre sull'intensificazione dello sfruttamento e sulla riduzione, perché dalle aziende comunque vengono considerate un costo delle norme di sicurezza e la continuità delle ricadute sull'ambiente.
Per di più si vuole in realtà con una ristrutturazione mettere in condizione di un’ILVA di Taranto in particolare molto ridimensionata, circondata da una serie di pseudo false nuove attività in un deserto fatto di cassintegrati e di lavoratori costretti di fatto a forme di abbandono tramite gli esodi incentivanti. Su questo piano invece è possibile opporre a tutto questo oltre che il blocco di licenziamenti e degli esuberi che per noi è una condizione strutturale, un effettivo piano di ambientalizzazione e di risanamento della zona industriale che possa realmente occupare all'interno di un unico piano, con un unico interlocutore, l'intera platea dei lavoratori. Così come va presa in considerazione la leva della riduzione del lavoro a parità di salario che permetta di aumentare in ogni caso il numero degli operai occupati. Un altro elemento importante della piattaforma operaia è il controllo rigido di parte operaia delle condizioni di sicurezza e di fuoruscite di sostanze nocive dall’azienda. Insistiamo per una postazione interna alla zona industriale di carattere ispettivo che svolga una funzione di deterrenza permanente e di punto di riferimento delle quotidiane denunce - che non mancano anche in queste ore - dell'effettivo stato dell'impianto. Quando parliamo di ILVA dobbiamo parlare di una platea generale di lavoratori che comprende gli operai diretti e gli operai dell'appalto perché proprio sugli operai dell'appalto che stanno lavorando fondamentalmente ai piani di manutenzione necessari in questa fase sono però divisi in una giungla di contratti in cui la committente, le Acciaierie, spingono verso i contratti multiservizi, verso il lavoro a chiamata, verso il tempo determinato creando quindi una massa di operai ricattati dal lavoro e utilizzati con estrema flessibilità nell'esclusivo interesse di Acciaierie e dei padroni piccoli e grandi che, a loro volta, lamentano i ritardi di pagamento e la riduzione delle commesse da parte di Acciaierie che produce già cassa integrazione e licenziamenti ma anche ritardi nei pagamenti degli stipendi e condizioni di precarietà che si traducono anche in un maggior pericolo di infortuni. Quindi noi siamo perché venga risolto tutto assieme il problema dell'Acciaierie con il problema delle ditte d'appalto, andando verso una parità di condizione, verso il contratto unico, andando verso la stabilizzazione di un'integrazione alla cassa integrazione che governo e padroni danno già agli operai dell'ILVA che assicurano, promettono e così via, mentre gli operai dell'indotto effettivamente la cassa integrazione si traduce in un taglio netto e progressivo dei salari, un'integrazione che avvicini sempre più, soprattutto quando essa è prolungata, il salario dei lavoratori al salario normale e che questa integrazione debba essere necessariamente per tutti gli operai di acciaierie e dell'indotto. Su queste rivendicazioni è necessario fare muro e partire da esse e quindi verificare le proposte opposte dal governo alla luce di tutto questo. I sindacati non possono entrare più di tanto nella scelta del padrone, perché significa legarsi mano a piedi alla scelta del padrone. L'hanno già fatto, perché non dimentichiamo che tutto il periodo ArcelorMittal gestito dalla Morselli è partito da un accordo nel 2018 che ha messo fuori 2.500 operai di cui 1.600 tutt'ora cassa integrati a vita e senza effettive prospettive di rientri, un accordo firmato da tutti i sindacati e dalla stessa USB che solo in una fase successiva, a fronte della pressione e della denuncia - anche nostra - ritirò la firma, ma a cui non è corrisposto alcun risultato concreto per i lavoratori. Di conseguenza, andare ad un accordo tipo quello del 2018 che sembra essere alla fine la massima aspirazione dei sindacati non è la soluzione ma è appunto una linea perdente che rende la stessa lotta sindacale non una soluzione, ma una parte del problema. Naturalmente intendiamo la lotta sindacale diretta dagli attuali sindacati maggioritari in fabbrica, i tre sindacati confederali e la stessa USB. In questo senso lavoriamo perché con la fase di “scontro”apertasi possa aprire la strada effettivamente a un'alternativa sindacale di classe nella lotta, soprattutto a Taranto, che richiede autonomia operaia, organizzazione, linea di classe in questa lotta, tutela del salario, del lavoro, delle condizioni di lavoro e una decisa assunzione di responsabilità nei confronti dei problemi di inquinamento e salute ricadenti sull'intera città. Gli ostacoli principali a questa soluzione, oltre che la linea dei sindacati maggioritari presenti in fabbrica , è l'esistenza di un ambientalismo antioperario che raccogliendo le giuste esigenze di una città colpita pesantemente dai processi inquinanti che la gestione capitalistica dell'ILVA ha prodotto, da Riva ad ArcelorMittal, però insiste per una chiusura a fabbrica che è una cancellazione della classe operaia e quindi è un'oggettiva convergenza con i piani del governo e dei nuovi padroni. Di questo si fa sponda l'amministrazione comunale e il sindaco che, insistendo per un accordo di programma che accetti i massicci esuberi dall'ILVA, indirizzando il verso fumose attività parallele anche se senza futuro in realtà e all'insegna del profitto e della precarietà, diventa anche esso un alleato oggettivo attuale del governo. Ambientalismo antioperario e amministrazione comunale e regionale sono un’alleanza oggettiva volta all'isolamento della classe operaia, volta a favorire l'affermazione dei piani dei padroni e sicuramente non a fare fronte comune con gli operai ma ad esserne parte del fronte padronale. È una fase, quindi, complessa, difficile, a cui non aiutano gli attuali livelli di coscienza dei miei operai e la passivizzazione che la linea perdente dei sindacati confederali ha prodotto nelle file operaie, che anche ora che chiamano a uno sciopero e a tutto il resto, il senso di sfiducia, di attesa diffuso tra i lavoratori l'abbassamento dei livelli di coscienza e di organizzazione diventano una controtendenza che non permette che neanche gli stessi scioperi indetti dai sindacati confederali e USB abbiano un'effettiva riuscita in termini di partecipazione e combattività operaia. In questo periodo deve maturare l'alternativa di classe, il sindacalismo di classe e la piattaforma operaia, unica speranza, non solo di fermare il piano di padroni e governo, ma anche di ridare un peso, un protagonismo, alla classe operaia che possa essere di punto di riferimento su tutti i problemi della città, salute, sicurezza, servizi sociali, lavoro. Questa è la sfida per cui noi stiamo lavorando come Slai Cobas per il sindacato di classe e la sfida che deve essere raccolta, speriamo prima da una minoranza in seno la fabbrica e successivamente che possa diventare un'alternativa all'attuale linea dei sindacati confederali e dei loro oggettivi alleati.

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