martedì 4 agosto 2015

4 agosto - Know Yuor Rights: la contro/informazione su salute e sicurezza



SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!

NEWSLETTER N. 222 DEL 03/08/15


NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE


PRIME OSSERVAZIONI A PROPOSITO DELLE REVISIONE DELLE FORME CONTRATTUALI E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO DERIVANTI DAL “JOBS ACT”
1
IL DANNO DIFFERENZIALE IN CASO DI INFORTUNIO O DI MALATTIA PROFESSIONALE
2
TURNI NOTTURNI: ECCO TUTTI I DANNI CHE CAUSANO
4
AGRICOLTURA E NORMATIVA DI SICUREZZA
7
LA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE SUI CAMPI ELETTROMAGNETICI
9
STORIE DI INFORTUNIO: UNA STORIA DI ORDINARIA SCHIAVITU’
12
ALBERGHI: LE NUOVE DISPOSIZIONI DI PREVENZIONE INCENDI
15



PRIME OSSERVAZIONI A PROPOSITO DELLE REVISIONE DELLE FORME CONTRATTUALI E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO DERIVANTI DAL “JOBS ACT”

Da Portale Consulenti
27 luglio 2015
di Chiara Lazzari

Partendo dal “Working Paper” di Olympus scaricabile all’indirizzo:
segnaliamo le prime osservazioni a proposito della revisione delle forme contrattuali e sicurezza sul lavoro a seguito dei Decreti attuativi del cosiddetto “Jobs Act”.

Il documento di Olympus mira a verificare come la revisione delle forme contrattuali, realizzata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015 emanato in attuazione della Legge n. 183 del 2014 (il cosiddetto “Jobs Act”) incida sulle questioni relative alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, soffermando in particolare l’attenzione sulle criticità prodotte dal recente intervento legislativo e sulla sua conformità rispetto all’ordinamento comunitario.

Da pochi giorni è stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo n. 81 del 2015, recante disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1, comma 7 della Legge n. 183 del 2014.

Trattasi di un provvedimento che si inserisce in quell’ambizioso percorso di profonda trasformazione del diritto del lavoro italiano che va sotto il nome di “Jobs Act”, attorno al quale si stanno affaticando la dottrina giuslavoristica e il mondo politico e sindacale, per l’evidente estensione del raggio d’azione dell’intervento riformatore, oltre che per il suo carattere dirompente rispetto allo status quo.

Peraltro, obiettivo delle pagine del documento di Olympus non è quello di condurre una riflessione, ad ampio spettro, su dove vada “il diritto del lavoro ai tempi del renzismo”, ma quello, più circoscritto, di comprendere in che termini tale direzione di marcia impatti sulle questioni della salute e sicurezza sul lavoro. Segnatamente, si vuole qui verificare se la revisione delle forme contrattuali, realizzata dal citato Decreto Legislativo in attuazione, introduca elementi migliorativi, o peggiorativi, nel grado di tutela garantito dall’ordinamento al diritto alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori, ovvero lo lasci inalterato.

E ciò sull’evidente presupposto che lo “scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo”, enunciato nel menzionato articolo 1, comma 7 della Legge n. 183/14, non può certamente essere perseguito in dispregio delle esigenze di tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Il documento “Prime osservazioni a proposito di revisione delle forme contrattuali e sicurezza sul lavoro” del portale Olympus è scaricabile all’indirizzo:



IL DANNO DIFFERENZIALE IN CASO DI INFORTUNIO O DI MALATTIA PROFESSIONALE

Da FILCAMS CGIL Lombardia

L’obiettivo principale della nostra attività, così come di quella dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, è la prevenzione. Identificare i rischi per l’integrità fisica e la salute dei lavoratori e proporre soluzioni per prevenirli migliorando ambienti e metodi di lavoro.
La prevenzione dovrebbe essere al centro dell’interesse degli stessi datori di lavoro, ma a volte questo non capita tant’è che infortuni più o meno gravi, malattie professionali e inidoneità dovute all’attività lavorativa sono all’ordine del giorno.

Quando un lavoratore subisce un infortunio o acquisisce una malattia professionale, inizia per lui il non facile tentativo di farsi riconoscere il danno dall’INAIL.
Gli indennizzi che INAIL riconosce nono sono gli unici che il lavoratore può richiedere. Infatti, l’indennizzo dell’INAIL risponde alla funzione sociale di garantire mezzi adeguati al lavoratore oggetto d’infortunio o malattia professionale.
Qualora però le motivazioni dell’infortunio o della malattia professionale possano essere riconducibili a una colpa o un’omissione nel predisporre misure di prevenzione da parte del datore di lavoro, il lavoratore può richiedere al datore di lavoro un ulteriore indennizzo: il cosiddetto “danno differenziale”.
Il “danno differenziale” è rappresentato da quelle componenti di danno alla salute di un cittadino che abbia subito un infortunio sul lavoro o soffra di una malattia professionale che non sono soddisfatte dall’intervento dello Stato (articolo 38 della Costituzione), attraverso l’assicurazione INAIL.
Schematicamente quindi:
Danno differenziale = Risarcimento civilistico – Indennizzo INAIL.

Anche dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.38 del 2000, che ha ampliato l’intervento indennitario dell’INAIL estendendolo al danno biologico, sussiste comunque un danno biologico differenziale tutelabile nei confronti del responsabile dell’infortunio o della malattia.
Le prestazioni erogate dall’INAIL, infatti, sono per la loro specifica natura indipendenti dall’esistenza di un illecito civile e non coprono componenti fondamentali di danno quali:
-         il danno biologico temporaneo;
-         il danno morale;
-         il danno biologico permanente fino al 5% compreso;
-         il danno biologico da morte;
-         il danno esistenziale.

Inoltre le tabelle INAIL per il danno biologico non ne esauriscono il ristoro in quanto vi è o può esservi la differenza ai fini risarcitori tra danno alla salute e danno biologico tabellato, ovvero tra una valutazione prettamente individuale dei pregiudizi che la menomazione ha cagionato e quella statica, con indici fissi generalizzati e quindi suscettibili di una “personalizzazione standardizzata”.

Ne consegue che, sulla base di tale normativa e in considerazione della diversa natura delle prestazioni INAIL, in caso d’infortunio sul lavoro o di malattia professionale rispetto al risarcimento del danno dell’infortunato, spetta al lavoratore il diritto di agire in giudizio onde ottenere il risarcimento del danno cosiddetto “differenziale” dal datore di lavoro in relazione all’ipotesi in cui l’ammontare del danno, liquidato secondo gli ordinari criteri civilistici, sia d’importo superiore alla liquidazione in capitale o alla rendita erogata dall’INAIL.

E’ necessario tutelare il danno differenziale, poiché:
-         limitare l’intervento delle organizzazioni sindacali, attraverso i patronati, alla sola tutela previdenziale, significa precludere ai lavoratori vittime d’infortunio o di una malattia professionale, dovuto a responsabilità di terzi, di vedere soddisfatti diritti primari previsti dalla stessa Costituzione (articolo 32);
-         parlare di prevenzione senza preoccuparsi di sanzionare i comportamenti scorretti del datore di lavoro è una contraddizione in termini;
-         la tutela risarcitoria è strettamente collegata all’obiettivo della prevenzione.

Troppo spesso i lavoratori in caso d’infortunio o di malattia professionale ritengono che sia sufficiente ricevere il riconoscimento dell’INAIL e non sanno che la legge prevede la possibilità per loro di rivalersi anche contro chi è responsabile del danno subito.
I servizi della CGIL, INCA Uffici Vertenze hanno le capacità e le competenze per intervenire sulla materia e fornire assistenza ai lavoratori, ma non sempre RLS/RSA e i lavoratori sono informati di tali possibilità.

Il risarcimento a fronte di un danno subito non è questione solo individuale, ma riguarda tutti, perché se chi non ha investito in prevenzione si ritrova a risarcire in modo ricorrente i danni provocati prima o poi considererà l’opportunità di cambiare politica e di rispettare finalmente l’articolo 2087 “Tutela delle condizioni di lavoro” del Codice Civile: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.



TURNI NOTTURNI: ECCO TUTTI I DANNI CHE CAUSANO

TURNI NOTTURNI: ECCO TUTTI I DANNI CHE CAUSANO

Da La Schiavitù del Lavoro

Lo sai che lavorando durante le ore notturne il tuo cervello invecchia precocemente?

In Europa ben 1 lavoratore su 5 svolge le sue mansioni durante la notte, questo lo sottopone con maggiore probabilità rispetto ad un lavoratore “diurno” a patologie come il diabete, l’obesità, all’aggravarsi di problemi digestivi e malattie cardiovascolari, a depressione frequente e a una grave carenza di vitamina D, per l’insufficiente esposizione alla luce solare.

Il lavoratore notturno è costretto al riposo durante le ore solari, questo scombussola enormemente il naturale ciclo del sonno/veglia, causando spesso nel lavoratore insonnia, costringendolo cosi a ricorrere a psicofarmaci e sedativi per recuperare il sonno perduto.

I danni causati dal lavoro notturno non finiscono qui, poiché colpiscono anche il metabolismo che viene a sua volta sconvolto nei suoi ritmi circadiani naturali, noti anche come “orologio biologico”.

Le capacità mentali di un lavoratore che per 10 anni ha svolto i turni notturni, vengono drasticamente ridotte: Una ricerca franco-gallese che ha pubblicato i suoi risultati sul giornale Occupational and Environmental Medicine, ha evidenziato che il cervello del lavoratore notturno, che ha svolto questi turni per 10 anni consecutivi, è invecchiato di ben 6 anni e mezzo, rispetto al cervello di un lavoratore diurno.

In conclusione, la notte è fatta per dormire! Perché un conto è fare le ore piccole nel weekend, un’altro è farlo ossessivamente per 5 giorni la settimana...

Daniele Reale

* * * * *

TURNI DI NOTTE: ECCO I DANNI CHE IL NOSTRO CERVELLO SUBISCE NEL TEMPO.

Da Notizie dal web

I danni dei turni sul lavoro: nei turni di notte il cervello invecchia più in fretta.

Chi per più di dieci anni ha lavorato di notte ha una capacità mentale paragonabile a quella di un individuo più vecchio di sei anni e mezzo. Ma il processo è reversibile.

Il cervello di una persona impegnata in turni notturni o comunque in orari anomali, quindi sottoposta a un’alterazione del naturale ritmo sonno/veglia, invecchia più velocemente. E’ questa la conclusione alla quale è giunta una ricerca franco-gallese che sottolinea però che con l’arresto dell’attività notturna si può assistere a un netto miglioramento della salute cerebrale.

I ricercatori hanno sottoposto tremila volontari a test di memoria, di velocità di pensiero e di abilità cognitiva. I risultati, pubblicati sul giornale Occupational and Environmental Medicine, dimostrano che chi per più di dieci anni ha svolto una professione notturna ha una capacità mentale paragonabile a quella di un individuo più vecchio di sei anni e mezzo. La buona notizia è che quando una persona cessa di lavorare di notte, il suo cervello riprende progressivamente ad allinearsi all’età biologica, benché questo richieda cinque anni di tempo. La scoperta di questa capacità rigenerativa del cervello potrebbe avere importanti conseguenze nella cura della demenza, condizione nota per danneggiare il sonno di chi ne soffre.

La ricerca dei due atenei è soltanto l’ultima a investigare gli effetti nocivi della mancanza di sonno. Precedenti studi, infatti, avevano sottolineato i gravi rischi per la salute legati ai turni in generale e in particolare a quelli notturni. Uno dei più ampi, pubblicato nel 2012 e condotto da un team canadese-norvegese su più di due milioni di persone, ha rilevato che tra i lavoratori che seguono i turni si registra una crescita del 23 per cento dei rischi di infarto, un aumento del 24 per cento di eventi coronarici e un 5 per cento in più di incidenza di ictus rispetto ai lavoratori normali. Ancora peggio la situazione di chi i turni li fa di notte e si ritrova a fronteggiare un rischio di patologie cardiovascolari aumentato del 41 per cento. Uno studio della University of Pennsylvania portato avanti su cavie da laboratorio ha evidenziato la morte del 25 per cento delle cellule di alcune aree cerebrali a seguito di una prolungata mancanza di sonno. Infine nel 2007 l’International Agency for Research on Cancer definì il lavoro notturno come un possibile agente cancerogeno.

Nell’impossibilità di eliminare la turnazione lavorativa l’unica risposta possibile appare essere una maggiore sensibilizzazione dei lavoratori che dovrebbero sottoporsi a frequenti controlli medici e prestare maggiore attenzione a eventuali sintomi patologici.

* * * * *

LAVORARE CON I TURNI: CONSEGUENZE SULLA SALUTE E SULL’ALIMENTAZIONE

Da: The European Food Information Council

I moderni stili di vita, in particolare i lavori con i turni, hanno modificato molto i ritmi quotidiani della vita. Questi cambiamenti causano dei danni alla salute? Si possono prendere delle misure preventive per i datori di lavoro e per i lavoratori?

In Europa circa un lavoratore su cinque ha un lavoro a turni. Questo tipo di impiego non segue il convenzionale periodo lavorativo diurno di 8 ore, bensì è caratterizzato da turni notturni, turni a rotazione oppure da ore di lavoro irregolari. Se paragonati con individui che lavorano le tipiche 8 ore diurne, i soggetti che lavorano a turni presentano un maggiore rischio di alcune patologie, quali l’obesità, il diabete tipo 2, malattie cardiovascolari, problemi digestivi, disordini del sonno, depressione e carenza di vitamina D (per la ridotta esposizione alla luce del sole). Ad esempio, il lavoro in turni notturni è collegato ad un aumento del 40% delle malattie alle coronarie. Ma perché il lavoro a turni può causare questi effetti negativi per la salute?

Alcuni di questi problemi di salute possono essere in parte dovuti allo stile di vita e ad abitudini alimentari irregolari conseguenti al lavoro a turni, ma dipendono anche da profonde alterazioni del metabolismo. Il lavoro notturno va essenzialmente contro i ritmi circadiani dell’organismo umano, noti anche come “orologio biologico”, che sono un insieme di fluttuazioni fisiologiche all’interno delle 24 ore che sono soggette alla luce solare e alla temperatura. Uno studio recente ha mostrato che un ridotto riposo notturno per periodi prolungati e la rottura dei ritmi circadiani alterano il metabolismo, riducono il metabolismo a riposo (consumo dell’energia basale), aumentano i livelli ematici di glucosio (zucchero), in conseguenza di un’inadeguata risposta all’insulina dopo un pasto, e aumentano inoltre il rischio di obesità e di diabete. In aggiunta anche lo stress psico-sociale e l’inattività fisica possono contribuire ad alterare il metabolismo.

Il lavoro a turni può modificare la distribuzione di energia nel corso della giornata. Chi lavora con i turni tende a fare dei frequenti spuntini piuttosto che dei pasti completi, anche se questo non sembra influenzare l’energia totale assunta. Sono pochi gli studi che hanno valutato con attenzione l’apporto dei nutrienti e l’impatto del numero di spuntini. I fattori che influiscono principalmente sul consumo alimentare sono la mancanza della routine dei pasti con familiari e amici, mangiare da soli, la qualità degli alimenti e delle mense. Inoltre, durante il lavoro il tempo per il pasto non è mai la priorità e può sottostare a problemi di personale e di orari.

E’ necessario effettuare ricerche più approfondite per conoscere il rapporto tra orologio biologico e stile di vita e metabolismo dei lavoratori a turni. Un nuovo progetto dell’UE, il progetto EuRhythDia, avrà il compito di indagare sulle conseguenze delle modificazioni dello stile di vita (dieta, esercizio, esposizione alla luce e assunzione di melatonina).

E’ difficile formulare delle raccomandazioni dietetiche per i lavoratori a turno, ma è possibile identificare delle linee guida generali per datori di lavoro e lavoratori per promuovere degli stili di vita sani, oltre al concetto generale di un’alimentazione sana e una corretta gestione della fatica.

Negli ambienti lavorativi si deve sviluppare una strategia nutrizionale che permetta di effettuare scelte salutari di alimenti e bevande in un ambiente tranquillo.
Gli orari dei turni devono essere formulati per permettere ai lavoratori di avere un tempo adeguato tra i turni per mantenere uno stile di vita salutare, con dei pasti regolari e degli adeguati tempi per l’esercizio fisico e per il riposo.
I lavoratori a turni dovrebbero cercare di avere un ritmo di assunzione di alimenti il più possibile normale. Evitare di mangiare, o cercare di assumere una ridotta quantità di energia, nel periodo che va da mezzanotte alle sei del mattino; e cercare di mangiare all’inizio e alla fine del turno. Ad esempio, chi lavora nel turno del pomeriggio dovrebbe assumere il pasto principale nel mezzo della giornata, piuttosto che a metà del turno. Chi lavora di notte dovrebbe mangiare il pasto principale prima di iniziare il turno, alla solita ora di cena. Fare la colazione prima di andare a letto di giorno evita che ci si possa risvegliare per la fame. Tuttavia, questa prima colazione deve essere leggera, una colazione troppo pesante (effettuata 1 o 2 ore prima di coricarsi) può rendere difficoltoso prendere sonno.
Bere regolarmente aiuta a prevenire la disidratazione che può aumentare la sensazione di fatica.
Sostanze stimolanti come la caffeina possono rimanere nell’organismo diverse ore dopo l’assunzione e possono aumentare la vigilanza e pertanto interferire con il sonno. Se i turnisti sentono la necessità di caffeina durante il loro turno, devono cercare di assumerla all’inizio del turno per passare con il progredire del turno a bevande senza caffeina. Infine è bene evitare di assumere alcool per riuscire ad addormentarsi.



AGRICOLTURA E NORMATIVA DI SICUREZZA

Da Articolo 19 (Città Metropolitana)
di Leopoldo Magelli

Tra le tante cose umoristiche e improbabili che si sentono dire a proposito del D.Lgs.81/08 sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, una delle più incredibili è l’affermazione che tale normativa non si applica alle aziende agricole, ovvero che il mondo dell’agricoltura non ricade sotto la citata normativa.
Non si capisce in base a quali elementi e considerazioni qualcuno proponga una simile interpretazione. Ad ogni buon conto, è bene spiegare, con puntuali riferimenti, perché è esattamente il contrario e anche tutte le attività agricole ricadono sotto le disposizioni del citato D.Lgs.81/08.

In realtà, basterebbe leggere l’articolo 3 (campo di applicazione) comma 1: “Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”.
Al comma 2 dello stesso articolo vengono poi elencate le attività escluse, oppure quelle cui il decreto si applica con modalità particolari, e tra queste non rientrano le attività agricole. Un richiamo alle attività agricole lo troviamo invece al comma 13, che in effetti prevede alcune modalità particolari per le aziende agricole, ma solo in ordine agli obblighi di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria: “In considerazione della specificità dell’attività esercitata dalle imprese medie e piccole operanti nel settore agricolo, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nel rispetto dei livelli generali di tutela di cui alla normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, e limitatamente alle imprese che impiegano lavoratori stagionali ciascuno dei quali non superi le cinquanta giornate lavorative e per un numero complessivo di lavoratori compatibile con gli ordinamenti colturali aziendali, provvede ad emanare disposizioni per semplificare gli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal presente decreto, sentite le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative del settore sul piano nazionale. I contratti collettivi stipulati dalle predette organizzazioni definiscono specifiche modalità di attuazione delle previsioni del presente decreto legislativo concernenti il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nel caso le imprese utilizzino esclusivamente la tipologia di lavoratori stagionali di cui al precedente periodo”.
E’ evidente che, se all’articolo 13 si stabiliscono della clausole specifiche per informazione, formazione e sorveglianza sanitaria per il settore agricolo, ciò significa senza la minima ombra di dubbio che il D.Lgs.81/08 si applica anche al settore agricolo, (solo per opportuna informazione, il suddetto Decreto Ministeriale applicativo è stato emanato il 27 marzo 2013).

Quindi, tutte le regole generali di cui al titolo I del D.Lgs.81/08, dalla valutazione dei rischi alla programmazione e realizzazione degli interventi preventivi e protettivi, dalla attivazione del Servizio di Prevenzione e Protezione e del suo Responsabile alla nomina del medico competente, dalla formazione alla sorveglianza sanitaria, dalla riunione periodica alla consultazione dei Rappresentanti di Lavoratori per la Sicurezza, ecc., si applicano senza se e senza ma anche alle aziende agricole.
E così pure tutti gli altri titoli, dall’uso delle attrezzature e dei Dispositivi di Protezione Individuali (ad esempio nell’allegato V sui requisiti di sicurezza delle attrezzature, alla parte II, punto 2, si parla di attrezzature di lavoro mobili, semoventi e non, ad esempio trattori, dal punto 5.13.8 al punto 5.13.11 si parla di trebbiatrici, ecc.), dalla movimentazione dei carichi agli agenti fisici, dagli agenti biologici alle sostanze pericolose, si applicano pienamente anche alle aziende agricole.

Qualche cosa di più specifico va detto relativamente alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro: se è vero che (Titolo II, Capo I, articolo 62, comma 2: “le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano [...]ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un’azienda agricola o forestale”, è altrettanto vero che al contrario si applicano pienamente agli altri locali chiusi di lavoro e comunque pertinenti al lavoro, nonché ad altre caratteristiche “logistiche” dei luoghi di lavoro. Infatti (anche se molti passaggi appaiono ormai desueti e di interesse più storico che attuale) il punto 6 dell’Allegato IV (Requisiti dei luoghi di lavoro) porta come titolo “Disposizioni relative alle aziende agricole”, e come capoversi:
-         abitazioni e dormitori;
-         dormitori temporanei;
-         acqua;
-         acquai e latrine;
-         stalle e concimaie;
-         mezzi di pronto soccorso e profilassi.

Da ultimo, riprendendo quel fondamentale processo di prevenzione che è la valutazione dei rischi, ovviamente devono essere prese in considerazione tutte le diverse attività svolte, sia all’esterno che nei locali di lavoro (ad esempio da imprese agroalimentari), in tutte le loro componenti di rischio, inclusi i rischi legati all’organizzazione del lavoro, alle modalità operative, all’uso di macchine diverse, alle operazioni di carico e scarico, ai problemi posturali, ergonomici, di movimentazione dei carichi, all’uso dei Dispositivi di Protezione Individuali e alle procedure di sicurezza, ecc.: esattamente come in tutte e altre aziende!
Naturalmente, va presa attentamente in esame la presenza di lavoratori stranieri, con tutte le necessarie ricadute in termini di formazione, addestramento, ecc.



LA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE SUI CAMPI ELETTROMAGNETICI

Da: PuntoSicuro
28 luglio 2015
di Tiziano Menduto

Un intervento affronta l’esposizione e le misurazione dei campi elettromagnetici nei luoghi di lavoro e presenta una breve rassegna delle principali normative dal D.Lgs.81/08 alla Direttiva 2013/35/UE e degli obblighi del datore di lavoro.

In questi ultimi vent’anni è aumentata sempre più la sensibilizzazione sulle conseguenze dell’esposizione dell’uomo ai campi elettromagnetici. Sensibilizzazione che è andata di pari passo con l’attenzione del legislatore: se le prime norme erano specifiche solo per alcuni campi di applicazione e per precisi valori di frequenza, ora la normativa comprende tutta la gamma di radiazione elettromagnetica.

Proprio per poter fare una breve rassegna della normativa correlata ai campi elettromagnetici, ci soffermiamo oggi su un intervento che si è tenuto al seminario “Campi elettromagnetici negli ambienti di lavoro” promosso da Assoservizi e Unindustria Rimini, in collaborazione con Elettroprogetti.

L’intervento “Esposizione dei lavoratori, valutazioni e misure, Esempi pratici in alcuni ambienti di lavoro”, a cura degli ingegneri Marco Moretti e Fabio Melucci, non solo riporta utili indicazioni sulla strumentazione per la valutazione dei campi elettromagnetici, sull’individuazione delle sorgenti e sull’esecuzione delle misurazioni, ma presenta le principali normative sui campi elettromagnetici.

La Raccomandazione del Consiglio europeo del 12 luglio 1999 (1999/519/CE), relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz, specifica dei valori limiti di base (Valori limite di esposizione) basati direttamente sugli effetti sulla salute accertati e su considerazioni biologiche di meccanismi di accoppiamento tra i campi ed il corpo, i quali si manifestano con un assorbimento di energia elettromagnetica da parte dell’individuo.
Le grandezze fisiche che si utilizzano sono grandezze cosiddette dosimetriche cioè che sono direttamente estrapolate dall’organismo.
Le principali di queste sono:
-         tasso specifico di assorbimento di energia (SAR);
-         densità di corrente indotta (Is).
Essendo le grandezze dosimetriche e esposimetriche non misurabili, la Raccomandazione prescrive anche i livelli di riferimento (valori di azione) di grandezze direttamente misurabili espressi in termini di:
-         intensità di campo elettrico E (V/m);
-         intensità di campo magnetico H (A/m);
-         induzione magnetica B (T);
-         densità di potenza ad onda piana equivalente Seq (W/m2).
E dunque il rispetto di tutti i livelli di riferimento raccomandati garantisce il rispetto dei limiti di base.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8 luglio 2003 è relativo alla fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz.
Dunque anche in questo caso vengono fissati:
-         limiti di esposizione (sono valori definiti ai fini della tutela della salute da effetti acuti che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori);
-         valori di attenzione (sono valori che non devono essere superati negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate);
-         obiettivi di qualità (sono valori definiti dallo Stato ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione ai campi).

Invece con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8 luglio 2003 sono fissati i limiti di esposizione e i valori di attenzione, per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) connessi al funzionamento ed all’esercizio degli elettrodotti.
A tale proposito, il documento ricorda che non deve non deve essere superato il limite di esposizione di 100 µT per l’Induzione Magnetica e di 5 KV/m per il Campo Elettrico. A titolo di misura precauzionale per la protezione di possibili effetti a lungo termine nelle aree di gioco, in ambienti scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze non inferiori alle 4 ore si assume il valore di 10 µT da intendersi come mediana dei valori nell’arco delle 24 ore nelle normali condizioni di esercizio.
E viene posto un obiettivo di qualità: ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione ai campi generati da elettrodotti operanti alla frequenza di 50 Hz viene fissato l’obiettivo di qualità di 3 µT inteso sempre come mediana dei valori nell’arco delle 24 ore.

Veniamo ora al Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, il Decreto legislativo n.81 del 9 Aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni.

Dopo aver ricordato che il campo di applicazione (specificato all’articolo 206 del Decreto) è per frequenze da 0 Hz a 300 GHz, vengono riportate diverse definizioni e informazioni sull’identificazione dell’esposizione e valutazione dei rischi (ai sensi dell’articolo 209 del Decreto).

Riprendiamo qualche indicazione dell’articolo 210 relativo alle misure di prevenzione e protezione.
Secondo l’articolo 210 se, a seguito della valutazione dei rischi, risulti che i valori di azione sono superati, il datore di lavoro elabora e applica un programma d’azione che comprende misure tecniche e organizzative intese a prevenire esposizioni superiori ai valori limite di esposizione, ad esempio con riferimento a:
-         altri metodi di lavoro che implicano una minore esposizione ai campi elettromagnetici;
-         scelta di attrezzature che emettano campi elettromagnetici di intensità inferiore, tenuto conto del lavoro da svolgere;
-         misure tecniche per ridurre l’emissione dei campi elettromagnetici, incluso se necessario l’uso di dispositivi di sicurezza, schermature o di analoghi meccanismi di protezione della salute;
-         appropriati programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi e delle postazioni di lavoro;
-         progettazione e struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro;
-         limitazione della durata e dell’intensità dell’esposizione;
-         disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale.
E si ricorda che in nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai valori limite di esposizione.

Veniamo infine alla Direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013 che dà le disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici). La Direttiva non affronta gli effetti a lungo termine derivanti dall’esposizione a campi elettromagnetici, dal momento che non si dispone attualmente di prove scientifiche accertate dall’esistenza di una relazione causale.
In particolare la Direttiva stabilisce le prescrizioni minime, lasciando quindi agli Stati membri la facoltà di mantenere o di adottare disposizioni più favorevoli in materia di protezione dei lavoratori, in particolare fissando valori inferiori per i Livelli di Azione (LA) o i Valori Limite di Esposizione (VLE) per i campi elettromagnetici. L’attuazione della Direttiva non dovrebbe tuttavia giustificare un regresso rispetto alla situazione esistente in ciascuno Stato membro.

L’intervento ricorda poi che è opportuno che i datori di lavoro siano tenuti ad assicurare che i rischi derivanti dai campi elettromagnetici sul luogo di lavoro siano eliminati o ridotti al minimo. E’ tuttavia possibile che, in casi specifici e in circostanze debitamente giustificate, i VLE stabiliti nella Direttiva siano superati solo in via temporanea. In tal caso i datori di lavoro dovrebbero prendere le misure necessarie per ripristinare quanto prima il rispetto dei VLE.

Riguardo alla Direttiva 2013/35/UE l’intervento riporta le molte definizioni rilevanti contenute, ad esempio in relazione agli effetti, ai livelli d’azione LA (livelli stabiliti per semplificare il processo di dimostrazione della conformità ai pertinenti VLE o, eventualmente, per prendere le opportune misure di protezione o prevenzione) e ai valori limite d’esposizione VLE (i VLE relativi agli effetti sanitari, sono i valori di esposizione al di sopra dei quali i lavoratori potrebbero essere soggetti a effetti nocivi per la salute, quali il riscaldamento termico o la stimolazione del tessuto nervoso o muscolare, mentre i VLE relativi agli effetti sensoriali, sono i valori di esposizione al di sopra dei quali i lavoratori potrebbero essere soggetti a disturbi temporanei delle percezioni sensoriali e a modifiche minori delle funzioni cerebrali).

Inoltre si ricorda che con la Direttiva gli Stati membri dispongono che il datore di lavoro assicuri che l’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici sia limitata ai VLE relativi agli effetti sanitari e ai VLE relativi agli effetti sensoriali di cui all’allegato II, per gli effetti non termici, e di cui all’allegato III, per gli effetti termici. Il rispetto dei VLE relativi agli effetti sanitari e dei VLE relativi agli effetti sensoriali deve essere dimostrato ricorrendo alle pertinenti procedure di valutazione dell’esposizione di cui all’articolo 4. Qualora l’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici superi il VLE, il datore di lavoro adotta misure immediate in conformità dell’articolo 5, paragrafo 8. E ai fini della Direttiva, ove sia dimostrato che i pertinenti LA di cui agli allegati II e III non sono superati, si considera che il datore di lavoro rispetta i VLE relativi agli effetti sanitari e i VLE relativi agli effetti sensoriali.

Ricordiamo per concludere che la Direttiva 2013/35/UE, che abroga la precedente Direttiva 2004/40/CE, deve essere recepita dagli Stati membri entro il 1° luglio 2016 e stabilisce che i riferimenti alla Direttiva abrogata si intendono fatti alla Direttiva 2013/25/UE, secondo le tavole di concordanza riportate in allegato IV.
Dunque con la pubblicazione prima della Direttiva 2012/11/UE e poi della Direttiva 2013/35/UE sono stati modificati i termini di entrata in vigore delle disposizioni relative al Titolo VIII (Agenti Fisici), capo IV (Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici) del D.Lgs.81/08: entrata in vigore che è spostata al 1° luglio 2016.

In ogni caso, in attesa della riformulazione del Titolo VIII, Capo IV del D.Lgs.81/08, ai fini del recepimento della nuova Direttiva rimane valido il principio generale (ai sensi degli articoli 28 e 181 del D.Lgs.81/08) che impegna il datore di lavoro alla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza con riferimento anche a quelli derivanti dalle esposizioni a campi elettromagnetici.

Il documento “Esposizione dei lavoratori, valutazioni e misure, Esempi pratici in alcuni ambienti di lavoro”, a cura degli ingegneri Marco Moretti e Fabio Melucci, è scaricabile all’indirizzo:



STORIE DI INFORTUNIO: UNA STORIA DI ORDINARIA SCHIAVITU’

Da: PuntoSicuro
28 luglio 2015
        
Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.

Il Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (Dors) raccoglie storie d’infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione. In questa storia, dal titolo “Io sono Cheng: una storia di infortunio di ordinaria schiavitù” (a cura di Marcello Libener, Servizio PreSAL della ASL Alessandria), durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente del 46%.

CHE COSA E’ SUCCESSO
Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente del 46%.

CHI E’ STATO COINVOLTO
Cheng è un operaio cinquantenne di origine cinese che vive in Italia da cinque anni. Da quando è emigrato ha sempre lavorato presso un piccolo laboratorio della pietra come addetto al taglio.
Conosce pochissime parole di Italiano, ma il lavoro che svolge, di tipo manuale e perlopiù individuale, non prevede grossi scambi con colleghi e superiori e non necessita quindi di un vocabolario molto articolato. Inoltre, il rumore assordante e la diversa provenienza dei lavoratori (Marocco e Cina) complicano ulteriormente la comunicazione durante le ore di lavoro.

DOVE E QUANDO
L’infortunio è avvenuto in provincia di Torino, nell’autunno del 2008, in un piccolo laboratorio di lavorazione della pietra.

COME
La denuncia di infortunio pervenuta al Servizio PreSAL riportava una dinamica di accadimento non molto chiara:
“Mentre tranciava una pietra inavvertitamente si feriva alla mano...”.
Nel corso di un primo sopralluogo in azienda, il datore di lavoro della ditta aveva riferito che l’evento era avvenuto in un piazzale dello stabilimento, dove operano gli scalpellini che preparano i blocchi di pietra per il successivo trancio, in un’area priva di macchinari.
Dai primi accertamenti pareva quindi che l’infortunio fosse avvenuto per pura accidentalità: il lavoratore che si era dato una martellata sulle mani...
Non è stato facile mettersi in contatto con Cheng, trasferitosi nel frattempo in un’altra provincia, ma quando si è potuto sentire la versione dell’infortunato e dei suoi colleghi, si è riusciti ricostruire la vera dinamica dell’infortunio.
Il laboratorio in cui è avvenuto l’infortunio svolge attività di lavorazione della pietra. In particolare la lavorazione parte da blocchi in pietra naturale, da cui vengono prodotte lastre, cordoli, cubetti o quanto richiesto dal cliente. La creazione dei cubetti avviene mediante presse tranciatrici, dette anche “cubettatrici”, macchine dotate di due lame semoventi che spezzano i blocchi di pietra in elementi di più piccole dimensioni.
Cheng, operaio addetto a una pressa cubettatrice, il giorno dell’infortunio, come d’abitudine, stava procedendo alla realizzazione dei cubetti mediante una vecchia tranciatrice, quando ha subito una ferita alla mano destra per schiacciamento fra un blocchetto in pietra e la lama superiore della macchina. L’infortunato è stato portato al Pronto Soccorso, quindi trasportato al CTO di Torino, dove è stato sottoposto a ripetuti interventi chirurgici alla mano. In seguito all’infortunio, Cheng ha recuperato solo in parte l’utilizzo della mano.
“Quando mi sono fatto male, i miei colleghi cinesi sono venuti ad aiutarmi. L’altro mio collega arabo ha telefonato al capo. Dopo circa due ore, il mio capo è arrivato e mi ha portato in ospedale a Pinerolo.
Adesso non riesco più a muovere la mano e il polso lo muovo poco perché mi fa ancora male”.

PERCHE’
L’infortunio di Cheng è potuto accadere in quanto la macchina tranciatrice al momento dell’infortunio non garantiva un sufficiente grado di sicurezza: la lama superiore, attivata dal comando a pedale, scendeva sul banco di lavoro anche senza il consenso delle fotocellule che intercettano la presenza delle mani dell’operatore (dotate di guanti con catarifrangenti) nell’area di sicurezza.
Il malfunzionamento del sistema di sicurezza, che evita lo schiacciamento delle mani da parte degli elementi mobili della macchina, potrebbe essere stato determinato dai seguenti motivi:
-         mancanza o insufficienza di interventi di controllo periodici o straordinari, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dal fabbricante, necessarie a verificare le buone condizioni di sicurezza della macchina;
-         mancata o insufficiente manutenzione sulla macchina tranciatrice volta a garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza previsti dal costruttore; in azienda non era presente il libretto d’uso e manutenzione della macchina e non vi era alcun registro comprovante gli interventi di controllo e di manutenzione sulle macchine;
-         eventuale manomissione del sistema di sicurezza costituito da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente, che potrebbe determinare la possibilità di operare senza l’utilizzo dei guanti dotati di catarifrangente.
In sintesi, l’azienda ha evidentemente privilegiato la velocità del lavoro a scapito della sicurezza; a tal proposito, Cheng ha riferito che:
“A volte, senza schiacciare il pedale, le lame si muovevano. Quando mi sono fatto male io non ho schiacciato il pedale, ma la lama è scesa... Avevo i guanti, ma senza il catarifrangente. Sulla mia macchina le fotocellule non funzionavano. Non hanno mai funzionato. Io usavo dei guanti senza catarifrangente... Avevo detto più volte al mio capo che la macchina non funzionava bene: la macchina qualche volta era stata aggiustata, ma le fotocellule non hanno mai funzionato”.
E’ stato inoltre sentito Lorenzo, un tecnico manutentore intervenuto subito dopo l’infortunio:
“Abbiamo verificato che a volte i coltelli, azionando il comando a pedale, scendevano anche senza posizionare i guanti con catarifrangente al di sotto delle fotocellule”.

COSA SI E’ APPRESO DALL’INCHIESTA
La macchina su cui è avvenuto l’infortunio presentava le seguenti situazioni di rischio:
-         il dispositivo di protezione della macchina, costituito da fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive) e guanti dotati di banda catarifrangente, sono facilmente eludibili in quanto permettono l’utilizzo di catarifrangenti generici che quindi possono essere posizionati in qualunque parte della mano o del braccio dell’operatore; a titolo di esempio, qualora l’addetto indossasse una giacca o qualsiasi indumento con bande catarifrangenti sulle maniche, il sistema potrebbe permettere la discesa della lama anche se le mani non si trovano in posizione di sicurezza;
-         il mancato funzionamento di elementi costituenti i dispositivi di sicurezza della macchina non impedisce l’avviamento o il movimento degli elementi mobili; in particolare, i dispositivi di sicurezza della macchina, costituiti da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente non sono di tipo intrinseco (al verificarsi del minimo guasto o anomalia la macchina dovrebbe fermarsi), contrariamente a quanto previsto dalle norme di buona tecnica (UNI EN), permettendo quindi alla macchina di essere azionata con il comando a pedale, anche in caso di guasto delle fotocellule.
Il fatto che in azienda non fosse reperibile il libretto d’uso e manutenzione della macchina oggetto dell’infortunio o documentazione comprovante interventi manutentivi effettuati, comprova che la tranciatrice non sia mai stata oggetto degli specifici interventi di manutenzione e controllo secondo modalità e frequenze previste dal costruttore. Tra le condizioni indispensabili per un corretto funzionamento della macchina riportate sul libretto d’uso, vi è anche la necessità di “controllare ogni sei mesi la funzionalità dei relé che vanno ad eccitare le elettrovalvole per evitare che i contatti si incollino e la lama salga o scenda in modo inatteso”.
Secondo Lorenzo, un tecnico manutentore:
“Potrebbe, al momento dell’infortunio, esserci stato un falso contatto o qualche anomalia di tipo elettrico che ha consentito la discesa del coltello anche senza il posizionamento dei guanti”.
Nel corso degli accertamenti è stato richiesto al datore di lavoro della ditta di visionare il documento di valutazione dei rischi, che è risultato però assente. L’azienda era passata recentemente di proprietà e c’era un documento a firma del titolare dell’azienda precedente, ma con contenuti generici.
Poiché la macchina oggetto dell’infortunio era marcata CE, e quindi rientrava nel campo di applicazione della cosiddetta “Direttiva Macchine”, sono state eseguite verifiche in merito alla rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, inviando le dovute comunicazioni alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato per le non conformità rilevate.
Nel corso delle indagini sono anche stati approfonditi aspetti inerenti la formazione dei lavoratori, verificando che gli stessi erano stati formati e informati sull’uso dei macchinari consegnando loro anche degli opuscoli scritti in cinese.

RACCOMANDAZIONI
In azienda devono essere messe a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro conformi alle specifiche disposizioni legislative, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere.
Specialmente quando si utilizzano macchine di non recente costruzione, per verificare se queste possano essere adeguate dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, è importante valutare tutti i rischi legati al loro utilizzo: rischi intrinseci della macchina, della lavorazione, e dell’ambiente in cui verrà utilizzata. Il compito principale della valutazione dei rischi è infatti quello di far emergere eventuali carenze antinfortunistiche e indicare quali misure di prevenzione e di protezione devono essere attuate per far fronte ai rischi, nonché l’elenco dei Dispositivi di Protezione Individuali da utilizzare.
E’ inoltre importante che sulle macchine venga svolta una corretta manutenzione secondo le modalità e periodicità indicati dal costruttore. Questo, oltre ad allungare la vita residua della macchina, può evitare che la macchina si comporti in modo inatteso, causando come nel caso in esame, un infortunio. E’ quindi fondamentale avere a disposizione il libretto d’istruzioni d’uso e manutenzione e conoscerne i contenuti.
Quando le macchine sono marcate CE, e quindi si rientra nella cosiddetta “Direttiva Macchine”, le verifiche di conformità devono riguardare anche la rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, eseguendo anche le necessarie comunicazioni alle Autorità nazionali di sorveglianza del mercato. Ricerche di mercato e normative, possono poi portare ad acquisire informazioni utili sull’attuale progresso tecnologico, nuovi sistemi di protezione delle macchine.
Nel caso di infortuni su attrezzature di lavoro non conformi, a fini prevenzionistici è importante verificare se in azienda ve ne siano di simili, al fine di prescrivere che queste vengano messe in sicurezza prima del loro utilizzo.
L’efficacia della formazione deve essere verificata non solo dal punto di vista formale (presenza degli attestati di formazione), ma anche sostanziale, acquisendo le testimonianze dai singoli lavoratori. Tale elemento risulta fondamentale specialmente nel caso di lavoratori stranieri che possono avere problemi di comprensione della lingua.
Una corretta gestione delle emergenze all’interno dell’azienda con l’individuazione e la formazione delle persone addette può a volte ridurre il danno. Specialmente nel caso di infortuni gravi è infatti fondamentale saper intervenire rapidamente e in modo corretto, ad esempio per fermare un’emorragia.
Il coinvolgimento dei diversi livelli dell’organizzazione aziendale (datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori) nella gestione delle problematiche relative alla sicurezza del lavoro, ha un effetto positivo sulla prevenzione. Responsabilizzare le varie figure aziendali porta a una maggiore consapevolezza del pericolo e alla volontà di affrontare i problemi anche per timore di eventuali responsabilità penali.
Nell’azienda in cui è avvenuto l’infortunio, nonostante le ripetute segnalazioni di malfunzionamento della macchina da parte del lavoratore, sia al datore di lavoro che al diretto superiore (preposto di fatto), non sono mai stati effettuati interventi risolutivi. In azienda non è mai stata data importanza alle segnalazioni o agli “incidenti”. Un’adeguata attenzione ai “near miss” (quasi infortuni) è di importanza fondamentale per ridurre l’incidenza infortunistica in qualsiasi realtà lavorativa.

ALBERGHI: LE NUOVE DISPOSIZIONI DI PREVENZIONE INCENDI

Da: PuntoSicuro
29 luglio 2015
di Tiziano Menduto

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto che contiene le disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50. Gli obiettivi e la gestione della sicurezza.

Come sempre in ritardo rispetto ai tempi preventivati e dopo le proroghe di questi ultimi anni, è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto del Ministero dell’interno del 14 luglio 2015 concernente le “Disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50”.

Il Decreto era stato già preannunciato dal comma 2 dell’articolo 11 del Decreto Legge n. 150 del 30 dicembre 2013, come modificato dalla Legge n. 15 del 27 febbraio 2014.
Questo il secondo comma dell’articolo 11 “Proroga di termini in materia di turismo” del Decreto Legge n. 150 del 30 dicembre 2013:
“Con Decreto del Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione del presente Decreto, si provvede ad aggiornare le disposizioni del citato Decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994, semplificando i requisiti ivi prescritti, in particolare per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a cinquanta posti letto”.
Dunque ampiamente in ritardo rispetto alle previsioni, il Decreto del 14 luglio approva una nuova regola tecnica di prevenzione incendi, aggiornando le disposizioni del Decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994 e semplificando i requisiti antincendio per le strutture che hanno un numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50.

Entriamo nel dettaglio del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale dando informazioni sul campo di applicazione (articolo 1).
Le disposizioni del nuovo Decreto si applicano per la progettazione, la realizzazione e l’esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere, così come definite dal Decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994 e successive modificazioni, con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

L’articolo 2 riporta poi gli obiettivi.
Secondo il Decreto, ai fini della prevenzione incendi,
“allo scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni contro i rischi di incendio, le strutture turistico-ricettive di cui all’articolo 1, sono realizzate e gestite in modo da:
-         minimizzare le cause di incendio;
-         garantire la stabilità delle strutture portanti al fine di assicurare il soccorso agli occupanti;
-         limitare la produzione e la propagazione di un incendio all’interno della struttura ricettiva;
-         limitare la propagazione di un incendio a edifici o aree limitrofe;
-         assicurare la possibilità che gli occupanti lascino i locali e le aree indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo;
-         garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza”.

E per raggiungere tali obiettivi è approvata (articolo 3) la regola tecnica di prevenzione incendi di cui all’Allegato 1, che costituisce parte integrante del Decreto.
Senza dimenticare che (articolo 4) le disposizioni tecniche di cui all’articolo 3 (la regola tecnica) si applicano alle attività ricettive turistico-alberghiere indicate dal Decreto anche nel caso di interventi di ristrutturazione o di ampliamento, limitatamente alle parti interessate dall’intervento e comportanti l’eventuale rifacimento dei solai in misura non superiore al 50%.
E’ fatta salva tuttavia la facoltà, per il responsabile delle attività di optare per l’applicazione delle pertinenti disposizioni di cui al Decreto del Ministro dell’interno 9 aprile 1994 e successive modificazioni.

Ci soffermiamo ora sulla “Regola tecnica di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del Decreto”, di cui all’Allegato 1, che contiene molte indicazioni: dalle caratteristiche costruttive alle misure per l’evacuazione, dai mezzi di estinzione degli incendi alla gestione della sicurezza.

Riguardo alla gestione della sicurezza la regola tecnica indica che il responsabile dell’attività ricettiva deve rispettare gli obblighi connessi con l’esercizio dell’attività previsti dalla normativa vigente in materia e in edifici a destinazione mista dovrà essere assicurato il coordinamento della gestione della sicurezza e delle operazioni di emergenza tra le attività presenti nell’edificio.
Tra le misure finalizzate al coordinamento della gestione dell’emergenza, si dovrà prevedere:
-         l’installazione di almeno un pulsante manuale di allarme, posizionato nelle parti comuni dell’edificio misto, con cui si attivi una segnalazione d’allarme all’interno dell’attività alberghiera;
-         la possibilità di estendere la segnalazione di allarme agli spazi dell’edificio non destinati ad attività alberghiera.

Inoltre il responsabile dell’attività ricettiva è tenuto a predisporre un piano di emergenza contenente le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso incendio. Tale piano di emergenza deve essere mantenuto costantemente aggiornato.
Devono poi essere pianificate (e indicate nel piano di emergenza) le procedure per l’assistenza a persone con limitate capacità sensoriali e/o motorie, che possono incontrare difficoltà specifiche nelle varie fasi dell’emergenza.
E a ciascun piano, lungo le vie di esodo, devono essere esposte planimetrie d’orientamento. In tali planimetrie deve essere adeguatamente segnalata, tra l’altro, la posizione e la funzione di eventuali spazi calmi o di spazi compartimentati, destinati alla sosta in emergenza di eventuali persone con impedite o ridotte capacità sensoriali e/o motorie.
Anche in ciascuna camera, con apposita cartellonistica esposta bene in vista, devono essere fornite precise istruzioni sul comportamento da tenere in caso di incendio. Oltre che in italiano, il testo deve essere redatto in lingue diverse, di maggiore diffusione tra la clientela della struttura ricettiva. Le istruzioni debbono essere accompagnate da una planimetria, che indichi schematicamente la posizione della camera rispetto alle vie di evacuazione, alle scale ed alle uscite.

Concludiamo la presentazione del Decreto con le “disposizioni finali” (articolo 6).
Tali disposizioni finali sottolineano come il Decreto entri in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 24 luglio 2015).
E tali disposizioni indicano che con riferimento all’attuazione del piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi (previsto dal Decreto del Ministro dell’interno 16 marzo 2012 e successive modificazioni) “alle attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del Decreto del Ministro 9 aprile 1994, si applicano le corrispondenti prescrizioni della regola tecnica di prevenzione incendi di cui all’articolo 3 del presente Decreto, con le modalità e i tempi fissati dal citato decreto del Ministro dell’interno 16 marzo 2012 e successive modificazioni”.

Il Decreto del Ministero dell’interno del 14 luglio 2015 “Disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50” è visionabile all’indirizzo:



Nessun commento:

Posta un commento