Caso Ilva,
dissequestrate le quote dei Riva in Alitalia
Nessuno le aveva reclamate eppure non si tratta di una manciata di spiccioli ma di quote che, almeno nominalmente e in attesa che la situazione in via della Magliana si chiarisca, hanno un valore di carico di ben 71 milioni di euro. Il giudice per l’udienza preliminare Vilma Gilli, divenuta titolare del procedimento Ilva dopo il deposito della richiesta di rinvio a giudizio, ha disposto, compiendo così il suo primo atto ufficiale, il dissequestro delle quote Alitalia di proprietà della società Fire Spa, una delle società della famiglia Riva, finite sotto chiave nel maggio del 2013, a seguito dell’esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo firmato dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco.
La dottoressa Gilli ha accolto una richiesta formulata dalla Procura giovedì scorso dopo che lo scorso 14 febbraio invece era stato proprio il pool di magistrati titolare dell’indagine «Ambiente svenduto» a dissequestrare i beni mobili e immobili di proprietà dell’Ilva, ovvero i beni non strettamente indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva dell’acciaieria di Taranto (ovvero, ad esempio, il Centro Studi Ilva del capoluogo jonico ma anche il complesso immobiliare che ospita lo stabilimento di Genova).
Il gip Patrizia Todisco aveva firmato un decreto di sequestro preventivo sino a 8,1 miliardi di euro dei beni di proprietà o ricondubili alla famiglia Riva, quantificando in 8,1 miliardi di euro la somma risparmiata negli anni per la mancata messa a norma dello stabilimento siderurgico. Lo scorso 20 dicembre, però, la Cassazione, accogliendo il ricorso formulato dalle società Riva Fire - la capogruppo - e Riva Forni Elettrici, ha annullato senza rinvio il decreto di sequestro, ritenendo che «perché possa individuarsi un profitto assoggettabile a sequestro, e poi a confisca, è necessario che si verifichi quale diretta conseguenza della commissione del reato uno spostamento reale di risorse economiche, ossia una visibile modificazione positiva del patrimonio dell’ente, inteso quale accrescimento patrimoniale, e la causazione di meri danni risarcibili relativi a risparmi di spesa indebitamente ottenuti dall’ente per effetto della mancata esecuzione di opere di risanamento ambientale».(GdM)
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