Alla soglia del
Referendum costituzionale, Governo e confederali hanno trovato l'accordo per il
rinnovo dei contratti nel Pubblico Impiego. Sia la Camusso che Barbagallo si
sono lanciati in commenti entusiastici, il che, già di per sé, rappresenta
motivo di preoccupazione per noi.
Il documento
reso pubblico illustra le linee-guida su cui verranno sottoscritti i contratti
per il triennio 2016-2018 dei 4 comparti, il che avverrà dopo il 4 Dicembre.
Scorrendo il
Testo, appare evidente come CGIL-CISL-UIL abbiano sottoscritto l'ennesima
"marchetta" a danno dei lavoratori in cambio di un riguadagnato ruolo
nella contrattazione.
Vediamo i punti
salienti dell'accordo:
1) il governo s'impegna a stanziare 5 miliardi di euro
per il triennio, determinando incrementi stipendiali non inferiori a 85 euro
pro-capite, medi e lordi. Occorre sottolineare che tali risorse ricomprendono
anche i cosiddetti "non contrattualizzati" (Forze armate ecc.).
Inoltre, s'impegna a fare in modo che gli incrementi previsti, per via del
cumulo, non annullino il beneficio degli 80 euro per coloro che ne
beneficiano;
2) il governo si impegna a ridefinire la cornice
normativa entro la quale saranno rinnovati i contratti in scadenza dei precari
e la limitazione al ricorso di forza-lavoro precaria nel P.I. per il futuro;
3) il governo si impegna a dare la priorità alla fonte
contrattuale/pattizia rispetto a quella legislativa, riconsegnando, quindi, al
confronto delle parti sociali la soluzione delle questioni attinenti il lavoro
(dovrebbe valere anche per il comparto Scuola);
4) il governo
s'impegna a rivedere i criteri di valutazione della performance individuale
(superamento della Brunetta) definendo nuovi sistemi di valutazione;
5) il governo s'impegna a rivedere l'art.40 - comma 3
Ter del DLgs 165/2001,(atto unilaterale) fissandone modalità e termini, in
accordo con la triplice
6) il governo s'impegna a rivedere l'art.17 della Legge
124/2015 (Bosetti-Gatti) riguardante il riordino della disciplina del lavoro
alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (accordo con le Regioni);
7) il governo s'impegna a semplificare l'utilizzo del
fondo del salario accessorio aziendale, prevedendo anche forme di
defiscalizzazione;
8) il governo
s'impegna, sulla falsariga del contratto metalmeccanici, a forme di Welfare
integrativo - coperture sanitarie, fondi pensione... - e questo è uno degli
aspetti più delicati e pericolosi di questo accordo. Pare evidente che i
soggetti principali che interagiranno con la P.A. sono emanazioni di
CGIL-CISL-UIL e qua sta il "business" e relativa marchetta che ha
portato all'accordo. L'introduzione del cosiddetto Welfare integrativo
(privato), apre scenari inquietanti sul futuro della sanità pubblica e sulle
intenzioni privatistiche di governo e sindacati.
Esecutivo
nazionale Cobas Pubblico Impiego
A proposito di “contratto” del
pubblico impiego
L’accordo sottoscritto dai segretari CGIL, CISL e UIL
con la rappresentante del governo Renzi semplicemente non è un rinnovo del
contratto di lavoro. Ma un “accordo quadro” che genericamente definisce linee
guida e cosa ci piacerebbe fare. E’ tanto palese che persino la segreteria
nazionale della FP Cgil è costretta ammetterlo. Per i “ contratti” occorrerà
aspettare molto e non tutto è così scontato. In realtà non è neppure un accordo, ma assomiglia molto agli avvisi comuni
che nel privato si firmano con i padroni da inviare al Governo. La stesura del testo infatti appare come un avviso
comune che il “datore di lavoro- governo” invia a se stesso nella funzione di
legislatore. Un percorso un po’ schizofrenico.
Per la concretizzazione occorrerà non solo aspettare
la legge di Bilancio 2017 (che però, come vedremo, prevede solo le risorse
economiche da impegnare nel 2017). Dopo il governo invierà l’atto di indirizzo
all’ARAN e già qui – ne siamo certi – sarà evidente la differenza tra “il dire”
ed il “fare”. Quindi si potrà aprire la trattativa i cui tempi nessuno può
prevedere. Il presidente dell’ARAN ha già dichiarato.” Dopo sette anni di
blocco c’è molto da fare per rimettere ordine alla parte normativa, a un
modello contrattuale un po’ obsoleto. Ci vorrà tempo, ci dovremo rimboccare le
maniche anche per armonizzare le regole dei nuovi comparti che sono ridotti da
11 a 4” Quindi, non solo aumenti ma:
- riscrittura parte normativa e chissà quale sarà lo scambio per i pochi euro concessi)
- nuovo modello contrattuale, e qui il testo firmato già dà il segno di quali saranno i cambiamenti: “analogamente a quanto avviene nel settore privato”.
- Quattro soli contratti dove evidentemente l’armonizzazione verrà fatta al ribasso essendo scritto in esplicito nel testo che, escluso l’aumento contrattuale, tutto il resto dovrà essere attuato a costo zero
Dicevamo non un accordo ma una semplice dichiarazione
di intenti
Leggendo il testo ciò che colpisce è l’uso costante
del verbo “impegnare” declinato in vari modi circa 20 volte. “Le parti concordano quanto segue”,
l’incipit di ogni accordo sindacale è totalmente assente in questo testo. Un piccolo particolare curioso. Nella parte economica
al punto c) il capoverso che inizia con “in applicazione….” è stato prontamente
cancellato e sostituito con una correzione a mano che recita “in coerenza”.
Non sia mai che “l’impegno” fosse troppo vincolante!! Appare quindi una bella lettera a Babbo Natale piena
di buoni propositi. “Mi impegno a fare il bravo, a non dire più le bugie e a
non far arrabbiare la mamma”.
I buoni propositi sono una bella cosa ma non quando si
parla di soldi.
Dopodichè è fin troppo facile prevedere che le parti
che riguardano i lavoratori saranno imposte con la mannaia e quelle che
impegnano il governo vi sarà sempre un motivo contingente per rinviarle,
disattenderle o più probabilmente stravolgerle. Perché un impegno così generico
non è esigibile. Se non con la lotta. Ma questa parola non è nel vocabolario di
CGIL, CISL e UIL. Poi come si dice da qualche parte
“passata la festa (il referendum e bocciatura della Consulta della legge
Madia), gabbato lo Santo (i lavoratori e le lavoratrici)”
Alcune cose precise però questo testo le dice, vediamo
cosa.
Primo. SI APPROVA LA CONTRORIFORMA MADIA
il testo per i vari rimandi e citazioni che contiene
vede la completa approvazione del decreto Madia (legge 124/2015) da parte di
CGIL, CISL e UIL. Più volte il decreto 124 /2015 è citato. Tre volte con riferimento all’applicazione dell’art.
17. Ma ciò che più colpisce è la lettera a) del punto 4), cito testualmente
“Le OO.SS. a fronte del loro coinvolgimento nella
fase di attuazione delle nuove normative previste dai decreti attuativi della
legge 124/2015 si impegnano ad individuare iniziative svolte a stimolare nelle
singole amministrazioni (…etc etc….).”
Non solo approvazione ma pieno coinvolgimento nell’
attuazione della controriforma della Pubblica Amministrazione.
E non sfugga ciò che vien scritto in premessa quando
si fa riferimento alle Regioni e all’intesa da raggiungere con esse. Appare
evidente la spada di Damocle messa, con il consenso di CGIL CISL e UIL, sulla
testa delle Regioni dopo l’annullamento di una parte della controriforma del
ministro Madia a causa del vulnus rappresentato proprio dal conflitto di
competenze tra Stato e Regioni. Ricordate
tutti le dichiarazioni del ministro Madia che subito dopo la bocciatura mise in
discussione il rinnovo dei contratti mettendolo in relazione alla crisi della
“sua creatura” per colpa della Regione Veneto. Stupisce questa accettazione supina da parte di queste organizzazioni
sindacali, dato che l’anno passato CGIL e Uil definirono con una nota congiunta
il provvedimento legislativo in questione “una truffa”.
La CGIL in agosto 2015 fu ancor più pesante: dal sito
di questa organizzazione si può ancora oggi leggere “"Altro che
riforma, il ddl Madia è una somma di provvedimenti che scarica la spending
review sui cittadini e sul lavoro, indebolisce la struttura della Pubblica
Amministrazione e ristabilisce un potere fortissimo della politica. . È il contratto lo strumento con cui attuare una
vera riforma” (NB Ora con tutto il bene che voglio al contratto nazionale
mi risulta difficile definirlo “una riforma della pubblica amministrazione” ).
Ma il giudizio era chiaro. Il repentino cambio di rotta è altrettanto
trasparente. Il sindacato di corso di Italia da
tempo ci ha abituato a dichiarazioni roboanti seguite dal nulla silenzioso.
Memorabile il grido di guerra di Susanna Camusso il 3
dicembre 2011 all’assemblea CGIL riferendosi alla ipotesi di riforma delle
pensioni:
“40 anni numero magico”.
Il 22 dicembre dello stesso anno la riforma Fornero
era legge dello Stato senza che in Italia si muovesse foglia.
Secondo Parte normativa
Qui, se il bel tempo si vede dal mattino, non c’è da
aspettarsi nulla di buono. Si scrive testualmente “valorizzazione dell’apporto
individuale in relazione agli obiettivi di produttività” Leggasi “INDIVIDUALE”, non “COLLETTIVI”. Cosa cambia
rispetto alla filosofia di Brunettiana memoria?
Mi sia concessa una riflessione. Io ho sempre pensato
che i veri “fannulloni” devono essere cacciati a pedate nel sedere. E sapete
perché? perché sono i ruffiani. Per fare il fannullone occorre essere protetto
da un capo. Ma qui viene il bello: lo stesso dirigente che ti consente di non
fare nulla scaricando il tuo lavoro sui colleghi, è lo stesso che poi dà le
valutazioni individuali di merito per l’incentivo alla produttività. Quindi, chi lavora ma non lecca i piedi a nessuno sarà
mazziato e cornuto. Ma questo è il mondo renziano.
Terzo L’aspetto economico
Nel testo viene goffamente preso per buono che tutta
la cifra che compare nella legge di stabilità di 1,48 Miliardi(2017) e 1,39
miliardi (2018) sia per il rinnovo del contratto. Però CGIL CISL e UIL
conoscono bene questa legge, che è già definitiva perché approvata dalla Camera
con voto di fiducia e sanno che all’interno di quella cifra vi sono le seguenti
previsioni di spesa (riporto testualmente quanto riportato nella scheda del
centro studi di Camera e Senato):
“Personale
Per quanto
riguarda il personale pubblico, è innanzitutto istituito un Fondo per il
pubblico impiego, con una dotazione di 1,48 miliardi di euro per il
2017 e 1,39 miliardi di euro a decorrere dal 2018, volto a finanziare:
(art. 1,
commi 364 e segg.):
- la contrattazione collettiva nel pubblico impiego relativa al triennio 2016-2018 (in aggiunta ai 300 milioni di euro già stanziati dall’ultimalegge di stabilità) e il miglioramento economico del personale non contrattualizzato;
- assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell’ambito delle amministrazioni dello Stato (inclusi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco);
- l’attuazione degli interventi normativi previsti in materia di reclutamento, stato giuridico e rogressione in carriera del personale delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché di riordino dei ruoli del personale delle forze di polizia e delle forze armate ovvero il nanziamento della proroga, per l’anno 2017, del contributo straordinario di 960 euro su base annua, già previsto per il 2016, in favore del personale appartenente ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle forze armate non destinatario di un trattamento retributivo dirigenziale.
Nel corso dell’esame parlamentare, inoltre, è stata
prevista la proroga al 31 dicembre 2017 dell’efficacia delle graduatorie dei
concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato vigenti alla data di
entrata in vigore del decreto n. 101 del 31 agosto 2013, relative alle
amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, nonché delle
graduatorie vigenti del personale dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco (art. 1, comma 368).
Le risorse certe per gli aumenti salariali secondo le
stime più imparziali si aggirano 850 milioni per il 2017. Infatti è bene
ricordare che gli stanziamenti per il 2018 dovranno essere riconfermati nella
legge di stabilità 2018, certezza che nessuno può dare, visto che il governo
potrebbe non trovare le coperture neppure per il 2017 ( vedi diatriba con
l’Unione Europea) e al quale verrà richiesto un ulteriore taglio della spesa
attraverso l’ennesima spending rewiew. (Domanda come si intrecceranno i tagli
già previsti della P.A -per il 2017 di 2,6 miliardi – con il rinnovo del
contratto?) Comunque 850 milioni, sempre che
vengano messi tutti sulle voci salariali, sono poco più di 20 euro mensili ma,
si badi bene, essendo il costo complessivo previsto come spesa “da datore di
lavoro” occorre calcolare tutti gli oneri riflessi (ad esempio i contributi
previdenziali, assistenziali etc) che mediamente incidono per il 40%. Infine
nulla si dice sull’indennità di vigenza contrattuale, ma è immaginabile che, se
mantenuta in aggiunta al misero incremento previsto nell’attuale, verrà venduta
come “saldo per gli arretrati”. (sic!)
Ma poi veramente tutto lo stanziamento per il rinnovo
del contratto finirà tutto in ”salario”?.
Leggendo il testo vediamo come, con grande enfasi, si
proclama l’avvio del welfare contrattuale.
Una sola considerazione: vergogna. Lo Stato che
dovrebbe erogare diritti universali introduce il principio che lo stato sociale
è diviso tra chi se lo può pagare (con i fondi) e chi è sfigato, come ad
esempio un disoccupato che non solo non ha il lavoro, ma non ha neppure “il
privilegio” di avere pari diritti come cittadino con chi lavora. Proprio una
bella società. Ma tornando ai conti economici, dalle
mie reminiscenze di contrattazione, ricordo che lo “start up” cioè l’avvio del
fondo – ad esempio della previdenza integrativa, che dà diritto alle
prestazioni – richiede circa l’1% (se fate il paragone con la trattenuta
sindacale il conto è presto fatto: 10 euro?) . E non è una supposizione; si
vedano i contratti ad esempio del commercio e del turismo dove queste cifre
sono ben indicate. E nulla cambia se questo 1% è diviso a metà tra lavoratore e
datore di lavoro: è sempre tolta dal salario diretto.
Ovviamente alla fine dovremo anche pagare su quanto
arriva in busta paga tasse e contributi (30/35 %)
Io non faccio i totali , io vi ho proposto un
ragionamento, e se non siete proprio assuefatti dalla propaganda verificherete
da soli che fareste bene a non promettere neppure un gelato ai vostri figli. In conclusione, come ogni volta che si parla di
lavoratori e lavoratrici, senza una lotta degna di questo nome il risultato non
solo è misero, è sempre negativo per diritti ed interessi che ci riguardano. Ma la colpa è solo nostra. Finché non iniziamo a
studiare, e conseguentemente ad impegnarci a difendere in prima persona la
nostra condizione di lavoratori e lavoratrici, saremo sempre il ciuco a cui il
padrone a forza di legnate fa fare ciò che vuole. E le nostre grida al bar o in
assemblea sono solo ragli.
da Clash City Workers
L’intesa siglata tra governo e parti sociali
concertative sul rinnovo dei contratti per gli statali si è chiusa, dopo otto
ore di discussione con la soddisfazione di tutti gli attori: si tratta quindi,
finalmente, di un accordo positivo? Proviamo ad analizzarlo nel merito.
1. I tempi. Sette anni di attesa trascorsi
senza un incontro, uno sciopero, una presa di parola: nulla sembrava far
cambiare idea al Governo, nemmeno la sentenza 178/15 della Corte Costituzionale
che, il 24 giugno del 2015, sanciva l'illegittimità del blocco dei contratti.
Abbiamo atteso quasi altri 18 mesi prima che, magicamente, Governo e sindacati
si incontrassero. Quando? Tre giorni prima del referendum costituzionale col
quale Renzi si gioca il futuro. Coincidenze? Certamente!
2. Il rinnovo contrattuale: non c’è, semplicemente. Si tratta
solo di un’intesa, alla quale deve seguire un documento d’indirizzo del
Governo, sulla cui base l’ARAN provvederà ad iniziare le trattative per i
rinnovi. Insomma, al momento parliamo di fuffa, ma facciamo finta che sia
tutto già firmato e attivo, e andiamo avanti!
3. I soldi. 85 euro medi mensili era la
proposta della Madia; 85 euro minimi mensili, ruggivano in risposta i
sindacati. Dopo 8 ore di discussione, finalmente arriva il compromesso:
“incrementi non inferiori a 85 euro mensili medi”. Ma, se la matematica non è
un’opinione, l’espressione equivale esattamente all’iniziale proposta
governativa (85 euro mensili medi non è diverso da “almeno” 85 euro mensili
medi): questo significa che qualcuno prenderà di più, molti prenderanno di
meno, nessuno sa, ad oggi, di quanto aumenterà il proprio stipendio...nel
2018 (con tanti complimenti alla Triplice e alle loro competenze
linguistico-matematiche)! Eh già, perché il presupposto dell’intesa è stata la
proroga della vigenza dell’attuale contratto per ulteriori tre anni
(2016/2018). Insomma, quando (se...) il contratto sarà firmato, i
lavoratori riceveranno, mediamente, 40-50 euro netti in più in busta paga dopo
soli 9 anni di attesa! Per comprendere l’insignificanza dell’incremento
facciamo un rapido calcolo, di quelli della serva: dal 2009 al 2016 i prezzi
sono aumentati (fonte ISTAT) del 9,3%; su uno stipendio medio netto di 1400
euro questa percentuale si traduce in circa 130 euro. Questa sarebbe dovuta
essere la cifra netta per recuperare solamente l’inflazione; con l’accordo,
invece, sarà sancita una perdita di potere d’acquisto dei salari pari a circa
il 5,7%!
4. Le coperture. mancano, al momento, all’appello
circa 1,2 miliardi (stima del Sole24Ore), che dovrebbero essere reperiti con la legge di
bilancio del 2018. Vogliamo essere ottimisti, ma visti i problemi riscontrati
per avere il placet della Commissione Europea già per quest’anno, non sbagliamo
a nutrire quantomeno dei dubbi sulla facilità di reperimento di questa
copertura. E se la trovano, che cosa taglieranno?
5. Lo scherzo. Con gli aumenti a regime, una
platea di circa 800.000 lavoratori, di cui 250.000 solo nella scuola,
perderebbe il diritto ad avere i famosi 80 euro (il cosiddetto "bonur
Renzi"), perché il loro reddito annuale supererebbe il limite massimo
previsto dalla legge per usufruire del bonus.. Per evitare questo rischio ci
vogliono, secondo il governo, altri 140 milioni di euro; secondo i sindacati il
doppio. Ma attenzione, perché la soluzione esiste già e sta nel nuovo contratto
dei metalmeccanici: i soldi eventualmente persi vengono “recuperati” con
prestazioni di welfare integrativo. Già, ma cos’è?
6. Il welfare aziendale. L’ultima trovata di padroni e
sindacati corporativi. Meno aumenti in cambio di una serie di prestazioni in
campo sanitario (a fronte di un sistema pubblico sempre più allo sbando) che a
volte restano inutilizzate. Risultato: sindacati contenti perché entrano
nei cda dei fondi assicurativi preposti all’erogazione dei servizi; padroni
contenti perché non pagano gli aumenti; lavoratori senza soldi e col concreto
rischio di trovarsi – per ragioni di salute – a dipendere da servizi
indissolubilmente legati al mantenimento del posto di lavoro. Ti licenziano?
Niente più occhiali e visite specialistiche per te e la tua famiglia!
7. Produttività e formazione. Si tratta di altri due cavalli di
battaglia dei più recenti rinnovi. La misura della produttività è talmente
arbitraria che già nell’intesa si traduce, concretamente, nell’obiettivo
dell’aumento dei tassi medi di presenza: produttività, quindi, è uguale a
lavorare di più. La formazione, invece, diventa sempre più centrale nei
rinnovi contrattuali: obbligatoria, decisa dal padrone, verificabile. La legge
107 sulla scuola, ad esempio, impone 40 ore annue di formazione obbligatoria,
ad oggi non ancora tradotta in nessun contratto e quindi non applicata. A
regime, per gli insegnanti le ore di attività extradidattiche, tra consigli,
organi collegiali e formazione, ammonteranno ad almeno 120, senza alcun
riconoscimento economico.
8. Prevalenza della contrattazione
sulla legge. Dopo gli
interventi brunettiani che avevano ribadito fortemente il primato della legge,
nell’intesa le parti concordano sull’importanza di ridare peso alla
contrattazione, anche e soprattutto per la determinazione dei criteri di erogazione
del salario accessorio, dei bonus e dei premi. I sindacati, in cambio del
silenzio e della connivenza di questi anni, portano a casa un grande risultato
(per loro): tornare a contare qualcosa, come cogestori di soldi, clientele e
potere. Complimenti!
Insomma, quest’intesa ci sembra una colossale presa in
giro, dove di serio c’è solo la tempistica: come avevamo già scritto nei giorni
scorsi, CGIL, CISL e UIL giocano, in queste settimane, chiaramente a favore del
SI. E nel caso della CGIL, formalmente contraria, a noi vengono in mente
quei giocatori che all’improvviso segnano nella propria porta, e a te rimane il
sospetto che si siano venduti la partita...
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