Laurea ad honorem al patron svizzero
dell’Eternit. L’encomio conferito nel 1996 a Stephan Schmidheiny per “meriti
personali nell’impegno profuso per l’ambiente”.
Stephan Schmidheiny
09/02/2016
silvana mossano
casale monferrato
Vent’anni fa, la prestigiosa università
americana di Yale conferì a Stephan Schmidheiny la laurea «ad honorem»,
riconoscendogli meriti personali nell’impegno profuso per l’ambiente. Vero che,
nel 1996, quel che si è saputo dopo sulla «purezza» dell’interesse ecologico di
Schmidheiny non lo si conosceva.
Perché il patron svizzero di Eternit, che ha
investito una fortuna in stilisti d’immagine per farsi confezionare l’abito
elegante del benefattore ecologico, non era ancora stato incriminato dalla
Procura di Torino per disastro ambientale permanente causato dall’amianto. Vero
che la Cassazione, a novembre 2014, ha fermato la sentenza di condanna
pronunciata in primo e in secondo grado, relegandola alla soffitta delle
prescrizioni, ma l’aver scansato la pena inflitta non cancella quel che è
emerso in decine di udienze e in migliaia di documenti sulla diffusione
criminale della fibra. La Procura, partendo da un altro tipo di reato -
omicidio volontario di decine di morti per il mesotelioma causato dalla fibra
di amianto - ha di nuovo incriminato l’imprenditore (si è in attesa del
pronunciamento della Corte Costituzionale sul «ne bis in idem»).
Vent’anni fa, dunque, l’università di Yale conferì la laurea
all’imprenditore che, tramite la sua Fondazione Avina, aveva stanziato milioni
di dollari per sostenere lo sviluppo di piccole imprese ecocompatibili in
America Latina. Ben fatto. Però, non si comportò in egual modo a Casale
Monferrato e negli altri luoghi dove la «sua» Eternit ha causato migliaia di
vittime. Si accorse di quella laurea - un titolo equivalente a un’offesa per i
casalesi - l’insegnante Assunta Prato, vedova dell’amianto e membro
dell’Associazione famigliari e vittime. L’Afeva, indignata, si concentrò anche
su questa battaglia, coinvolgendo Barry Castleman, consulente americano nelle
maggiori cause mondiali nella lotta all’amianto. Fino a ora, però, Yale si era
dimostrata sorda a ogni istanza di ripensamento. Non più: domani, alle 18
ora americana, nell’aula 129, si discuterà sull’opportunità di revocare la laurea
ad honorem a Schmidheiny. L’iniziativa, promossa e sostenuta dal Centro per i
diritti umani di Yale, porta in cattedra quattro relatori di spicco: lo stesso
Castleman, Martin Cherniack, docente universitario di medicina, Christophe
Meisenkothen, avvocato (anche in rappresentanza dell’Afeva) e Thomas Pogge,
docente di filosofia e affari internazionali. Tra i documenti a sostegno della
causa, viene portato il saggio «Il grande processo», uscito in un «Quaderno di
Storia Contemporanea» pubblicato dall’Isral, scritto da Sara Panelli (uno dei
tre pm torinesi del processo Eternit) e Rosalba Altopiedi, consulente di
quell’inchiesta. Schmidheiny riuscì a bloccarne la diffusione. Ora, il testo è
stato ritradotto in inglese e viene pubblicato nel sito dell’Adao (l’associazione
americana delle vittime d’amianto come Afeva a Casale). Sarà disponibile anche
la versione italiana.
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