Quest’anno la festa del primo maggio è dedicata
da CGIL, CISL, UIL al tema della sicurezza sul lavoro. Decisione encomiabile a
primo acchito, ma che lascia troppi dubbi.
Il primo è che questo richiamo alla sicurezza sul
lavoro avviene proprio adesso, proprio quest’anno, dopo una serie di infortuni
sul lavoro “spettacolari” che per tale motivo sono finiti sulle pagine di tutti
i giornali, sui media e sui social, scatenando indignazione e quindi
avvenimenti da “cavalcare” per proprio tornaconto di consensi. Perché negli
anni precedenti non è mai stato fatto? Eppure i morti sul lavoro ci sono da
sempre e il trend non è mai sostanzialmente variato. Questo richiamo (quindi
tardivo) alla sicurezza avviene poi da parte di sindacati (CGIL, CISL, UIL) che
negli ultimi anni hanno sempre di più abbracciato gli interessi delle aziende
capitaliste, convivendone le riforme in senso negativo, in merito a orari di
lavoro, precarietà, diritto al licenziamento, cancellazione del diritto di
sciopero, colpevolizzazione dei lavoratori in caso di infortunio, cioè in
merito a tutti quei fattori che incrementano il fenomeno infortunistico. Quei
sindacati collusi in vario modo con tutti i partiti, che negli ultimi anni
hanno stravolto la normativa sul lavoro a tutto vantaggio delle aziende e a
discapito dei lavoratori.
Quei sindacati che designano all’interno delle
aziende propri Rappresentati dei Lavoratori per la Sicurezza, sempre più
asserviti alle aziende, di cui condividono in pieno le politiche della
sicurezza. Si rimane poi sgomenti sul solito concerto del primo maggio a Roma
che, oltre a non avere nessun contenuto culturale e musicale di lotta in questo
senso, è sponsorizzato da grandi aziende italiana (Eni, Unipol, Poste
Italiane), cioè da coloro contro i quali bisognerebbe lottare perché al loro
interno (oltre ad aspetti di facciata) si realizzassero le condizioni per una
reale politica della sicurezza. Personalmente a queste manovre di facciata e
ipocrite non ci credo, tanto finita la festa, tutto continuerà a procedere come
prima, con la strage quotidiana di lavoratori. Se CGIL, CISL, UIL fossero
veramente attenti alle tematiche della salute e della sicurezza, anziché farsi
belli con comunicati di facciata e manifestazioni vuote e ipocrite, dovrebbero
convocare uno sciopero generale di una giornata su tali tematiche.
Ma così andrebbero a toccare troppi interessi
condivisi e questo, per loro, non va bene!
Marco Spezia
PRIMO MAGGIO DI FESTA O DI LOTTA?
Ormai non si può più considerare quella del primo
maggio, come la festa dei lavoratori. Ormai non c’è più nulla da festeggiare. I
diritti dei lavoratori, conquistati con la Resistenza e, nel secondo
dopoguerra, con migliaia di battaglie, anche cruente, sono stati quasi del
tutto smantellati. Ormai il primo maggio assume il connotato di uno qualunque
dei giorni festivi, dove, vista la stagione, si pensa più ad andare al mare o a
fare una scampagnata, piuttosto che manifestare per richiedere il ripristino
dei diritti dei lavoratori. Anche il famoso concerto del primo maggio
organizzato dalla triplice CGIL, CISL, UIL, ha perso uno contenuto culturale e
politico (se mai ne abbia avuto uno) per omologarsi a una qualunque delle
grandi manifestazioni musicali di massa (non a caso con tanto di sponsorizzazione
di aziende, cioè della controparte rispetto ai lavoratori). E invece oggi più
che mai il primo maggio dovrebbe tornare a essere giornata di lotta, ma anche
di riflessione, di analisi, di proposte per ridare ai lavoratori i diritti
sanciti dalla Costituzione Repubblicana, che stabilisce:
- la proporzionalità tra lavoro svolto e salario;
- il diritto a un salario sufficiente per garantire al
lavoratore una vita dignitosa;
- il diritto al riposo settimanale e alle ferie
annuali;
- i medesimi diritti dei lavoratori tra donne e
uomini;
- il diritto di sciopero;
- il diritto nel lavoro alla sicurezza, alla libertà,
alla dignità umana.
Questi diritti fondamentali vanno invece via via a
scomparire in nome della logica spietata del profitto ad ogni costo alla base
della società capitalista. E così assistiamo alla riduzione dei salari in
proporzione al lavoro e al costo della vita, alla diffusione di condizioni
economiche al limite della sussistenza, all’estensione generalizzata
dell’aumento delle giornate lavorate specie nella grande distribuzione, alla
repressione di ogni forma di sciopero che non sia benedetto dal sistema,
all’aumento esponenziale della precarietà, alla possibilità legalizzata del
licenziamento per ogni lavoratore scomodo o non sufficientemente produttivo. In
questa ottica è inevitabile la strage legata a infortuni sul lavoro e malattie
professionali. Aumentano i ritmi di lavoro, diminuisce il potere contrattuale
dei lavoratori, non si può praticamente più scioperare, chi osa protestare
diventa scomodo e viene emarginato o licenziato. Più che festa occorre quindi che il primo
maggio torni a essere giornata di lotta, per riconquistare quei diritti che
sindacati e partiti collusi con gli interessi delle aziende, ci hanno
lentamente, ma inesorabilmente tolto. Perché è vero che il capitalismo c’è
sempre stato, ma fino a trent’anni fa aveva una vera opposizione politica e
sindacale che portava in piazza milioni di lavoratori a manifestare per i
propri diritti. Occorre tornare a diffondere cultura di lotta e di classe, in
contrapposizione alla cultura di omologazione al consumismo esasperato e i
falsi valori inculcati dai media. Se i lavoratori non riscoprono la propria
cultura di “proletari” non c’è nessuna prospettiva di cambiamento, se non in
peggio.
Marco Spezia
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