Il gip del tribunale di Taranto, che ha respinto l'istanza dell'Ilva di
reimmissione nel possesso dei prodotti finiti e semilavorati sequestrati il
26 novembre scorso. L'istanza era stata presentata una settimana fa
dall'Ilva alla procura sulla base del decreto legge varato il 3 dicembre.
Secondo il gip
che ha recepito il parere negativo dei pm il provvedimento
governativo non ha effetto retroattivo: "Il divieto di retroattività della
legge - scrive il gip - è fondamentale valore di civiltà giuridica e
principio generale dell'ordinamento". La dottoressa Todisco, citando
l'articolo 3 del decreto legislativo, rileva che "la norma impone di
escludere radicalmente che si sia voluto attribuire efficacia retroattiva
alla disposizione". Per questo motivo il giudice non ha concesso il
dissequestro: sotto chiave rimangono 1 milione e 700mila tonnelate di coils,
tubi e bramme per un valore stimato in quasi 1 miliardo di euro. Il
sequestro è scattato perchè quell'acciaio era ritenuto provento
dell'attività degli impianti dell'area a caldo dopo i sigilli scattati lo
scorso 26 novembre per l'emissione di veleni industriali.
La decisione ha scatenato l'immediata reazione delll'Ilva, con una nota,
annuncia: andranno a casa con effetto immediato quasi 4000 operai. "A
seguito del rigetto odierno da parte del Gip della richiesta di Ilva
dell'applicazione del decreto legge 207 del 3 12 2012, Ilva comunica le
drammatiche conseguenze che tale decisione comporta per i livelli
occupazionali e per la situazione economica dell'azienda - scrive l'azienda
del gruppo Riva - Da ora e a cascata per le prossime settimane circa 1.400
dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a
freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. Il numero di
questi lavoratori si andrà a sommare ai 1.200 dipendenti già attualmente in
cassa Integrazione per le cause già note quali la situazione di mercato e le
conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo
scorso 28 novembre". Il riferimento immediato, dunque,
è a 2600 dipendenti.
"Ma si fermeranno - prosegue la nota dell'Ilva - poi a catena gli impianti
Ilva di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell'Hellenic Steel di
Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in
Francia, nonchè tutti i centri di servizio Ilva, quali Torino, Milano e
Padova, nonchè gli impianti marittimi di Marghera e Genova. Tutto ciò
comporterà, in attesa di ricostituire la scorta minima per la ripresa dei
processi produttivi, una ricaduta occupazionale che coinvolgerà un totale
di circa 2500 addetti. Le ripercussioni maggiori si avranno a Genova e Novi
Ligure dove nell'arco di pochi giorni da oggi, saranno coinvolte circa 1.500
persone (1.000 su Genova e 500 su Novi Ligure)". E' così che la minaccia si
allunga su un totale di circa 4000 addetti.
"Naturalmente - conclude l'Ilva - l'azienda ricorrerà al Tribunale del
Riesame confidando cha la situazione possa essere sbloccata al più presto,
per evitare oltre al danno derivante dalla mancata consegna dei prodotti già
ordinati e non rimpiazzabili in alcun modo, anche il danno relativo
all'eventuale smaltimento di tali prodotti che, l'azienda ricorda, sono
prodotti deteriorabili".
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lo slai cobas per il sindacato di classefa appello agli operai di tutti gli
stabilimenti ilva a respingere la decisione dell'azienda e a riaffermare
che lavoro e salute si difendono e si impongono con la lotta per la messa a
norma dell'ilva di taranto con gli operai in fabbrica e i padroni in galera
vanno respinti i tentativi dell'azienda di mettere gli operai contro le
esigenze di salute dei cittadini
di taranto, ma anche quelli in corso di mettere i cittadini contro gli
operai che lottano per il posto di lavoro
slai cobas per il sindacato di classe
slaicobasta@libero.it
347-5301704
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