Fiat, Cassazione sì
all’assunzione di 145 operai con tessera Fiom
Il verdetto della Suprema Corte su questa controversia
di lavoro è stato depositato oggi. Inammissibile il ricorso dell’azienda dopo
la cessione dello stabilimento a Fiat Group. Confermato il verdetto della Corte
di Appello di Roma che aveva ritenuto discriminatorio non riassumere i
metalmeccanici iscritti alla sigla guidata da Maurizio Landini
Confermato,
dalla Cassazione, il diritto all’assunzione di 145 operai con la tessera della Fiom
nella fabbrica della Fiat di Pomigliano, così
come era stato stabilito dalla Corte di Appello di Roma che, il 19 ottobre del 2012, aveva
ritenuto discriminatorio non riassumere i metalmeccanici iscritti alla sigla
guidata da Maurizio Landini. Il verdetto della Suprema Corte su
questa controversia di lavoro è stato depositato oggi. Inammissibile il ricorso
dell’azienda dopo la cessione dello stabilimento a Fiat Group.
Già
il 21 giugno dell’anno scorso il tribunale di Roma aveva condannato l’azienda
automobilistica per
discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano. Il sindacato aveva fatto
causa al Lingotto sulla base di una normativa specifica del 2003 che recepisce
direttive europee sulle discriminazioni.
Alla data
della costituzione in giudizio su 2.093 assunti da Fabbrica Italia
Pomigliano nessuno risultava iscritto alla Fiom. In base a una simulazione
statistica affidata a un professore di Birmingham le possibilità che ciò
accadesse casualmente risultavano meno di una su dieci milioni. Il segretario
generale della Fiom, Maurizio Landini, aveva agito per conto di tutti i 382
iscritti alla sua organizzazione e a questa cifra aveva fatto riferimento il
giudice di primo grado ordinando all’azienda di assumere le tute blu.
Senza
entrare nel merito della vicenda, i supremi giudici hanno bocciato come
“inammissibile” il ricorso della Fiat in quanto proposto ancora in qualità di
‘Fabbrica Italia Pomigliano’ (Fip) nonostante, il primo marzo del 2013, ci sia
stata la cessione dello stabilimento campano incorporato nella ‘Fiat
Group Automobil’ (Fga). Era stata la stessa Fiom – che ha chiesto agli
‘ermellini’ di tenere ferma la sentenza d’appello – ad eccepire, con una
apposita memoria, “l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza
dell’interesse ad agire, stante l’avvenuta cessione, a far data dal primo
marzo 2013, da parte della Fip ed a favore della Fga, del complesso aziendale
sito in Pomigliano d’Arco”.
Ad avviso
della Suprema Corte, la Fip “non essendo più proprietaria dello stabilimento
presso il quale avrebbero dovuto essere effettuate le ulteriori assunzioni di
affiliati alla Fiom, ovvero presso il quale già siano state effettuate le
assunzioni dei lavoratori nominativamente indicati, non ha più alcun concreto
ed attuale interesse alla rimozione delle statuizioni rese nell’ordinanza
impugnata”.
Questo, in
primo luogo, perchè Fip, “in alcun modo potrà conseguire un pregiudizio dal
mantenimento presso il suddetto stabilimento dei lavoratori assunti (che erano,
prima dell’assunzione, dipendenti della Fga e che tali sono tornati ad essere a
seguito della cessione)”. Poi perché Fip “non potrà procedere ad ulteriori
assunzioni presso il medesimo stabilimento di altri dipendenti della Fga
affiliati alla Fiom”. Infine perché Fip “non potrà conseguentemente essere
ulteriormente destinataria dell’ordine di cessare dal ritenuto comportamento
discriminatorio e di rimuoverne gli effetti”.
La
Cassazione, dato che la decisione di questa causa ha risentito delle
“circostanze fattuali sopravvenute alla proposizione del ricorso” – ossia la
cessione di Fip a Fga dopo la sentenza d’appello – e anche “avuto riguardo alla
complessità delle questioni svolte”, ha deciso la “compensazione” delle
spese tra l’azienda e il sindacato che le pagheranno metà ciascuno. Di diverso
avviso era stata la Procura della Cassazione, rappresentata da Marcello
Matera, che aveva chiesto il rigetto del ricorso di Fip ritenendo evidentemente
infondata la tesi aziendale che riteneva che la decisione d’appello avesse leso
la libertà di scelta dell’imprenditore e che i lavoratori non possono essere
tutelati rispetto alle loro “opinioni personali di natura politica o di altro
genere”, ma solo con riferimento alle loro “convinzioni personali” come quelle
basate “su determinate credenze religiose o ad esse assimilabili”.
“Eravamo
convinti di essere di fronte ad una discriminazione – ha sottolineato Andrea
Amendola, segretario generale della Fiom di Napoli -, le sentenze ci hanno
dato ragione e la Cassazione lo fa in maniera definitiva. Ora si tratta solo di
porre rimedio nel più breve tempo possibile, in quanto la discriminazione è
continuata anche dopo lo scioglimento della newco, con i nostri operai
rimasti sempre in cassa integrazione, senza essere stati chiamati a
lavorare nel settore ‘A’, quello che non è toccato dalla cig” e dove si produce
la Panda.
Di diverso
parere, naturalmente, la Uilm Campania che con Fiat ha siglato contratti senza
la Fiom. “Per i lavoratori – ha detto il segretario generale Giovanni
Sgambati – secondo me non cambia nulla, in quanto con il riassorbimento
della newco tutti sono tornati nella stessa società, e non si devono fare
assunzioni: Fabbrica Italia Pomigliano non esiste più. Questo è la
dimostrazione di quanto la giustizia sia lenta rispetto
all’evolversi della società dal punto di vista economico, e quindi di quanto
sia meglio per un sindacato fare accordi che ricorrere ai tribunali”.
Il verdetto
della Suprema Corte su questa contrapposizione – sul tema della libertà
ideologica tutelata dalla direttiva comunitaria n.78 del 2000 – che ha segnato
un momento di tensione altissima tra la casa automobilistica e le tute blu
della Fiom, è contenuto nella sentenza 5581 (presidente Fabrizio Miani
Canevari, relatore Gianfranco Bandini). L’udienza si era svolta lo scorso 11
febbraio, ma la decisione si è appresa – come sempre avviene nel settore civile
– solo con la pubblicazione delle motivazioni.
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