giovedì 10 agosto 2023

10 agosto - FWD: «L'amianto ha ucciso i nostri cari ma l'Inail ci ha negato il risarcimento»

La disperazione delle famiglie che hanno perso padri e mariti ammalati di tumore dopo una vita in fabbrica 

«Morivano a grappoli in fabbrica». «Mio marito era ricoperto di polvere di amianto». «Abbiamo perso padri e mariti e siamo state abbandonate». Fanno rabbrividire le parole di Marisa, Giovanna e Alessandra, tre donne, due vedove e una figlia, che hanno perso i loro cari sul posto di lavoro dopo atroci sofferenze causate dall’amianto.

Ci ha messo ben 18 anni per ottenere una vittoria, almeno economica, Marisa Mittone, vedova di Carlo Balzaretti, intervistata nello studio di avvocati D’Amico e Associati che l’ha aiutata a ottenere il risarcimento: «Mio marito lavorava in fonderia nella fabbrica “Pistoni e Borgo” di Alpignano, si è ammalato di carcinoma polmonare ed è morto come tanti altri suoi colleghi respirando l’amianto. È stato un trauma rimanere da sola, mi sono sentita abbandonata a me stessa, ho provato a chiedere il risarcimento all’Inail due volte ma me l’ha sempre rifiutato. Poi finalmente ho scoperto che c’era la possibilità di ottenerlo tramite avvocati specializzati sul lavoro, ma sono passati 18 anni».

Alessandra Detotto ha perso suo padre Nicolò nell’estate di tre anni fa, «Mio padre lavorava alla Wunderplast, una piccola azienda di Leinì, preparava lo stucco per le carrozzerie con una base di amianto (polvere di asbesto), presente nei sacchi che buttava nel miscelatore, si ricopriva completamente di polvere bianca, e dopo sette anni di lavoro in questa azienda si è ammalato di mesotelioma pleurico. Ricordo che all’epoca non c’era nessuna conoscenza dei danni dell’amianto, gli davano il latte come antidoto». Alessandra ha poi scoperto che «non era stata fatta alcuna denuncia nonostante avessi compilato il questionario richiesto». Poi a gennaio 2020, dopo anni di sofferenza e silenzio, è arrivato il terribile riscontro: «L’Inail mi ha detto che non avrei avuto diritto a nessun risarcimento per la morte di mio padre». Anche Alessandra Detotto si è rivolta allo studio di avvocati che è riuscito a farle ottenere un indennizzo. 

Così come è accaduto a Giovanna, ex delegata sindacale insieme al marito Piero, altra vittima incolpevole dell’amianto. «Mio marito lavorava in fonderia presso una grande multinazionale di Carmagnola dove ha contratto un mesotelioma che gli ha causato la morte. Abbiamo chiesto all’Inail di ottenere il risarcimento ma l’ha rifiutato». Non riesce a trattenere le lacrime la signora mentre rivive i momenti a fianco del marito malato: «Ha iniziato a star male nel 2017, gli è stato diagnosticato un tumore inaspettato e il medico ci ha detto che gli sarebbero rimasti due anni di vita, è morto fra atroci sofferenze, ci siamo amati fino all’ultimo respiro». Giovanna, ha lavorato a fianco del suo amato Piero per tanti anni e sa bene come venivano trattati i lavoratori: «Per mio marito la fabbrica era la sua casa, i colleghi erano i suoi fratelli ma sono morti uno dopo l’altro - ricorda -, sono morte centinaia di persone che lavoravano ai forni come lui, ma la proprietà non ci ha mai avvisato che eravamo esposti a tali sostanze cancerogene e non ci ha fornito nessun tipo di protezione». La donna se la prende anche col sistema sanitario: «Con il sindacato Spresal abbiamo consegnato le cartelle all’Inail ma la direzione sanitaria di Cuneo non ha dato disposizioni sulla denuncia della malattia, l’Inail e la Sanità non si parlano, invece tutti gli ospedali dovrebbero segnalare subito i casi di mesoteliomi che sono tumori tipici dell’amianto. Un altro grosso problema - aggiunge - sono i medici di famiglia che non sanno neppure che esistano le tabelle dell’Inail».

Il dramma delle vittime di amianto è molto più diffuso di quanto si possa pensare, tanto più a Torino e in Piemonte dove l’amianto veniva utilizzato in numerose fabbriche presenti sul territorio. «A Torino e provincia ci sono centinaia di persone che non sanno di poter essere risarcite» sottolinea l’avvocato Laura D’Amico, titolare dello studio legale. «È doveroso - aggiunge l’avvocato - che queste persone possano condurre una vita serena, almeno a livello economico, dopo quello che hanno patito».


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