mercoledì 7 dicembre 2016

6 dicembre - da M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 06/12/16



INDICE

NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS

VERTENZA AMIANTO IN SARDEGNA

OTTANA: EX ESPOSTI AMIANTO VERSO IL RICONOSCIMENTO

Posta Resistenze posta@resistenze.org
STUDENTI IN PIAZZA IL 17 NOVEMBRE: VIA L’ACCORDO TRA MIUR E GRANDI IMPRESE!

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
XY E’ UNA PERSONA O FORZA LAVORO ROTTAMABILE?

LAVORARE INVECCHIA, SOPRATTUTTO IN ITALIA

Associazione Italiana Esposti Amianto aiea.mi@tiscali.it
AMIANTO: QUESTI PROCESSI NON SAN DA FARE!


NONOSTANTE TUTTO, I FERROVIERI HANNO DETTO NO!

La Città Futura noreply@lacittafutura.it

COME SFRUTTARE LA FORZA LAVORO NELLA RETE


PROTEGGERE I LAVORATORI GUARDANDO AL FUTURO!

NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS



CENA SOLIDALE CON I LAVORATORI EURECO

Stefano Ghio procomto@libero.it
OMICIDIO COLPOSO? VERGOGNA!

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
AMIANTO/ENICHEM: INCOMPRENSIBILE SENTENZA A RAVENNA

AIEA Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
COMUNICATO STAMPA PROCESSO ETERNIT

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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Tuesday, November 15, 2016 2:12 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS

GPL A FALCONARA MARITTIMA (AN) UNA STORIA OPERAIA KAFKIANA

Riportiamo un intervento della sezione di Medicina Democratica di Ancona e Marche in cui si dà conto delle vicende kafkiane del lavoratore Marco Capotondi: quando si tratta di amministratori delegati imputati di violazioni ambientali o di sicurezza sul lavoro spesso la tesi per escluderli da condizioni di colpevolezza è che non si può applicare il principio che “non potevano sapere” cosa succedeva “sotto” di loro perché erano troppo in alto e avevano delegato compiti e funzioni.
Leggi tutto al link:
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Medicina Democratica Onlus
sito web:

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To:
Sent: Wednesday, November 16, 2016 6:18 PM
Subject: VERTENZA AMIANTO IN SARDEGNA

Trasmetto di seguito la raccolta dei servizi informativi dei media riguardanti la vertenza amianto in Sardegna.
Grazie per l’attenzione.
Mario Murgia
Associazione Italiana Esposti Amianto Val Basento
* * * * *
TGR Sardegna, 14 novembre ore 14
Servizio Conferenza Stampa, Barbara Romano, da 8’12” a 10’00”
SARDEGNA 1, TG 14 novembre ore 20
Servizio Conferenza Stampa, da 2’30” a 5’30”
TCS, TG ore 14,00
Servizio sulla Conferenza Stampa, da 0’45” a 5’25”
Edizione TGR Sardegna, 19,30- 9 novembre 2016
Servizio di Barbara Romano, sui tre emendamenti, da 8’56” a 10’31”

Sardiniapost
Amianto, PD-SEL in Parlamento: “Benefici a esposti polo Ottana”
Agenzia DIRE 
Legge di bilancio, SEL: Ex esposti all’amianto vengano riconosciuti
ANSA Sardegna
Amianto: lotta in Parlamento per pensioni
Offensiva SEL-PD, riconoscere diritto ad esposti polo Ottana
La Nuova Sardegna
Amianto sardo, niente indennizzi
All’ENI di Pisticci pensioni maggiorate, ma in Sardegna è impossibile ottenerle
Cronache Nuoresi
Amianto: interrogazione SEL-PD per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori esposti
Tiscali notizie 
Interrogazione Forma (PD) e Daniele Cocco (SEL) sui lavoratori ex esposti all’amianto,
Sardegna Reporter
14 novembre: Conferenza Stampa congiunta AIEA Sardegna, ANMIL e CGIL Nuoro

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To:
Sent: Wednesday, November 16, 2016 6:18 PM
Subject: OTTANA: EX ESPOSTI AMIANTO VERSO IL RICONOSCIMENTO

Potrebbe essere una svolta decisiva per i lavoratori dell’industria chimica di Ottana (Nuoro) ex esposti all’amianto, che per anni si sono visti negare dall’INAIL il riconoscimento dei benefici pensionistici e delle tutele previsti dalla legge 257 del 1992 per chi ha lavorato a contatto con la fibra tossica.
La battaglia per migliaia di lavoratori di Ottana e degli ex stabilimenti chimici sardi, approda infatti direttamente a Roma, con il deputato di SEL Michele Piras che ha presentato due emendamenti alla Legge di Bilancio del 2017, da 295 milioni di euro, che prevedono appunto l’estensione delle tutele previdenziali e sanitarie anche ai lavoratori del polo industriale di Ottana, 181 dipendenti della Montefibre SpA e 662 di Enichem, e impongono la riapertura dei termini nelle sedi INAIL per la presentazione delle domande per ottenere il rilascio delle certificazioni di esposizione all’amianto.
L’iniziativa è stata presentata stamane nella sala stampa del Consiglio regionale sardo dallo stesso deputato e dalla consigliera regionale del PD Daniela Forma che, insieme al capogruppo di SEL Daniele Cocco, ha depositato sulla vicenda un’interrogazione al governatore Francesco Pigliaru, dove si chiede un impegno concreto anche da parte del presidente della Regione a sostegno degli emendamenti. Presenti oggi all’incontro con la stampa anche Salvatore Pinna, segretario della CGIL di Nuoro e Sabina Contu, presidente dell’Associazione Italiana Esposti Amianto Sardegna.
“Noi pensiamo che il caso di Ottana possa essere il cavallo di Troia che consenta di scardinare la nebulosa che è stata costruita intorno alla vicenda industriale dei poli chimici in questo Paese” - spiega Piras - “e fare così un servizio per i lavoratori di tutti quegli impianti in cui l’amianto è stato utilizzato a mani basse, con la gente che è morta per mancanza di assunzione di responsabilità delle istituzioni”.
Piras fa quindi un appello alla Giunta regionale: “Sia più presente in questa partita. Mi aspetto a breve una telefonata da Villa Devoto a Palazzo Chigi, perché sono le ore decisive in ottica di legge di stabilità”.
A Pigliaru “Chiediamo che si faccia tramite con Governo e parlamentari sardi perché questi emendamenti vengano portati avanti” - sottolinea Forma - “Molti lavoratori che hanno operato in stabilimenti gemelli esposti all’amianto per più di dieci anni, nel resto del territorio nazionale hanno visto riconosciuti i propri diritti. Diritti invece negati fino a oggi ai lavoratori sardi”.
Per il sindacato questa è “una battaglia doverosa, che dobbiamo a una classe operaia che in Sardegna ha lavorato per il progresso sociale e si è spesa totalmente” – spiega Pinna – “bisogna costruire il lavoro, ma è necessario costruirlo in sicurezza e in secondo luogo deve essere chiaro che l’amianto è una sostanza infame e deve essere espulso dai processi produttivi del nostro Paese”.
Chiude Contu: “Parliamo di lavoratori in mobilità che avrebbero avuto il diritto di andare in pensione già da 10 anni, in base alla legge del 1992. Siamo l’unica regione italiana che non è stata investita da questi provvedimenti e ora finalmente la classe politica sarda ha capito che bisogna agire”.
Renzi, che questa settimana è atteso in Sardegna, “incontri oltre al presidente cinese, anche i deputati sardi, i consiglieri regionali e i sindacati” - conclude Contu - “e prenda un impegno forte perché nella prossima legge di stabilità questi emendamenti, per tanti anni rimandati, vengano approvati, garantendo ai sardi una tutela anche sanitaria”.
La Nuova Sardegna
Cagliari, lì 13/11/2016
di Andrea Piana
giornalista professionista

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, November 17, 2016 1:48 AM
Subject: STUDENTI IN PIAZZA IL 17 NOVEMBRE: VIA L’ACCORDO TRA MIUR E GRANDI IMPRESE!

La gioventù comunista ha chiamato gli studenti di tutta Italia a scendere in piazza il 17 novembre in occasione della Giornata Internazionale degli Studenti. Già lo scorso 7 ottobre ci siamo mobilitati per rivendicare una scuola diversa, fatta su misura degli studenti e dei futuri lavoratori, e non modellata in base agli interessi delle grandi imprese, della Confindustria e dei padroni.
Le risposte del Governo Renzi sono state una Legge di Stabilità in cui non si inverte in alcun modo la tendenza di questi anni, con pochi spiccioli per il diritto allo studio, e un accordo con 16 grandi imprese e multinazionali sull’alternanza scuola-lavoro, che trasformerà 27.000 studenti in manodopera a basso costo su cui fare profitti. E’ significativo che di questi ben 10.000 studenti saranno mandati a lavorare da McDonald, in barba alla retorica che parla di alternanza come esperienza formativa che serve a combattere la disoccupazione e la precarietà. Una “buona scuola” sì, ma per i padroni, non per gli studenti.
Il 17 novembre siamo scesi in piazza chiedendo l’immediato ritiro dell’accordo fra MIUR e grandi imprese italiane e multinazionali, contrario alla funzione formativa che l’alternanza scuola-lavoro dovrebbe avere.
Siamo scesi in piazza per rivendicare una scuola totalmente gratuita, dai libri di testo ai trasporti, rivendicando la piena copertura dei costi dell’istruzione con finanziamenti statali.
Rivendichiamo l’abolizione dei finanziamenti alle scuole private e dei contributi scolastici, per una scuola che sia accessibile a tutti.
Lottiamo contro lo sfruttamento in alternanza scuola-lavoro, rivendicando una giusta retribuzione e tutele per gli studenti in stage, per un’alternanza che sia davvero formativa e non funzionale agli interessi dei padroni, per una scuola che insegni il lavoro e non la precarietà.
Vogliamo una riqualificazione di tutta l’istruzione pubblica e in particolare dell’istruzione tecnica e professionale, un aumento della collegialità nella gestione delle scuole contro le ingerenze dei privati e lo strapotere dei Dirigenti Scolastici, rivendichiamo un piano nazionale di interventi per l’edilizia scolastica.
Lottiamo contro la scuola di classe imposta dai dettami di UE, BCE e FMI, contro questo sistema che ci condanna a un futuro di precarietà, disoccupazione e assenza di diritti.
Fronte della Gioventù Comunista (FGC)
06/11/16

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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Friday, November 18, 2016 12:35 PM
Subject: XY E’ UNA PERSONA O FORZA LAVORO ROTTAMABILE?

Da La Bottega del Barbieri
La vicenda di un giovane lavoratore afgano: espulso dal suo Paese e oggi dalla fabbrica italiana.
E’ come vedere l’ultimo film di Ken Loach, senza pagare il biglietto (*).
di Vito Totire (**)
In Italia e in Europa gli appelli all’inserimento socio-lavorativo degli immigrati sono all’ordine del giorno, ma ci vogliono fatti e procedure efficienti per realizzare questo obiettivo.
Ecco una vicenda significativa. Un giovane profugo proveniente dall’Afghanistan, via Pakistan, approda in Italia. Lavora per alcuni anni. Poi sviluppa una sensibilizzazione allergica riconosciuta dall’INAIL in quanto eziologia lavorativa; tuttavia l’INAIL, in una fase di notevole distanza temporale dall’agente per lui nocivo, riconosce un danno biologico uguale a zero.
Di fatto questo lavoratore è stato espulso dalla fabbrica. Licenziato per “inidoneità” perchè ogni volta che rimetteva piede nel luogo di lavoro l’allergia si ripresentava e sempre più forte.
L’ASL non ha condiviso il parere del medico aziendale che lo ha dichiarato “inidoneo” e ha decretato “che il lavoratore venisse adibito ad attività che non lo esponessero alle sostanze a cui è diventato allergico”. Esiste una postazione simile in fabbrica? Il datore di lavoro dice di no.
Alcune domande. Un organo ispettivo ha validato questa opinione o ha valutato se l’agente eziologico possa essere utilizzato con un sistema a circuito chiuso? Non che sia semplice, ma questo obiettivo è davvero tecnologicamente non fattibile? Non ci risulta che questi approfondimenti siano stati fatti; in questo caso dunque il parere del datore di lavoro è legge.
Dall’altra parte la ASL, il medico di base, il medico aziendale e tutti i dermatologi-allergologi che hanno visitato il lavoratore: nessuno di loro ha segnalato la situazione all’INAIL. Lo fa, nel dicembre 2015, il medico di una associazione di volontariato: nessuno degli altri aveva sospettato la natura occupazionale della patologia? La domanda pare pertinente visto che occorrerebbe, anche per ragioni deontologiche, segnalare all’INAIL le patologie professionali, pur se solo “sospette”. Peraltro se una schiera così numerosa di medici non ravvisa una eziologia professionale che invece viene poi riconosciuta dall’INAIL sorge un dubbio (ovviamente sfondiamo una porta apertissima…): che in Italia ci sia una sottostima delle effettive malattie professionali? Ma veh!!!
Non ci soffermiamo, al momento, in maniera approfondita sui motivi per i quali la allergia si è slatentizzata (***); è materia che approfondiremo in altra sede. Sta di fatto che (evidentissimi sono i tanti casi analoghi a questo, per esempio in edilizia) una esposizione massiccia e indebita certamente è in grado di slatentizzare una allergia che altrimenti avrebbe potuto rimanere silente, almeno per decenni. Si profila dunque la ipotesi di una organizzazione del lavoro non sufficientemente attenta alla prevenzione con questa “motivazione”: se un operaio diventa allergico non è un grande problema, lo si licenzia e se ne assume un altro; tanto la forza-lavoro abbonda...
Veniamo al punto più urgente: il lavoratore (con moglie a carico) è disoccupato da lungo tempo. Gli è precluso qualunque sbocco occupazionale in comparti in cui siano presenti le sostanze alle quali si è sensibilizzato (salvo, come si diceva, una “lungimirante” gestione di questi fattori di rischio “a ciclo chiuso”). La nazionalità non italiana e il livello di formazione non concorrono a dargli grandi chances. Perché solleviamo il problema adesso? Perché l’INAIL, tabelle medico-legali alla mano, ha ribadito ieri (16/11/16) in “collegiale” il riconoscimento di un danno biologico uguale a zero...
Ora le tabelle sono discutibili, certamente vanno cambiate e aggiornate (peraltro: di cosa si occupano i Ministri del Governo in carica?): difficile per noi comuni mortali comprendere come una malattia che ti ha espulso dal lavoro possa, nelle effettive misure di protezione sociale, corrispondere allo zero.
Ma il problema ancora più urgente oggi pare un altro. Quel che è più grave cioè è che questo lavoratore oggi non può contare sul supporto di nessuna agenzia pubblica per il ricollocamento lavorativo. E’ vero: esistono agenzie private di ricollocamento, ma quelle che hanno chances di riuscita costano, le altre non hanno possibilità di raggiungere l’obiettivo.
Con un danno biologico uguale a zero il nostro amico non ha nessuna possibilità di entrare sotto la cappa di protezione della Legge 68/99 (che peraltro funziona malissimo anche per chi abbia cosiddette invalidità riconosciute: 35% INAIL o 46% “civili”).
Non entriamo nel merito delle tragiche motivazioni che hanno costretto questa persona a scappare dal suo Paese di origine (forse ci sarà occasione di farlo in seguito). Il nostro amico era convinto di trovare in Italia un futuro molto diverso.
Giustizia vorrebbe che si prestasse grande attenzione a non espellere il più vulnerabile per sostituirlo, come se fosse il pezzo di un ingranaggio rotto. Peraltro diversi studiosi (allergologi ed epidemiologi) hanno evidenziato che migrare da un continente a un altro può comportare uno shock ambientale per il sistema immunitario. Dunque l’evento di cui stiamo parlando potrebbe avere una dimensione non solo individuale (sarebbe ugualmente importante), ma anche sociale.
Oggi questo lavoratore non deve essere abbandonato, occorre inserirlo in un percorso formativo ad hoc e garantirgli, in attesa di un pieno reinserimento in un ambiente di lavoro risk-free, un reddito per sopravvivere decentemente.
I quotidiani hanno annunciato un bando per 400 posti di lavoro a Bologna per le persone in difficoltà. Peccato che non sia stato comunicato alla opinione pubblica il referente a cui rivolgersi per le domande di inserimento nella ovvia graduatoria prevista. Cercheremo il referente, sperando che le domande non siano esorbitanti rispetto al numero di 400 posti.
Diciamo e facciamo tutto questo perché intendiamo rapportarci agli immigrati e (agli autoctoni) come persone portatrici di diritti e non usarli come forza-lavoro da rottamare alla prima occasione.
POST SCRIPTUM PER IL SINDACO DI BOLOGNA: fra un suo impegno e l’altro si ricordi della delibera comunale che ha deciso di collocare una targa commemorativa nel luogo dell’omicidio sul lavoro del giovane operaio albanese Reuf Islami morto soffocato sotto uno scavo non protetto in via Ranzani; si avvicina il prossimo anniversario e non vorremmo che fosse dimenticato anche questa volta. (****).
Bologna, 17/11/16
(*) Ovviamente grazie a Ken Loach e a chi si ricorda degli “ultimi”...
(**) Vito Totire è medico del lavoro/psichiatra, portavoce del circolo “Chico” Mendes di Bologna
(***) A proposito di “slatentizzata” ho chiesto a Vito Totire una spiegazione. Eccola.
“Si valuta che in un gruppo di persone esposte a un allergene non tutti possano essere candidati a sviluppare l’allergia. Si ritiene che vadano più facilmente incontro alle manifestazioni allergiche i cosiddetti atopici, in sostanza i più vulnerabili. Tuttavia questi manifestano l’allergia più o meno velocemente anche in rapporto ai livelli di esposizione: se l’esposizione è effettivamente minimale è possibile che la vulnerabilità rimanga latente e si manifesti, magari in forma sfumata, solo a fine carriera. Livelli elevati di esposizione slatentizzano nel senso che fanno emergere i sintomi della malattia più in fretta; in sostanza slatentizzazione vuol dire uscita dalla incubazione preclinica e comparsa della dimensione clinica della malattia: quando la malattia è slatentizzata le dosi capaci di riaccendere la patologia sono veramente infinitesime. Purtroppo la triste storia tipica è quella dell’operaio edile ultrasessantenne che comincia a proteggersi dalla polvere del cemento... un po’ troppo tardi e che pure deve tirare per arrivare alla pensione”.
(****) La vicenda di Reuf Islami è stata raccontata qui:

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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Thursday, November 17, 2016 6:43 PM
Subject: LAVORARE INVECCHIA, SOPRATTUTTO IN ITALIA

Un’inchiesta giornalistica prova a far luce su contraddizioni e problemi, vecchi e nuovi, che assillano il mondo del lavoro
di ROBERTA CARLINI
“Siamo in otto, ai forni. Io, che faccio 60 anni quest’anno. Un collega più grande, ne ha 61 e deve stare altri due anni qui. Poi uno di 58 e un altro di 55”.
La squadra dei forni alle fonderie Zen, in Sant’Agostino di Albignasego (provincia di Padova) è fatta per metà da operai sopra i 55 anni. Ce la presenta Diego Panizzolo, che è il secondo per età e precisa: ci sono anche “due ragazzi di 50-51 anni”, e infine due giovani veri, uno di 38 e l’altro di 35.
In letteratura, e nelle direttive sui buoni propositi europei, lo chiamano “age management”, quel fenomeno che richiederebbe di adeguare tutto il nostro universo del lavoro all’invecchiamento dei suoi protagonisti, i lavoratori. In pratica, spesso funziona come nella fonderia di Panizzolo, alle prese da quasi dieci anni con un abbattimento dell’ordine dei due terzi della materia fusa e colata che esce dalla fabbrica e dunque con una crisi che ha quasi chiuso le entrate: i più anziani restano sulle mansioni più dure. “Bisogna caricare i forni, metterci dentro il materiale ferroso, pulirli dalle scorie tutti i giorni: è un lavoro pesante, in tanti lo rifiutano”.
Diego e la sua squadra di tute blu-grigio sono un piccolo avamposto, nella terra di lavoro del nordest, dell’avanzata più grande e crescente che sta cambiando la faccia del mercato dell’impiego. L’allungamento della vita, e della vita lavorativa, non è un fatto solo italiano. Anzi, a guardare i numeri sembra che siamo sotto la media: 48,2 per cento il tasso di occupazione della fascia d’età tra i 55 e i 64 anni in Italia, 53,3 per cento quello della media UE.
Ma il ritmo di incremento è stato impressionante negli anni della crisi che ha rarefatto gli ingressi e delle riforme pensionistiche che hanno chiuso le uscite: dal 2008 al 2015 l’occupazione di quella fascia d’età è cresciuta in Italia di quasi 14 punti percentuali, contro gli 11 della media nell’Unione europea. Sale anche l’occupazione della fascia immediatamente successiva, quella tra i 65 e i 69 anni: adesso è all’8,6 per cento in Italia, contro il 6,9 per cento di dieci anni prima.
Al contrario di altri paesi europei, in Italia le fasce d’età più avanzate sono le sole nelle quali l’occupazione cresce. E’ come un esercito senza rimpiazzi.
Le sue dimensioni si capiscono meglio se guardiamo ai numeri assoluti: dall’inizio della crisi a oggi, l’ISTAT registra 625.000 occupati in meno; ma ci sono al lavoro 10.000 ultrasessantacinquenni in più, e ben 1,2 milioni di occupati in più tra i 55 e i 64 anni. Siamo in testa nella classifica dei paesi più “maturi”, quanto a età della sua forza lavoro. Con giganteschi problemi e contraddizioni. Come quelle che emergono, nelle discussioni sulla politica economica, tra opposte rivendicazioni: intere categorie che si battono per avere l’anticipo della pensione (ape social), e altre che lottano per non andarci.
Come i magistrati (che sono al 21º posto su 100 nella classifica per età dei mestieri pubblicata dal Sole 24 Ore, con età media di 49,9 anni), che seguono in questo l’analoga lotta di qualche anno fa dei professori universitari (primo posto nella stessa classifica, età media 59,6 anni). Lo scontro sulle regole che spostano la soglia dell’età del passaggio alla pensione ha però oscurato quel che succede, al di qua della soglia: come si lavora da anziani? Che succede sui posti di lavoro, nelle teste e nelle braccia? Come sta quell’esercito che volente o nolente resta al fronte mentre i rimpiazzi non arrivano mai? E infine: ma si può, per sempre e per tutti, ritirarsi davvero dal lavoro di una vita e da una vita di lavoro?
ALLA CASSA E ALLA LINEA
“Ho cominciato a desiderare di andare in pensione nel momento esatto in cui hanno allungato l’età pensionabile”. Se non ci fossero state le varie riforme delle pensioni che hanno via via alzato l’asticella, da Dini a Monti-Fornero, Claudio Mattei sarebbe a riposo da un anno. Invece deve lavorare fino al 2020. Alla cassa della libreria Feltrinelli di largo Argentina a Roma non si sta come in fonderia o su una linea di montaggio.
Ma Claudio (63 anni, 38 di contributi) non ce la fa più. Quaranta ore settimanali, in piedi a passare codici, con turni che arrivano a dieci ore. “Non era così quando ho cominciato. Stavo da Ricordi, nel reparto degli strumenti musicali”. Consigliare, seguire e vendere gli strumenti per suonare non è come far passare innumerevoli bip sotto un lettore, e tenere a bada l’ansia di sbagliare i resti. Alcune svolte arrivano all’improvviso, non previste.
“Per me, quando Ricordi è stata assorbita da Feltrinelli è cambiato il mondo”, racconta Mattei, che ha dovuto accettare anni fa una mansione e un lavoro diversi. “Stare alla cassa qui è come starci in un supermercato, non è che il fatto di avere i libri intorno cambia qualcosa”. E mentre si allontanava un lavoro più pieno e soddisfacente, i suoi progetti originali (raggiungere la pensione, vendere l’appartamento di Roma per aiutare i figli, ritirarsi fuori città) andavano in fumo per esigenze macroeconomiche. Ma nel livello micro, sul piccolo posto di lavoro, non c’è stato nessun adeguamento alle novità. Per esempio, al fatto di avere in piedi alla cassa maturi sessantenni invece che elastici ventenni.
A Claudio sembrano fantascienza i racconti della BMW, che già da qualche anno ha in funzione una “linea pensionati” a Dingolfing, in Baviera, modellata su operai con un’età avanzata, dunque con più esperienza, ma anche alcune esigenze fisiche: una catena un po’ più lenta, sedie ergonomiche, mensa ad hoc, luci speciali.
“Macché ergonomica. O stai in malattia, e prendi il permesso, o lavori come gli altri”. Ma non sono solo le mansioni o i ritmi a non essere adattati all’età. Quel che è peggio, non lo sono i contratti e le carriere. “Da noi il lavoro è rimasto datato in 30 anni, con dieci scatti di anzianità ogni tre anni. Dopo, non hai più nessun incentivo ad andare avanti. Vai al lavoro proprio perché ci devi andare, non hai altre possibilità. Non posso smettere, i miei figli sono grandi, ma con lavori saltuari o sottopagati. Per questo vado avanti. Ma è umiliante”.
TUTTO IN DIECI ANNI
Le chiamano “carriere zippate”. Compresse, come per occupare poco spazio. Retaggio di un mondo del lavoro antico.
“Tradizionalmente la carriera si gioca tutta tra i 35 e i 45 anni, dopodiché quel che è stato è stato. Alcune aziende addirittura bloccavano sotto una certa età la possibilità di accesso alla dirigenza”. Laura Innocenti, ricercatrice Luiss, lavora in un laboratorio dell’università di Confindustria chiamato ALlab, che si occupa proprio di “age management”.
Del quale, fino a pochi anni fa, le imprese non volevano sentir parlare. “Abbiamo fatto un’indagine nel 2012 e solo il 14 per cento dei responsabili delle risorse umane ha inserito il tema dell’invecchiamento del personale nell’elenco delle priorità”, racconta Innocenti, dicendosi sicura del fatto che adesso la consapevolezza è cresciuta, insieme all’età media della forza lavoro. Soprattutto in grandi aziende di servizi, agli sportelli delle banche e delle poste, ma anche alle Ferrovie, insomma in tutti i posti dove prima si assumeva molto e da anni si assume poco. In molte organizzazioni quasi la metà dei dipendenti è sopra i 50 anni. Avanti con l’età, ma nel mezzo della vita lavorativa: “Se consideriamo un’età di pensionamento a 67 anni, e che
spesso si è entrati al lavoro non prestissimo, questo vuol dire che a 50 anni una persona ha davanti a sé un periodo di lavoro lungo quasi come quello che ha già fatto”.
“Devi continuare a lavorare fino a quasi 70 anni, ma a 50 ti dicono che non sei più capace”, conferma Barbara De Micheli, ricercatrice alla fondazione Brodolini, che a sua volta fa consulenza per le (poche) imprese che stanno cercando di gestire l’onda dei lavoratori anziani: un’emergenza nata prima con la rivoluzione tecnologica che ha reso inutili alcune mansioni e poi con le riforme pensionistiche che hanno mantenuto al lavoro i loro titolari; ma che, per il combinato disposto delle due, non accenna a ridursi. E il fatto che spesso il lavoro anziano si svolge in piccole aziende, o anche in proprio, non aiuta ad affrontare l’enormità dei problemi che porta con sé: dalla motivazione all’aggiornamento, dall’organizzazione materiale (la flessibilità degli orari è la richiesta più forte che viene fuori, laddove i lavoratori sono consultati) alla salute.
LA STRAGE DEI NONNI
La prima emergenza, parlando di salute, è quella degli infortuni. Da un po’ i dati dell’INAIL segnalano che le fasce dei lavoratori anziani sono in controtendenza: gli infortuni si riducono tra i più giovani, crescono sopra i 60 anni. Tra il 2011 e il 2015 le denunce di infortunio sul lavoro sono calate mediamente del 22,1 per cento, mentre sono salite del 37,7 per cento tra i 60 e i 64 anni, e del 7,2 per cento tra i 65 e i 69. Nell’insieme, l’incidenza della fascia d’età over 60 sul totale degli infortuni è raddoppiata, da 3 al 6 per cento.
Un fenomeno speculare a quello dell’andamento dell’occupazione, e in gran parte spiegabile proprio con questo: ci sono più lavoratori anziani, dunque si fanno male di più. L’aumento degli infortuni, spiegano all’INAIL, è “coerente con la composizione per età degli occupati”. E porta a un’emergenza drammatica in settori più rischiosi e anche più invecchiati, come quello edile. Nel quale, dal Veneto, la CGIL parla della “strage dei nonni”.
“Non si può stare sulle impalcature a 60 anni suonati”, ha denunciato il sindacato edili FILLEA-CGIL, riportando i dati di ottobre sull’aumento delle morti sul lavoro in edilizia: più 27 per cento rispetto al 2015, con il raddoppio delle vittime con più di 60 anni.
Il segretario regionale, Leonardo Zucchini, ricorda che con la crisi “sono rimasti al lavoro in maggioranza gli anziani, spesso si sono messi in proprio e sono più esposti al rischio”. Di andare in pensione non se ne parla, neanche con la stabilità 2017: il lavoro edile in sé non è considerato usurante, adesso, dice Zucchini, si è aperta la finestra dell’ape social ma quasi tutti ne restano di fatto fuori, perché i requisiti di reddito (stare sotto i 1.100 euro netti al mese) sono più bassi di quanto, mediamente, si guadagna nei cantieri.
CON LE MANI E CON LA TESTA
Nell’ape social sono rientrate invece le maestre della materna: aiutate ad andare in pensione prima perché dopo una certa età a stare con bambini così piccoli non ce la fai più. Ma quante e quali sono le cose che diventa difficile fare, dopo una certa età? Andiamo a parlare con Cristina Gremita, che per l’ATS di Pavia (Azienda provinciale di Tutela della Salute) ha il compito di verificare, tra le altre cose, l’idoneità al lavoro. “C’è un’emergenza tra gli infermieri. Che con l’età diventano inadatti ad alcune mansioni, come quella di movimentare il carico dei pazienti. Ma spesso, se noi lo certifichiamo, fioccano i ricorsi. Da parte degli ospedali, ma anche degli stessi infermieri, che temono conseguenze per il posto di lavoro”. Non a caso anche gli infermieri sono tra le categorie previste per l’ape social: però sempre con quei requisiti di reddito che è molto difficile trovare, nella categoria.
Ma la stessa pressione per entrare nelle finestrelle (piccolissime) dei lavori usuranti fa capire che altre soluzioni, sul posto di lavoro, sono lontane. Perché è raro che le aziende si pongano il problema dell’età dei dipendenti, dalla prevenzione all’organizzazione del lavoro al rischio di malattie. Allargando lo sguardo ai grandi numeri, vediamo che l’aspettativa di vita dei nostri over 65 è maggiore di quella media dell’UE (22,6 anni per le donne e 18,9 per gli uomini, contro una media UE, rispettivamente, di 21,3 e 17,9), ma la salute è minore: in Italia una donna a 65 anni ha in media davanti a sé 7,3 anni in buona salute, un uomo 7,8 contro una media europea di 8,6 e 8,5. Più anziani e più acciaccati, dunque.
Ma la relazione tra salute e lavoro non è così univoca. La stessa Cristina Gremita da Pavia avverte che ci sono anche “opportunità” nell’allungamento della vita lavorativa, ad alcune condizioni. Che però richiedono sforzi organizzativi che in pochi vogliono o possono fare.
“Io sto in linea come vent’anni fa, quando sono entrato qui”, racconta Salvatore Stanca, metalmeccanico in una fabbrica di radiatori di Loreto, nelle Marche. Ha 62 anni e 40 anni e mezzo di contributi. “Mi passa tutto per le mani”, sintetizza, dopo aver spiegato come i pezzi arrivano sulla sua linea, sono presi e saldati, sfilettati e assicurati, e poi escono pronti per essere verniciati. “Sette ore e mezzo, giorno per giorno”. E giorno per giorno Stanca va sul sito dell’INPS a fare la simulazione della sua pensione. “Prima facevo l’impiegato in un’altra azienda, sono venuto qui quando ha chiuso. Ho chiesto di passare ad altra mansione, ma la domanda non è stata proprio presa in considerazione”.
Il dottor Luca Cravello, geriatra esperto di demenze senili, traccia una linea di distinzione che non è tanto tra il lavoro manuale e quello intellettuale, ma tra mansioni più o meno ripetitive: se il cervello deve lavorare o no, insomma. La malattia di cui Cravello si occupa, e che riempie il centro in cui lavora (il centro Alzheimer dell’ASST Rhodense di Garbagnate Milanese, uno dei più grandi d’Italia) non fa distinzioni in base agli studi e alla carriera. La malattia è “trasversale”, però, dice, è diverso il suo decorso. “Chi ha svolto un lavoro intellettuale ha una riserva cognitiva maggiore, che può ritardare l’insorgenza della malattia”. Ma dal suo osservatorio dell’hinterland milanese Cravello vede arrivare prima di tutto l’emergenza sociale dei lavoratori anziani come “figli”: schiacciati spesso tra la cura di genitori molto vecchi, i propri figli da mantenere e il lavoro che non si può lasciare.
“Spesso non ce la fanno, le spese possono essere molto alte, e ci arrivano istanze e richieste a cui non sappiamo dare risposta”. Inoltre, le contraddizioni spesso sono anche trasversali e non prevedibili, nell’interrogarsi di ciascuno circa il momento del passaggio dal lavoro al non-lavoro.
Diego Panizzolo, che andrà in pensione a giugno dell’anno prossimo solo perché ha cominciato a lavorare a 15 anni e dunque ha maturato i requisiti, chiude con quarantadue anni e dieci mesi passati a lavorare tra magazzini, fabbriche e un bar che ha aperto per una parentesi di lavoro autonomo, poi chiusa. E’ contento? “Sono contento, però se ci penso... sono diventato vecchio. Qualcosa dovrò trovare, non posso rimanere a casa fermo. Anche se è vero, pure a casa c’è sempre qualcosa da fare”.
RIMETTERE GLI ANNI IN MOTO
“Ho più di 90 anni e anche io sono andata in pensione”, esordisce Annamaria Galdo, psicoanalista napoletana (ma sarebbe meglio dire: pioniera napoletana, cofondatrice del Centro di psicoanalisi di Napoli negli anni in cui la pratica e la professione psicoanalitica erano sconosciute ai più) che interpelliamo sul difficile passaggio della soglia tra il lavoro e il non lavoro, e sulla sua scelta di non attraversarla. Galdo, classe 1922, nella sua casa luminosa, appollaiata all’ultimo piano di un bell’edificio della riviera di Chiaia, collabora con i colleghi, fa supervisioni, svolge seminari; insomma continua a essere una psicoanalista.
E’ andata in pensione dall’università a 76 anni, ma per lei “il lavoro intellettuale non si interrompe mai, l’intellettuale ha una sola maniera di andare avanti”. E racconta di aver risentito moltissimo del pensionamento; di aver sofferto dell’uscita dal gruppo di lavoro formato con i suoi ricercatori. Spiega di aver cercato il modo, e impiegato un po’ di tempo, per compiere quel passaggio, per “superare l’angoscia di aver perduto il futuro”. Lo ha fatto, racconta, collaborando con un suo amico in un progetto artistico, recuperando così uno studio e una passione che aveva dovuto abbandonare pur essendosi laureata proprio in storia dell’arte, subito dopo la guerra: “Una parte della mia vita che mi sembrava di non aver vissuto”. Lo dice con altre parole in una poesia (e quella della poesia è un’altra attività scoperta “dopo”, e praticata tra gli ottanta e i novant’anni): “E’ stato il tuo dolore a sfrondare il mio/perché gli anni si rimettessero in moto/futuro mio solo tempo tu rendi meraviglia la paura”.
Nelle classifiche dei “mestieri” più anziani, quelli intellettuali stanno ovviamente ai primi posti: docenti universitari, prefetti, quadri ministeriali, notai, altri professionisti. Ma un conto è “godere” del proprio posto di lavoro e di una carriera all’apice, un altro, superata l’età della pensione, è mantenere e coltivare una relazione quotidiana con l’oggetto del proprio lavoro, con il mondo fuori, con i colleghi.
Annamaria Galdo lo fa, anche se ha severi impedimenti fisici tra i quali un abbassamento della vista che le impedisce di leggere. Con semplicità, dice di aver rinunciato da molti anni al suo lavoro di terapeuta infantile “perché non potevo più mettermi a giocare a terra”. Sottolinea il valore della cura, come attenzione continua alla propria attività intellettuale, e non solo: “Ho sette persone che mi aiutano”, da chi fa la spesa a chi legge per lei. Ha organizzato le sue giornate in modo preciso, con la radiolina sempre a portata di mano per restare in contatto con i problemi e i luoghi del mondo che l’hanno sempre interessata.
“All’inizio ho pensato che continuavo a lavorare per vivere. Poi ho capito che non è così: io lavoro per mantenere la mia identità personale”. Perché è riuscita a rimettere in moto gli anni.

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From: Associazione Italiana Esposti Amianto aiea.mi@tiscali.it
To:
Sent: Saturday, November 26, 2016 8:07 PM
Subject: AMIANTO: QUESTI PROCESSI NON SAN DA FARE!

Amianto: questi processi non san da fare!
Sembrerebbe lo slogan della Quinta Sezione Penale del Tribunale di Milano. Per la verità nel giro di pochi giorni sono arrivate due sentenze di assoluzione da parte di questa Corte d’Appello, ambedue per amianto: la prima riguardava la Fibronit di Broni , la seconda (quella di oggi) si riferiva ai 27 morti della Pirelli di Milano, i cui imputati sono stati mandati assolti per non aver commesso il fatto.
Eppure il Tribunale di Torino in due processi analoghi contro i vertici Pirelli ha emesso sentenza di condanna, confermata dalla Corte d’Appello di Torino, in relazione ai medesimi reati. 
Perché queste differenze?
Perché la Cassazione, nella gran parti dei casi, ha confermato le condanne inflitte dalle Corti di merito?
Perché invece anche in primo grado la Quinta Sezione del Tribunale di Milano assolve?
Perché la Suprema Corte di Cassazione ha affermato e riaffermato nel tempo solidi principi giuridici (in punto di anti-scientificità della trigger dose, di antigiuridicità dei TLV, di affermazione della teoria multistadio nei casi di mesotelioma come la più autorevole e accredita nella comunità scientifica, di prevenibilità e prevedibilità dell’evento, di accelerazione della latenza, di posizioni di garanzia dei componenti del Consiglio di Amministrazione quali effettivi datori di lavoro sui quali gravava, anche in caso di delega, un dovere di vigilanza e di intervento sostitutivo non demandabile a nessuno, di piena conoscenza da parte del mondo industriale italiano della cancerogenicità dell’amianto quanto meno a partire dal 1964, anno in cui si celebrò la Conferenza di New York) che vengono sistematicamente disattesi dalla Corte d’Appello di Milano?
E’ una posizione giuridica o è una posizione politica?
Pensiamo opportuno chiederlo al Consiglio Superiore della Magistratura.
Ma intanto parliamo dei morti per amianto; morti prematuri, morti con grandi sofferenze. Grande dolore di famigliari ed amici. Morti due volte per mancata giustizia. Veramente inaccettabile.
Lo renderemo noto anche alla Commissione del Senato per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che il 29 novembre 2016 ha invitato le associazioni alla presentazione della bozza di Testo Unico delle leggi sull’amianto.
Sarà una legge che aiuterà a fare giustizia?
Toglierà la prescrizione per i reati contro la salute e sicurezza sul lavoro?
Promuoverà un piano per l’eliminazione totale dell’amianto?
Renderà semplice e automatico il riconoscimento delle malattie professionali e delle esposizioni all’amianto?
Sottoporrà gli ex esposti a sorveglianza sanitaria?
Aiuterà le vittime e i loro famigliari a denunciare e ne sosterrà le spese?
BASTA AMIANTO E GIUSTIZIA PER LE VITTIME
Milano, 24 novembre 2016
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Medicina Democratica Onlus
Associazione Italiana Esposti Amianto Onlus

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Saturday, November 26, 2016 3:30 PM
Subject: NONOSTANTE TUTTO, I FERROVIERI HANNO DETTO NO!

Si è da poco concluso lo sciopero di oggi 25 novembre.
Basterebbe l’elenco degli stratagemmi dispiegati dalle aziende per contenere lo sciopero (tutti quei trucchetti che ciascuno ha potuto vedere nei propri posti di lavoro) per capire l’impegno profuso per nascondere la partecipazione dei ferrovieri. Aziende, governo e complici hanno bisogno del silenzio dei ferrovieri per dire che si avalla la macelleria contrattuale che hanno preparato.
Si è cominciato dalla decurtazione della Commissione di Garanzia sulla durata dell’astensione, per proseguire con la falsa notizia fatta circolare anche da organi stampa circa il ritiro dello sciopero, poi tutti gli strati intermedi dei quadri mobilitati a sostituire gli scioperanti, dalle attività diverse (come le scuole) sospese per avere le disponibilità all’esercizio, e di qui giù ogni forma di pressione (con gli apprendisti o precari piace vincere facile), di distorsione e forzatura delle regole: indagini preliminari per conoscere le intenzioni, comandi arbitrari per spalmare sui turni i treni da garantire, comandi fuori fascia, treni spacciati da garantire, persino invii di materiali vuoti.
Nonostante tutti loro, I FERROVERI SCIOPERANDO, HANNO DETTO NO! e la consapevolezza cresce in settori tradizionalmente non propensi e non di esercizio, come biglietterie, officine, manutenzioni, uffici e aziende non FSI.
NO! a una trattativa contrattuale senza i lavoratori e senza minimamente tener conto delle loro richieste emerse dalle assemblee autoconvocate e dalle piattaforme.
NO! alla privatizzazione del trasporto ferroviario, alla “Operazione Mercitalia”, alle condizioni e orario di lavoro e precarietà a cui vogliono ridurre i colleghi Cargo per poi procedere a “scorporare” il resto dei settori delle ferrovie.
NO! alla controriforma Fornero e alla vergognosa “ape” proposta dal governo.
NO! al Jobs Act e alla precarizzazione del rapporto di lavoro.
NO! Lavoratori di serie A e serie B.
SI! alla reinternalizzazione delle attività.
SI! alla difesa dei nostri diritti e a un futuro dignitoso.
SI! al miglioramento delle condizioni, agli orari e ai ritmi ormai insostenibili di lavoro.
SI! alla difesa della sicurezza del trasporto e dei lavoratori.
Grazie ai ferrovieri che hanno capito!
Grazie ai tanti che hanno partecipato!
Essi ci saranno anche ai prossimi appuntamenti di una vertenza che non finisce qui.
Non permettiamo che le ferrovie e il nostro futuro siano distrutti da questa cricca.
CAT Coordinamento Autorganizzato Trasporti
CUB Trasporti
SGB Sindacato Generale di base

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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday, November 27, 2016 10:04 PM

Subject: COME SFRUTTARE LA FORZA LAVORO NELLA RETE


Dietro i Tycoon dei colossi della Silicon Valley si nasconde un mondo sommerso e invisibile di lavoratori sfruttati

di Alba Vastano
26/11/16
“Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi” (Karl Marx, sul feticismo della merce).
Secondo Manuel Castells, illustre sociologo e attualmente docente di comunicazione presso l’University of Southern California “Le reti internet costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre società, e la diffusione della logica della messa in rete determina ampiamente il processo di produzione, d’esperienza, di potere e di cultura”.
Castells afferma che le organizzazioni che hanno dominato, negli ultimi decenni, le moderne società industriali, hanno lasciato il passo alla rivoluzione digitale che ha creato un nuovo sistema di produzione basato sull’informazionalismo. In questo nuovo modello svolgono infatti un ruolo dominante tre aspetti legati all’informazione automatizzata: elaborazione, memorizzazione e trasmissione dei dati ricevuti.
Nasce così nella rete una repubblica indipendente e anarchica formata da tecnici informatici, scienziati e hackers. A partire dagli anni ottanta la rete si popola con le prime comunità virtuali. Solo negli anni novanta, con un possibile maggior accesso nel world wide web, il mondo internettiano inizia a vivere la rete come una seconda vita. Quella della realtà virtuale a cui affidare scelte commerciali, emozioni, professioni, velleità artistiche, desiderio di socializzare e di incontri amorosi. E’ l’amo a cui abboccano milioni di utenti.
La massificazione del mezzo digitale foraggia i mercati e gli interessi commerciali convergono sui network carpendo preferenze e gusti degli utenti. E la lunga mano della net economy sommerge la rete con una nuova forma di capitalismo, invisibile ma sfrontato. Per il quale l’innovazione tecnologica e culturale (secondo Castells) non è più un fattore esterno, ma “il motore fondamentale”.
I guru/imprenditori dell’economia digitale non temono fallimenti, grazie ad un mercato in internet sempre più proficuo, ad un sistema di vendite che abbraccia infiniti settori commerciali. Dall’editoria al fitness, dai prodotti musicali a quelli informatici, dall’industria del fashion alla salute.
E’ l’era dei “venture capitalist” che realizzano un’impresa digitale a basso rischio, perché non ci sarà alcuna remissione personale, qualora la dot.com fallisse.
Il business digitale nasce da un creativo che intenda lanciare in rete un prodotto o un servizio. L’ideatore organizza uno staff di knowledge workers, disposti a condividere il business. Infine vende il prodotto ad un venture capitalist. E fin qui il business, generalmente, non presenta ricadute inerenti lo sfruttamento della forza lavoro, né il mini capitalist ne ricaverà grandi profitti.
Ben diverso è quanto accade nel sistema capitalistico dei grandi colossi Usa.
Amazon, Facebook, Google, Microsoft e Apple, colossi del mercato mondiale, figli della Silicon Valley sono i leader assoluti della rete e ne hanno il monopolio, superando nei profitti capitalistici mondiali anche quelli della old economy dei petrolieri. Dietro i tycoon, le sofisticate tecnologie informatiche, la velocità e cortesia degli addetti alla comunicazione di queste mega aziende, si nasconde il mondo sommerso e invisibile dello sfruttamento del lavoro. Si nasconde il medioevo dei diritti umani.
Sul colosso Amazon di Jeff Bezos, con sede a Seattle (Usa), azienda lanciata in rete nel 1995 come libreria online, pesano capi d’accusa e denunce per attività antisindacali riguardanti le pessime condizioni di lavoro dei suoi dipendenti.
Parliamo di una delle maggiori aziende online che oggi offre ai visitatori del sito qualsivoglia prodotto. Non solo libri, ma un mercato globale enorme che comprende ogni genere di consumi. Dai software, ai DVD ai CD musicali, ai videogiochi, all’abbigliamento. L’azienda ha un fatturato di 75 miliardi annui. Quello dichiarato. Nessuno potrebbe però stabilire esattamente tutte le fonti da cui proviene il capitale enorme che l’impresa possiede. E nessuno sa quanti siano i suoi dipendenti e se abbiano un contratto regolare e regolato secondo le leggi del lavoro del paese di appartenenza.
E’ un mondo invisibile quello di lavoratori di Amazon, una moltitudine di persone costrette ad agire dietro le quinte e a lavorare a tempi frenetici, sotto mobbing permanente e sotto la minaccia del licenziamento in tronco. Lo documentano testimonianze di giornalisti che sono riusciti a vivere in diretta i tempi e le modalità con cui lavorano i dipendenti, infiltrandosi segretamente fra le file degli enormi magazzini dell’azienda, sparsi in tutto il pianeta.
Ne parla, nel suo libro-denuncia “En Amazonie, infiltrè dans le meilleur des mondes”, Jean Baptiste Malet, un giornalista francese che è riuscito a far parte per due settimane di quel girone infernale dei dipendenti Amazon, facendosi assumere come magazziniere in un deposito del Sud della Francia. “I dipendenti sono trattati alla stregua di robot, ben 1.200 di loro hanno contratti precari e sono soggetti a compiti faticosi e ripetitivi, come percorrere venti chilometri ogni giorno tra i reparti di immensi depositi. Ho scoperto che tutti i dipendenti non avevano diritto a esprimersi sulle condizioni di lavoro, né sui media, né con la famiglia, nonostante le regole del codice del lavoro lo consentano. Invece l’azienda limita qualsiasi forma di comunicazione” racconta Malet in un’intervista.
Dietro la formula patinata “efficienza, velocità, risparmio”, appare alle inchieste un mondo di lavoratori sfruttati, costretti a vivere la loro condizione di sfruttati a ritmi incessanti e disumani. La dimensione è conforme a quella dell’alienazione massima espressa in “Tempi moderni” di Chaplin.
Sul New York Time è apparso un reportage sulle condizioni di lavoro:
Il giornalista è riuscito a raccogliere le confidenze degli sfruttati e degli ex dipendenti. Tutti concordi nel definire l’ambiente di lavoro al pari di una caserma. Nessun diritto umano per i dipendenti, dal divieto alla libertà di parola e opinione, al controllo continuo da parte dei “capetti”, tramite i geolocalizzatori per controllare i tempi di lavoro e la posizione. Ogni 33 secondi i commessi devono portare a termine un ordine, pena il licenziamento, per un compenso economico al limite della sopravvivenza.
E hanno il divieto assoluto di iscriversi a un sindacato. Meritocrazia ai massimi livelli e divisione fra buoni (chi lavora 24 ore su 24, 7 giorni su 7) e cattivi. Ovviamente il tycoon, Jeff Bezos, interrogato sulla questione, nega.
L’altro aspetto con ricaduta negativa, provocata da Amazon sul mercato reale dell’editoria, è che 4.000 negozi di libri hanno dichiarato fallimento, creando così un mare di disoccupati. Gli editori, per i prezzi troppo concorrenziali della più grande libreria digitale, hanno dovuto dimezzare i prezzi dei libri. E mentre Bezos è soggetto ad aspre critiche per condurre un’azienda miliardaria che si regge sullo sfruttamento invisibile dei lavoratori, i consumatori digitali, ignari di quanto accade dietro le quinte di questi colossi made in USA, continuano a mettere nel carrello online prodotti a bon marché. E nelle tasche dei tycoon entrano alla velocità del nanosecondo fiumi di danaro.
Ma ciò che accade nel mondo sommerso dei lavoratori Amazon, e che, dai sondaggi effettuati, colpisce soprattutto le donne per una maggiore disponibilità ad acconsentire a questa tipologia di lavoro, è lo stesso fenomeno che si verifica in tutte le altre grandi catene commerciali sia virtuali che reali. I chain workers di Mc Donald e IKEA e i pikers delle grandi aziende, per mantenere il lavoro spesso si assoggettano allo stesso trattamento degli invisibili di Amazon. Senza contare che utilizzando sistematicamente i network, di cui Facebook è il massimo esponente, sono gli stessi consumatori della rete che forniscono la prima merce, ad esclusivo profitto dei grandi magnati del capitalismo.
Pensiamoci...

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From: Muglia la Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Monday, November 28, 2016 5:16 PM
Subject: PROTEGGERE I LAVORATORI GUARDANDO AL FUTURO!

Se è vero che “la digitalizzazione e l’automazione stanno già cambiando la vita quotidiana di tutti noi, le imprese che sono il motore dell’innovazione della nostra società dovranno adeguarsi di conseguenza”.
Il Piano Nazionale Industria 4.0 prevede cospicui investimenti per il triennio 2017-2012 a favore nuovi impianti, nuovi macchinari, nuova formazione e, soprattutto, un nuovo approccio culturale.
Anche la sicurezza sul lavoro non potrà fare a meno di essere considerata secondo un diverso punto di vista.
Si tratta cioè di cambiare il paradigma classico della sicurezza sul lavoro: dalla protezione dalla macchina, alla macchina che protegge!
Partendo da questa rivoluzionaria affermazione di Daniele Verdesca, proviamo a gettare uno sguardo sul tema della sicurezza sul lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale e della robotica.
In futuro, secondo l’autore, “non sarà più necessario redigere un Documento di valutazione di Rischi nello stile italiano (ossia di mera conformità agli obblighi normativi) ma la stessa progettazione delle macchine/robot/ciclo, dovrà avere al proprio interno la protezione stessa dell’essere umano/lavoratore, diventa il pilastro fondamentale dell’efficienza stessa del processo produttivo”.
Secondo l’autore, si tratterebbe di affidare alla macchina il compito di proteggere i lavoratori, progettandola in modo tale da risultare in grado, oltre che di operare ai fini produttivi, di comprendere, avvertire, valutare ed eliminare una eventuale situazione di rischio per la salute dell’operatore.
Affascinante, vero?
Sono molte le domande che Verdesca pone.
Cosa vuol dire essere umani oggi, nell’era della tecnologia!
Cosa vuol dire essere lavoratori in un processo di ciclo industriale in cui i robot stanno sempre di più ridimensionando ruolo e funzioni delle storiche Tute Blù?
In definitiva come essere costruttori del futuro oggi. Come e se sarà possibile inserirsi in un percorso di progettazione delle macchine ancor prima che queste vengano installate a favore della sicurezza e del benessere dei lavoratori.
Daniele Verdesca prova a rispondere a queste domande e ad allargare il dibattito con un post dal titolo: “Il cambio di paradigma per integrare la sicurezza sul lavoro con Industry 4.0”: 
Un cambio di paradigma della sicurezza in rapporto con i nuovi robot che lavorano nelle catene di montaggio e che hanno una loro “intelligenza” che sintetizza la nuova filosofia, il nuovo approccio da portare avanti nelle Fabbriche 4.0.
Un articolo che potrete leggere per intero, e commentare, anche su questo blog interagendo con l’autore lasciando commenti, ponendo domande, richieste di chiarimento.
Franco Mugliari

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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Tuesday, November 29, 2016 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS



FIDEL, CUBA E LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

Ci sembra d’obbligo un ricordo di Fidel Castro pensando al futuro di Cuba proponendo un recente contributo di Angelo Baracca e Rosella Franconi.
Cuba fuori dagli schemi: considerazioni sulla “rivoluzione scientifica”.

DAL PROCESSO “SPEZZATINO” ETERNIT II AL TESTO UNICO SULL’AMIANTO.

Mentre un giudice a Torino fa uno spezzatino del processo Eternit II distribuendo procedimenti (e morti operai) per il nord Italia, un giudice a Milano non rinvia a giudizio i sindaci per le morti da amianto alla Scala, a Roma si discute del testo unico sull’amianto, riportiamo un commento del Coordinamento Nazionale Amianto cui fa parte Medicina Democratica.
Leggi tutto al link:
Aiuta Medicina Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice fiscale 97349700159.
Medicina Democratica Onlus
sito web:

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From: Comitato Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 29, 2016 4:39 PM
Subject: CENA SOLIDALE CON I LAVORATORI EURECO

Buongiorno.
Il nostro Comitato sta organizzando una cena solidale per gli ex lavoratori dell’ Eureco che si trovano ancora in una situazione di grave disagio.
L’evento si svolgerà il giorno 17 dicembre prossimo alle ore 20.00 presso il centro Ein Karem
in via Gadames 47 a Paderno Dugnano.
Per prenotare telefonate al seguente numero : 333 12 72 404.
La locandina dell’evento e alla pagina Facebook:

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From: Stefano Ghio procomto@libero.it
To:
Sent: Wednesday, November 30, 2016 9:30 AM
Subject: OMICIDIO COLPOSO? VERGOGNA!

E’ il tardo pomeriggio di martedì 29 novembre quando il Giudice per le Udienze Preliminari Federica Bompieri comunica la decisione in merito al procedimento che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino ha intentato contro Stephan Schmidheiny (padrone genocida della multinazionale del cemento-amianto Eternit) in merito all’omicidio di 258 persone, uccise nel tempo dall’inalazione di fibre di amianto.
Il Pubblico Ministero Gianfranco Colace aveva chiesto che l’avvelenatore fosse giudicato per il reato di omicidio volontario: per contro, la Corte ha deciso di derubricare l’accusa a omicidio colposo, ha dichiarato prescritti un centinaio di casi, ed ha ordinato la trasmissione degli atti dei rimanenti alle Procure di Napoli, Reggio Emilia e Vercelli; soltanto due casi restano a Torino, e per loro il processo comincerà il prossimo mercoledì 14 giugno.
Chi scrive ha seguito per intero il primo processo (quello per disastro ambientale doloso permanente e inosservanza delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro) e ricorda perfettamente la testimonianza del fratello dell’imputato, Thomas, il quale affermò (nel corso dell’udienza di lunedì 5 luglio 2010) che “all’inizio degli anni ‘80 ha cercato di dissuadere il padre dall’usare amianto perché cancerogeno, ma subito dopo ammette che la dismissione dell’amianto era difficile perché non si trovava un materiale alternativo con le stesse proprietà”.
Alla luce di una tale preziosa affermazione, non si comprende davvero come il GUP abbia potuto depotenziare il capo di accusa: lorsignori avevano scientemente deciso di continuare a utilizzare il materiale mortifero, nonostante lo conoscessero perfettamente come tale, perché la ricerca di un’alternativa sarebbe stata eccessivamente onerosa.
Bosio (AL)
30 novembre 2016
Stefano Ghio
Rete Sicurezza Alessandria/Genova

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From: AIEA Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
To:
Sent: Thursday, December 01, 2016 6:19 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA PROCESSO ETERNIT

Buonasera,
riportiamo a seguire Comunicato Stampa AIEA e Medicina Democratica in merito alla sentenza processo Eternit 2
Lorena Tacco
Associazione Italiana Esposti Amianto Paderno Dugnano
COMUNICATO STAMPA AIEA E MEDICINA DEMOCRATICA
Ancora una volta ingiustizia è fatta.
L’accusa per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, imputato a Torino per la morte di 258 persone, vittime di malattie correlate all’esposizione all’amianto, è passata da omicidio volontario a omicidio colposo aggravato plurimo al processo Eternit bis. Il Giudice della Udienza Preliminare ha dichiarato prescritti un centinaio di casi, mentre per i rimanenti ha ordinato la trasmissione per competenza territoriale alle procure di Reggio Emilia, Vercelli e Napoli. A Torino si celebrerà a partire dal 14 giugno il processo per due soli casi.
Il Giudice della Udienza Preliminare del Tribunale di Torino ha rinviato a giudizio Stephan Schmideiny. Ma non è una buona notizia perché tale decisione è per omicidio colposo e non doloso come invece era stato richiesto dal Pubblico Ministero
Ciò vuol dire lo smembramento del processo in 3 tribunali diversi e il rischio della prescrizione sempre più reale e vicino.
Se il Disegno di Legge presentato oggi al Senato della Repubblica dalla Senatrice Fabbri e altri “Disposizioni per il riordino della normativa in termini di amianto” fosse già legge e già in vigore, la prescrizione sarebbe stata più lontana. Ma nulla sarebbe cambiato in termini di colpa. Nemmeno in questo Disegno di Legge si e’ pensato di istituire la Procura Nazionale per i delitti del lavoro (infortuni e malattie professionali).
Stephan Schmidheiny, uno degli uomini più ricchi del mondo, può continuare a dormire sonni tranquilli!
Non è una novità.
Il Codice del Sistema in vigore dice che i ricchi devono risultare impuniti.
Milano 29/11/16
Medicina Democratica
Associazione Italiana Esposti Amianto

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