NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
I PARERI DELLA
COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI - N.5
L’articolo
12 del D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) ha previsto la costituzione
della Commissione degli Interpelli, composta da rappresentanti del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della
Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con lo scopo di rispondere a
“quesiti di
ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e
sicurezza del lavoro” posti da Organismi associativi, Enti pubblici,
Organizzazioni sindacali dei datori di Lavoro e dei lavoratori, Consigli
nazionali degli ordini.
La Commissione degli
Interpelli è stata effettivamente costituita con Decreto del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali del 28 settembre 2011.
Secondo il comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs.81/08 “Le indicazioni fornite
nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1
[quelli posti alla Commissione] costituiscono
criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.
Riporto
pertanto in una nuova rubrica della mia newsletter tali pareri con il link per
scaricare il testo completo del quesito e del parere della Commissione.
Marco
Spezia
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IDONEITA’ TECNICO PROFESSIONALE DEI
LAVORATORI AUTONOMI NELL’AMBITO DEL TITOLO IV DEL D.LGS. 81/2008
Interpello in materia di sicurezza n.7
del 2 maggio 2013
RICHIEDENTE
ANCE – Associazione Nazionale
Costruttori Edili
QUESITO
L’ANCE, Associazione Nazionale Costruttori
Edili, ha avanzato istanza d’interpello per conoscere il parere della
Commissione relativamente alla corretta interpretazione di quanto riportato
nell’allegato XVII comma 2, lettera d) del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e
integrazioni, con particolare riferimento alla documentazione minima che i
lavoratori autonomi devono esibire al committente o al responsabile dei lavori
ai fini della dimostrazione della idoneità tecnico professionale prevista per
operare in un cantiere temporaneo o mobile cosi come definito nell’articolo 89
del D.Lgs.81/08.
CHIARIMENTO
Al riguardo va premesso che gli obblighi
in materia di salute e sicurezza di un lavoratore autonomo sono in via generale
riportati nell’articolo 21 del D.Lgs.81/08 e, con specifico riferimento al
“cantiere temporaneo o mobile”, nell’articolo 94 del medesimo provvedimento.
In particolare, il primo comma
dell’articolo 21, citato, identifica gli obblighi del lavoratore autonomo
nell’utilizzo di attrezzature di lavoro e Dispositivi di Protezione Individuale
(DPI) in modo conforme “alle disposizioni di
cui al Titolo III” (lettere a e b), e
del munirsi di “tessera di riconoscimento” (lettera c).
L’articolo 21, comma 2, citato, prevede
inoltre che i lavoratori autonomi, relativamente ai rischi propri delle
attività svolte e con oneri a proprio carico hanno pure facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria
secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi
previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici
in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle
attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando
gli obblighi previsti da norme speciali.
Il Legislatore, nel rispetto dei principi
e criteri direttivi generali contenuti nell’articolo 1 della Legge 3 agosto
2007, n.123, che prevedevano “adeguate e specifiche misure di tutela per i lavoratori autonomi, in
relazione ai rischi propri delle attività svolte e
secondo i principi della raccomandazione 2003/134/CE del Consiglio, del 18
febbraio 2003”
ha introdotto non uno
specifico obbligo ma una facoltà di “beneficiare della sorveglianza sanitaria” e di “partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza
sul lavoro”.
Ai fini delta verifica dell’idoneità
tecnico professionale di un lavoratore autonomo destinato a operare in un
cantiere temporaneo o mobile, il Legislatore nell’allegato XVII, comma 2,
lettera d) del D.Lgs.81/08 aveva previsto che il lavoratore autonomo dovesse
esibire gli “attestati inerenti la
propria formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dal presente
Decreto Legislativo”.
Questa formulazione aveva creato notevoli
difficoltà in quanto sembrava che quella “facoltà” di “beneficiare della sorveglianza sanitaria” e di “partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e
sicurezza sul lavoro diventasse invece,
per un lavoratore autonomo, un obbligo necessario per dimostrare la propria
idoneità tecnico professionale per operare in un cantiere temporaneo o mobile”.
Con la modifica introdotta con il
D.Lgs.106/09, espressamente richiesta dalle parti sociali, il lavoratore
autonomo deve esibire al committente o al responsabile dei lavori o, in caso di
subappalto, al Datore di Lavoro dell’impresa affidataria gli “attestati inerenti la propria formazione e
la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti dal presente Decreto
Legislativo”.
La modifica introdotta con il
D.Lgs.106/09, all’allegato XVII, citata e volta a rilevare la non obbligatorietà
della formazione e della sorveglianza sanitaria per i lavoratori autonomi
tranne che le stesse non siano espressamente previste da disposizioni speciali
anche di attuazione del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.
Tale concetto, peraltro, è stato ribadito
nel documento della Conferenza Stato-Regioni “Adeguamento e linee applicative degli accordi ex
articolo 34, comma 2, e 37, comma 2 del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e
integrazioni”, in cui a stato
specificato che le previsioni di cui all’accordo ex articolo 37 del “testo
unico” di salute e sicurezza sulla formazione di lavoratori, dirigenti e
preposti, non hanno efficacia obbligatoria, ma sono dirette a fornire ai lavoratori
autonomi utile parametro di riferimento per la formazione. La medesima fonte
rimarca che è altresì obbligatoria altra formazione rispetto a quella oggetto
di regolamentazione da parte dell’accordo ex articolo 37 qualora quest’ultima
sia disciplinata da disposizioni di legge speciali rispetto alla previsione
generale riportata all’articolo 21, comma 2 (e ad esempio il caso della
formazione necessaria per effettuare lavori in ambienti confinati obbligatoria
anche per i lavoratori autonomi, ai sensi del D.P.R.177/11) del D.Lgs.81/08 e
successive modifiche e integrazioni.
Pertanto un committente o un’impresa
affidataria, in fase di verifica dell’idoneità tecnico professionale del
lavoratore autonomo, è tenuto a verificare il possesso della documentazione, di
cui all’allegato XVII da parte del lavoratore autonomo, ma non anche ad
esigere, al medesimo, l’esibizione degli attestanti inerenti la propria
formazione e l’idoneità sanitaria.
Di conseguenza, risulta legittimo sia
l’affidamento di lavori al lavoratore autonomo in possesso di documentazione
inerente la formazione e l’idoneità sanitaria sia l’affidamento di lavori al lavoratore
autonomo privo dei predetti requisiti.
Resta fermo per il committente la facoltà
di richiedere al lavoratore autonomo ulteriori requisiti rispetto a quelli
minimi individuati dall’allegato XVII, anche qualora essi consistano nel possesso
della documentazione appena citata.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.7
del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:
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ARTICOLO 41, COMMA 2 DEL
D.LGS.81/08 E VISITA MEDICA PREVENTIVA
Interpello in materia di
sicurezza n.8 del 24 ottobre 2013
RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale
dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro
QUESITO
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei
Consulenti del Lavoro, su proposta del Consiglio provinciale di Palermo, ha
inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in
merito alla corretta interpretazione dell’articolo 41, comma 2 del D.Lgs.81/08.
In particolare l’istante chiede di sapere “se la previsione di visita medica
preventiva di cui all’ articolo 41, comma 2, lettera a) del Decreto debba
ritenersi dovere operare ogni qualvolta il datore di lavoro provvede a
effettuare l’assunzione del lavoratore o se nel caso in cui vi siano assunzioni
dello stesso lavoratore successive a una interruzione del rapporto di lavoro,
per mansioni uguali o sostanzialmente collegate alto stesso rischio, per il
quale sia trascorso un termine breve e comunque entro la periodicità prevista
dal medico competente per la visita successiva non necessita una nuova visita preventiva”.
CHIARIMENTO
Al riguardo si osserva che ]a sorveglianza
sanitaria, disciplinata dall’articolo 41 del D.Lgs.81/08, è effettuata dal
medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente.
In particolare l’articolo 41, comma 2,
lettera a) del D.Lgs.81/08 prevede una visita medica preventiva con l’obiettivo
di “constatare l’assenza
di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di
valutare la sua idoneità alla mansione specifica”.
Il successivo comma prevede una “visita medica periodica per controllare lo
stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla
mansione specifica la cui periodicità, qualora non prevista dalla relativa
normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l ‘anno”.
Tutto ciò premesso la Commissione ritiene
che, nel caso di assunzioni successive, qualora il lavoratore sia impiegato in
mansioni che lo espongono allo stesso rischio nel corso del periodo di validità
della visita preventiva o della visita periodica di cui all’articolo 41, comma
2, lettera b) del D.Lgs.81/08 e comunque per un periodo non superiore ad un
anno, il datore di lavoro non è tenuto ad effettuare una nuova visita
preventiva, in quanto la situazione sanitaria del lavoratore risulta conosciuta
dal medico competente.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.8
del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:
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IMPRESE FAMILIARI
Interpello in materia di
sicurezza n.9 del 24 ottobre 2013
RICHIEDENTE
CNA – Confederazione
Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e media impresa
QUESITO
La Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media
Impresa ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere della
Commissione in merito alla applicazione del D.Lgs.81/08 alla “impresa familiare di fatto (ai sensi
dell’articolo 230 bis del Codice Civile) che opera con collaboratori senza
essersi costituita con atto espresso: atto notarile dichiarativo”.
CHIARIMENTO
Al riguardo va premesso che l’articolo 230
bis del Codice Civile prevede che “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta
in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa
familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con
essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in
proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato [...]”.
Pertanto, il legislatore ha voluto
introdurre una figura di impresa familiare fondata sulla “solidarietà familiare” e non su un rapporto contrattuale.
Tutto ciò premesso, la Commissione fornisce
le seguenti indicazioni.
La Commissione ritiene sia possibile costituire, ai sensi dell’articolo 230 bis del
Codice Civile, un’impresa familiare senza la necessità di uno specifico atto
notarile.
E opportuno sottolineare che ai fini
dell’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi
di lavoro, alle imprese familiari si applica l’articolo 21 del D.Lgs.81/08 e successive
modifiche e integrazioni.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.9
del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:
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FORMAZIONE ADDETTI EMERGENZA
Interpello in materia di
sicurezza n.10 del 24 ottobre 2013
RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale degli
Ingegneri
QUESITO
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha
avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in
merito ai corsi tenuti dagli ingegneri abilitati ai sensi della Legge n.818/84.
In particolare chiedono di sapere se il suddetto professionista sia:
-
adeguatamente titolato,
agli effetti del D.M.10/03/98, quale soggetto formatore per gli addetti alle
aziende valutate a rischio media e basso;
-
sia abilitato al rilascio di attestati di frequenza
per gli stessi corsi e se tali attestati siano validi agli effetti della
documentazione e della formazione obbligatoria prevista nel D.Lgs.81/08.
CHIARIMENTO
Il D.M.10/03/98 non prevede né requisiti
specifici né titoli ai fini dell’idoneità del soggetto formatore per gli
addetti all’emergenza. I soggetti formatori devono possedere competenza nella
materia antincendio.
Pertanto si ritiene che gli ingegneri,
abilitati ai sensi della Legge n.818/84, possano svolgere i corsi per addetti
all’emergenza e, quindi, rilasciare i relativi attestati di frequenza. Inoltre
si sottolinea come, per le aziende individuate dall’allegato X del Decreto, “i lavoratori incaricati dell’attuazione delle
misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze”, debbano conseguire “l’attestato di idoneità tecnica di cui
all’articolo 3 della Legge n.609/96”.
Infine la Commissione ritiene
validi ai fini della formazione prevista dall’articolo 37, comma 9 del
D.Lgs.81/08 i suddetti attestati.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.10
del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:
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ACCORDO STATO-REGIONI DEL 21
DICEMBRE 2011
Interpello in materia di sicurezza n.11
del 24 ottobre 2013
RICHIEDENTE
Federambiente
QUESITO
La Federazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale
(Federambiente) ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della
Commissione in merito all’Accordo Stato Regioni del 21/12/11 relativo alle
modalità di svolgimento della formazione dei lavoratori, ai sensi dell’articolo
37, comma 2 del D.Lgs.81/08.
In particolare l’interpellante chiede di
conoscere se la durata e i contenuti della formazione dei lavoratori possa
prescindere dall’appartenenza a uno specifico settore Ateco e possa essere tarata
sulla effettiva condizione di rischio che si rileva, per ciascuna attività
lavorativa, a valle del processo di valutazione.
CHIARIMENTO
L’Accordo Stato Regioni del 21/12/11
disciplina la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione, nonché
l’aggiornamento dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 37, comma 2 del
D.Lgs.81/08. La suddetta formazione, come esplicitato nella premessa
dell’Accordo in parola, da erogare al lavoratore e, per quanto facoltativa
nell’articolazione, ai dirigenti e ai preposti, costituisce un percorso minimo
da organizzare e integrare sulla base delle risultanze della valutazione dei
rischi.
L’Accordo Stato Regioni del 25/07/12,
concernente le linee guida applicative e integrative dell’Accordo Stato Regioni
del 21/12/11, chiarisce che la classificazione dei lavoratori, “può essere fatta anche tenendo conto delle
attività concretamente svolte dai soggetti medesimi, avendo a riferimento
quanto nella valutazione dei rischi”.
Tutto ciò premesso la Commissione fornisce
le seguenti indicazioni.
L’articolo 37, comma 1 del D.Lgs.81/2008,
prevede che “il datore di lavoro
assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in
materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con
particolare riferimento ai [...] rischi riferiti alle mansioni e ai possibili
danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione
caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda”.
Alla luce delle vigenti disposizioni
normative e in particolare sulla base di quanto indicato negli Accordi
Stato-Regioni citati in premessa, la formazione (che deve essere “sufficiente e adeguata”) va riferita all’effettiva mansione svolta
dal lavoratore, considerata in sede di valutazione dei rischi; pertanto la
durata del corso può prescindere dal codice Ateco di appartenenza dell’azienda.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.11
del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:
LAVORO AGILE, TANTO
“AGILE” DA ESSERE VOLATILE E INSICURO PER LA SALUTE E SICUREZZA
Da:
Diario Prevenzione
sabato
16 gennaio 2016
Abbondano
i disegni di legge per dare una parvenza di “legalità” alle forme di lavoro
“precario” con la sostituzione delle parole che lo definiscono.
Da
“precario” il lavoro diviene “agile”, e in alcune accezioni diviene addirittura
“smart” dove di “smart” per il lavoratore vi è molto poco.
Tutto
diviene indefinito, la cosiddetta cornice costruita per dare una parvenza di
“legalità” per alcuni elementi diviene risibile rispetto, ad esempio, alle
norme per la gestione della sicurezza sul lavoro.
Abbiamo
tra le mani un ibrido che sta tra il regolamento aziendale tipo e un contratto
commerciale ove il lavoratore è un fornitore in una relazione di potere
sbilanciata. L’aspetto della prestazione è affidato al contratto individuale
tra lavoratore e impresa, in una condizione di totale subalternità del
lavoratore.
Orari,
tempi di lavoro, aspetti gestionali sono consegnati alla trattativa individuale
tra lavoratore e impresa. Abusi, truffe e compensi non pagati in ragione di
contestazione della qualità della prestazione erogata dal lavoratore saranno
possibili e numerosi in quanto le clausole contro gli abusi riguardano solo gli
aspetti formali del contratto.
Il
“dominus” è l’azienda committente “versus” il lavoratore che è monade isolata e
debole.
Non
esiste nessun accenno che richiami l’ergonomicità delle attrezzature fornite
dal committente o proprie del lavoratore. Per fare un esempio i lavoratori
“agili” del call center potranno operare con cuffie da tre soldi,
apparecchiature di bassa qualità...
Non
parliamo poi della prevenzione dello stress lavoro correlato totalmente
ignorata in quanto il lavoro “agile” non sarebbe stressante per definizione...
I
commi 2 e 3 dell’articolo 6 del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” sono
emblematici dell’assenza di tutela della salute di questi lavoratori.
Il
Parlamento dovrà discutere seriamente prima di licenziare questo pericoloso
pastrocchio ove di “agile” vi è solo l’amabile disinvoltura a evitare di
affrontare la complessità dei problemi che questa tipologia di lavoro produrrà
nel mercato del lavoro.
La
pericolosità sta nella diffusione di un rapporto di lavoro di natura altamente
subordinata spacciato come rapporto di lavoro autonomo “leggero” e senza rischi
per la salute. La sua “pericolosità sociale” è pari solo a quella generata dai
“Voucher”.
L’articolo
6 “Sicurezza sul lavoro” del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” riporta quanto
segue:
“Il datore di lavoro deve garantire la tutela
della salute e della sicurezza del lavoratore che svolge la propria prestazione
lavorativa in modalità di lavoro agile.
Al fine di dare
attuazione all’obbligazione di sicurezza, e tenuto conto dell’impossibilità di
controllare i luoghi di svolgimento della prestazione lavorativa, il datore di
lavoro deve consegnare una informativa periodica, con cadenza almeno annuale,
nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi
alle modalità di svolgimento della prestazione.
Il lavoratore che
svolge la propria prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile, per i periodi
nei quali si trova al di fuori dei locali aziendali, deve cooperare
all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro”.
La
bozza del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” è scaricabile all’indirizzo:
JOBS ACT, LA LEGGE DELL’INSICUREZZA
Da:
Rassegna.it
15
gennaio 2016
Abolizione
del Registro infortuni, riduzione dei componenti sindacali in Commissione
consultiva, non applicazione delle tutele ai lavoratori con i voucher: questi i
punti più controversi, che porteranno all’aumento di infortuni e malattie
professionali
Non
verrà certo meno nei prossimi mesi (e forse anni) l’esigenza da parte della
CGIL di approfondire e soppesare gli effetti concreti che il Jobs Act
(articolato finora in otto Decreti) dispiegherà nel prossimo futuro,
soprattutto in materia di salute, sicurezza e prevenzione per i lavoratori e le
lavoratrici.
Occorre
dire subito, però, che non solo le misure specifiche dell’articolo 20 del
D.Lgs.151/15 (cosiddetto “Decreto semplificazione”) e del Decreto riguardante
le attività ispettive avranno un effetto sulle condizioni di vita e di lavoro
nel nostro paese.
La
norma sul demansionamento ad esempio, che abbiamo giudicato molto
negativamente, oltre ad avere permesso alle aziende azioni finora non
possibili, ha anche introdotto il concetto della “non obbligatorietà” della
formazione specifica alla mansione prima del cambio della mansione stessa.
Può
sembrare un dettaglio, ma non lo è. Cosa succede, in concreto, quando un
lavoratore viene immediatamente adibito a un compito del quale non conosce i
rischi specifici e le relative misure di prevenzione da adottare? Succede che
l’incidenza di infortuni e malattie professionali aumenta, e aumenterà nei
prossimi anni, per un’intrinseca falla che si crea nel sistema di prevenzione e
protezione aziendale.
Come
non pensare anche alla questione della sorveglianza elettronica (o
classicamente “videosorveglianza”), che assegna al datore di lavoro la
possibilità del controllo attraverso apparecchiature specificamente fornite per
l’espletamento della prestazione lavorativa (come smartphone, tablet, personal
computer), senza alcuna negoziazione con le rappresentanze sindacali o altro?
Oltre
ai noti e sollevati problemi di privacy, è evidente come l’eventuale uso
disciplinare o discriminatorio dei dati provenienti da questo tipo di controllo
solleverà molti contenziosi, non aiutando certo il clima di benessere
organizzativo necessario al nostro tessuto produttivo e aziendale.
Le
misure contenute, infine, nel Decreto che istituisce l’Ispettorato nazionale
per l’attività ispettiva, lasciano aperti molti problemi: il coordinamento sarà
limitato ai soli Ministero del Lavoro, INPS e INAIL, o si realizzerà il famoso
e auspicato coordinamento con il sistema di Regioni e ASL?
E
le funzioni del cosiddetto “Ispettore unico”, la sua dote formativa e
strumentale, quando vedranno la luce? Sono ancora molti, quindi, gli aspetti
non chiariti da questo intervento di riforma che ha bisogno di decretazione
attuativa per essere pienamente giudicato. Bisognerà dunque lavorarci sopra
come Confederazione e come categorie, per far sì che, nelle possibilità
concrete, esso possa rappresentare un reale elemento di avanzamento.
Ma
torniamo all’articolo 20 del Decreto “semplificazioni”, che riguarda direttamente
le materie di salute e sicurezza. Il primo problema evidente a chi legge (e a
chi ha seguito la nostra campagna contraria, sfociata anche in un avviso
comune, unitario con Confindustria, avverso al provvedimento) è la riduzione
dei componenti della Commissione consultiva permanente (ex articolo 6 del
D.Lgs.81/08) di espressione delle parti sociali, con l’introduzione al loro
posto di componenti espressione del mondo associazionistico e tecnico
professionale.
E’
evidente a chiunque abbia un po’ di discernimento e buona fede che in questo
modo la “governance” della Commissione viene mutata con la modifica dei numeri
necessari per l’espressione del parere, violando il principio del
“tripartitismo” cui è informata la legislazione italiana ed europea in materia
di salute e sicurezza. Il giusto ruolo delle parti sociali, a questo punto
soccombente con la nuova disciplina rispetto alla parte di Stato e Regioni, è
invece importantissimo e centrale per la trattazione di problemi che le
suddette organizzazioni risolvono o tentano di risolvere ogni giorno nei posti
di lavoro (reali e fisici) di questo paese. Ma la vulgata imperante rispetto
alla “pletoricità” della Commissione stessa e al ruolo non più “utile” o
“necessario” dei corpi intermedi all’interno della dinamica sociale e politica,
ha deciso altro.
Gli
altri due aspetti assolutamente negativi contenuti nel Decreto (rispetto ai
quali come CGIL stiamo pensando a ricorsi di tipo giuridico in sede sia europea
sia italiana), sono quelli relativi ai lavoratori retribuiti attraverso i
voucher e all’abolizione del Registro infortuni.
Per
i primi si prevede la non applicazione delle tutele relative alla prevenzione
previste dal D.Lgs.81/08, se questi non prestano la propria opera nei confronti
di un’impresa o di un professionista.
Ci
si dimentica però che questa forma di lavoro, nata per regolamentare in qualche
modo il lavoro accessorio e occasionale, riconducendolo nell’ambito della
regolarità, è subito diventata una dilagante forma di precarietà: è evidente,
dunque, la discriminatorietà della norma in questione nei confronti di
centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Altro
punto negativo è quello dell’abolizione dell’obbligatorietà della tenuta del
Registro infortuni, che doveva essere una misura collaterale al famoso Sistema
Informativo Nazionale per la
Prevenzione (SINP), sistema peraltro mai partito né
deliberato dai governi dal 2008
a oggi.
La
misura è del tutto favorevole a quelle aziende scorrette che non gradiscono che
si tenga traccia di quanto succede all’interno dei loro luoghi di lavoro, che
non gradiscono “intrusioni” da parte degli organi di vigilanza. E pensare,
invece, che proprio la legislazione europea e la Direttiva relativa a
queste materie prevedono che le aziende sono tenute ad adottare una simile
forma di registro, che tracci gli accadimenti e sia a disposizione delle
autorità e delle rappresentanza sindacali aziendali e territoriali.
Solo
un accenno, in conclusione, a un’ulteriore questione la cui interpretazione è
ancora controversa, ovvero l’abolizione dell’obbligo di comunicazione degli
infortuni con una prognosi sotto i 30 giorni da parte del datore di lavoro,
sostituita da una comunicazione da parte dell’INAIL. Oltre alle evidenti
conseguenze di opacità e problematicità che la norma comporterebbe (fra cui la
mancata comunicazione automatica all’autorità giudiziaria), la farraginosità
della misura assegna all’INAIL un ruolo molto rilevante e anche rischioso.
Sebastiano
Calleri
Responsabile
nazionale Salute e Sicurezza CGIL
RISCHIO FUMO DI
TABACCO: LA
POLITICA AZIENDALE
Da:
PuntoSicuro
4
gennaio 2016
L’approccio
gestionale del fumo di tabacco è il modo concreto di trattare questo rischio
per i lavoratori: conseguenze, vantaggi e svantaggi, le attività di promozione
della salute.
In
azienda è opportuno che il fumo di tabacco venga considerato attentamente sia
per l’applicazione del divieto che per la valutazione del rischio globale.
L’approccio gestionale del fumo di tabacco è il modo concreto di trattare un
rischio per la salute in maniera efficace anche in azienda, offrendo ai
lavoratori informazione e consulenza sull’argomento al fine di proteggerli dal
fumo passivo, proponendo la disassuefazione ai fumatori attivi e cercando di
evitare l’iniziazione al fumo dei non fumatori.
La
presenza di lavoratori fumatori può comportare per l’azienda:
-
maggiori
assenze per malattia;
-
aumento
di incidenti e infortuni;
-
contrasti
con i colleghi non fumatori;
-
possibile
interazione fra i prodotti del fumo di tabacco e i fattori di rischio
occupazionale, con maggiore probabilità di insorgenza di patologie.
Una
gestione aziendale mirata al fumo di tabacco può determinare per tutti i
lavoratori i seguenti vantaggi:
-
miglioramento
delle condizioni di salute;
-
miglioramento
delle relazioni con i colleghi (benessere personale e di gruppo);
-
miglioramento
dell’ambiente di lavoro;
-
promozione
della salute.
L’azienda
può limitarsi all’applicazione di un piano che preveda il solo rispetto del
divieto oppure può creare uno strumento di promozione della salute.
Nel
primo caso il progetto sarà improntato per diffondere informazioni ai
dipendenti sul rispetto della normativa, i divieti, le sanzioni, l’informazione
sui danni da fumo attivo e passivo e avrà come obiettivo la difesa dei
lavoratori dal fumo passivo.
Nel
secondo caso potrà essere attivato un vero e proprio percorso di promozione
della salute dedicato ai fumatori.
Il
progetto di promozione della salute, oltre al rispetto della normativa sul
posto di lavoro per la tutela dei non fumatori, si prefigge anche l’intento di
aiutare i fumatori presenti in azienda a smettere, coinvolgendo il Medico
Competente (ove previsto dalla normativa vigente), le ASL, i centri
territoriali antifumo, il personale, sanitario e non, che possa essere di aiuto
e supporto al fumatore che decida di smettere.
La
politica aziendale deve essere strutturata in modo da fornire adeguata
informazione ai lavoratori, sostegno costante e indicazioni sui soggetti e le
strutture cui rivolgersi.
A
questo fine appare essenziale:
-
costituire
un Gruppo di lavoro aziendale con la partecipazione dei lavoratori;
-
valutare
la situazione esistente nella propria azienda (sopralluoghi, questionari,
ecc.);
-
scegliere
fra divieto assoluto o parziale (zone per fumatori);
-
definire
obiettivi (divieto o promozione della salute) e piano d’azione;
-
redigere
il regolamento (regole, divieti, luoghi dove poter fumare, referenti, sanzioni,
ecc.);
-
comunicare
a tutti la politica aziendale (cartelli, incontri, ecc.);
-
offrire
programmi per smettere di fumare (interni o esterni all’azienda);
-
monitorare
l’attuazione del progetto (punti critici);
-
valutare
i risultati a breve e lungo termine (6 - 12 mesi)
-
riproporre
periodicamente il progetto.
Il
Gruppo di lavoro, istituito dalla direzione aziendale, dovrebbe essere
costituito da rappresentanti dei diversi settori (reparti, manutenzione,
personale, ufficio tecnico, economato, ecc.), dal Medico Competente (ove
previsto), dal Responsabile o da un Addetto del Servizio di Prevenzione e
Protezione, dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, da lavoratori
volontari ed eventualmente da rappresentanti dei servizi territoriali (ASL).
All’interno
del gruppo dovrebbe essere nominato un referente con il compito di curare i
rapporti con la direzione aziendale nelle varie fasi del progetto.
Sarebbe
importante definire dei ruoli che possano persistere anche nel caso di
cessazione degli incarichi.
Prima
di stendere il progetto dovrebbe essere valutata la situazione presente in
azienda riguardo l’abitudine al fumo di tabacco (presenza di fumatori,
contrasti con i non fumatori, aree esterne per fumare, ecc.) e il rispetto del
divieto.
L’opinione
dei lavoratori potrebbe essere raccolta tramite la formulazione di un questionario
da distribuire via mail o con il cedolino dello stipendio. Lo stesso potrebbe
essere fatto periodicamente durante la realizzazione del progetto per
verificare gli effetti della politica antifumo. Un’azione di propaganda sul
progetto dovrebbe essere effettuata tramite gli stessi mezzi e con poster e
dépliant illustrativi appositamente predisposti e collocati nelle varie
strutture aziendali.
Il
documento dell’INAIL “La gestione del fumo di tabacco in azienda” è scaricabile
all’indirizzo:
MACCHINE AGRICOLE:
LE SCADENZE DELLA REVISIONE E DELLA FORMAZIONE
Da:
PuntoSicuro
4
gennaio 2016
Un
intervento si sofferma sulle novità normative nel comparto agricolo. La rete
per il lavoro di qualità, la revisione delle macchine agricole e la formazione
degli operatori. La scadenza del 31 dicembre 2015 per la revisione e
l’abilitazione.
Nel
nostro paese agricoltura e selvicoltura sono settori ad alto numero di
infortuni. E se il nostro paese è caratterizzato dal grande impegno nell’ambito
della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, i risultati in questi settori
continuano ad essere altalenanti malgrado la buona qualità della legislazione e
dalla grande competenza e passione degli operatori.
Ad
affermarlo, intervenendo al Convegno “Salute e sicurezza in agricoltura e
selvicoltura. Le prospettive. Il piano 2014-2018” che si è tenuto l’8
settembre 2015 a
Lodi, è la senatrice Maria Grazia Gatti, componente della Commissione
Agricoltura del Senato della Repubblica.
La
senatrice è intervenuta nel Convegno, organizzato dall’ASL di Lodi, su due
aspetti: la costituzione della rete per il lavoro agricolo di qualità e la Risoluzione in
Commissione Agricoltura del Senato relativa alla revisione delle macchine
agricole e alla formazione degli operatori votata prima della successiva
emanazione del Decreto Ministeriale del 20 maggio 2015.
L’intervento
ricorda che la rete per il lavoro agricolo di qualità (la cui cabina di regia
nazionale è già operante) procederà a monitoraggi costanti, su base trimestrale,
anche accedendo ai dati INPS su instaurazione, trasformazione e cessazione dei
rapporti di lavoro, dell’andamento del mercato del lavoro agricolo, valutando
in particolare il rapporto tra il numero dei lavoratori stranieri che risultano
impiegati e il numero di lavoratori stranieri ai quali è stato richiesto il
nulla-osta per il lavoro agricolo dagli sportelli unici per l’immigrazione.
Promuoverà iniziative anche d’intesa con le autorità competenti e le parti
sociali, in materia di politiche attive del lavoro, contrasto al lavoro
sommerso e all’evasione contributiva, organizzazione e gestione dei flussi di
manodopera stagionale, assistenza ai lavoratori stranieri immigrati.
Per
quanto riguarda invece la revisione delle macchine agricole e la formazione professionale
per il conseguimento dell’abilitazione all’uso, la relatrice racconta
innanzitutto come si è arrivati al Decreto.
Se
agricoltura e selvicoltura continuano a essere fra i settori con più infortuni
mortali, anche nell’ultimo periodo una grande percentuale sono avvenuti su
trattori e la principale causa è stata il ribaltamento/rovesciamento del mezzo.
Nella maggior parte dei casi il capovolgimento trasversale e/o longitudinale
del mezzo è avvenuto per sovraccarico del trattore, per sforzo eccessivo di
traino, per manovre brusche e per eccessiva pendenza del terreno.
Si ricorda
che i principali dispositivi di protezione sono rappresentati
dall’installazione direttamente sul trattore di una struttura di protezione
ROPS (Roll Over Protection Structure – Struttura di Protezione contro il
Ribaltamento) tale da evitare o limitare i rischi in caso di capovolgimento e
di schiacciamento e dalla cintura di sicurezza. Ai fini di sicurezza è
indispensabile la contemporanea presenza dei due dispositivi.
Tuttavia
dalle indagini sugli infortuni emerge anche che gli infortuni legati all’uso
dei trattori agricoli o forestali sono, nella maggior parte dei casi,
determinati oltre che dalle carenze delle attrezzature sotto il profilo della
sicurezza e dall’eccessiva obsolescenza del parco macchine circolante, anche da
carenze di formazione specifica degli operatori addetti all’uso. Quindi la
revisione delle macchine con la eventuale rottamazione e la formazione degli
operatori sono i due strumenti attraverso cui rendere il lavoro in agricoltura
un lavoro più sicuro.
Una
risoluzione della Commissione Agricoltura in Senato (di cui la senatrice è
stata relatrice) ha fissato gli impegni per il governo nella attuazione del
Decreto.
La
risoluzione impegnava il Governo a:
-
far
sì che non si prevedessero ulteriori proroghe rispetto all’entrata in vigore
dell’obbligo della revisione delle macchine agricole e della formazione degli
operatori, considerato che erano già tre le proroghe intervenute circa la
revisione e due quelle sull’abilitazione obbligatoria;
-
prevedere,
nella scrittura del Decreto Ministeriale con cui disporre le modalità di
esecuzione della revisione, disposizioni volte a garantire non solo i profili
di sicurezza di circolazione stradale delle macchine agricole ma anche quelli
attinenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro; questo è il punto fondamentale e
richiederà un impegno particolare del Ministero delle politiche agricole,
alimentari e forestali;
-
prevedere
che la revisione si effettui non solo con controlli visivi ma anche con
controlli adeguati (sull’usura e su altri profili);
-
a
prevedere una scalettatura delle revisioni che permetta una copertura
progressiva in tempi adeguati di tutto il parco macchine e, a regime, una
revisione periodica;
-
a
prevedere la possibilità di utilizzare officine mobili presso le aziende o
punti di raccolta che facilitino il conferimento delle macchine agricole
oggetto di revisione;
-
a
prevedere meccanismi che consentano la rottamazione delle macchine agricole più
obsolete con tariffe e procedure semplificate che incentivino l’eliminazione
delle macchine più pericolose;
-
a
prevedere tariffe di revisione che favoriscano l’avvio della campagna tenendo
anche conto della difficile situazione economica delle imprese;
-
per
quanto riguarda i finanziamenti, a incrementare, da parte del Governo e degli
enti strumentali (INAIL), i fondi per i bandi specifici per la revisione delle
macchine agricole, oltre a stabilire una relazione con le Regioni affinché i
Piani di sviluppo rurale inseriscano nella specifica della misura 17 le
revisioni delle macchine agricole come misura di ammodernamento delle imprese
ed incremento della sicurezza sul lavoro.
Inoltre
per quanto concerne la formazione degli operatori la risoluzione impegnava il
Governo a:
-
a
rafforzare le sperimentazioni realizzate anche in collaborazione con l’INAIL e
il Ministero del lavoro, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della
ricerca negli istituti tecnici-agrari con l’obiettivo di rendere
istituzionalizzato il conseguimento del patentino;
-
a
verificare tutte le possibilità per favorire la formazione all’uso dei trattori
come strumenti di lavoro con tariffe adeguate, prendendo parte eventualmente a
stabilire relazioni fra soggetti formatori e produttori di macchine agricole
per un utilizzo migliore della disponibilità data dai produttori a fornire le
macchine per la formazione;
Infine
per quanto riguarda la revisione delle macchine agricole e la formazione degli
operatori la risoluzione impegnava il Governo a:
-
prevedere
dei punti di controllo per verificare l’andamento dei processi e la necessita
di aggiustamenti o di nuove norme (in particolare, per quanto riguarda la
formazione sarà importante verificare la necessita di adeguare i programmi,
anche per una più completa integrazione e formazione della manodopera straniera
molto presente nel settore).
Ricordiamo
che il decreto del 20 maggio 2015 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.149 del
30 giugno 2015) ha stabilito i tempi per procedere alla revisione obbligatoria
delle macchine agricole e delle macchine operatrici.
Tuttavia
le modalità di esecuzione della revisione (articolo 5, comma 1) dovranno essere
definite con un Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di
concerto con il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ed è
con questo Decreto che si dovrà corrispondere alle altre richieste del
Parlamento.
E
poi si tratterà di monitorare attentamente il processo per intervenire in caso
di intoppi e rallentamenti ed inoltre bisognerà favorire in tutti i modi sia il
processo di revisione che quello della formazione.
Segnaliamo
in conclusione che il Decreto prevede che i trattori agricoli siano sottoposti
a revisione generale “a far data dal 31 dicembre 2015 e, successivamente, ogni
5 anni, entro il mese corrispondente alla prima immatricolazione secondo l’anno
stabilito nella tabella” di cui all’allegato 1 del Decreto Ministeriale.
Mentre
le altre macchine agricole semoventi a due o più assi e i rimorchi agricoli
(aventi massa complessiva a pieno carico superiore a 1,5 tonnellate e con massa
complessiva inferiore a 1,5 tonnellate, se le dimensioni d’ingombro superano i 4 metri di lunghezza e 2 metri di larghezza) sono
sottoposte a revisione generale obbligatoria a far data dal 31 dicembre 2017.
E’
diversa invece la data per alcune particolari macchine operatrici:
-
macchine
impiegate per la costruzione e la manutenzione di opere civili o delle
infrastrutture stradali o per il ripristino del traffico;
-
macchine
sgombraneve, spartineve o ausiliarie, quali spanditrici di sabbia e simili;
-
carrelli,
quali veicoli destinati alla movimentazione di cose.
Queste
macchine sono sottoposte alla revisione generale a far data dal 31 dicembre
2018.
Senza
dimenticare, infine, che riguardo alla formazione professionale per il
conseguimento dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole, il Decreto
rinvia a quanto già stabilito dall’ Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012,
concernente l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è
richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il
riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli
indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione
dell’articolo 73, comma 5, del Decreto Legislativo del 9 aprile 2008, n.81.
E
anche in questo caso è da segnalare la scadenza del 31 dicembre 2015.
E’
infatti in questa data che (dopo le proroghe del “Decreto del Fare”: Legge
n.98/13 e della Legge 11/15) è entrato in vigore l’obbligo dell’abilitazione
all’uso delle macchine agricole considerate nell’Accordo del 22 febbraio 2012.
L’Intervento
della senatrice Maria Grazia Gatti al convegno “Salute e sicurezza in
agricoltura e selvicoltura. Le prospettive. Il piano 2014-2018” è scaricabile
all’indirizzo:
Il
Decreto 20 maggio 2015 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
“Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici, ai sensi
degli articoli 111 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285” è consultabile
all’indirizzo:
L’ESORBITANZA NEL
COMPORTAMENTO DEL LAVORATORE INFORTUNATO
Da:
PuntoSicuro
11
gennaio 2016
di
Gerardo Porreca
Nel
concetto di esorbitanza del comportamento del lavoratore infortunato vanno
incluse l’inosservanza di norme antinfortunistiche e una condotta contraria a
precise direttive organizzative ricevute.
In
questa Sentenza la Corte
di Cassazione ha focalizzata la propria attenzione sui limiti di responsabilità
del datore di lavoro e su quando il comportamento del lavoratore che ha subito
un infortunio costituisce una evidente causa interruttiva del nesso causale fra
una omissione del datore di lavoro stesso e l’evento lesivo, argomento sul
quale per la verità la suprema Corte non sembra aver trovato una linea comune,
univoca e condivisa.
Pur
se il criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo del lavoratore da
quello che non lo è, ha sostenuto nella Sentenza stessa la Corte suprema, è basato
sullo svolgimento delle proprie mansioni nel concetto di esorbitanza vanno
incluse anche l’inosservanza a precise norme antinfortunistiche o la condotta
del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute sempre a
condizione che tale comportamento non risulti determinato da carenze o inidoneità
delle norme di sicurezza adottate dal datore di lavoro.
La Corte di Appello ha
riformato, con esclusivo riferimento alla concessione delle circostanze
attenuanti generiche e rideterminazione della pena in quindici giorni di
reclusione, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale nei confronti di un
datore di lavoro, imputato del reato previsto dall’articolo 590 del Codice
Penale in relazione all’articolo 583 del Codice Penale perché, nella sua
qualità, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e
inosservanza delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro,
in particolare per violazione dell’articolo 68 del D.P.R.547/55, omettendo di
proteggere o comunque di dotare di idoneo dispositivo di sicurezza gli organi
lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, ha cagionato ad una
dipendente, con la qualifica di operaia addetta al reparto frigo, lesioni personali
guaribili in 92 giorni.
L’infortunio
era accaduto mentre la lavoratrice svolgeva mansioni di addetta a una foratrice
allorquando questa si è inceppata a causa di una basetta facente parte del
macchinario che si era incastrata nei meccanismi di trazione. In particolare la
lavoratrice, nonostante fosse a conoscenza della procedura idonea a sbloccare
la foratrice in sicurezza, ha preso un cacciavite e ha infilato la mano,
protetta dal guanto, in un piccolo varco presente nel recinto di protezione in
plexiglas posto a copertura degli ingranaggi del macchinario. Una volta
sbloccato il meccanismo, la foratrice si è riattivata agganciando il guanto di
protezione e trascinando la mano della lavoratrice stessa tra gli ingranaggi,
con conseguente frattura esposta del terzo dito della mano destra.
Il
datore di lavoro ha ricorso per Cassazione censurando la decisione impugnata
sostenendo che la Corte
di Appello avesse desunto la sua colpa dalla violazione di una generica norma
cautelare, ossia dall’aver omesso di adottare la cautela di impedire
l’avvicinamento della lavoratrice alla zona di operazione della macchina,
mentre l’imputazione si riferiva alla specifica norma cautelare dettata
dall’articolo 68 del D.P.R.547/55 che prevede che “gli organi lavoratori delle
macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un
pericolo per i lavoratori, devono, per quanto possibile, essere protetti o
segregati oppure provvisti di dispositivo di sicurezza”.
Secondo
il ricorrente, quindi, il Giudice avrebbe dovuto accertare in concreto
l’avvenuta violazione della più generica regola cautelare così identificata e
avrebbe dovuto altresì motivare l’insufficienza della barriera protettiva di
plexiglas posta attorno alla macchina, tanto sotto il profilo dell’inidoneità
della decisione aziendale di posizionare tale barriera alla distanza di almeno 85 centimetri dagli
ingranaggi quanto sotto il profilo del posizionamento del varco di 10 centimetri a
un’altezza tale da rendere necessaria una condotta positiva del lavoratore
finalizzata al superamento dell’ostacolo costituito dalla posizione in quota
della predetta fessura.
Nel
ricorso l’imputato ha riscontrato, altresì, una violazione della legge penale
sostanziale con riferimento ai principi che regolano l’individuazione della
violazione di una regola cautelare. Premesso che l’infortunio era stato causato
da una deliberata decisione della lavoratrice, munitasi di un cacciavite e
arrampicatasi sui caricatori della macchina per accedere per il tramite di un
varco di dieci centimetri alla zona meccanica della macchina, il ricorrente ha
sostenuto l’erroneità della decisione di ritenere penalmente rilevante la
condotta del datore di lavoro per aver tratto dall’articolo 2087 del Codice
Civile il suo dovere di garantire la sicurezza assoluta dei lavoratori, per
aver trascurato che la presenza dei varco di dieci centimetri costituiva una
condizione essenziale per il funzionale esercizio della macchina e che la
segregazione richiesta dall’articolo 68 del D.P.R.547/55 è imposta “per quanto
possibile”, per avere altresì omesso di considerare il legittimo affidamento
dell’imputato nel comportamento della dipendente conforme alle direttive
ricevute, desumibile dall’obbligo diffuso che grava su tutti i soggetti
dell’organizzazione aziendale, ivi inclusi i lavoratori a norma dell’articolo
20 del D.Lgs.81/08, a carico dei quali sono previste sanzioni penali in caso di
inosservanza delle direttive comportamentali derivanti da soggetti apicali, per
avere ritenuto che la condotta della lavoratrice rientrasse nel segmento
lavorativo attribuitole nonostante si trattasse di condotta difforme dalle
direttive di organizzazione ricevute ed esorbitante dalle mansioni attribuitele
e per avere infine omesso di applicare il principio secondo il quale il vigente
sistema penale non assicura la sua protezione a chi, nella piena consapevolezza
del pericolo, si espone per propria decisione ad esso.
Il
ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. E’ risultata
pacifica e condivisa, ha messo in evidenza la Corte suprema, la circostanza che la lavoratrice
fosse stata adeguatamente informata sulle procedure che, in assoluta sicurezza
e senza rischio alcuno per la sua incolumità, le avrebbero consentito di
fronteggiare la situazione da cui si è originato l’infortunio. La stessa,
infatti, per accedere alla macchina avrebbe dovuto aprire la porta di
sicurezza, dotata di dispositivo di blocco del funzionamento all’apertura,
ovvero chiamare l’addetto alla manutenzione. Nella Sentenza inoltre, ha fatto
osservare la Sezione IV,
è stato riportato quanto dalla stessa dichiarato e cioè che aveva già operato
in precedenti analoghe occasioni nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza.
E’
risultata pacifica, inoltre, la circostanza che il varco nel quale la
lavoratrice ha infilato il braccio fosse funzionale al processo produttivo e
che gli organi lavoratori della macchina fossero integralmente protetti e
segregati, fatta eccezione per il suindicato varco, da un recinto di protezione.
Sulla base di tali premesse la
Corte territoriale, a differenza del Tribunale, non aveva
ravvisata la violazione della specifica regola cautelare contestata, ossia
quella di cui all’articolo 68 del D.P.R.547/55, ma ha confermata la pronuncia
di condanna sussumendo la violazione nella generale norma prevenzionale dettata
dall’articolo 2087 del Codice Civile secondo la quale l’imprenditore è tenuto
ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità
del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
In
merito al nesso di causalità, ha fatto notare altresì la Sezione IV, la Corte territoriale aveva
escluso che il comportamento della lavoratrice avesse avuto effetto interruttivo
sul presupposto che l’infortunio era riconducibile all’area di rischio propria
della lavorazione svolta, essendo la dipendente addetta al controllo della
macchina foratrice ed essendosi l’infortunio verificato all’interno del ciclo
produttivo, e che la lavoratrice aveva compiuto un’operazione rientrante nel
segmento di lavoro attribuitole. Secondo la stessa Corte territoriale quindi il
comportamento della lavoratrice non è consistita in qualcosa di radicalmente,
ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e pertanto prevedibili scelte del
lavoratore nella esecuzione del lavoro, ma è stato solo un gesto imprudente
compiuto nell’esercizio delle proprie mansioni lavorative.
La Corte di Cassazione al
fine di valutare la legittimità delle argomentazioni svolte in proposito dai
giudici di merito ha ritenuto opportuno richiamare in sintesi alcuni principi
espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di condotta cosiddetta
abnorme del lavoratore, da valutare in applicazione dell’articolo 41, comma 2
del Codice Penale, a norma del quale il nesso eziologico può essere interrotto
da una causa sopravvenuta che si presenti come atipica, estranea alle normali e
prevedibili linee di sviluppo della serie causale attribuibile all’agente e
costituisca, quindi, un fattore eccezionale.
La Corte di Cassazione ha
quindi messo in evidenza che nelle decisioni assunte precedentemente in merito
dalla stessa Corte “se da un lato, è stato posto l’accento sulle mansioni del lavoratore,
quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non
lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche
l’inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del
lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione
che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure
di sicurezza adottate dal datore di lavoro”.
“In
sintesi” - ha così proseguito la
Sezione IV - “si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità
la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta
abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di
fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso, ma anche
quando, pur collocandosi nell’area di rischio, sia esorbitante dalle precise
direttive ricevute e, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i
presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; quest’ultimo,
dal canto suo, deve aver previsto il rischio e adottato le misure prevenzionistiche
esigibili in relazione alle particolarità del lavoro”.
Dai
principi così richiamati, ha così concluso la suprema Corte, si può, dunque,
sviluppare il seguente corollario: “si deve ritenere abnorme o, comunque,
eccezionale e, in quanto tale, idoneo a interrompere il nesso di causa tra la
condotta datoriale e l’evento il comportamento del lavoratore esorbitante dalle
precise direttive impartitegli, così qualificabile qualora, per la serie di
operazioni messe in atto al fine di superare le barriere poste a presidio della
sua sicurezza, riveli la piena consapevolezza di violare le prescrizioni
datoriali ponendo inoltre in essere, come nel caso in esame, una condotta, ex
se, fonte di pericolo (nella concreta fattispecie, la lavoratrice si era addirittura
arrampicata sui bidoni di alimentazione del macchinario allungandosi per
raggiungere in quota una piccola feritoia di 10 centimetri in cui
infilare una mano con la quale impugnava un cacciavite, e ciò in assenza di
qualsiasi esigenza tecnica che rendesse necessaria una così azzardata ed
anomala e dunque imprevedibile manovra)”.
Alla
luce in definitiva dei principi sopra indicati la Corte di Cassazione ha
ritenuta quindi la pronuncia impugnata viziata dalla violazione dell’articolo
41, comma 2 del Codice Penale, laddove si è ritenuto che il comportamento della
lavoratrice non fosse qualificabile come causa sopravvenuta sufficiente a
determinare l’evento, nonostante fosse stato accertato che il datore di lavoro
avesse adottato le misure prevenzionistiche funzionali a segregare gli organi
lavoratori della macchina e avesse adeguatamente informato e formato la
lavoratrice in merito ai comportamenti da adottare qualora si fosse verificato
l’inceppamento del macchinario al quale era addetta e nonostante fosse stato
accertato che la lavoratrice avesse violato le direttive ricevute mettendo in
atto una serie di operazioni (prendere un cacciavite, raggiungere allungandosi
il varco di dieci centimetri presente nel recinto segregatore e infilarvi il
braccio) rivelatrici della piena consapevolezza di violare tali direttive.
Pertanto
la Corte di
Cassazione ha annullata la
Sentenza impugnata senza rinvio “perché le pacifiche
acquisizioni istruttorie enunciate nel provvedimento non consentivano di
pervenire alla condanna, in presenza di una evidente causa interruttiva del
nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento infortunistico
ascrittogli”.
La Sentenza n.4890 del 2
febbraio 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile all’indirizzo:
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