INDICE
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Stress: cosa è, cosa lo causa, le
sintomatologie collegate
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Rischi nell’utilizzo delle attrezzature di
lavoro
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Gli infortuni mortali nel sollevamento
carichi
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La gestione dei rischi correlati a turni
di lavoro e lavoro notturno
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Quando il viso non è protetto
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Infortuni nell’uso e installazione di
macchine
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your
Rights”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
STRESS: COSA
E’, COSA LO CAUSA, LE SINTOMATOLOGIE COLLEGATE
Da Lavoro e Salute
05/09/17
Marilena
Pallareti
Docente e
Collaboratrice di Lavoro e Salute
Lo stress è uno
sforzo adattativo intrapreso dal nostro organismo ogni qualvolta ci sia un
cambiamento a partire da una qualsiasi situazione. Gli stati stressanti, entro
un certo limite, sono da ritenersi normali, una routine giornaliera che per
quanto uno possa essere ascetico si troverà sempre a dover affrontare; in
genere sono vissuti da ognuno di noi in modo diverso e la maggior parte delle
volte il corpo e la mente si adattano senza che questo venga percepito in modo
cosciente.
Il nostro corpo
reagisce allo stress in generale provocando una cascata ormonale anomala più o
meno intensa di diverse sostanze messaggere le quali a lungo andare possono
funzionare male.
Le principali
indiziate e coinvolte sono:
-
la serotonina, importantissima per il
sonno e per dormire bene in quanto coinvolta nel buon funzionamento del nostro
orologio interno;
-
la noradrenalina fondamentale per la forza
vitale intrinseca dentro di noi e senza la quale ci sentiremmo tutti stanchi;
-
la dopamina senza la quale non avremmo
produzione di endorfine e quindi una regolazione errata del senso del dolore e
del piacere.
A regolare
l’equilibrio generale della persona in relazione allo stress sono anche le
risorse personali del soggetto coinvolto come l’età, il suo tempo di reazione,
il livello culturale e capacità intellettive, le condizioni socio-economiche e
naturalmente tutto ciò che riguarda la personalità e la risonanza soggettiva
agli eventi con reazioni.
Le personalità
che hanno più difficoltà a interagire e gestire lo stress molto spesso sono
persone che hanno una competitività spinta in tutti gli aspetti della vita.
Queste persone in generale hanno molta tensione muscolare e difficoltà al
rilassamento; hanno una ipervigilanza e la volontà assidua di voler fare un
illimitato numero di cose in un imitato periodo di tempo, quindi una maggiore
esposizione allo stress e una maggiore probabilità di soffrire di qualche
disturbo psichico o fisico. Le caratteristiche sopra descritte sono da
ritenersi veri e propri fattori di rischio.
Viviamo in un
periodo in cui i livelli di stress sono altissimi, livelli mai visti prima
d’ora e ogni giorno la necessità di una maggiore velocità propositiva e
produttiva porta il corpo e la mente di ognuno di noi a problematiche sempre
più serie con un allontanamento sempre maggiore dal cosiddetto “benessere”.
Non tutto lo
stress è negativo, la psicologia ce lo insegna, l’eustress “stress buono” è
caratterizzato da stimolazioni ambientali costruttive e interessanti.
Quando invece
parliamo di problematiche serie dovute a stress parliamo di “distress” termine
aulico che sta ad indicare “lo stress cattivo” causa primaria di scompensi
emotivi e fisici.
Lo sforzo
causato da distress porta a un interessamento cronico dello stress e quindi a
malattia: sentirsi molto stanchi anche appena svegli con una mancanza di
entusiasmo nell’affrontare la giornata, apatia generalizzata in ogni ambito
della vita e affaticamento cronico sono il primo campanello di allarme,
difficoltà di ascolto, attenzione, di apprendimento e di memoria, le capacità
di concentrazione cominciano a vacillare sempre più, la difficoltà nel
ricordare diventa un problema ricorrente e implica uno scarso rendimento
scolastico e lavorativo.
Lo stress è
anche strettamente legato a problemi digestivi con disturbi addominali,
difficoltà a riposare e insonnia: la tensione cui si è sottoposti in periodi
stressanti non permette al corpo, ai muscoli e al sistema di rilassarsi
completamente; questo risulta molto pesante a livello organico perché impedisce
al corpo di recuperare e resettarsi durante la notte con un accumulo giorno
dopo giorno di stanchezza fisica e mentale.
Lo stress può
portare anche a problemi a livello della pelle con eccessiva sudorazione
specialmente al palmo delle mani e alla pianta del piede, iperidrosi, calvizie,
perdita di capelli, ma può colpire anche il sistema endocrino con una influenza
sulle attività secretorie delle ghiandole periferiche (surrenali, pancreas,
reni, tiroide).
A livello
cardiaco si possono presentare problematiche come tachicardia, extrasistoli e
irregolarità di vario genere nel battito cardiaco, dolore nella zona toracica e
ipertensione.
Se prendiamo in
considerazione il sistema respiratorio e i polmoni possiamo avere: asma
bronchiale e iperventilazione con respiro rapido e superficiale con conseguenze
anche posturali.
Nel D.Lgs.
81/08 “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” i rischi da stress da
lavoro correlato sono tutelati da una legge che tende alla salvaguardia della
salute e del benessere psico-fisico del dipendente che dovrebbe essere
attentamente osservata. Un eccesso di stress causa un aumento traumatico di
radicali liberi nel corpo, attore di rischio per le malattie cronico
degenerative che non è assolutamente da sottovalutare. E’ bene dire che “agente
stressante” è qualsiasi cosa che interagisca negativamente con noi.
Il grosso
problema per il corpo sono gli “stress prolungati”: meccanismi che durano
settimane, mesi e anni, provocando una lenta ma inesorabile “usura”
dell’organismo:
-
stress fisico con dolori cronici alla
colonna vertebrale, deformità congenite come la scoliosi, oppure postumi di
traumi significativi rappresentano un forte stress per il corpo;
-
stress alimentare: meno il cibo che
mangiamo è di qualità e “naturale”, più rappresenta uno stress per il nostro
corpo;
-
stress emotivo che comprende tutte le
situazioni che preferiremmo non vivere: conflitti emotivi, ansie, disturbi fisici,
che ci coinvolgono al punto tale che è difficile prenderne le distanze in un
breve lasso di tempo: nella maggior parte dei casi la percezione di “stress
emotivo” è legato a eventi molto indietro nel tempo, come l’ambiente in cui si
cresce, le esperienze avute nell’infanzia, la storia familiare.
Nella maggior
parte dei casi, lo stress emotivo che percepisci è frutto di meccanismi che
scattano automaticamente nel nostro cervello.
La presenza
costante dei tre tipi di stress provoca conseguenze molto negative per il
corpo.
Lo stress acuto
può provocare perdita di memoria a breve termine tachicardia, tremore,
debolezza, moltiplicato per mesi o per anni si giunge allo stress cronico.
Lo stress
cronico ha effetti che possiamo chiamare alterazione degli assi ormonali
(soprattutto del cortisolo), iperattivazione del sistema nervoso con problemi
all’area della gestione dell’energia (stanchezza e affaticabilità), all’area
gastroenterica (stomaco e intestino), all’area cardiaca (tachicardia e extra
sistole), all’area del sistema nervoso (irritabilità, sbalzi di umore),
all’area muscolo scheletrica (dolori e contratture muscolari).
Da alcuni anni
il numero dei fattori di stress si è moltiplicato in modo esponenziale: il
denaro, il successo, l’equilibrio lavoro/vita, l’economia, l’ambiente, il
traffico, la genitorialità, i conflitti familiari, le relazioni, la malattia.
Le nostre vite spesso diventano come un treno che deraglia provocando eventi
drammatici.
Poiché la
natura della vita umana è diventata molto più complicata, la nostra risposta
non è stata in grado di tenere il passo con lo stress. Viviamo più a lungo dei
nostri antenati; ma soffriamo di migliaia di ansie e preoccupazioni
artificiali.
Gli antenati
affaticavano solo i muscoli, noi esauriamo la forza del più sottile dei nervi.
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RISCHI NELL’UTILIZZO DELLE ATTREZZATURE DI
LAVORO
Da: Rete Iside
LE CARATTERISTICHE DEL RISCHIO
Un’attrezzatura da lavoro viene definita
intrinsecamente sicura se è in grado di prevenire il verificarsi degli
infortuni anche se il lavoratore commette involontariamente degli errori.
Una macchina utensile dotata di carter di
protezione adeguati rende impossibile il contatto degli arti del lavoratori con
gli organi di lavoro della macchina (mandrini, fresa, punta, sega ecc). Se il
lavoratore, per errore, vuole prelevare un “pezzo” dal mandrino di un tornio
mentre é ancora in movimento, ad esempio, il carter di protezione deve essere
dotato di micro interruttori che bloccano la macchina prima che si possa
verificare un infortunio.
Dal 1996 la cosiddetta Direttiva Macchine
obbliga le aziende produttrici a progettare le macchine secondo una serie di
requisiti di sicurezza e dotarle di un marchio di garanzia, denominato
marcatura CE (Comunità Europea).
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
In teoria le macchine attualmente presenti
nelle aziende dovrebbero essere tutte sicure, il datore di lavoro, quindi,
dovrebbe solo verificare periodicamente che i dispositivi di sicurezza siano
sempre perfettamente funzionanti.
Nella realtà questo spesso non avviene
perché esiste ancora un ampio mercato di macchine utensili usate prodotte prima
del 1996 e cioè prima dell’entrata in vigore della Direttiva Macchine.
Ma molto spesso la sicurezza è messa in
pericolo anche da una scarsa manutenzione delle macchine, e quindi anche dei
dispositivi di sicurezza, e sono frequenti i casi in cui, per aumentare la
produttività, i dispositivi di sicurezza vengono disattivati.
Per valutare il rischio di una macchina da
lavoro si utilizza la seguente formula:
R (Rischio) = P (Probabilità) x G (Gravità
del danno)
Analizziamo, a titolo d’esempio, la
valutazione dei rischi in un’ipotetica postazione di lavoro con un tornio
parallelo:
-
carenze individuate: manca la protezione
degli organi di lavoro (il mandrino) e la protezione degli organi in movimento
(vite madre);
-
individuazione dei rischi: rischio di
lesioni per afferramento del lavoratore/lavoratrice e di proiezione di schegge
metalliche.
La valutazione dei rischi è:
-
Probabilità che si verifichi l’evento: 4
(altamente probabile);
-
Gravità del danno provocato: 4
(gravissimo: perdita o mutilazione di un arto);
-
Rischio = P x G = 16 (rischio gravissimo).
Le misure di prevenzione e protezione da
adottare sono installare il manicotto contornante il mandrino e provvisto di
dispositivo d’interblocco (microinterruttore) e carter regolabile per la vite
madre con tempi d’attuazione delle misure individuate indilazionabili e
necessità di vietare immediatamente l’utilizzo della macchina.
E’ poi necessario indicare il nome del
soggetto incaricato per l’attuazione delle misure.
LE MISURE DI PREVENZIONE DELLE MACCHINE DA
LAVORO
Le misure di prevenzione e protezione di
una macchina “non a norma” consistono essenzialmente nell’implementazione di
dispositivi di sicurezza (ad esempio carter) che devono garantire il 100% della
sicurezza intrinseca di una macchina.
Un elenco sintetico delle misure si
prevenzione e protezione di un macchina utensile generica è:
-
la macchina deve essere fissata
stabilmente a terra;
-
i cavi di adduzione potenza protetti da
possibili tagli e non posati a terra;
-
il quadro di adduzione potenza protetto
contro l’apertura accidentale;
-
presenza di pulsante d’arresto d’emergenza
a fungo rosso;
-
dotazione di dispositivo che impedisca il
riavviamento automatico della macchina in caso d’interruzione e successivo
ripristino della tensione elettrica;
-
i dispositivi di comando ben riconoscibili
ed a facile portata del lavoratore;
-
il dispositivo d’avvio è tale per cui
l’avviamento della macchina è possibile solo con un’azione volontaria e non
sono possibili avviamenti accidentali;
-
gli organi di trasmissione del moto
(ingranaggi, cinghie, pulegge, ecc.) provvisti di robusta protezione tale da
impedire qualsiasi contatto con l’operatore;
-
organi di lavoro provvisti di protezione
tale da impedire qualsiasi contatto con l’operatore;
-
postazione di lavoro sicura, stabile e
tale da non deve costringere l’operatore ad assumere posizioni scomode;
-
devono essere esposti i cartelli: “è
vietato pulire, oliare o ingrassare a mano gli organi in moto delle macchine” e
“è vietato compiere qualsiasi operazione di riparazione o registrazione su
organi in movimento” e quelli per l’uso degli adeguati Dispositivi di
Protezione Individuale.
LA VERIFICA DELLA CORRETTEZZA DEL
DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI AZIENDALE
Il primo aspetto da verificare è la
conformità formale, ossia la presenza della marcatura CE, di tutte le macchine
presenti in azienda. Dopo questa fase bisogna effettuare la verifica
sostanziale della conformità, verificare, cioè, che i dispositivi di sicurezza
(ad esempio carter) garantiscano il 100% della sicurezza intrinseca di una
macchina.
Vediamo, a titolo d’esempio, come si
verifica la conformità dei carter di protezione di un tornio parallelo. Se ha i
carter fissi verificare che siano fissati in modo tale che per aprirli bisogna
utilizzare una chiave, verificare il livello di stabilità del fissaggio. Se ha
i carter mobili verificare direttamente se siano dotati di un
micro-interruttore che, all’apertura del carter, provoca l’arresto della
macchina.
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GLI INFORTUNI MORTALI NEL SOLLEVAMENTO
CARICHI
Da: PuntoSicuro
di Tiziano Menduto
26/10/17
Esempi di infortuni professionali mortali
nell’utilizzo di attrezzature per il sollevamento di materiali e persone.
Infortuni con gru su autocarro e piattaforme di lavoro elevabili: la dinamica e
le misure di prevenzione.
PuntoSicuro, attraverso gli articoli e i
contributi delle rubriche “Imparare dagli errori” e “Le immagini
dell’Insicurezza”, ha più volte evidenziato come le attrezzature per il
sollevamento dei carichi siano tra le attrezzature con maggiori rischi per la
sicurezza degli operatori, specialmente in presenza di carenze costruttive e
manutentive o di procedure di utilizzo non idonee e sicure.
Per questo motivo torniamo oggi a
presentare, in questa rubrica dedicata al racconto e all’analisi degli
infortuni lavorativi, alcuni esempi di infortuni gravi e mortali, corredati da
suggerimenti e indicazioni per la prevenzione.
E lo facciamo utilizzando il contenuto di
un documento prodotto dall’ Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Brianza
e pubblicato nella sezione “Apparecchiature e impiantistica” del loro sito.
Nel documento dell’ATS “Infortuni mortali”
sono riportati diversi infortuni con esito mortale avvenuti in vari comparti
lavorativi tra il 2011 e il 2014. E vengono fornite alcune misure da applicare
per evitare il ripetersi dell’evento. In particolare i suggerimenti forniti
sono volti a dare alcune soluzioni da attuare in casi simili e non sono
finalizzati a fornire una risposta certa della causa dell’evento in quanto gli
stessi sono oggetto di valutazione da parte dei funzionari ASL addetti ai
lavori.
Il primo caso di infortunio, avvenuto nel
2014, riguarda l’utilizzo di una gru su autocarro.
L’infortunato stava scaricando un plinto
di cemento da un autocarro munito di gru quando l’autocarro si ribaltava sul
fianco investendo l’infortunato e procurandogli lesioni mortali.
Il documento indica che in generale, le
principali cause che determinano il ribaltamento di una gru su autocarro
possono ricondursi ai seguenti fattori: errata stabilizzazione (ad esempio non
corretto sfilo degli stabilizzatori), cedimento del terreno, sovraccarico,
carichi obliqui, ecc.
E allo scopo, è fondamentale conoscere la
massa del carico in relazione alla portata della gru, verificare l’idoneità del
piano di appoggio e che la macchina sia manovrata da un operatore adeguatamente
formato ed addestrato.
Si ricorda poi che per tale attrezzatura
di lavoro è necessaria una specifica abilitazione all’uso con riferimento
all’Accordo della Conferenza Stato Regioni del febbraio 2012.
Inoltre, continua il documento, queste
tipologie di macchine, in aggiunta ai controlli (manutenzione), devono essere
sottoposte a verifiche periodiche da parte di INAIL/ASL e soggetti abilitati
dal Ministero del Lavoro.
Il secondo caso di infortunio mortale,
sempre nel 2014 e nel settore costruzioni, riguarda l’utilizzo di una
Piattaforma di Lavoro Elevabile (PLE).
Il lavoratore al momento dell’infortunio
stava tinteggiando una parte verticale di un capannone industriale utilizzando
una PLE di proprietà del committente. Con tutta probabilità, o per errata
manovra o per contatto tra il capo e il solaio della struttura (che ne avrebbe
potuto determinare lo svenimento) o altro motivo, il lavoratore è rimasto
schiacciato a livello del busto tra la pulsantiera/parapetto della PLE ed il
soffitto in cemento armato precompresso del capannone. Il lavoratore è rimasto
in coma fino alla data del decesso.
Anche qui il documento fornisce alcuni
suggerimenti.
Ad esempio indicando che, con riferimento
anche a precedenti guide pubblicate sull’argomento, in generale, la
pianificazione e gestione delle attività lavorative sono misure necessarie al
fine di prevenire gli infortuni causati da intrappolamento.
Ad esempio una buona pianificazione
dovrebbe tenere in considerazione i seguenti fattori:
-
la necessità di eseguire il lavoro in
quota, ovvero se l’operazione può essere eseguita a terra;
-
le sequenze di attività per evitare la
presenza di ostacoli che possono causare rischi di intrappolamento;
-
l’adozione di metodi alternativi di lavoro
finalizzati ad evitare o ridurre il rischio di intrappolamento durante l’utilizzo
di una PLE;
-
le PLE verticali, a braccio articolato o
telescopico presentano differenti caratteristiche di accesso e deve esser
scelto il tipo più adatto per le operazioni da eseguire e l’ambiente nel quale
devono essere utilizzate.
Anche per tale attrezzatura di lavoro è
necessaria una specifica abilitazione all’uso e queste tipologie di macchine,
in aggiunta ai controlli (manutenzione), devono essere sottoposte a verifiche
periodiche da parte di INAIL/ASL e soggetti abilitati dal Ministero del Lavoro.
Veniamo, infine, al terzo caso di
infortunio mortale. Anche questa volta si fa riferimento all’utilizzo di una
PLE nel settore costruzioni.
Necessitando il tetto del capannone della
ditta appaltante di opere di manutenzione, l’artigiano muratore titolare
dell’appalto e un collega utilizzavano, per salire sulla copertura, una PLE. In
occasione dell’infortunio, il muratore titolare aveva posizionato la macchina
tra il muro del capannone e il confine della proprietà (larghezza spiazzo circa
8-10 m). Sulla verticale della recinzione, a circa 9-10 m di altezza, passa una
linea elettrica a conduttori nudi di media tensione (15.000 V). Nel comandare
la salita della cesta, il titolare non si avvedeva dei cavi ed il collega
toccava col capo un filo sotto tensione, rimanendo folgorato.
Riguardo ai suggerimenti, la scheda
sottolinea che i lavori in prossimità di linee elettriche sono cause di diversi
infortuni mortali.
Per questo motivo il legislatore ha
previsto il rispetto di una determinata distanza di sicurezza da tali linee. E
la tabella 1 dell’ Allegato IX del D.lgs. 81/08 riporta infatti le distanze di
sicurezza da parti attive di linee elettriche e di impianti elettrici non
protette o non sufficientemente protette da osservarsi, nell’esecuzione di
lavori non elettrici, al netto degli ingombri derivanti dal tipo di lavoro,
delle attrezzature utilizzate e dei materiali movimentati, nonché degli
sbandamenti laterali dei conduttori dovuti all’azione del vento e degli
abbassamenti di quota dovuti alle condizioni termiche.
Riprendiamo, infine, qualche indicazione
sulle interferenze con le linee elettriche con riferimento al documento, sempre
dell’ATS Brianza, dal titolo “Criticità frequentemente riscontrate”.
Si indica che al di là della distanza di
sicurezza, sono attuabili anche ulteriori misure di sicurezza:
scelta di un’attrezzatura specifica per il
lavoro da svolgere in relazione ai rischi presenti nell’ambiente;
in accordo con l’ente gestore intervenire
direttamente sulla linea elettrica attraverso: lo spostamento o l’interramento
della linea elettrica, l’interruzione temporanea dell’alimentazione,
l’isolamento dei conduttori nudi in tensione;
installazione di una idonea barriera
fisica nelle immediate vicinanze della linea elettrica;
adozioni d’intervento tesi a limitare
l’area di lavoro dell’apparecchio di sollevamento attraverso: limitazione
dell’area di lavoro mediante sistemi di sicurezza e/o sistemi elettrici di
limitazione del campo operativo, limitazione dell’area di lavoro mediante
riduzione della traslazione del carrello con installazione di sistema di
sicurezza elettrici, limitazione dell’area di lavoro mediante riduzione della
traslazione del carrello con installazione di sistema elettromeccanico.
Il documento di ATS Brianza “Infortuni
mortali”, pubblicato nella sezione dell’ATS relativa ad “Apparecchiature e
impiantistica” è scaricabile all’indirizzo:
Il
documento di ATS Brianza “Criticità frequentemente riscontrate”, pubblicato
nella sezione dell’ATS relativa ad “Apparecchiature e impiantistica” è
scaricabile all’indirizzo:
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LA GESTIONE DEI RISCHI CORRELATI A TURNI
DI LAVORO E LAVORO NOTTURNO
Da: PuntoSicuro
di Tiziano Menduto
30/10/17
Un intervento si sofferma sul tema degli
orari di lavoro, con riferimento ai turni lavorativi e al lavoro notturno. La
sonnolenza e gli incidenti stradali, i criteri per organizzare i turni e le
raccomandazioni per i turnisti anziani.
Sono diversi nel mondo del lavoro i
fattori di stress, di rischio psicosociale, di cui è necessario tener conto
nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Specialmente in una
realtà colpita dalla crisi economica e occupazionale, dall’aumento della
competitività, del carico di lavoro, dei fenomeni di mobbing e di disagio
lavorativo.
E uno dei fattori di cui è necessario
tener conto è l’orario di lavoro, con particolare riferimento a turni di lavoro
e lavoro notturno, che nel D.Lgs 66/03, recante “Attuazione delle direttive
93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione
dell’orario di lavoro”, sono così definiti:
-
lavoro a turni: qualsiasi metodo di
organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano
successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato
ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o
discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un
lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane;
-
lavoratore a turni: qualsiasi lavoratore
il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni;
-
periodo notturno: periodo di almeno sette
ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del
mattino;
-
lavoratore notturno:
1) qualsiasi lavoratore che durante il
periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero
impiegato in modo normale;
2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il
periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme
definite dai contratti collettivi di lavoro: in difetto di disciplina
collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga
lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; il
suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.
A ricordarlo e ad affrontare il tema
dell’orario lavorativo è un intervento al convegno “Attualità in tema di
fattori psicosociali del lavoro” che si è tenuto a Milano il 13 ottobre 2017.
In “Orari di lavoro: valutazione e
gestione del rischio”, intervento a cura di Giovanni Costa (Dipartimento di
Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e IRCCS Ca’ Granda,
Ospedale Maggiore Policlinico, Milano), si forniscono diverse informazioni sui
ritmi biologici e sul cosiddetto assetto biologico circadiano umano.
E con riferimento agli incidenti che
avvengono alla guida di autoveicoli è ricordata la responsabilità, negli
incidenti, dello stress, della sonnolenza e della fatica.
In particolare si indica che:
-
la sonnolenza alla guida fa aumentare di 8
volte il rischio di incidente grave;
-
gli incidenti “da veicolo singolo” hanno
la maggiore probabilità di avvenire di notte o nel primo mattino, a parità di
traffico;
-
l’autista assonnato o affaticato non mette
in atto le azioni appropriate per evitare l’incidente, in quanto spesso non
percepisce la situazione rischiosa e spesso guida ad occhi chiusi per 5-50
secondi (microsonni);
-
nel 2000, il Dipartimento dei Trasporti USA
ha indicato la fatica come il principale problema per la sicurezza nel
trasporto con un costo di 12 miliardi di dollari all’anno.
Studi clinici sul sonno documentano un
maggior rischio di incidenti, soprattutto stradali, per le persone che soffrono
di:
-
insonnia: 2 volte superiore;
-
sindrome delle apnee ostruttive del sonno
(OSAS): 4 volte superiore;
-
narcolessia: 6 volte superiore.
E sempre a proposito di sonnolenza e
rischio di incidenti stradali si segnalano diversi dati e risultati di studi.
Ad esempio:
-
in UK, la sonnolenza è associata al 23%
degli incidenti stradali, con rischio maggiore per gli autisti di viaggi lunghi
autostradali (6 studi);
-
in USA, il 6% guida assonnato almeno tre
volte alla settimana e il 37% almeno una volta al mese;
-
in Francia il 2% degli autisti (35.000) ha
riportato attacchi di severa sonnolenza tale da richiedere di fermarsi e il 9%
ha dichiarato che ciò avviene ogni mese.
L’intervento si sofferma poi sull’aumento
degli errori di medici e infermieri in relazione ai turni di lavoro.
Ad esempio alcuni studi indicano che tra
gli infermieri è stato documentato:
-
un significativo aumento degli errori,
tali da mettere a repentaglio la sicurezza dei pazienti, in relazione alla
durata del turno oltre le 8 ore, al lavoro straordinario e al lavoro a turni
con lavoro notturno;
-
una significativa associazione tra aumento
dei tassi di mortalità ospedaliera associata a turni prolungati o con ridotti
livelli di personale e alto turnover di pazienti.
L’intervento riporta poi il rapporto tra
il lavoro a turni e il lavoro femminile, con riferimento a varie possibili
conseguenze della perturbazione dei ritmi circadiani.
Sono poi elencati i fattori che influenzano
il rischio del lavoro a turni e i possibili criteri ergonomici per
l’organizzazione dei turni:
-
limitare il più possibile il turno
notturno;
-
poche notti di seguito (al massimo 2 o 3);
-
preferire turni ruotanti al turno fisso
notturno;
-
la rotazione veloce è migliore di quella
lenta;
-
la rotazione in senso orario (M/P/N) è
meglio della anti-oraria;
-
durata del turno in base al carico di
lavoro;
-
evitare l’inizio troppo anticipato del
turno del mattino;
-
turni prolungati (9-12 ore) solo quando il
carico di lavoro è basso;
-
cicli di turno il più possibile regolari;
-
giorni di riposo preferibilmente dopo i
turni notturni;
-
consentire flessibilità negli orari.
Sono ricordate anche le azioni
compensative (contrappesi e contromisure), i fattori che influenzano la
tolleranza del lavoro a turni e i soggetti più vulnerabili, i lavoratori
anziani.
Infatti nei lavoratori anziani si può
avere:
-
riduzione della durata del sonno:
risveglio precoce e maggiori risvegli;
-
minore propensione al sonno al mattino
presto (mattutinità);
-
maggiore propensione al sonno durante il
giorno;
-
riduzione della qualità del sonno: minore
sonno profondo;
-
più disturbi del sonno in generale;
-
minore ampiezza dei ritmi biologici e più
lento aggiustamento di fase nei successivi turni di notte;
-
maggiore importanza del processo
omeostatico sul livello di sonnolenza e di fatica;
-
ridotta efficienza psico-fisica;
-
maggiore fatica;
-
salute compromessa.
Queste alcune raccomandazioni per i
turnisti anziani:
-
limitare il lavoro notturno dopo i 45-50
anni;
-
lavoro notturno fisso solo su base
volontaria;
-
priorità al trasferimento ai turni diurni;
-
più scelte per gli schemi di turno;
-
ridurre il carico di lavoro fisico;
-
aumentare le pause;
-
più possibilità di pisolini;
-
maggiore sorveglianza sanitaria
(periodicità).
Il documento “Orari di lavoro: valutazione
e gestione del rischio”, a cura di Giovanni Costa (Dipartimento di Scienze
Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e IRCCS Ca’ Granda, Ospedale
Maggiore Policlinico, Milano) è scaricabile all’indirizzo:
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QUANDO IL VISO NON E’ PROTETTO
Da: PuntoSicuro
di Tiziano Menduto
02/11/17
Esempi di infortuni correlati all’assenza
di DPI per la protezione del viso e degli occhi. Incidenti nelle lavorazioni
alimentari e in attività di manutenzione di macchine. La dinamica degli
infortuni, i fattori causali e la prevenzione.
Operando una ricerca tra le schede di
INFOR.MO. (strumento del sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e
gravi) e in relazione ai casi gravi di infortunio con fattori causali relativi
a “dispositivi di protezione individuale e abbigliamento”, compaiono tre
diverse categorie di situazioni che accompagnano l’infortunio:
-
l’uso errato o mancato uso (ma
disponibile) di DPI;
-
l’inadeguatezza strutturale o
deterioramento di DPI;
-
la mancanza di fornitura di DPI.
Sulle prime due casistiche la rubrica
“Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni
lavorativi, si è già soffermata con una ventina di articoli che hanno
affrontato varie tipologie di dispositivi e indumenti protettivi, dagli
occhiali di protezione alle calzature di sicurezza, dall’elmetto ai DPI
anticaduta e alle protezioni per le mani e le braccia.
Concludiamo, dunque, questo lungo viaggio
attraverso gli infortuni correlati ai Dispositivi di Protezione Individuale
(DPI) affrontando alcune dinamiche di infortunio in cui è stata rilevata
l’assenza di DPI.
E ci soffermiamo sugli infortuni, tratti
da INFOR.MO., in cui è stata rilevata l’assenza di protezioni per gli occhi e
il viso.
Il primo caso riguarda un infortunio
avvenuto tra lavoratori specializzati delle lavorazioni alimentari.
Due lavoratori cercano di liberare un
fognolo (una parte di una fognatura) di scarico otturato.
Dopo un primo tentativo inefficace con
acqua calda provano a immettere soda caustica, creando una reazione esotermica
con produzione di calore e sviluppo di gas e vapore che investe il volto e gli
arti superiori dei due lavoratori. ai quali non era stata fornita visiera di
protezione.
Questi i fattori causali dell’incidente
rilevati dalla scheda:
-
i lavoratori per liberare un fognolo di
scarico otturato assieme al collega immettono soda caustica;
-
mancato utilizzo di visiera di protezione.
Il secondo caso riguarda un infortunio che
avviene in attività di manutenzione di macchine per lo stampaggio della
plastica.
Nell’effettuare lo smontaggio della testa
di un iniettore di una macchina per lo stampaggio della plastica, un lavoratore
viene colpito da un getto di plastica fusa che fuoriesce velocemente spinta dai
gas che si sono formati all’interno della macchina.
Lo smontaggio viene effettuato manualmente
mediante l’utilizzo di una mazzetta, senza utilizzare i necessari DPI per il
viso.
Questi i fattori causali:
-
il lavoratore effettua lo smontaggio della
testa di estrusione con una mazzetta;
-
mancato utilizzo di idonei DPI per il
viso.
Per fornire alcune informazioni sulla
protezione degli occhi e del viso e sui corrispondenti dispositivi di
protezione, possiamo fare riferimento al progetto multimediale “Impresa Sicura”
e al documento dal titolo “ImpresaSicura_DPI”.
Nel documento si ricordano le tre
principali tipologie di DPI per la protezione di occhi e viso:
-
occhiali di protezione: formati da
montatura e lenti; la montatura deve posizionarsi in modo perfetto sul volto;
la dimensione delle lenti determina l’ampiezza del campo visivo; la presenza di
ripari laterali evita la penetrazione laterale sia di sostanze che di
radiazioni;
-
maschere/occhiali a visiera: tali DPI sono
fissati direttamente tramite bardatura al capo o al casco; le visiere
proteggono non solo gli occhi, ma tutto il volto dalle schegge, dalle sostanze
chimiche o radiazioni, ma non forniscono protezione laterale; la finestra della
visiera contiene lastre trasparenti, leggere, filtranti, facilmente
sostituibili e regolabili;
-
schermi/ripari facciali di protezione: gli
schermi sono generalmente fissati all’elmetto di protezione o ad altri
dispositivi di sostegno, ma non sono completamente chiusi; si indica che alcuni
schermi hanno lastre di sicurezza trasparenti con azione filtrante; una lamina
posizionata nella parte interna dello schermo protegge dalle scariche
elettrostatiche; gli schermi a mano sono formati da una costruzione in
materiale leggero con apertura per lastra scambiabile; le cappe, in diversi
materiali, vengono impiegate insieme all’elmetto di protezione o altri
dispositivi di supporto.
Il documento, che riporta indicazioni
normative (D.Lgs. 81/08) e indicazioni relative alla marcatura per la
resistenza meccanica, pubblica un prospetto che fornisce un sommario di alcuni
tipi e fonti di pericolo nella protezione degli occhi e del viso in ambito
industriale.
Riportiamo a titolo esemplificativo alcune
fonti per i rischi di natura meccanica:
-
proiezione di particelle metalliche:
macchinario per la lavorazione del metallo, trucioli di saldatura, rivettatura,
taglio di fili in metallo, molatura;
-
proiezione di particelle di pietra o
minerali: sabbiatura, lavorazione della pietra, scultura, molatura, trapanatura
di rocce;
-
proiezione di particelle legnose/fibrose: tornitura
del legno, abbattimento degli alberi, rimozione della boscaglia;
-
particelle grossolane sospese nell’aria:
miscelazione del cemento, lavorazione della pietra, segatura del legno,
sabbiatura orbitale, stoccaggio granaglie, macinatura della farina, estrazione
e lavorazione del carbone;
-
spruzzi/schizzi di metallo fuso: colate di
metallo, scrematura del metallo, pressofusione, taglio con fiamma del metallo,
brasatura;
-
acqua ad alta pressione: taglio a getto
d’acqua.
Questi, infine, sono alcuni fonti di
rischi di natura chimica e biologica:
-
spruzzi di prodotti chimici:
candeggiamento, riempimento delle batterie, placcatura, sgrassaggio,
sverniciatura, lavorazione tramite clorurazione, miscelazioni;
-
aerosol liquidi: spruzzatura/irrorazione
dei raccolti, verniciatura e laccatura a spruzzo, fumigazione;
-
getti di vapore: tubature che perdono,
sfiato dei contenitori a pressione;
-
polveri fini: miscelazione del cemento,
sabbiatura delle pareti, spargimento della calce, verniciatura;
-
fumi, vapori e gas: verniciatura,
applicazione adesivi, analisi dei gas di scarico, saldatura, fumigazione;
-
agenti biologici/virus: chirurgia
generale, chirurgia odontoiatrica, pronto soccorso, ricerca medica, gestione
rifiuti.
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 1549 e 8380, è consultabile
all’indirizzo:
L’accesso al sito “Impresa Sicura” via
internet è gratuito e avviene tramite una registrazione all’indirizzo:
Il documento “ImpresaSicura_DPI”
realizzato dal progetto multimediale “Impresa Sicura” è scaricabile
all’indirizzo:
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INFORTUNI NELL’USO E INSTALLAZIONE DI
MACCHINE
Da: PuntoSicuro
09/11/17
Esempi di infortuni professionali mortali
nell’utilizzo e installazione di attrezzature di lavoro. L’utilizzo di una gru
a ponte e l’installazione di un interruttore modulare per alimentare una
macchina operatrice. Gli infortuni e la prevenzione.
Continua il viaggio della rubrica
“Imparare dagli errori”, dedicata al racconto degli infortuni professionali e
alla raccolta di spunti di prevenzione, attraverso le tante tipologie di incidenti
che avvengono in riferimento alla presenza, all’utilizzo e installazione di
macchine e attrezzature di lavoro.
E lo facciamo utilizzando il documento
“Infortuni mortali” prodotto dall’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della
Brianza che riporta diversi infortuni con esito mortale avvenuti in vari
comparti lavorativi tra il 2011 e il 2014.
Ricordiamo che nel documento vengono
fornite alcune misure da applicare per evitare il ripetersi dell’evento. In
particolare i suggerimenti forniti sono volti a dare alcune soluzioni da
attuare in casi simili e non sono finalizzati a fornire una risposta certa
della causa dell’evento in quanto gli stessi sono oggetto di valutazione da
parte dei funzionari ASL addetti ai lavori.
Oggi ci soffermiamo su due casi di
infortunio correlati all’uso e all’installazione di diverse attrezzature di
lavoro.
Il primo caso di infortunio mortale,
avvenuto nel 2012, riguarda l’utilizzo di una gru a ponte.
Un lavoratore mentre stava movimentando,
con l'ausilio di un carroponte, un semi-lavorato di grosse dimensioni, viene
investito dal carico.
Cosa fare in casi simili?
Il documento sottolinea innanzitutto che
l’uso degli apparecchi di sollevamento è destinato esclusivamente a personale
formato ed addestrato.
Inoltre:
-
il gruista deve rimanere ad una distanza
di sicurezza dal carico;
-
il carico deve essere guidato facendo uso
di attrezzi quali rampini e non direttamente con le mani;
-
anche se un carroponte non rientra tra le
attrezzature di lavoro per le quali è prevista una specifica abilitazione
dell’operatore (Accordo Conferenza Stato Regioni del febbraio 2012) è da
rilevare che il gruista comunque deve essere informato, formato ed addestrato
all’uso dell’attrezzature (articolo 71, comma 7, D.Lgs. 81/08). L’addestramento
deve essere effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro (articolo 37,
comma 5, D.Lgs. 81/08).
A questo proposito il documento ricorda
che un utile strumento di riferimento è costituito dalla norma tecnica UNI ISO
9926-1 che specifica l’addestramento minimo da dare agli allievi conduttori di
gru, al fine di far sviluppare capacità pratiche di base e di impartire loro
conoscenze necessarie alla buona applicazione di queste capacità. Inoltre,
queste tipologie di macchine, in aggiunta ai controlli (manutenzione), devono
essere sottoposte a verifiche periodiche da parte di INAIL/ASL o soggetti
abilitati dal Ministero del lavoro.
Il secondo caso di infortunio mortale,
avvenuto nel 2011, riguarda invece un impianto elettrico (V=230-400V) e
l’installazione/alimentazione di una macchina operativa.
In questo caso l’installazione di un nuovo
interruttore modulare all’interno del quadro elettrico generale di reparto era
operazione necessaria al fine di alimentare una nuova macchina operatrice.
L’operazione prevedeva l’installazione di
nuovi conduttori fissati sulle sbarre poste a valle dell’interruttore generale
e, allo scopo, era stata predisposta l’apertura dell’interruttore generale al
fine di poter imbullonare sulle sbarre già preforate i conduttori dotati di
capicorda effettuando cosi un lavoro elettrico “fuori tensione”.
Tuttavia durante queste operazioni
l’operatore rimaneva folgorato a causa del contatto diretto tra le mani e le
parti in tensione. L’apertura dell’interruttore generale in realtà
corrispondeva all’apertura dell’interruttore del dispositivo di rifasamento a
causa di errato posizionamento delle targhe identificative e inoltre non era
stata effettuata la verifica di assenza tensione.
Cosa fare in casi simili?
Il documento sottolinea che per
l’effettuazione dei lavori elettrici “fuori tensione” vanno adottate tutte le
procedure predisposte dalle figure responsabili necessarie al fine della
programmazione dell’intervento e messa in sicurezza dell’impianto, le quali prevedono
anche l’identificazione di tutte le utenze da sezionare. Ciò non sostituisce la
verifica di assenza della tensione che deve effettuare la persona
avvertita/esperta/idonea preposta all’intervento.
Il documento riporta anche alcune norme
tecniche che possono fare da riferimento per la formazione specifica prevista
dall’articoli 82 e 83 del D.Lgs. 81/08.
Rimandando, riguardo al rischio elettrico,
ai tanti articoli di PuntoSicuro dedicati all’argomento, concludiamo questa
puntata di “Imparare dagli errori” con alcuni spunti di prevenzione degli
infortuni nell’utilizzo di gru a ponte con riferimento alle istruzioni per gli
addetti tratte dalla scheda M01 “Gru a ponte”, contenuta nella banca dati di
schede bibliografiche del manuale “La valutazione dei rischi nelle costruzioni
edili”, manuale nato dalla collaborazione tra il Comitato Paritetico
Territoriale di Torino e Provincia e l’INAIL Piemonte.
Prima dell’uso:
-
verificare l’efficienza della pulsantiera;
-
verificare l’efficienza dei fine corsa
elettrici e meccanici, di salita, discesa e traslazioni;
-
verificare l’efficienza della chiusura di
sicurezza del gancio;
-
verificare che i percorsi pedonali di
manovra siano liberi da ostacoli;
-
verificare l’efficienza del dispositivo di
segnalazione acustica (sirena) e ottica (girofaro).
Durante l’uso:
-
avvisare l’inizio delle manovre con il
segnalatore acustico;
-
durante lo spostamento dei carichi evitare
di transitare sopra le aree di lavoro;
-
manovrare il carroponte a distanza di
sicurezza dal carico;
-
eseguire con gradualità le manovre;
-
attenersi ai limiti di portata;
-
verificare sempre il corretto imbraco dei
materiali prima di iniziare le manovre;
-
segnalare tempestivamente le anomalie.
Dopo l’uso:
-
non lasciare carichi sospesi;
-
sollevare il gancio, ritirare il carrello
e traslare il carro nella posizione di riposo prestabilita;
-
interrompere l’alimentazione elettrica,
agendo sull’interruttore principale al quadro o a parete;
-
lasciare la pulsantiera al sicuro da
eventuali danneggiamenti.
Il documento realizzato dall’ATS Brianza
“Infortuni mortali” è scaricabile all’indirizzo:
La Scheda M01 “Gru a ponte” realizzato dal
Comitato Paritetico Territoriale di Torino e Provincia e dall’INAIL Piemonte è
scaricabile all’indirizzo:
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STORIE DI INFORTUNIO: DALL’AZZURRO AL NERO
Da: PuntoSicuro
14/11/17
Un operaio è deceduto cadendo dalle scale
di emergenza che erano in costruzione all’interno di un cantiere. Come è
avvenuto l’incidente, le cause e come si sarebbe potuto evitare.
Pubblichiamo la storia “Dall’azzurro al
nero” (a cura di Francesco Sarnataro, Servizio PSAL ATS Bergamo) tratta dal
repertorio delle “Storie d’infortunio” rielaborate dagli operatori dei Servizi
PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, e raccolte
nel sito del Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute
della Regione Piemonte (DORS).
CHE COSA E’ SUCCESSO
15 luglio 2009, pomeriggio di una calda
giornata d’estate nel grande cantiere del Nuovo Ospedale “Papa Giovanni XXIII”
di Bergamo. Nel buio del vano scale di emergenza della Torre 3, Mario, al suo
primo giorno di lavoro nel cantiere, viene ritrovato disteso, riverso sui
gradini, con la testa in basso e i piedi in alto, il volto rivolto verso l’alto
come tutto il resto del corpo. “Decesso per traumatismo policontusivo
produttivo di lesioni cranioencefaliche e toraciche” riporta il referto medico.
CHE COSA SI STAVA FACENDO
Mario aveva iniziato al mattino, il
cantiere era vasto e di notevole complessità logistica, era inesperto dei
luoghi perché al primo giorno di lavoro, la segnaletica non c’era o si
presentava estremamente carente nella maggior parte dei luoghi di percorrenza e
accessibili ai lavoratori.
Dopo la pausa pranzo, per recarsi nel
luogo dove riprendere il lavoro, aveva imboccato il vano scale di emergenza e
si era ritrovato nel buio, lungo scale mancanti di illuminazione, ingombre di
materiali, sprovviste di parapetti. Forse stava ancora telefonando, forse aveva
inciampato ed era ruzzolato giù lungo più rampe di scale oppure era caduto da
un pianerottolo, quattro metri sopra la rampa scale sulla quale è stato
ritrovato; delle due ipotesi, a posteriori, la caduta dal pianerottolo è quella
più verosimile.
COSA SI È APPRESO DALL’INCHIESTA
La rampa delle scale di emergenza della
Torre 3 dove è stato ritrovato Mario era accessibile sia dall’alto che dal
basso e si presentava da lungo tempo in condizioni pericolose e antigieniche:
il dato è confermato da numerose testimonianze raccolte durante l’inchiesta e
confermate durante il lungo processo che ne è seguito e da una corposa
documentazione.
Per le testimonianze raccolte, rileggiamo
ancora quella di Aziz che ha trovato e prestato i primi soccorsi a Mario: “le
scale non sono illuminate, o meglio al quinto piano è totalmente buio infatti
accendo la luce del telefonino per vedere qualcosa mentre al quarto piano c’è
un faretto che fa poca luce. Inoltre nelle scale al quinto non ci sono
protezioni per evitare la caduta al quarto piano”.
Sono stati sentiti anche Giulio e Filippo,
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriali che nel corso degli
anni, dall’inizio dei lavori e fino al momento dell’infortunio, avevano
effettuato più sopralluoghi nel cantiere e avevano partecipato a numerose
“Riunioni del giovedì sulla Sicurezza”.
Alle riunioni del giovedì partecipavano
tutte le persone che si occupavano della sicurezza nel cantiere, ciascuna con
un proprio ruolo e formazione: si valutavano l’andamento e la progressione dei
lavori, le nuove Imprese entrate in cantiere quella settimana, gli aspetti e
gli apprestamenti antinfortunistici già presenti, quanto già funzionava, cosa
rimaneva ancora da sistemare e migliorare.
Il giorno dell’infortunio, Giulio era
proprio presente in cantiere. Dice infatti “mi trovavo nell’interrato della
piastra centrale e stavo controllando alcuni trabattelli quando ho avuto una
telefonata dal geometra Rossi che mi avvisava dell’ingresso di un’autolettiga.
Allora al primo capannello di persone che ho visto sono andato a vedere e mi
sono poi diretto alla Torre 3 dove al 4° piano ho trovato già la squadra del
118 che stava soccorrendo l’infortunato, il cui corpo era stato portato sul
pianerottolo perché c’era più spazio per i soccorritori. Mi sono subito reso disponibile
a fare da supporto e nel momento in cui sono entrato nella scala di emergenza,
anche se questa era buia, ho notato una macchia di sangue sul primo gradino
della rampa di scale che dal 4° porta al 5° piano e sulla stessa rampa di scale
ho notato un cellulare che poi è sparito. Poi sono arrivati anche i poliziotti
che volevano andare sul luogo dove avevo visto la macchia di sangue senza
passare per il pianerottolo dove stavano soccorrendo l’infortunato per non
intralciare i soccorsi [...]. Da qui siamo saliti anche al 5° piano nella zona
a fianco dell’ascensore (cioè immediatamente superiore a quella dove è stato
ritrovato l’infortunato) dove ho notato la mancanza di parapetto che si può
riscontrare anche nelle fotografie che mi vengono mostrate”.
Già da tempo, però, le condizioni
inadeguate per mancanza di parapetti e di illuminazione delle scale di
emergenza erano state segnalate dal Coordinatore della Sicurezza, nei verbali
che compilava alla fine dei suoi sopralluoghi. Una copia dei verbali più recenti
viene mostrata a Giulio: “Sì, confermo pienamente soprattutto per quanto
riguarda le quattordici scale di emergenza che sono presenti nelle sette Torri,
praticamente due scale di emergenza per ogni Torre [...]. Oltre alla mancanza
di parapetti, di illuminazione e di residui vari ingombranti e puzzolenti nelle
scale di emergenza voglio precisare che la mancanza di illuminazione e la
presenza di residui vari ingombranti e puzzolenti riguarda anche altre scale
accessibili”.
E agli stessi verbali mostrati a Filippo,
anch’egli risponde: “La scarsezza di illuminazione nelle scale di emergenza
faceva sì che le stesse venissero utilizzate in modo improprio cioè come
servizi igienici e/o come deposito di immondizia”.
E i documenti di cantiere che parlano di sicurezza?
Negli ultimi quindici mesi erano stati molti, ben trentuno per gli amanti della
precisione, i “verbali di riunione e di visita” corredati da tante fotografie e
sottoscritti dal Coordinatore della Sicurezza che evidenziavano la mancanza di
parapetti e di illuminazione nelle scale di emergenza.
Il 9 luglio 2009, solo sei giorni prima
dell’infortunio, in una riunione del giovedì ancora si scrive: “Il Coordinatore
della Sicurezza si rivolge al responsabile della sicurezza in tutto il cantiere
comunicandogli che da troppo tempo permangono situazioni in cantiere non
conformi. Il CSE non può emettere prescrizioni attendendo dalla Ditta
Affidataria Capofila (DAC) il ripristino degli stati di conformità in tempi
così lunghi da rendere inefficace le prescrizioni stesse. La DAC deve
sistematicamente impegnare i propri preposti, garantendone l’attivazione
immediata su tutte le aree di cantiere risultate non conformi. Dal giorno
28/05/09 a oggi, durante le riunioni di coordinamento si è ripetutamente
discusso su tematiche oramai già note alla DAC, sulle quali il CSE non ha
accertato azioni della DAC significative volte al ripristino e al mantenimento
degli stati di conformità richiesti)”.
E nel verbale di quella riunione si legge
“Di seguito si elencano alcune importanti prescrizioni a oggi non ancora
ottemperate dalla DAC. Pulizia delle aree di cantiere: manca la sistematicità
degli interventi da parte dell’impresa DAC e delle imprese in subappalto.
Interventi locali di pulizia risultano accertabili solamente dopo l’emissione
di specifici ordini di servizio emessi sia dalla DL che dal CSE [...]. Cartelli
di cantiere: la DAC non ha provveduto a posare i cartelli di cantiere richiesti
dal CSE più di un anno fa. La DAC si è ripetutamente impegnata attraverso i suoi
dirigenti a posare tutti i cartelli di cantiere dei quali il CSE ha da tempo
riconosciuto gli oneri specifici”.
Alla riunione del 9 luglio partecipano
sedici invitati: il verbale reca la data del 13 luglio, due giorni prima
dell’infortunio di Mario, ed è stato inviato all’attenzione di tredici persone
che a vario titolo si occupavano della sicurezza nel cantiere del Nuovo
Ospedale. C’è bisogno di aggiungere, scrivere altre parole?
COME E’ ANDATA A FINIRE
L’area delle scale di emergenza della
Torre 3 è stata sequestrata il giorno stesso dell’infortunio ed è rimasta sotto
sequestro per sei mesi, fino al febbraio 2010. Dopo il dissequestro l’area
delle scale di emergenza è stata pulita, illuminata e dotata di parapetti. Solo
a quel punto ne è stato permesso l’utilizzo.
Sono stati inviati cinque verbali di
contravvenzione per violazioni alle norme sulla prevenzione degli infortuni al
“Preposto per la Sicurezza con delega” della DAC, ai due ingegneri della DAC
che si occupavano rispettivamente della sicurezza in tutto il cantiere e della
sicurezza solo nella Torre 3, al Coordinatore della Sicurezza ed al
Responsabile Unico dei Lavori per il Committente.
Tutte le cinque persone sono anche state
rinviate a giudizio per “omicidio colposo” e “cooperazione nel delitto colposo”
dalla Pubblico Ministero che ha seguito e coordinato le indagini.
Il processo si è concluso nel marzo del
2015 con la sentenza di primo grado che ha visto condannati il “Preposto per la
Sicurezza” e i due ingegneri della DAC e assolti il Coordinatore della
Sicurezza e il Responsabile Unico dei Lavori.
NON SAREBBE SUCCESSO…
Se tutte le figure incaricate di occuparsi
della sicurezza nel cantiere avessero svolto il loro compito prestando
attenzione alle segnalazioni note da tempo. Se le scale e i pianerottoli
fossero stati dotati di: parapetti, adeguata illuminazione e liberati da
rifiuti e materiali ingombranti.
Se fosse stato impedito, attraverso uno
sbarramento fisico, l’accesso alle scale di emergenza che, non ancora ultimate
costituivano, un pericolo.
Scarica la storia completa “Dall’azzurro
al nero” (a cura di Francesco Sarnataro, Servizio PSAL ATS Bergamo)
all’indirizzo:
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