Morti di amianto all’Olivetti: oggi è il giorno della
difesa di Carlo De Benedetti
Attesa per
l’arringa: si parlerà anche degli elementi nuovi che provengono dallo studio di
14 mila faldoni scoperti in un deposito Telecom a Torino
27/06/2016
giampiero
maggio
ivrea
È il giorno della difesa di Carlo De Benedetti nel
processo per l’amianto all’Olivetti, che si sta celebrando a Ivrea. L’ingegnere
è a processo con altri 17 imputati per omicidio colposo e lesioni
colposo. L’udienza di oggi si svolge nella piccola aula a piano terra del
Tribunale di Ivrea, mentre finora i dibattimenti, per questione di spazio, si
erano tenuti nell’aula magna del liceo Gramsci. I primi a parlare sono stati i
difensori di Roberto Colaninno e di Onofrio Bono, per i quali già i due pm,
Laura Longo e Francesca Traverso avevano chiesto l’assoluzione.
C’è attesa per
l’arringa difensiva di De Benedetti che, tra l’altro, toccherà anche gli
elementi nuovi che provengono dallo studio di 14 mila faldoni scoperti di
recente dal pool difensivo dell’ingegnere in un deposito Telecom a Torino.
È duro l’attacco nei confronti di Stefano Silvestri, consulente della
procura nel processo, da parte di Cesare Zaccone, l’avvocato che oltre a
difendere Colaninno difende Paolo Smirne, responsabile sicurezza tra l’86 e
l’88. «Abbiamo bisogno di consulenze certe e tranquille, Silvestri ha
fotografato lo stato dei cunicoli e del capannone sud di San Bernardo 25 anni
dopo il periodo di lavoro di Smirne. È impensabile immaginare che così fosse
all’epoca, non si possono inventare dati». Sempre Zaccone: «Il tema da
responsabilità di impresa è importante. Non c’è stata violazione della legge, i
pm non hanno prove». Per Smirne, per il quale l’accusa ha chiesto 2 anni e 8
mesi, i difensori hanno chiesto l’assoluzione. La prima a parlare per la
difesa di Carlo De Benedetti è stata Elisabetta Rubini, storico avvocato
dell’ingegnere che ha detto di «essere sorpresa del fatto che la pubblica
accusa non abbia considerato la documentazione che questa difesa ha prodotto e
ricavata dall’archivio Telecom a Torino». Duro l’incipit dell’intervento:
«Il 13 giugno i due pm affermano in maniera denigratoria che negli anni
Settanta e Ottanta l’azienda non era quella di Adriano Olivetti. Dichiarazioni
in contrasto con quanto fatto dall’ingegnere dal ’78 in avanti». Rubini ha poi
insistito sul lavoro svolto dall’ingegnere nel momento in cui, nel ’78, ha
preso in mano le redini dell’azienda. «C’era una concreta organizzazione e
distribuzione dei poteri in Olivetti. Tutto ciò dimostra che esistevano deleghe
formalizzate». E poi sulle capacità di spese: «C’erano 3 livelli con
possibilità di spesa che, già nel 78, andavano da 200 milioni a 1 miliardo di lire.
Cifre poi decisamente aumentate negli anni successivi». E chiosa: «Nel corso
del processo, dell’ingegnere Carlo De Benedetti non si è quasi mai parlato e
questo perché da parte sua non c’è stata alcuna omissione o ingerenza, in
passato, nella struttura organizzativa». Ora toccherà a Pisapia, l’altro
difensore di De Benedetti. «Sì sta facendo un processo ad una persona che
ha 82 anni, che ha speso 20 anni in questa città prendendo un’azienda decotta e
portando il fatturato da 1000 miliardi a 10 mila miliardi di lire e garantendo
60 mila posti di lavoro». Lo afferma Tomaso Pisapia, avvocato di Carlo De
Benedetti. Che aggiunge: «C’era massima protezione dei lavoratori ed emerge che
con De Benedetti non è mai cambiato questo aspetto, c’era massima collaborazione
con i sindacati in materia di sicurezza. I pm hanno chiesto che non venissero
concesse le generiche e ci chiediamo quali siano le finalità della pubblica
accusa».
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