Questo manualetto è il risultato di un
percorso nato all'interno della Camera Popolare del Lavoro di Napoli,
un'esperienza nuova, autogestita, interna allo spazio e al progetto dell'Ex OPG
“Je so’ pazzo”.
Tra lavoratori ci siamo incontrati,
abbiamo parlato, ci siamo scambiati esperienze, abbiamo ascoltato avvocati,
ispettori e consulenti del lavoro e questo è ciò che ne è venuto fuori. Allora
abbiamo deciso di condividerlo con tutte e tutti.
Scarica
al link:
http://www.clashcityworkers.org/images/pdf/2015_12_18_manuale-lavoro-nero.pdf
e
diffondi il manuale di autodifesa "50 sfumature di lavoro nero e come
combatterle", che riportiamo anche a seguire.
1.
E’ DI TE CHE SI PARLA IN QUESTA STORIA
Raffaella ha 22 anni. Nel 2012, arrivata
da un paesino dell'entroterra, aveva iniziato a lavorare come cameriera in un
locale in uno dei quartieri “bene” della città. Tre turni a settimana, ogni
volta 10 ore di lavoro. Quando finiva la giornata, il gestore le metteva in
mano 30 euro. Di un contratto nemmeno l'ombra. Dopo tre anni, qualche settimana
fa, a fine turno, le è stato detto che, per “politica aziendale”, stavano
“rinnovando” il personale e l'hanno invitata a non presentarsi più. Licenziata
così, da un giorno all’altro. Liquidazione, contributi, ferie e permessi che
avrebbe dovuto maturare, se avesse avuto un contratto, sono un sogno. Manco
“arrivederci e grazie”, figuriamoci i soldi che le sarebbero spettati!
Valentina, invece, di anni ne ha 27. Viene
da uno dei paesi della sterminata provincia. Da ormai parecchi anni fa
l’animatrice. In giro, per feste per bambini, con una paga di 5 euro l’ora.
All'inizio non volevano rimborsarle la benzina. Dopo un po' di discussioni,
almeno quello è riuscito ad ottenerlo. Di un contratto, però, anche per lei,
neanche a parlarne.
Daniele ha 31 anni. Dopo anni di
sbattimenti è finalmente riuscito a realizzare un sogno: fare il professore.
Oggi lavora dieci ore a settimana in una scuola privata e ha firmato anche un
contratto. Peccato però che sia totalmente fasullo e che a fine mese non gli
venga dato nemmeno un euro. Qualcuno direbbe che lavora per la gloria, in
realtà lo fa solo per maturare il punteggio in graduatoria, sperando in un
domani migliore.
Anche Lucia un contratto ce l'ha. Oggi di
anni ne ha 29. Da 6 fa la commessa nello stesso negozio, uno di quelli in cui a
tanti sarà capitato di entrare, in una delle vie dello shopping cittadino. Dopo
un lungo periodo “a nero”, due anni fa è stata “messa a posto”. Si fa per dire,
visto che quello che sulla carta è un part-time, 4 ore di lavoro al giorno, si
trasforma spesso in una giornata di 12 ore, per non parlare delle domeniche al
negozio, della mancanza di riposo, ecc. A fine mese i soldi che guadagna non
sono quelli riportati in busta paga. Ha pattuito una cifra con la proprietaria
e da anni non ci si muove da quella. Ogni tanto, sotto le feste, magnanimamente
le vengono “regalati” 50€.
Sanjeev è arrivato dallo Sri Lanka 12 anni
fa. 35 anni, una moglie e due figli piccoli. Da anni lavora come cuoco in un
locale del centro storico. Il contratto, anche se non veritiero, gli serve.
Senza quello niente permesso di soggiorno. Peccato che avrebbe diritto anche
agli assegni familiari. Peccato perché quelli se li tiene il proprietario.
Potremmo andare avanti a lungo, ma ci
fermiamo qui. Sono 5 storie, tutte diverse, eppure tutte uguali. Sono le nostre
storie. Chi non ne ha una simile? Che si tratti di un tavolo da servire, di un
palco da montare, di una lezione da preparare, di un bambino cui badare, di una
borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di pomodori da raccogliere,
tutti abbiamo tantissime storie del genere da raccontare.
Non a caso l'Italia è considerata patria
del lavoro “nero”. Che poi qualcuno una busta paga ce l'abbia pure non è che
cambi molto: se la mansione, l'orario, la paga che vengono messi nero su bianco
non corrispondono al vero, non è che ci renda poi così tranquilli, né tanto
meno “regolari”. Lavoro “nero” o “grigio” (come si definisce il lavoro quando
uno un contratto ce l'ha, ma quest’ultimo è falso) cambia poco: niente ferie,
malattie, permessi, contributi, insomma zero tutele, zero diritti, e tanta,
tanta impotenza e solitudine.
E la rabbia e il disincanto ci prendono
quando televisione e giornali ci dicono che la situazione sta migliorando, che
il Jobs Act funziona, che in fondo basta non essere “choosy” e una soluzione la
si trova. E lo vengono a dire a noi, con le nostre storie di merda, con
fratelli, sorelle e amici costretti a emigrare perché qui è sempre più dura. E
magari pretendono pure che gli crediamo, sennò siamo “gufi”.Ma come si fa, se
attorno a noi il lavoro nero non diminuisce? Se le forme di lavoro “legale” gli
assomigliano sempre più?
Ormai il contratto a tempo indeterminato
non è solo una chimera; con le “tutele crescenti” praticamente non esiste più.
Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i voucher, sempre più diffusi e
che un datore di lavoro può tirar fuori quando c'è un'ispezione (che poi,
l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica visto che quasi nessuno riesce
a vederne uno!). Come è successo nel locale in cui lavorava Raffaella: è
arrivato un controllo e...puff...da un cassetto è uscito fuori qualche bel
voucher che “dimostrava” che lei lì ci lavorava in maniera legale, altro che
nero! Peccato che lei non lo sapesse, che un voucher non lo avesse mai nemmeno
visto.
Lamentarsi non basta, ce lo dicono sempre.
E hanno pure ragione. Allora noi qualcosa la vogliamo fare. Ne abbiamo piene le
scatole di sentirci fare la predica. Ci fosse mai uno che viene e ti dice qualcosa
di veramente utile, qualcosa che possa far cambiare un minimo la situazione in
cui ci troviamo.
2.
COME POSSO DIFENDERMI DAL LAVORO NERO (O “GRIGIO”)?
Partiamo da una cosa che può sembrare
banale, ma molto spesso non lo è: se lavoro a nero, non c'è proprio nulla che
possa fare per difendermi.
FALSO! Abbiamo imparato, anche a nostre
spese, che difendersi è possibile, però dobbiamo capire come...
Cerchiamo allora di procedere con ordine e
partiamo proprio dall'inizio.
ASSUNZIONE: nella “felicità” di questo
momento ricordiamoci di non abbassare la guardia, perché fin da subito dobbiamo
iniziare a difenderci. Se c'è la firma su un contratto, ce ne deve essere data
una copia: non la trattiamo come un volantino pubblicitario qualsiasi,
conserviamola (lo stesso vale per le buste paga: non sono carta straccia!). Se,
invece, è “bastata” una stretta di mano, segniamoci il giorno in cui il patto
tra “gentiluomini” è stato siglato!
Il primo passo per difenderci è, infatti,
quello di raccogliere quanto più materiale possibile per DIMOSTRARE che c’è
stato davvero un rapporto di lavoro, quando è iniziato, quanto è durato e cosa
facevamo. Non è raro, infatti, che, nel momento in cui si arriva a uno scontro
che magari porta all'interruzione del rapporto di lavoro, il “gentiluomo” neghi
la nostra stessa esistenza, se gli è possibile, o riporti dei tempi
completamente sballati: data di inizio falsa, orari di lavoro inferiori a
quelli reali, ecc.
Niente è inutile!
E’ molto importante, anzi necessario,
tentare di ricostruire il racconto del proprio rapporto di lavoro nella maniera
più precisa possibile e quindi:
-
ANNOTIAMO data di inizio, ed eventualmente
anche di fine del rapporto di lavoro, le ore di lavoro effettive (comprese le
eventuali pause) e, laddove possibile, prendiamo documenti che attestino le
modalità di organizzazione del lavoro da parte del datore (schemi turni, foglio
orari);
-
APPUNTIAMO
e conserviamo eventuali provvedimenti disciplinari presi contro di noi
(richiami orali o scritti, sospensioni, multe, diminuzione punitiva della
paga);
-
PROCURIAMOCI un'agendina e registriamo le
nostre presenze e i nostri orari nella maniera più precisa possibile, incluse
date e orari di straordinari e assenze (malattie, ferie o permessi), eventuali
chiusure estive o festive dell’impresa;
-
RACCOGLIAMO e conserviamo qualsiasi tipo
di corrispondenza (mail; SMS; Whatsapp; messaggi su Facebook) o materiale
fotografico rilevante (anche una banale foto sul posto di lavoro, magari con i
colleghi, che può sembrare inutile, può essere invece importantissima (con i
social network, capita che gli stessi esercizi commerciali pubblichino sulla
loro pagina nostre foto mentre siamo al lavoro!);
-
PRENDIAMO NOTA delle effettive mansioni che
svolgiamo: ad esempio, servire al tavolo è diverso da stare alla cassa e
comporta retribuzioni e indennità diverse che, purtroppo, non ci vengono quasi
mai riconosciute;
-
APPUNTIAMO quando ci viene consegnato lo
stipendio e con quale cadenza periodica (ad esempio a cadenza giornaliera o
mensile), fotocopiando eventuali assegni di pagamento ricevuti dal datore di
lavoro;
-
CERCHIAMO DI RECUPERARE (per quanto
sappiamo essere operazione per nulla facile) e conservare qualsiasi tipo di documento
su cui si è apposta una nostra firma (ricevute, documenti dei corrieri, ecc.);
-
ACCERTIAMO chi sia effettivamente il
nostro datore di lavoro: spesso ci interfacciamo con un “gestore”, ma una causa
andrà fatta col datore (il titolare dell'attività).
Un secondo passo, fondamentale per
tutelarci al meglio, è quello di trovare delle prove testimoniali. Eventuali
“testimoni” servono per dimostrare non solo l’esistenza stessa del rapporto di
lavoro, ma soprattutto la sua continuità nel tempo e gli orari effettivi.
Quindi, durante il rapporto di lavoro è
molto utile:
-
redigere una lista di contatti dei
colleghi, dei fornitori o di eventuali guardiani, portieri, guardie giurate,
utili come testimoni;
-
annotare i nominativi dei clienti che
incontriamo regolarmente;
-
frequentare abitudinariamente luoghi ed
esercizi pubblici posti nelle immediate vicinanze del posto di lavoro (per
eventuali testimonianze da parte di titolari e dipendenti).
Ovviamente, tra tutte queste figure,
quella più importante è quella dei colleghi. Sono quelli con cui condividiamo
il tempo, la fatica, gli abusi, le vessazioni, ma anche le piccole gioie
quotidiane. Per quanto possa essere difficile, sono i primi con cui provare a
difendersi insieme.
3.
UN PASSO AVANTI: DALL’ACCUMULO DI CARTE ALL'AZIONE PRATICA
Ma, arrivati a questo punto, che ce ne
facciamo di tutta questa documentazione, di queste informazioni e,
eventualmente, di testimoni? Tutto e niente. Sono infatti le nostre armi, da
tirar fuori al momento opportuno, se e quando lo riterremo necessario.
Se lavoriamo, infatti, una ragione ci
sarà: mantenere una famiglia, pagarsi un affitto, le bollette. Non è che lo
facciamo perché ci piace. Quel lavoro (per quanto di merda sia) ci serve e in
molti casi non possiamo permetterci di perderlo solo per affermare dei principi
morali, per farci dare una pacca sulla spalla dagli amici e sentirci dire che
avevamo ragione, che tutto è uno schifo e che abbiamo fatto bene. Dobbiamo
quindi essere attenti, la nostra azione deve essere efficace, non semplicemente
giusta.
Tutto quanto raccolto lo possiamo
semplicemente tenere in un cassetto, conservandolo con cura. Ci sarà utile
quando vorremo dare una svolta, quando la rabbia sarà troppa, quando l’ennesimo
sopruso sarà la famigerata goccia che farà traboccare il vaso. O, semplicemente,
quando il datore di lavoro deciderà che può fare a meno di noi, che non gli
serviamo più e vorrà buttarci via come uno straccio…
4. CHE COSA SUCCEDE SE DECIDIAMO DI
DENUNCIARE?
Se pensiamo a questa ipotesi bisogna
mettere in conto anzitutto una cosa, che per quanto invisibili, latenti e poco
funzionali, lo stato prevede degli strumenti per la tutela dei lavoratori...in
effetti, uno: l’Ispettorato del Lavoro,
che è un organo preposto alla tutela dei lavoratori, che ha il potere di
effettuare delle “ispezioni” sui posti di lavoro per verificare che le regole
siano rispettate. L’Ispettore del Lavoro può visitare senza preavviso qualsiasi
posto di lavoro, controllare le strutture aziendali, la documentazione
dell’impresa, nonché sentire i lavoratori (ovviamente senza la presenza
“ingombrante” del datore di lavoro) per raccogliere la loro testimonianza.
Chi può presentare una denuncia?
All’Ispettorato si può rivolgere il
singolo lavoratore, un’organizzazione sindacale o un’associazione, ma anche il
semplice cittadino che sia a conoscenza di situazioni di irregolarità.
Devo dare per forza le mie generalità?
Denunciando il datore di lavoro, non rischio forse di perdere il “posto”?
La denuncia da parte del singolo
lavoratore può essere anche anonima, ma aumenta il rischio che i funzionari
dell’Ispettorato non la prendano in considerazione. Gli Ispettori del Lavoro
con cui ci siamo confrontati ci hanno consigliato di apporre comunque nome e
cognome. Tuttavia, sappiamo bene che, sia in caso di lavoro “grigio” che, a
maggior ragione, di “nero”, la minore esposizione possibile è consigliabile.
In ogni caso, nessun problema. Come già
detto, possiamo presentare una denuncia utilizzando un’associazione. Ad
esempio, anche per andare incontro a quest’esigenza, abbiamo creato a Napoli
l’associazione “Potere al popolo!”. Possiamo usarla come scudo dietro cui
parare i colpi che ci potrebbero arrivare dalla controparte.
Cosa ci deve essere nella denuncia?
Tutta la documentazione di cui abbiamo
scritto prima (inizio del rapporto, orari di lavoro, salario percepito, ecc.).
Quanto più precisa una denuncia, tanto meglio.
Come fare la denuncia?
-
può essere inviata tramite posta (come
sempre per la Pubblica Amministrazione, meglio una Raccomandata con ricevuta di
ritorno);
-
può essere portata direttamente
all’ufficio di zona dell’ispettorato del lavoro;
-
può essere fatta telefonicamente:
tuttavia, questa modalità ci è stata fortemente sconsigliata, dal momento che
nel 99% dei casi non sarebbe presa minimamente in considerazione.
Ma questa denuncia serve poi a qualcosa?
La situazione cambia davvero?
E qui i nodi arrivano al pettine. Inutile
dire che, Governo dopo Governo, quest’Ente è stato sempre più depotenziato.
Meno fondi, meno personale, più burocrazia e meno possibilità di effettuare
controlli. Se ci aggiungiamo che in alcuni casi il singolo Ispettore può non
agire esattamente nell’interesse dei lavoratori, la situazione non è idilliaca.
Tutt’altro. Non a caso quasi nessuno di noi ha visto un Ispettore, e chi lo ha
visto non ha per questo migliorato la propria condizione.
Comunque, a questo punto dobbiamo entrare
in gioco noi. Gli Ispettori devono renderci conto del loro operato. Dobbiamo
esercitare una pressione costante sul loro lavoro, stargli col fiato sul collo.
Loro sono lì per tutelare noi. Individualmente, ma soprattutto se ci mettiamo
insieme, in tre, quattro, decine di noi, possiamo “costringerli” a fare per
bene il loro lavoro. E’ già successo che i lavoratori abbiano avuto successo in
questo. Possiamo provarci anche noi. Anche perché più controlli, fatti sul
serio, significherebbero maggiori difficoltà delle aziende ad assumere “a nero”
o “a grigio”, con la conseguenza che, domani, quando cercheremo un altro posto
di lavoro, magari almeno il rispetto delle condizioni minime ce l’abbiamo.
5. E SE VENIAMO CACCIATI, LICENZIATI?
Nel corso delle nostre esperienze
lavorative, nelle chiacchiere che ci siam fatti con amici e parenti, ne abbiamo
sentite di tutti i colori. Ci cacciano e spesso ci danno pure le motivazioni
più implausibili del mondo! A volte, davvero, ci offendono nella nostra
intelligenza. Come quando a una di noi hanno detto che sarebbe stato meglio se
non fosse più tornata a lavorare perché c’era bisogno di una “pausa di
riflessione”! No comment!
Anche quando sembra che tutto sia finito,
comunque, nessuna resa. C’è ancora qualcosa che possiamo fare. Tutti i dati
raccolti ci torneranno ancora una volta utilissimi. Possiamo infatti denunciare
il datore di lavoro, rivolgendoci ad un avvocato o ad un consulente del lavoro.
Alla Camera Popolare del Lavoro abbiamo
organizzato uno sportello legale gratuito per aiutarci anche in questo tipo di
situazioni.
Potremmo pensare che la denuncia sia una
soluzione del cavolo, che non abbiamo tempo da perdere dietro a queste cose e,
soprattutto, che di soldi non ce ne sono per pagare chicchessia.
E’ quello che pensiamo un po’ tutti. E poi
vuoi mai vedere che il datore di lavoro è stato così disattento da poter
perdere una causa? Ebbene sì. Anche quando a noi sembra che abbia preso tutti
gli accorgimenti del caso, quando sappiamo che si è rivolto a fior fiore di
consulenti, nella maggior parte dei casi, i lavoratori che denunciano vincono.
Per essere precisi e non dire baggianate, in realtà in molti casi non si arriva
nemmeno a processo. Il datore di lavoro (meglio, il suo avvocato) ci contatterà
una volta partita la denuncia per proporci una transazione: anziché rischiare
di doverci pagare somme che spesso sono tutt’altro che bruscolini, decidono di
offrirci una cifra ben più bassa, purché rinunciamo ad andare avanti. Sta poi a
noi scegliere se proseguire o accettare.
Ma che si arrivi a processo o che si
giunga ad un accordo in precedenza, il risultato è chiaro: nella maggior parte
dei casi VINCIAMO! E almeno recuperiamo una parte di ciò che ci sarebbe stato
dovuto, per le situazioni che siamo costretti a subire.
Un’ultima postilla: a volte capita che il
datore di lavoro che perde la causa risulti insolvente. Risultato? Rischiamo di
essere vincitori morali, ma di non vedere nemmeno un euro. Neanche a questo
punto però tutto è perduto.
Possiamo rivolgerci all’INPS. Difatti, è
previsto che l’INPS ci riconosca almeno il pagamento del Trattamento di Fine
Rapporto (TFR) che ci spetterebbe (se agiamo entro 5 anni dalla fine del nostro
rapporto di lavoro) e, se ci muoviamo per tempo (entro 1 anno dalla cessazione
del rapporto di lavoro), potremmo riuscire a ottenere anche il pagamento delle
ultime tre mensilità (come da contratto e non come da “accordi” col datore di
lavoro!) che ci sarebbero dovute toccare.
6.
TIRIAMO LE SOMME
Abbiamo scritto questo manualetto per
dotarci di uno strumento pratico, e utile, per combattere un problema che, troppo
spesso, ci sembra senza soluzione. Siamo entrati nel merito di molti dettagli
proprio per chiarire che, nonostante tutto, qualcosa si può fare, e non è poco.
Tutte le indicazioni fornite per costruire
il proprio dossier sembrano noiose ma sono utilissime: quando un giorno
decideremo di chiudere un determinato rapporto avremo ottime chances di
recuperare quanto ci spetta, e anche farla pagare a chi ci ha sfruttato, magari
facendocela passare come un favore.
Ma non è tutto. La denuncia non ci basta,
e con questo manualetto abbiamo l'ambizione di andare oltre.
Vogliamo rompere il muro di silenzio su
una situazione che riguarda migliaia e migliaia di persone, e che a stento
emerge dalle statistiche ISTAT, e costringere tutti (media, istituzioni) a non
fare finta di non vedere e dare delle risposte. Vogliamo rendere il sonno dei
nostri “donatori di lavoro” meno placido e sicuro, vogliamo vederli con la
strizza addosso, in poche parole vogliamo combattere il problema a monte, non
solo dopo che si è presentato. E possiamo farlo.
Se avete voglia di mettervi in gioco anche
voi, direttamente, noi ci siamo!
Se il lavoro fatto vi sembra utile, se ci
sono delle correzioni o dei suggerimenti,
scriveteci all’indirizzo:
scriveteci all’indirizzo:
camerapopolarelavoro.na@gmail.com
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