INDICE
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
VERTENZA AMIANTO IN SARDEGNA
OTTANA: EX ESPOSTI AMIANTO VERSO IL RICONOSCIMENTO
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
STUDENTI IN PIAZZA IL 17 NOVEMBRE: VIA L’ACCORDO TRA MIUR E GRANDI
IMPRESE!
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
XY E’
UNA PERSONA O FORZA LAVORO ROTTAMABILE?
Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
LAVORARE INVECCHIA,
SOPRATTUTTO IN ITALIA
Associazione Italiana Esposti Amianto aiea.mi@tiscali.it
AMIANTO:
QUESTI PROCESSI NON SAN DA FARE!
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
NONOSTANTE TUTTO, I FERROVIERI HANNO DETTO NO!
La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
COME SFRUTTARE LA FORZA LAVORO NELLA RETE
Muglia la
Furia noreply+feedproxy@google.com
PROTEGGERE I LAVORATORI
GUARDANDO AL FUTURO!
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
Comitato Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
CENA SOLIDALE CON I LAVORATORI EURECO
Stefano Ghio procomto@libero.it
OMICIDIO
COLPOSO? VERGOGNA!
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
AMIANTO/ENICHEM: INCOMPRENSIBILE SENTENZA A
RAVENNA
AIEA Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
COMUNICATO STAMPA PROCESSO ETERNIT
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To:
Sent: Tuesday, November 15, 2016 2:12 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
GPL A FALCONARA MARITTIMA (AN) UNA STORIA OPERAIA KAFKIANA
Riportiamo
un intervento della sezione di Medicina Democratica di Ancona e Marche in cui
si dà conto delle vicende kafkiane del lavoratore Marco Capotondi: quando si
tratta di amministratori delegati imputati di violazioni ambientali o di
sicurezza sul lavoro spesso la tesi per escluderli da condizioni di
colpevolezza è che non si può applicare il principio che “non potevano sapere”
cosa succedeva “sotto” di loro perché erano troppo in alto e avevano delegato
compiti e funzioni.
Leggi
tutto al link:
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To:
Sent:
Wednesday, November 16, 2016 6:18 PM
Subject: VERTENZA AMIANTO IN SARDEGNA
Trasmetto di seguito la raccolta dei servizi informativi dei media
riguardanti la vertenza amianto in Sardegna.
Grazie per l’attenzione.
Mario Murgia
Associazione
Italiana Esposti Amianto Val Basento
* * * * *
TGR Sardegna, 14 novembre ore 14
Servizio Conferenza Stampa, Barbara Romano, da 8’12” a 10’00”
SARDEGNA 1, TG 14 novembre ore 20
Servizio Conferenza Stampa, da 2’30” a 5’30”
TCS, TG ore 14,00
Servizio sulla Conferenza Stampa, da 0’45” a 5’25”
Edizione TGR Sardegna, 19,30- 9 novembre 2016
Servizio di Barbara Romano, sui tre emendamenti, da 8’56” a 10’31”
Sardiniapost
Amianto, PD-SEL in Parlamento: “Benefici a esposti polo Ottana”
Agenzia DIRE
Legge di bilancio, SEL: Ex esposti all’amianto vengano riconosciuti
ANSA Sardegna
Amianto: lotta in Parlamento per pensioni
Offensiva SEL-PD, riconoscere diritto ad esposti polo Ottana
La Nuova Sardegna
Amianto sardo, niente indennizzi
All’ENI di Pisticci pensioni maggiorate, ma in Sardegna è impossibile
ottenerle
http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2016/11/15/news/amianto-sardo-niente-indennizzi-1.14419853
Cronache Nuoresi
Amianto: interrogazione SEL-PD per il riconoscimento dei diritti dei
lavoratori esposti
Tiscali notizie
Interrogazione Forma (PD) e Daniele Cocco (SEL) sui lavoratori ex esposti
all’amianto,
Sardegna Reporter
14 novembre: Conferenza Stampa congiunta AIEA Sardegna, ANMIL e CGIL
Nuoro
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To:
Sent:
Wednesday, November 16, 2016 6:18 PM
Subject: OTTANA: EX
ESPOSTI AMIANTO VERSO IL RICONOSCIMENTO
Potrebbe
essere una svolta decisiva per i lavoratori dell’industria chimica di Ottana
(Nuoro) ex esposti all’amianto, che per anni si sono visti negare dall’INAIL il
riconoscimento dei benefici pensionistici e delle tutele previsti dalla legge
257 del 1992 per chi ha lavorato a contatto con la fibra tossica.
La battaglia
per migliaia di lavoratori di Ottana e degli ex stabilimenti chimici sardi,
approda infatti direttamente a Roma, con il deputato di SEL Michele Piras che
ha presentato due emendamenti alla Legge di Bilancio del 2017, da 295 milioni
di euro, che prevedono appunto l’estensione delle tutele previdenziali e
sanitarie anche ai lavoratori del polo industriale di Ottana, 181 dipendenti
della Montefibre SpA e 662 di Enichem, e impongono la riapertura dei termini
nelle sedi INAIL per la presentazione delle domande per ottenere il rilascio
delle certificazioni di esposizione all’amianto.
L’iniziativa
è stata presentata stamane nella sala stampa del Consiglio regionale sardo
dallo stesso deputato e dalla consigliera regionale del PD Daniela Forma che,
insieme al capogruppo di SEL Daniele Cocco, ha depositato sulla vicenda un’interrogazione
al governatore Francesco Pigliaru, dove si chiede un impegno concreto anche da
parte del presidente della Regione a sostegno degli emendamenti. Presenti oggi
all’incontro con la stampa anche Salvatore Pinna, segretario della CGIL di
Nuoro e Sabina Contu, presidente dell’Associazione Italiana Esposti Amianto
Sardegna.
“Noi
pensiamo che il caso di Ottana possa essere il cavallo di Troia che consenta di
scardinare la nebulosa che è stata costruita intorno alla vicenda industriale
dei poli chimici in questo Paese” - spiega Piras - “e fare così un servizio per
i lavoratori di tutti quegli impianti in cui l’amianto è stato utilizzato a
mani basse, con la gente che è morta per mancanza di assunzione di
responsabilità delle istituzioni”.
Piras fa
quindi un appello alla Giunta regionale: “Sia più presente in questa partita.
Mi aspetto a breve una telefonata da Villa Devoto a Palazzo Chigi, perché sono
le ore decisive in ottica di legge di stabilità”.
A Pigliaru “Chiediamo
che si faccia tramite con Governo e parlamentari sardi perché questi
emendamenti vengano portati avanti” - sottolinea Forma - “Molti lavoratori che
hanno operato in stabilimenti gemelli esposti all’amianto per più di dieci
anni, nel resto del territorio nazionale hanno visto riconosciuti i propri
diritti. Diritti invece negati fino a oggi ai lavoratori sardi”.
Per il
sindacato questa è “una battaglia doverosa, che dobbiamo a una classe operaia
che in Sardegna ha lavorato per il progresso sociale e si è spesa totalmente” –
spiega Pinna – “bisogna costruire il lavoro, ma è necessario costruirlo in
sicurezza e in secondo luogo deve essere chiaro che l’amianto è una sostanza
infame e deve essere espulso dai processi produttivi del nostro Paese”.
Chiude
Contu: “Parliamo di lavoratori in mobilità che avrebbero avuto il diritto di
andare in pensione già da 10 anni, in base alla legge del 1992. Siamo l’unica
regione italiana che non è stata investita da questi provvedimenti e ora
finalmente la classe politica sarda ha capito che bisogna agire”.
Renzi, che
questa settimana è atteso in Sardegna, “incontri oltre al presidente cinese,
anche i deputati sardi, i consiglieri regionali e i sindacati” - conclude Contu
- “e prenda un impegno forte perché nella prossima legge di stabilità questi
emendamenti, per tanti anni rimandati, vengano approvati, garantendo ai sardi
una tutela anche sanitaria”.
La Nuova Sardegna
Cagliari, lì
13/11/2016
di Andrea
Piana
giornalista
professionista
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, November 17, 2016 1:48 AM
Subject: STUDENTI IN PIAZZA IL 17 NOVEMBRE: VIA L’ACCORDO
TRA MIUR E GRANDI IMPRESE!
La gioventù comunista ha chiamato gli studenti di tutta Italia a scendere in piazza il 17 novembre in occasione della Giornata Internazionale degli Studenti. Già lo scorso 7 ottobre ci siamo mobilitati per rivendicare una scuola diversa, fatta su misura degli studenti e dei futuri lavoratori, e non modellata in base agli interessi delle grandi imprese, della Confindustria e dei padroni.
Le risposte
del Governo Renzi sono state una Legge di Stabilità in cui non si inverte in
alcun modo la tendenza di questi anni, con pochi spiccioli per il diritto allo
studio, e un accordo con 16 grandi imprese e multinazionali sull’alternanza
scuola-lavoro, che trasformerà 27.000 studenti in manodopera a basso costo su
cui fare profitti. E’ significativo che di questi ben 10.000 studenti saranno
mandati a lavorare da McDonald, in barba alla retorica che parla di alternanza
come esperienza formativa che serve a combattere la disoccupazione e la
precarietà. Una “buona scuola” sì, ma per i padroni, non per gli studenti.
Il 17 novembre siamo scesi in piazza chiedendo l’immediato ritiro dell’accordo
fra MIUR e grandi imprese italiane e multinazionali, contrario alla funzione
formativa che l’alternanza scuola-lavoro dovrebbe avere.
Siamo scesi in
piazza per rivendicare una scuola totalmente gratuita, dai libri di testo ai
trasporti, rivendicando la piena copertura dei costi dell’istruzione con
finanziamenti statali.
Rivendichiamo
l’abolizione dei finanziamenti alle scuole private e dei contributi scolastici,
per una scuola che sia accessibile a tutti.
Lottiamo
contro lo sfruttamento in alternanza scuola-lavoro, rivendicando una giusta
retribuzione e tutele per gli studenti in stage, per un’alternanza che sia
davvero formativa e non funzionale agli interessi dei padroni, per una scuola
che insegni il lavoro e non la precarietà.
Vogliamo una
riqualificazione di tutta l’istruzione pubblica e in particolare dell’istruzione
tecnica e professionale, un aumento della collegialità nella gestione delle
scuole contro le ingerenze dei privati e lo strapotere dei Dirigenti
Scolastici, rivendichiamo un piano nazionale di interventi per l’edilizia
scolastica.
Lottiamo
contro la scuola di classe imposta dai dettami di UE, BCE e FMI, contro questo
sistema che ci condanna a un futuro di precarietà, disoccupazione e assenza di
diritti.
Fronte della
Gioventù Comunista (FGC)
06/11/16
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From: Alessandra
Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Friday,
November 18, 2016 12:35 PM
Subject: XY E’ UNA PERSONA O FORZA LAVORO ROTTAMABILE?
Da La
Bottega del Barbieri
La vicenda
di un giovane lavoratore afgano: espulso dal suo Paese e oggi dalla fabbrica
italiana.
E’ come
vedere l’ultimo film di Ken Loach, senza pagare il biglietto (*).
di Vito Totire (**)
In Italia e
in Europa gli appelli all’inserimento socio-lavorativo degli immigrati sono all’ordine
del giorno, ma ci vogliono fatti e procedure efficienti per realizzare questo
obiettivo.
Ecco una
vicenda significativa. Un giovane profugo proveniente dall’Afghanistan, via
Pakistan, approda in Italia. Lavora per alcuni anni. Poi sviluppa una
sensibilizzazione allergica riconosciuta dall’INAIL in quanto eziologia
lavorativa; tuttavia l’INAIL, in una fase di notevole distanza temporale dall’agente
per lui nocivo, riconosce un danno biologico uguale a zero.
Di fatto
questo lavoratore è stato espulso dalla fabbrica. Licenziato per “inidoneità”
perchè ogni volta che rimetteva piede nel luogo di lavoro l’allergia si
ripresentava e sempre più forte.
L’ASL non ha
condiviso il parere del medico aziendale che lo ha dichiarato “inidoneo” e ha
decretato “che il lavoratore venisse adibito ad attività che non lo esponessero
alle sostanze a cui è diventato allergico”. Esiste una postazione simile in
fabbrica? Il datore di lavoro dice di no.
Alcune
domande. Un organo ispettivo ha validato questa opinione o ha valutato se l’agente
eziologico possa essere utilizzato con un sistema a circuito chiuso? Non che
sia semplice, ma questo obiettivo è davvero tecnologicamente non fattibile? Non
ci risulta che questi approfondimenti siano stati fatti; in questo caso dunque
il parere del datore di lavoro è legge.
Dall’altra parte
la ASL, il medico
di base, il medico aziendale e tutti i dermatologi-allergologi che hanno
visitato il lavoratore: nessuno di loro ha segnalato la situazione all’INAIL.
Lo fa, nel dicembre 2015, il medico di una associazione di volontariato:
nessuno degli altri aveva sospettato la natura occupazionale della patologia?
La domanda pare pertinente visto che occorrerebbe, anche per ragioni
deontologiche, segnalare all’INAIL le patologie professionali, pur se solo “sospette”.
Peraltro se una schiera così numerosa di medici non ravvisa una eziologia
professionale che invece viene poi riconosciuta dall’INAIL sorge un dubbio
(ovviamente sfondiamo una porta apertissima…): che in Italia ci sia una
sottostima delle effettive malattie professionali? Ma veh!!!
Non ci
soffermiamo, al momento, in maniera approfondita sui motivi per i quali la
allergia si è slatentizzata (***); è materia che approfondiremo in altra sede.
Sta di fatto che (evidentissimi sono i tanti casi analoghi a questo, per
esempio in edilizia) una esposizione massiccia e indebita certamente è in grado
di slatentizzare una allergia che altrimenti avrebbe potuto rimanere silente,
almeno per decenni. Si profila dunque la ipotesi di una organizzazione del
lavoro non sufficientemente attenta alla prevenzione con questa “motivazione”:
se un operaio diventa allergico non è un grande problema, lo si licenzia e se
ne assume un altro; tanto la forza-lavoro abbonda...
Veniamo al
punto più urgente: il lavoratore (con moglie a carico) è disoccupato da lungo
tempo. Gli è precluso qualunque sbocco occupazionale in comparti in cui siano
presenti le sostanze alle quali si è sensibilizzato (salvo, come si diceva, una
“lungimirante” gestione di questi fattori di rischio “a ciclo chiuso”). La
nazionalità non italiana e il livello di formazione non concorrono a dargli
grandi chances. Perché solleviamo il
problema adesso? Perché l’INAIL, tabelle medico-legali alla mano, ha
ribadito ieri (16/11/16) in “collegiale” il riconoscimento di un danno
biologico uguale a zero...
Ora le
tabelle sono discutibili, certamente vanno cambiate e aggiornate (peraltro: di
cosa si occupano i Ministri del Governo in carica?): difficile per noi comuni
mortali comprendere come una malattia che ti ha espulso dal lavoro possa, nelle
effettive misure di protezione sociale, corrispondere allo zero.
Ma il
problema ancora più urgente oggi pare un altro. Quel che è più grave cioè è che
questo lavoratore oggi non può contare sul supporto di nessuna agenzia pubblica
per il ricollocamento lavorativo. E’ vero: esistono agenzie private di
ricollocamento, ma quelle che hanno chances di riuscita costano, le altre non
hanno possibilità di raggiungere l’obiettivo.
Con un danno
biologico uguale a zero il nostro amico non ha nessuna possibilità di entrare
sotto la cappa di protezione della Legge 68/99 (che peraltro funziona malissimo
anche per chi abbia cosiddette invalidità riconosciute: 35% INAIL o 46% “civili”).
Non entriamo
nel merito delle tragiche motivazioni che hanno costretto questa persona a
scappare dal suo Paese di origine (forse ci sarà occasione di farlo in
seguito). Il nostro amico era convinto di trovare in Italia un futuro molto
diverso.
Giustizia
vorrebbe che si prestasse grande attenzione a non espellere il più vulnerabile
per sostituirlo, come se fosse il pezzo di un ingranaggio rotto. Peraltro
diversi studiosi (allergologi ed epidemiologi) hanno evidenziato che migrare da
un continente a un altro può comportare uno shock ambientale per il sistema
immunitario. Dunque l’evento di cui stiamo parlando potrebbe avere una
dimensione non solo individuale (sarebbe ugualmente importante), ma anche
sociale.
Oggi questo
lavoratore non deve essere abbandonato, occorre inserirlo in un percorso
formativo ad hoc e garantirgli,
in attesa di un pieno reinserimento in un ambiente di lavoro risk-free, un
reddito per sopravvivere decentemente.
I quotidiani
hanno annunciato un bando per 400 posti di lavoro a Bologna per le persone in
difficoltà. Peccato che non sia stato comunicato alla opinione pubblica il
referente a cui rivolgersi per le domande di inserimento nella ovvia
graduatoria prevista. Cercheremo il referente, sperando che le domande non
siano esorbitanti rispetto al numero di 400 posti.
Diciamo e
facciamo tutto questo perché intendiamo rapportarci agli immigrati e (agli
autoctoni) come persone portatrici di diritti e non usarli come forza-lavoro da
rottamare alla prima occasione.
POST
SCRIPTUM PER IL SINDACO DI BOLOGNA: fra un suo impegno e l’altro si ricordi
della delibera comunale che ha deciso di collocare una targa commemorativa nel
luogo dell’omicidio sul lavoro del giovane operaio albanese Reuf Islami morto
soffocato sotto uno scavo non protetto in via Ranzani; si avvicina il prossimo
anniversario e non vorremmo che fosse dimenticato anche questa volta. (****).
Bologna, 17/11/16
(*)
Ovviamente grazie a Ken Loach e a chi si ricorda degli “ultimi”...
(**) Vito
Totire è medico del lavoro/psichiatra, portavoce del circolo “Chico” Mendes di
Bologna
(***) A
proposito di “slatentizzata” ho
chiesto a Vito Totire una spiegazione. Eccola.
“Si valuta
che in un gruppo di persone esposte a un allergene non tutti possano essere
candidati a sviluppare l’allergia. Si ritiene che vadano più facilmente
incontro alle manifestazioni allergiche i cosiddetti atopici, in sostanza i più
vulnerabili. Tuttavia questi manifestano l’allergia più o meno velocemente
anche in rapporto ai livelli di esposizione: se l’esposizione è effettivamente
minimale è possibile che la vulnerabilità rimanga latente e si manifesti,
magari in forma sfumata, solo a fine carriera. Livelli elevati di esposizione slatentizzano nel senso che fanno
emergere i sintomi della malattia più in fretta; in sostanza slatentizzazione vuol dire uscita
dalla incubazione preclinica e comparsa della dimensione clinica della malattia:
quando la malattia è slatentizzata le dosi capaci di riaccendere la patologia
sono veramente infinitesime. Purtroppo la triste storia tipica è quella dell’operaio
edile ultrasessantenne che comincia a proteggersi dalla polvere del cemento...
un po’ troppo tardi e che pure deve tirare per arrivare alla pensione”.
(****) La
vicenda di Reuf Islami è stata raccontata qui:
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From: Lavoro
& Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent:
Thursday, November 17, 2016 6:43 PM
Subject: LAVORARE INVECCHIA, SOPRATTUTTO IN ITALIA
Un’inchiesta giornalistica prova a far luce su contraddizioni e problemi,
vecchi e nuovi, che assillano il mondo del lavoro
di ROBERTA CARLINI
“Siamo in otto, ai forni. Io, che faccio 60 anni quest’anno.
Un collega più grande, ne ha 61 e deve stare altri due anni qui. Poi uno di 58
e un altro di 55”.
La
squadra dei forni alle fonderie Zen, in Sant’Agostino di Albignasego (provincia
di Padova) è fatta per metà da operai sopra i 55 anni. Ce la presenta Diego
Panizzolo, che è il secondo per età e precisa: ci sono anche “due ragazzi di
50-51 anni”, e infine due giovani veri, uno di 38 e l’altro di 35.
In
letteratura, e nelle direttive sui buoni propositi europei, lo chiamano “age
management”, quel fenomeno che richiederebbe di adeguare tutto il nostro
universo del lavoro all’invecchiamento dei suoi protagonisti, i lavoratori. In
pratica, spesso funziona come nella fonderia di Panizzolo, alle prese da quasi
dieci anni con un abbattimento dell’ordine dei due terzi della materia fusa e
colata che esce dalla fabbrica e dunque con una crisi che ha quasi chiuso le
entrate: i più anziani restano sulle mansioni più dure. “Bisogna caricare i
forni, metterci dentro il materiale ferroso, pulirli dalle scorie tutti i
giorni: è un lavoro pesante, in tanti lo rifiutano”.
Diego
e la sua squadra di tute blu-grigio sono un piccolo avamposto, nella terra di lavoro
del nordest, dell’avanzata più grande e crescente che sta cambiando la faccia
del mercato dell’impiego. L’allungamento della vita, e della vita lavorativa, non
è un fatto solo italiano. Anzi, a guardare i numeri sembra che siamo sotto la
media: 48,2 per cento il tasso di occupazione della fascia d’età tra i 55 e i
64 anni in Italia, 53,3 per cento quello della media UE.
Ma
il ritmo di incremento è stato impressionante negli anni della crisi che ha rarefatto
gli ingressi e delle riforme pensionistiche che hanno chiuso le uscite: dal 2008
al 2015 l’occupazione di quella fascia d’età è cresciuta in Italia di quasi 14 punti
percentuali, contro gli 11 della media nell’Unione europea. Sale anche l’occupazione
della fascia immediatamente successiva, quella tra i 65 e i 69 anni: adesso è
all’8,6 per cento in Italia, contro il 6,9 per cento di dieci anni prima.
Al
contrario di altri paesi europei, in Italia le fasce d’età più avanzate sono le
sole nelle quali l’occupazione cresce. E’ come un esercito senza rimpiazzi.
Le
sue dimensioni si capiscono meglio se guardiamo ai numeri assoluti: dall’inizio
della crisi a oggi, l’ISTAT registra 625.000 occupati in meno; ma ci sono al
lavoro 10.000 ultrasessantacinquenni in più, e ben 1,2 milioni di occupati in
più tra i 55 e i 64 anni. Siamo in testa nella classifica dei paesi più “maturi”,
quanto a età della sua forza lavoro. Con giganteschi problemi e contraddizioni.
Come quelle che emergono, nelle discussioni sulla politica economica, tra
opposte rivendicazioni: intere categorie che si battono per avere l’anticipo della
pensione (ape social), e altre che lottano per non andarci.
Come
i magistrati (che sono al 21º posto su 100 nella classifica per età dei
mestieri pubblicata dal Sole 24 Ore,
con età media di 49,9 anni), che seguono in questo l’analoga lotta di qualche
anno fa dei professori universitari (primo posto nella stessa classifica, età
media 59,6 anni). Lo scontro sulle regole che spostano la soglia dell’età del
passaggio alla pensione ha però oscurato quel che succede, al di qua della soglia:
come si lavora da anziani? Che succede sui posti di lavoro, nelle teste e nelle
braccia? Come sta quell’esercito che volente o nolente resta al fronte mentre i
rimpiazzi non arrivano mai? E infine: ma si può, per sempre e per tutti,
ritirarsi davvero dal lavoro di una vita e da una vita di lavoro?
ALLA CASSA E ALLA LINEA
“Ho
cominciato a desiderare di andare in pensione nel momento esatto in cui hanno allungato
l’età pensionabile”. Se non ci fossero state le varie riforme delle pensioni
che hanno via via alzato l’asticella, da Dini a Monti-Fornero, Claudio Mattei
sarebbe a riposo da un anno. Invece deve lavorare fino al 2020. Alla cassa
della libreria Feltrinelli di largo Argentina a Roma non si sta come in
fonderia o su una linea di montaggio.
Ma
Claudio (63 anni, 38 di contributi) non ce la fa più. Quaranta ore settimanali,
in piedi a passare codici, con turni che arrivano a dieci ore. “Non era così
quando ho cominciato. Stavo da Ricordi, nel reparto degli strumenti musicali”. Consigliare,
seguire e vendere gli strumenti per suonare non è come far passare innumerevoli
bip sotto un lettore, e tenere a bada l’ansia di sbagliare i resti. Alcune svolte
arrivano all’improvviso, non previste.
“Per
me, quando Ricordi è stata assorbita da Feltrinelli è cambiato il mondo”, racconta
Mattei, che ha dovuto accettare anni fa una mansione e un lavoro diversi. “Stare
alla cassa qui è come starci in un supermercato, non è che il fatto di avere i
libri intorno cambia qualcosa”. E mentre si allontanava un lavoro più pieno e
soddisfacente, i suoi progetti originali (raggiungere la pensione, vendere l’appartamento
di Roma per aiutare i figli, ritirarsi fuori città) andavano in fumo per
esigenze macroeconomiche. Ma nel livello micro, sul piccolo posto di lavoro,
non c’è stato nessun adeguamento alle novità. Per esempio, al fatto di avere in
piedi alla cassa maturi sessantenni invece che elastici ventenni.
A
Claudio sembrano fantascienza i racconti della BMW, che già da qualche anno ha
in funzione una “linea pensionati” a Dingolfing, in Baviera, modellata su
operai con un’età avanzata, dunque con più esperienza, ma anche alcune esigenze
fisiche: una catena un po’ più lenta, sedie ergonomiche, mensa ad hoc, luci
speciali.
“Macché
ergonomica. O stai in malattia, e prendi il permesso, o lavori come gli altri”.
Ma non sono solo le mansioni o i ritmi a non essere adattati all’età. Quel che
è peggio, non lo sono i contratti e le carriere. “Da noi il lavoro è rimasto
datato in 30 anni, con dieci scatti di anzianità ogni tre anni. Dopo, non hai
più nessun incentivo ad andare avanti. Vai al lavoro proprio perché ci devi andare,
non hai altre possibilità. Non posso smettere, i miei figli sono grandi, ma con
lavori saltuari o sottopagati. Per questo vado avanti. Ma è umiliante”.
TUTTO IN DIECI ANNI
Le
chiamano “carriere zippate”. Compresse, come per occupare poco spazio. Retaggio
di un mondo del lavoro antico.
“Tradizionalmente
la carriera si gioca tutta tra i 35 e i 45 anni, dopodiché quel che è stato è
stato. Alcune aziende addirittura bloccavano sotto una certa età la possibilità
di accesso alla dirigenza”. Laura Innocenti, ricercatrice Luiss, lavora in un
laboratorio dell’università di Confindustria chiamato ALlab, che si occupa
proprio di “age management”.
Del
quale, fino a pochi anni fa, le imprese non volevano sentir parlare. “Abbiamo
fatto un’indagine nel 2012 e solo il 14 per cento dei responsabili delle risorse
umane ha inserito il tema dell’invecchiamento del personale nell’elenco delle priorità”,
racconta Innocenti, dicendosi sicura del fatto che adesso la consapevolezza è
cresciuta, insieme all’età media della forza lavoro. Soprattutto in grandi
aziende di servizi, agli sportelli delle banche e delle poste, ma anche alle
Ferrovie, insomma in tutti i posti dove prima si assumeva molto e da anni si
assume poco. In molte organizzazioni quasi la metà dei dipendenti è sopra i 50
anni. Avanti con l’età, ma nel mezzo della vita lavorativa: “Se consideriamo un’età
di pensionamento a 67 anni, e che
spesso
si è entrati al lavoro non prestissimo, questo vuol dire che a 50 anni una
persona ha davanti a sé un periodo di lavoro lungo quasi come quello che ha già
fatto”.
“Devi
continuare a lavorare fino a quasi 70 anni, ma a 50 ti dicono che non sei più
capace”, conferma Barbara De Micheli, ricercatrice alla fondazione Brodolini, che
a sua volta fa consulenza per le (poche) imprese che stanno cercando di gestire
l’onda dei lavoratori anziani: un’emergenza nata prima con la rivoluzione
tecnologica che ha reso inutili alcune mansioni e poi con le riforme
pensionistiche che hanno mantenuto al lavoro i loro titolari; ma che, per il combinato
disposto delle due, non accenna a ridursi. E il fatto che spesso il lavoro anziano
si svolge in piccole aziende, o anche in proprio, non aiuta ad affrontare l’enormità
dei problemi che porta con sé: dalla motivazione all’aggiornamento, dall’organizzazione
materiale (la flessibilità degli orari è la richiesta più forte che viene
fuori, laddove i lavoratori sono consultati) alla salute.
LA
STRAGE DEI
NONNI
La
prima emergenza, parlando di salute, è quella degli infortuni. Da un po’ i dati
dell’INAIL segnalano che le fasce dei lavoratori anziani sono in controtendenza:
gli infortuni si riducono tra i più giovani, crescono sopra i 60 anni. Tra il
2011 e il 2015 le denunce di infortunio sul lavoro sono calate mediamente del
22,1 per cento, mentre sono salite del 37,7 per cento tra i 60 e i 64 anni, e
del 7,2 per cento tra i 65 e i 69. Nell’insieme, l’incidenza della fascia d’età
over 60 sul totale degli infortuni è raddoppiata, da 3 al 6 per cento.
Un
fenomeno speculare a quello dell’andamento dell’occupazione, e in gran parte
spiegabile proprio con questo: ci sono più lavoratori anziani, dunque si fanno
male di più. L’aumento degli infortuni, spiegano all’INAIL, è “coerente con la composizione
per età degli occupati”. E porta a un’emergenza drammatica in settori più
rischiosi e anche più invecchiati, come quello edile. Nel quale, dal Veneto, la CGIL parla della “strage dei
nonni”.
“Non
si può stare sulle impalcature a 60 anni suonati”, ha denunciato il sindacato edili
FILLEA-CGIL, riportando i dati di ottobre sull’aumento delle morti sul lavoro
in edilizia: più 27 per cento rispetto al 2015, con il raddoppio delle vittime
con più di 60 anni.
Il
segretario regionale, Leonardo Zucchini, ricorda che con la crisi “sono rimasti
al lavoro in maggioranza gli anziani, spesso si sono messi in proprio e sono
più esposti al rischio”. Di andare in pensione non se ne parla, neanche con la
stabilità 2017: il lavoro edile in sé non è considerato usurante, adesso, dice
Zucchini, si è aperta la finestra dell’ape social ma quasi tutti ne restano di
fatto fuori, perché i requisiti di reddito (stare sotto i 1.100 euro netti al
mese) sono più bassi di quanto, mediamente, si guadagna nei cantieri.
CON LE MANI E CON LA TESTA
Nell’ape
social sono rientrate invece le maestre della materna: aiutate ad andare in
pensione prima perché dopo una certa età a stare con bambini così piccoli non ce
la fai più. Ma quante e quali sono le cose che diventa difficile fare, dopo una
certa età? Andiamo a parlare con Cristina Gremita, che per l’ATS di Pavia (Azienda
provinciale di Tutela della Salute) ha il compito di verificare, tra le altre
cose, l’idoneità al lavoro. “C’è un’emergenza tra gli infermieri. Che con l’età
diventano inadatti ad alcune mansioni, come quella di movimentare il carico dei
pazienti. Ma spesso, se noi lo certifichiamo, fioccano i ricorsi. Da parte
degli ospedali, ma anche degli stessi infermieri, che temono conseguenze per il
posto di lavoro”. Non a caso anche gli infermieri sono tra le categorie
previste per l’ape social: però sempre con quei requisiti di reddito che è
molto difficile trovare, nella categoria.
Ma
la stessa pressione per entrare nelle finestrelle (piccolissime) dei lavori usuranti
fa capire che altre soluzioni, sul posto di lavoro, sono lontane. Perché è raro
che le aziende si pongano il problema dell’età dei dipendenti, dalla
prevenzione all’organizzazione del lavoro al rischio di malattie. Allargando lo
sguardo ai grandi numeri, vediamo che l’aspettativa di vita dei nostri over 65
è maggiore di quella media dell’UE (22,6 anni per le donne e 18,9 per gli
uomini, contro una media UE, rispettivamente, di 21,3 e 17,9), ma la salute è
minore: in Italia una donna a 65 anni ha in media davanti a sé 7,3 anni in buona
salute, un uomo 7,8 contro una media europea di 8,6 e 8,5. Più anziani e più
acciaccati, dunque.
Ma
la relazione tra salute e lavoro non è così univoca. La stessa Cristina Gremita
da Pavia avverte che ci sono anche “opportunità” nell’allungamento della vita
lavorativa, ad alcune condizioni. Che però richiedono sforzi organizzativi che
in pochi vogliono o possono fare.
“Io
sto in linea come vent’anni fa, quando sono entrato qui”, racconta Salvatore Stanca,
metalmeccanico in una fabbrica di radiatori di Loreto, nelle Marche. Ha 62 anni
e 40 anni e mezzo di contributi. “Mi passa tutto per le mani”, sintetizza, dopo
aver spiegato come i pezzi arrivano sulla sua linea, sono presi e saldati,
sfilettati e assicurati, e poi escono pronti per essere verniciati. “Sette ore
e mezzo, giorno per giorno”. E giorno per giorno Stanca va sul sito dell’INPS a
fare la simulazione della sua pensione. “Prima facevo l’impiegato in un’altra
azienda, sono venuto qui quando ha chiuso. Ho chiesto di passare ad altra
mansione, ma la domanda non è stata proprio presa in considerazione”.
Il
dottor Luca Cravello, geriatra esperto di demenze senili, traccia una linea di
distinzione che non è tanto tra il lavoro manuale e quello intellettuale, ma tra
mansioni più o meno ripetitive: se il cervello deve lavorare o no, insomma. La malattia
di cui Cravello si occupa, e che riempie il centro in cui lavora (il centro Alzheimer
dell’ASST Rhodense di Garbagnate Milanese, uno dei più grandi d’Italia) non fa
distinzioni in base agli studi e alla carriera. La malattia è “trasversale”, però,
dice, è diverso il suo decorso. “Chi ha svolto un lavoro intellettuale ha una
riserva cognitiva maggiore, che può ritardare l’insorgenza della malattia”. Ma
dal suo osservatorio dell’hinterland milanese Cravello vede arrivare prima di
tutto l’emergenza sociale dei lavoratori anziani come “figli”: schiacciati
spesso tra la cura di genitori molto vecchi, i propri figli da mantenere e il
lavoro che non si può lasciare.
“Spesso
non ce la fanno, le spese possono essere molto alte, e ci arrivano istanze e
richieste a cui non sappiamo dare risposta”. Inoltre, le contraddizioni spesso
sono anche trasversali e non prevedibili, nell’interrogarsi di ciascuno circa
il momento del passaggio dal lavoro al non-lavoro.
Diego
Panizzolo, che andrà in pensione a giugno dell’anno prossimo solo perché ha cominciato
a lavorare a 15 anni e dunque ha maturato i requisiti, chiude con quarantadue anni
e dieci mesi passati a lavorare tra magazzini, fabbriche e un bar che ha aperto
per una parentesi di lavoro autonomo, poi chiusa. E’ contento? “Sono contento,
però se ci penso... sono diventato vecchio. Qualcosa dovrò trovare, non posso
rimanere a casa fermo. Anche se è vero, pure a casa c’è sempre qualcosa da fare”.
RIMETTERE GLI ANNI IN MOTO
“Ho
più di 90 anni e anche io sono andata in pensione”, esordisce Annamaria Galdo,
psicoanalista napoletana (ma sarebbe meglio dire: pioniera napoletana, cofondatrice
del Centro di psicoanalisi di Napoli negli anni in cui la pratica e la
professione psicoanalitica erano sconosciute ai più) che interpelliamo sul
difficile passaggio della soglia tra il lavoro e il non lavoro, e sulla sua
scelta di non attraversarla. Galdo, classe 1922, nella sua casa luminosa,
appollaiata all’ultimo piano di un bell’edificio della riviera di Chiaia,
collabora con i colleghi, fa supervisioni, svolge seminari; insomma continua a
essere una psicoanalista.
E’
andata in pensione dall’università a 76 anni, ma per lei “il lavoro
intellettuale non si interrompe mai, l’intellettuale ha una sola maniera di
andare avanti”. E racconta di aver risentito moltissimo del pensionamento; di
aver sofferto dell’uscita dal gruppo di lavoro formato con i suoi ricercatori.
Spiega di aver cercato il modo, e impiegato un po’ di tempo, per compiere quel
passaggio, per “superare l’angoscia di aver perduto il futuro”. Lo ha fatto,
racconta, collaborando con un suo amico in un progetto artistico, recuperando così
uno studio e una passione che aveva dovuto abbandonare pur essendosi laureata
proprio in storia dell’arte, subito dopo la guerra: “Una parte della mia vita che
mi sembrava di non aver vissuto”. Lo dice con altre parole in una poesia (e quella
della poesia è un’altra attività scoperta “dopo”, e praticata tra gli ottanta e
i novant’anni): “E’ stato il tuo dolore a sfrondare il mio/perché gli anni si
rimettessero in moto/futuro mio solo tempo tu rendi meraviglia la paura”.
Nelle
classifiche dei “mestieri” più anziani, quelli intellettuali stanno ovviamente ai
primi posti: docenti universitari, prefetti, quadri ministeriali, notai, altri professionisti.
Ma un conto è “godere” del proprio posto di lavoro e di una carriera all’apice,
un altro, superata l’età della pensione, è mantenere e coltivare una relazione
quotidiana con l’oggetto del proprio lavoro, con il mondo fuori, con i colleghi.
Annamaria
Galdo lo fa, anche se ha severi impedimenti fisici tra i quali un abbassamento della
vista che le impedisce di leggere. Con semplicità, dice di aver rinunciato da
molti anni al suo lavoro di terapeuta infantile “perché non potevo più mettermi
a giocare a terra”. Sottolinea il valore della cura, come attenzione continua alla
propria attività intellettuale, e non solo: “Ho sette persone che mi aiutano”, da
chi fa la spesa a chi legge per lei. Ha organizzato le sue giornate in modo
preciso, con la radiolina sempre a portata di mano per restare in contatto con
i problemi e i luoghi del mondo che l’hanno sempre interessata.
“All’inizio
ho pensato che continuavo a lavorare per vivere. Poi ho capito che non è così:
io lavoro per mantenere la mia identità personale”. Perché è riuscita a
rimettere in moto gli anni.
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To:
Sent:
Saturday, November 26, 2016 8:07 PM
Subject: AMIANTO: QUESTI
PROCESSI NON SAN DA FARE!
Amianto:
questi processi non san da fare!
Sembrerebbe lo slogan della Quinta Sezione
Penale del Tribunale di Milano. Per la verità nel giro di pochi giorni sono
arrivate due sentenze di assoluzione da parte di questa Corte d’Appello,
ambedue per amianto: la prima riguardava la Fibronit di Broni , la seconda (quella di oggi)
si riferiva ai 27 morti della Pirelli di Milano, i cui imputati sono stati
mandati assolti per non aver commesso il fatto.
Eppure il Tribunale di Torino in due
processi analoghi contro i vertici Pirelli ha emesso sentenza di condanna,
confermata dalla Corte d’Appello di Torino, in relazione ai medesimi
reati.
Perché queste differenze?
Perché la Cassazione, nella gran
parti dei casi, ha confermato le condanne inflitte dalle Corti di merito?
Perché invece anche in primo grado la Quinta Sezione del Tribunale di
Milano assolve?
Perché la Suprema Corte di
Cassazione ha affermato e riaffermato nel tempo solidi principi giuridici (in
punto di anti-scientificità della trigger dose, di antigiuridicità dei TLV, di
affermazione della teoria multistadio nei casi di mesotelioma come la più
autorevole e accredita nella comunità scientifica, di prevenibilità e
prevedibilità dell’evento, di accelerazione della latenza, di posizioni di
garanzia dei componenti del Consiglio di Amministrazione quali effettivi datori
di lavoro sui quali gravava, anche in caso di delega, un dovere di vigilanza e
di intervento sostitutivo non demandabile a nessuno, di piena conoscenza da
parte del mondo industriale italiano della cancerogenicità dell’amianto quanto
meno a partire dal 1964, anno in cui si celebrò la Conferenza di New York)
che vengono sistematicamente disattesi dalla Corte d’Appello di Milano?
E’ una posizione giuridica o è una posizione politica?
Pensiamo opportuno chiederlo al
Consiglio Superiore della Magistratura.
Ma intanto parliamo dei morti per
amianto; morti prematuri, morti con grandi sofferenze. Grande dolore di
famigliari ed amici. Morti due volte per mancata giustizia. Veramente
inaccettabile.
Lo renderemo noto anche alla Commissione
del Senato per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che il 29
novembre 2016 ha
invitato le associazioni alla presentazione della bozza di Testo Unico delle
leggi sull’amianto.
Sarà una legge che aiuterà a fare
giustizia?
Toglierà la prescrizione per i reati
contro la salute e sicurezza sul lavoro?
Promuoverà un piano per l’eliminazione
totale dell’amianto?
Renderà semplice e automatico il
riconoscimento delle malattie professionali e delle esposizioni all’amianto?
Sottoporrà gli ex esposti a sorveglianza
sanitaria?
Aiuterà le vittime e i loro famigliari a
denunciare e ne sosterrà le spese?
BASTA AMIANTO
E GIUSTIZIA PER LE VITTIME
Milano, 24 novembre 2016
Comitato
per la Difesa
della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Medicina
Democratica Onlus
Associazione
Italiana Esposti Amianto Onlus
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From: Maria
Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Saturday, November 26, 2016 3:30 PM
Subject: NONOSTANTE TUTTO, I FERROVIERI HANNO DETTO NO!
Si è da poco concluso lo sciopero di oggi 25
novembre.
Basterebbe l’elenco degli stratagemmi dispiegati dalle aziende per
contenere lo sciopero (tutti quei trucchetti che ciascuno ha potuto vedere nei
propri posti di lavoro) per capire l’impegno profuso per nascondere la
partecipazione dei ferrovieri. Aziende, governo e complici hanno bisogno del
silenzio dei ferrovieri per dire che si avalla la macelleria contrattuale che
hanno preparato.
Si è cominciato dalla decurtazione della Commissione di Garanzia sulla
durata dell’astensione, per proseguire con la falsa notizia fatta circolare
anche da organi stampa circa il ritiro dello sciopero, poi tutti gli strati
intermedi dei quadri mobilitati a sostituire gli scioperanti, dalle attività
diverse (come le scuole) sospese per avere le disponibilità all’esercizio, e di
qui giù ogni forma di pressione (con gli apprendisti o precari piace vincere
facile), di distorsione e forzatura delle regole: indagini preliminari per
conoscere le intenzioni, comandi arbitrari per spalmare sui turni i treni da
garantire, comandi fuori fascia, treni spacciati da garantire, persino invii di
materiali vuoti.
Nonostante tutti loro, I FERROVERI SCIOPERANDO, HANNO DETTO NO! e la
consapevolezza cresce in settori tradizionalmente non propensi e non di
esercizio, come biglietterie, officine, manutenzioni, uffici e aziende non FSI.
NO! a una trattativa contrattuale senza i lavoratori e senza minimamente
tener conto delle loro richieste emerse dalle assemblee autoconvocate e dalle piattaforme.
NO! alla privatizzazione del trasporto ferroviario, alla “Operazione
Mercitalia”, alle condizioni e orario di lavoro e precarietà a cui vogliono
ridurre i colleghi Cargo per poi procedere a “scorporare” il resto dei settori
delle ferrovie.
NO! alla controriforma Fornero e alla vergognosa “ape” proposta dal governo.
NO! al Jobs Act e alla precarizzazione del rapporto di lavoro.
NO! Lavoratori di serie A e serie B.
SI! alla reinternalizzazione delle attività.
SI! alla difesa dei nostri diritti e a un futuro dignitoso.
SI! al miglioramento delle condizioni, agli orari e ai ritmi ormai
insostenibili di lavoro.
SI! alla difesa della sicurezza del trasporto e dei lavoratori.
Grazie ai ferrovieri che hanno capito!
Grazie ai tanti che hanno partecipato!
Essi ci saranno anche ai prossimi appuntamenti di una vertenza che non
finisce qui.
Non permettiamo che le ferrovie e il nostro futuro siano distrutti da
questa cricca.
CAT Coordinamento Autorganizzato Trasporti
CUB Trasporti
SGB Sindacato Generale di base
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday,
November 27, 2016 10:04 PM
Subject: COME SFRUTTARE LA FORZA LAVORO NELLA RETE
Dietro i Tycoon dei colossi della Silicon Valley si nasconde un mondo sommerso e invisibile di lavoratori sfruttati
26/11/16
“Quel che qui assume per gli uomini la forma
fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale
determinato fra gli uomini stessi” (Karl Marx, sul feticismo della merce).
Secondo Manuel Castells, illustre sociologo e attualmente docente
di comunicazione presso l’University of Southern California “Le reti internet costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre
società, e la diffusione della logica della messa in rete determina ampiamente
il processo di produzione, d’esperienza, di potere e di cultura”.
Castells afferma che
le organizzazioni che hanno dominato, negli ultimi decenni, le moderne società
industriali, hanno lasciato il passo alla rivoluzione digitale che ha creato un
nuovo sistema di produzione basato sull’informazionalismo. In
questo nuovo modello svolgono infatti un ruolo dominante tre aspetti legati all’informazione
automatizzata: elaborazione, memorizzazione e trasmissione dei dati ricevuti.
Nasce così nella rete
una repubblica indipendente e anarchica formata da tecnici informatici,
scienziati e hackers. A partire dagli anni ottanta la rete si popola con le
prime comunità virtuali. Solo negli anni novanta, con un possibile maggior
accesso nel world wide web, il mondo internettiano
inizia a vivere la rete come una seconda vita. Quella della realtà virtuale a
cui affidare scelte commerciali, emozioni, professioni, velleità artistiche,
desiderio di socializzare e di incontri amorosi. E’ l’amo a cui abboccano
milioni di utenti.
La massificazione del
mezzo digitale foraggia i mercati e gli interessi commerciali convergono sui
network carpendo preferenze e gusti degli utenti. E la lunga mano della net economy sommerge la rete con una nuova forma di
capitalismo, invisibile ma sfrontato. Per il quale l’innovazione tecnologica e
culturale (secondo Castells) non è più un fattore esterno, ma “il motore fondamentale”.
I guru/imprenditori
dell’economia digitale non temono fallimenti, grazie ad un mercato in internet
sempre più proficuo, ad un sistema di vendite che abbraccia infiniti settori
commerciali. Dall’editoria al fitness, dai prodotti musicali a quelli
informatici, dall’industria del fashion alla salute.
E’ l’era dei “venture capitalist” che realizzano un’impresa digitale a
basso rischio, perché non ci sarà alcuna remissione personale, qualora la dot.com fallisse.
Il business digitale
nasce da un creativo che intenda lanciare in rete un prodotto o un servizio. L’ideatore
organizza uno staff di knowledge workers,
disposti a condividere il business. Infine vende il prodotto ad un venture
capitalist. E fin qui il business, generalmente, non presenta ricadute inerenti
lo sfruttamento della forza lavoro, né il mini capitalist ne ricaverà grandi
profitti.
Ben diverso è quanto
accade nel sistema capitalistico dei grandi colossi Usa.
Amazon, Facebook, Google, Microsoft e Apple, colossi del mercato mondiale,
figli della Silicon Valley sono i leader
assoluti della rete e ne hanno il monopolio, superando nei profitti
capitalistici mondiali anche quelli della old economy
dei petrolieri. Dietro i tycoon, le
sofisticate tecnologie informatiche, la velocità e cortesia degli addetti alla
comunicazione di queste mega aziende, si nasconde il mondo sommerso e
invisibile dello sfruttamento del lavoro. Si nasconde
il medioevo dei diritti umani.
Sul colosso Amazon di
Jeff Bezos, con sede a Seattle
(Usa), azienda lanciata in rete nel 1995 come libreria online, pesano capi d’accusa
e denunce per attività antisindacali riguardanti le pessime condizioni di
lavoro dei suoi dipendenti.
Parliamo di una delle
maggiori aziende online che oggi offre ai visitatori del sito qualsivoglia
prodotto. Non solo libri, ma un mercato globale enorme che comprende ogni
genere di consumi. Dai software, ai DVD ai CD musicali, ai videogiochi, all’abbigliamento.
L’azienda ha un fatturato di 75 miliardi annui.
Quello dichiarato. Nessuno potrebbe però stabilire esattamente tutte le fonti
da cui proviene il capitale enorme che l’impresa possiede. E nessuno sa quanti
siano i suoi dipendenti e se abbiano un contratto regolare e regolato secondo
le leggi del lavoro del paese di appartenenza.
E’ un mondo
invisibile quello di lavoratori di Amazon, una moltitudine di persone costrette
ad agire dietro le quinte e a lavorare a tempi frenetici, sotto mobbing
permanente e sotto la minaccia del licenziamento in tronco. Lo documentano
testimonianze di giornalisti che sono riusciti a vivere in diretta i tempi e le
modalità con cui lavorano i dipendenti, infiltrandosi segretamente fra le file
degli enormi magazzini dell’azienda, sparsi in tutto il pianeta.
Ne parla, nel suo
libro-denuncia “En Amazonie, infiltrè dans le meilleur des
mondes”, Jean Baptiste Malet, un giornalista francese che è riuscito a far parte
per due settimane di quel girone infernale dei dipendenti Amazon, facendosi
assumere come magazziniere in un deposito del Sud della Francia. “I dipendenti sono trattati alla stregua di robot, ben 1.200 di loro
hanno contratti precari e sono soggetti a compiti faticosi e ripetitivi, come
percorrere venti chilometri ogni giorno tra i reparti di immensi depositi. Ho scoperto
che tutti i dipendenti non avevano diritto a esprimersi sulle condizioni di
lavoro, né sui media, né con la famiglia, nonostante le regole del codice del
lavoro lo consentano. Invece l’azienda limita qualsiasi forma di comunicazione”
racconta Malet in un’intervista.
Dietro la formula
patinata “efficienza, velocità, risparmio”, appare alle inchieste un mondo di
lavoratori sfruttati, costretti a vivere la loro condizione di sfruttati a
ritmi incessanti e disumani. La dimensione è conforme a quella dell’alienazione
massima espressa in “Tempi moderni” di Chaplin.
Sul New York Time è apparso un reportage sulle condizioni di
lavoro:
Il giornalista è
riuscito a raccogliere le confidenze degli sfruttati e degli ex dipendenti.
Tutti concordi nel definire l’ambiente di lavoro al pari di una caserma. Nessun
diritto umano per i dipendenti, dal divieto alla libertà di parola e opinione,
al controllo continuo da parte dei “capetti”, tramite i geolocalizzatori per
controllare i tempi di lavoro e la posizione. Ogni 33 secondi i commessi devono
portare a termine un ordine, pena il licenziamento, per un compenso economico
al limite della sopravvivenza.
E hanno il divieto
assoluto di iscriversi a un sindacato. Meritocrazia ai massimi livelli e
divisione fra buoni (chi lavora 24 ore su 24, 7 giorni su 7) e cattivi.
Ovviamente il tycoon, Jeff Bezos, interrogato sulla questione, nega.
L’altro aspetto con
ricaduta negativa, provocata da Amazon sul mercato reale dell’editoria, è che 4.000 negozi di libri hanno dichiarato fallimento,
creando così un mare di disoccupati. Gli editori, per i prezzi troppo
concorrenziali della più grande libreria digitale, hanno dovuto dimezzare i prezzi dei
libri. E mentre Bezos è soggetto ad aspre critiche per condurre
un’azienda miliardaria che si regge sullo sfruttamento invisibile dei
lavoratori, i consumatori digitali, ignari di quanto accade dietro le quinte di
questi colossi made in USA, continuano a mettere nel carrello online prodotti a
bon marché. E nelle tasche dei tycoon entrano alla velocità del nanosecondo
fiumi di danaro.
Ma ciò che accade nel
mondo sommerso dei lavoratori Amazon, e che, dai sondaggi effettuati, colpisce
soprattutto le donne per una maggiore disponibilità ad acconsentire a questa
tipologia di lavoro, è lo stesso fenomeno che si verifica in tutte le altre
grandi catene commerciali sia virtuali che reali. I chain workers di Mc Donald e IKEA e i pikers delle grandi aziende, per mantenere il lavoro
spesso si assoggettano allo stesso trattamento degli invisibili di Amazon.
Senza contare che utilizzando sistematicamente i network, di cui Facebook è il
massimo esponente, sono gli stessi consumatori della rete che forniscono la
prima merce, ad esclusivo profitto dei grandi magnati del capitalismo.
Pensiamoci...
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From: Muglia la Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Monday,
November 28, 2016 5:16 PM
Subject: PROTEGGERE I LAVORATORI GUARDANDO AL FUTURO!
Se è vero che “la digitalizzazione e l’automazione stanno già cambiando la vita
quotidiana di tutti noi, le imprese che sono il motore dell’innovazione della
nostra società dovranno adeguarsi di conseguenza”.
Il Piano Nazionale Industria 4.0 prevede
cospicui investimenti per il triennio 2017-2012 a favore nuovi
impianti, nuovi macchinari, nuova formazione e, soprattutto, un nuovo approccio
culturale.
Anche la sicurezza sul lavoro non potrà
fare a meno di essere considerata secondo un diverso punto di vista.
Si tratta cioè di cambiare il paradigma
classico della sicurezza sul lavoro: dalla
protezione dalla macchina, alla macchina che protegge!
Partendo da questa rivoluzionaria
affermazione di Daniele Verdesca,
proviamo a gettare uno sguardo sul tema della sicurezza sul lavoro nell’era
dell’intelligenza artificiale e della robotica.
In futuro, secondo l’autore, “non sarà più necessario redigere un Documento
di valutazione di Rischi nello stile italiano (ossia di mera conformità
agli obblighi normativi) ma la stessa progettazione delle macchine/robot/ciclo,
dovrà avere al proprio interno la protezione
stessa dell’essere umano/lavoratore, diventa il pilastro fondamentale
dell’efficienza stessa del processo produttivo”.
Secondo l’autore, si tratterebbe di
affidare alla macchina il compito di proteggere i lavoratori, progettandola in
modo tale da risultare in grado, oltre che di operare ai fini produttivi, di
comprendere, avvertire, valutare ed eliminare una eventuale situazione di
rischio per la salute dell’operatore.
Affascinante, vero?
Sono molte le domande che Verdesca pone.
Cosa vuol dire essere umani oggi, nell’era
della tecnologia!
Cosa vuol dire essere lavoratori in un processo
di ciclo industriale in cui i robot stanno sempre di più ridimensionando ruolo
e funzioni delle storiche Tute Blù?
In definitiva come essere costruttori
del futuro oggi. Come e se sarà possibile inserirsi in un percorso di
progettazione delle macchine ancor prima che queste vengano installate a favore
della sicurezza e del benessere dei lavoratori.
Daniele Verdesca prova a rispondere a
queste domande e ad allargare il dibattito con un post dal titolo: “Il cambio di paradigma per integrare la
sicurezza sul lavoro con Industry 4.0”:
Un cambio di paradigma della sicurezza in rapporto con
i nuovi robot che lavorano nelle catene di montaggio e che hanno una loro “intelligenza”
che sintetizza la nuova filosofia, il nuovo approccio da portare avanti nelle
Fabbriche 4.0.
Un articolo che potrete leggere per intero, e
commentare, anche su questo blog interagendo con l’autore lasciando commenti,
ponendo domande, richieste di chiarimento.
Franco Mugliari
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To:
Sent: Tuesday, November 29, 2016 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
FIDEL, CUBA E LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
Ci sembra
d’obbligo un ricordo di Fidel Castro pensando al futuro di Cuba proponendo un
recente contributo di Angelo Baracca e Rosella Franconi.
Cuba fuori
dagli schemi: considerazioni sulla “rivoluzione scientifica”.
DAL PROCESSO “SPEZZATINO” ETERNIT II AL TESTO UNICO SULL’AMIANTO.
Mentre
un giudice a Torino fa uno spezzatino del processo Eternit II distribuendo
procedimenti (e morti operai) per il nord Italia, un giudice a Milano non
rinvia a giudizio i sindaci per le morti da amianto alla Scala, a Roma si
discute del testo unico sull’amianto, riportiamo un commento del Coordinamento
Nazionale Amianto cui fa parte Medicina Democratica.
Leggi
tutto al link:
Aiuta Medicina Democratica Onlus devolvendo
il tuo 5 per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel settore
volontariato e indicando il codice fiscale 97349700159.
Medicina Democratica Onlus
sito web:
facebook:
www.facebook.com/medicinademocratica
www.facebook.com/medicinademocratica
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From: Comitato
Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
To:
Sent: Tuesday,
November 29, 2016 4:39 PM
Subject: CENA
SOLIDALE CON I LAVORATORI EURECO
Buongiorno.
Il nostro Comitato
sta organizzando una cena solidale per gli ex lavoratori dell’ Eureco che si
trovano ancora in una situazione di grave disagio.
L’evento si
svolgerà il giorno 17 dicembre
prossimo alle ore 20.00 presso
il centro Ein Karem
in via
Gadames 47 a
Paderno Dugnano.
Per
prenotare telefonate al seguente numero : 333 12 72 404.
La locandina
dell’evento e alla pagina Facebook:
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To:
Sent:
Wednesday, November 30, 2016 9:30 AM
Subject: OMICIDIO
COLPOSO? VERGOGNA!
E’ il tardo
pomeriggio di martedì 29 novembre quando il Giudice per le Udienze Preliminari
Federica Bompieri comunica la decisione in merito al procedimento che la Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Torino ha intentato contro Stephan Schmidheiny (padrone
genocida della multinazionale del cemento-amianto Eternit) in merito all’omicidio
di 258 persone, uccise nel tempo dall’inalazione di fibre di amianto.
Il Pubblico Ministero
Gianfranco Colace aveva chiesto che l’avvelenatore fosse giudicato per il reato
di omicidio volontario: per contro, la
Corte ha deciso di derubricare l’accusa a omicidio colposo,
ha dichiarato prescritti un centinaio di casi, ed ha ordinato la trasmissione
degli atti dei rimanenti alle Procure di Napoli, Reggio Emilia e Vercelli;
soltanto due casi restano a Torino, e per loro il processo comincerà il
prossimo mercoledì 14 giugno.
Chi scrive
ha seguito per intero il primo processo (quello per disastro ambientale doloso
permanente e inosservanza delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro) e
ricorda perfettamente la testimonianza del fratello dell’imputato, Thomas, il
quale affermò (nel corso dell’udienza di lunedì 5 luglio 2010) che “all’inizio
degli anni ‘80 ha cercato di dissuadere il padre dall’usare amianto perché
cancerogeno, ma subito dopo ammette che la dismissione dell’amianto era
difficile perché non si trovava un materiale alternativo con le stesse
proprietà”.
Alla luce di
una tale preziosa affermazione, non si comprende davvero come il GUP abbia
potuto depotenziare il capo di accusa: lorsignori avevano scientemente deciso
di continuare a utilizzare il materiale mortifero, nonostante lo conoscessero
perfettamente come tale, perché la ricerca di un’alternativa sarebbe stata
eccessivamente onerosa.
Bosio (AL)
30 novembre
2016
Stefano Ghio
Rete
Sicurezza Alessandria/Genova
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From: AIEA
Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
To:
Sent:
Thursday, December 01, 2016 6:19 PM
Subject: COMUNICATO
STAMPA PROCESSO ETERNIT
Buonasera,
riportiamo a
seguire Comunicato Stampa AIEA e Medicina Democratica in merito alla sentenza
processo Eternit 2
Lorena Tacco
Associazione
Italiana Esposti Amianto Paderno Dugnano
COMUNICATO STAMPA AIEA E MEDICINA DEMOCRATICA
Ancora una volta
ingiustizia è fatta.
L’accusa per il
magnate svizzero Stephan Schmidheiny, imputato a Torino per la morte di 258
persone, vittime di malattie correlate all’esposizione all’amianto, è passata
da omicidio volontario a omicidio colposo aggravato plurimo al processo Eternit
bis. Il Giudice della Udienza Preliminare ha dichiarato prescritti un centinaio
di casi, mentre per i rimanenti ha ordinato la trasmissione per competenza
territoriale alle procure di Reggio Emilia, Vercelli e Napoli. A Torino si
celebrerà a partire dal 14 giugno il processo per due soli casi.
Il Giudice della
Udienza Preliminare del Tribunale di Torino ha rinviato a giudizio Stephan
Schmideiny. Ma non è una buona notizia perché tale decisione è per omicidio
colposo e non doloso come invece era stato richiesto dal Pubblico Ministero
Ciò vuol dire lo
smembramento del processo in 3 tribunali diversi e il rischio della
prescrizione sempre più reale e vicino.
Se il Disegno di Legge
presentato oggi al Senato della Repubblica dalla Senatrice Fabbri e altri “Disposizioni
per il riordino della normativa in termini di amianto” fosse già legge
e già in vigore, la prescrizione sarebbe stata più lontana. Ma nulla
sarebbe cambiato in termini di colpa. Nemmeno in questo Disegno di Legge si e’
pensato di istituire la
Procura Nazionale per i delitti del lavoro (infortuni e
malattie professionali).
Stephan Schmidheiny,
uno degli uomini più ricchi del mondo, può continuare a dormire sonni
tranquilli!
Non è una novità.
Il Codice del Sistema
in vigore dice che i ricchi devono risultare impuniti.
Milano 29/11/16
Medicina Democratica
Associazione Italiana
Esposti Amianto
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